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Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema ... - Ruralpini

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giuseppino con le case di reclusione e trattamenti spietati per i poveri “validi” 76 . La nuova politica<br />

socioassistenziale, basata sul controllo statale delle istituzioni assistenziali, su un intervento<br />

caritativo “selettivo” e sull’approccio reclusivo e poliziesco al problema della “mendicità”, fu<br />

estesa durante il periodo napoleonico alla terre ex-venete. Dal momento, però, che la miseria diffusa<br />

nelle comunità di montagna (e di collina) non rappresentava un’espressione di marginalità <strong>sociale</strong>,<br />

ma la conseguenza di un processo di pauperizzazione diffusa, le misure adottate si rivelarono<br />

inutili 77 . Lo stesso Gauteri al fine di spiegare le motivazioni socioeconomiche della persistenza e<br />

dell’aumento dell’allevamento caprino elencava una serie di cause della “miseria” ponendo alla<br />

base del fenomeno l’aumento della pressione fiscale che proprietari ed affittuari cercavano di<br />

scaricare almeno in parte sui contadini:<br />

“mentre, però il proprietario o l’affittuario col diminuire il lusso potè modestamente vivere, il contadino dovette<br />

lottare benen spesso colla miseria tanto più che a) la beneficenza pubblica avena in moltissimi comuni cessato di farsi<br />

sentire sopra l’indigente, b) che gl’influssi celesti furono in questi anni assai frequenti e distruttivi, c) che il prezzo di<br />

tutte le derrate era cresciuto straordinariamente,, d) che la licenza e la moda aveva generalizzato anche fra il popolo deì<br />

bisogni altre volte sconosciuti, e) che la coscrizione aveva rapito molte braccia che sostenevano la vecchiaja” 78<br />

Non a caso Gautieri deve ricordare che queste condizioni sociali e indussero alcune comunità a<br />

“rimangiarsi” il bando alle capre 79 . Il governo Lombardo-Venero non si discostò sostanzialmente<br />

dalla politica assistenziale napoleonica, né per quanto riguarda il regime di tassazione che per i<br />

“bandi della mendicità” che vennero reiterati diverse volte, ma si limità ad introdusse alcuni<br />

ammortizzatori sociali sotto forma di lavori pubblici modestamente retribuiti 80 . La stessa<br />

concessone di 1-2 capre alle famiglie “miserabili” rientrava del resto in questa politica.<br />

Il centro dello scontro <strong>sociale</strong> e del processo di proletarizzazione e disgregazione delle<br />

comunità era, però, quello della proprietà e della gestione dei beni comunali. L’estensione<br />

delle superfici in proprietà privata dei contadini di montagna che già ai tempi del catasto<br />

teresiano era estremamente limitata 81 , nel corso del XIX secolo si polverizzò ulteriormente<br />

assegnando ai beni comunali e agli usi civici un ruolo ancora più importante nelle strategie di<br />

sopravvivenza 82 . Già escluse dalle disposizioni di epoca Teresiana, le alienazioni dei beni dei<br />

76 Due gride del 1784 prevedevano il bando entro 15 giorni dei «forestieri oziosi e vagabondi» pena pubblica<br />

fustigazione ed espulsione mentre, per i «poveri nazionali» sorpresi a mendicare era previsto l’arresto la carcerazione<br />

per tre giorni a pane e acqua e quindi il rilascio con diffida di dedicarsi al lavori, in caso di recidiva la detenzione per<br />

più lunghi periodi nella casa di forza di Pizzighettone (C.CAPRA La lombardia austriaca nell’età delle riforme, Torino,<br />

1987 pp p 393-395.<br />

77 La Prefettura di Bergamo intendeva aprire case di lavoro ovunque e nel 1810 vennero interrogate le municipalità circa<br />

la presenza di mendicanti. Ne furono segnalati molto pochi dal momento che “Il problema non era legato a una vera<br />

marginalità <strong>sociale</strong>, quanto alla fine, per così dire, degli ammortizzatori della società tradizionale. I sindaci non a caso<br />

notavano come non vi fossero, in molti casi, mendicanti ma famiglie intere «semiquestuanti» e «ridotte alla vera<br />

miseria», nell’impossibilità di sostenere l’onere della tassa personale […] Testimonianza del genere provenivano in<br />

particolare dalla montagna, una realtà che di lì a poco sarebbe stata colpita dalla carestia del 1811.”. E. BRESSAN. ,<br />

op.cit. p. 33.<br />

77 E. BRESSAN. op.cit., p. 32<br />

78 GAU, pp 269-274.<br />

79 Gautieri cita Berbenno in Valtellina nel 1807. (GAU, p. 268).<br />

80 Cfr. M.MERIGGI, Il Regno Lombardo-Veneto, 1987, p. 201.<br />

81 Vedi nota n. 47.<br />

82 Gli agricoltori della Valtellina o dell'alto Bergamasco in Lombardia, così come quelli del Bellunese e dell'alto<br />

Udinese e Vicentino in Veneto « erano padroni di poche pertiche (1a pertica metrica = 1/10 di ettaro) di<br />

terreno sterilissimo, che solo a prezzo di grandi stenti riusciva(no) a fecondare, così da ricavarne un magro raccolto<br />

di cereali, di castagne ed una modesta quantità di vino »; « vivevano in villaggi di case di pietra, vecchie e cadenti,<br />

dalle strade strette ed ingombre di immondizie. Si nutrivano quasi esclusivamente di legumi, castagne,<br />

patate e latte; solo i più agiati potevano comprare la polenta di granturco ». La sopravvivenza fisica di questi<br />

proprietari « immaginari » era legata all'esistenza della vecchia tradizione dell'uso collettivo dei beni comunali<br />

(legnatico, pascolo, ecc.), riservato ai « comunisti », vale a dire ai residenti nel comune « ab antiquo »; tale<br />

bene primario era diventato nel corso degli ultimi tempi tanto più necessario quanto più la proprietà si veniva<br />

ulteriormente frazionando. Nel Bergamasco, ad esempio, intorno al 1820, con una popolazione di circa 300.000

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