Risorse silvo-pastorali, conflitto sociale e sistema ... - Ruralpini
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di intravedere facilmente, dietro un tenue velo di “legittimazione” sociale, gli interessi di settori industriali arretrati e poco competitivi alla ricerca di … capri espiatori per la loro crisi. Essa non perde tempo in disquisizioni sulla funzione protettiva dei boschi, ma va al sodo della questione: i boschi, dal suo punto di vista, devono servire per fornire energia a buon mercato all’industria del ferro, i montanari invece di “oziare”, conducendo al pascolo le capre, dovrebbero fornire braccia salariate (anch’esse a buon mercato) “si nella montagna, che nella pianura”. Nella requisitoria contro le capre della Delegazione bresciana si fa riferimento alla “rovina della Val Brembana”. dove erano stati concessi dei permessi in deroga al sopracitato Decreto del 9.5.1811. Contro la non osservanza di tale decreto in Val Brembana si esprime negli stessi anni il Conservatore dei Boschi di Brescia in una relazione inviata a Milano sulla base di un rapporto dell’Ispettore ai Boschi di Bergamo. Le argomentazioni dell’amministrazione forestale non sono meno pesanti di quelle dei notabili bresciani. Essa invoca “misure radicali” a nulla bastando, a suo dire, le “mezze misure” sino ad allora adottate. Le argomentazioni sono analoghe: “i capraj ed i loro protettori gridano che sono necessarie per la povertà di quella Valle, ma la povertà è derivata dall’introduzione delle capre, perché diminuiti i boschi, si è sottratto l’impiego solito delle popolazioni nei taglj, carbonizzazione, miniere, forni, fucine, trasporti […] “accresciute le capre per la maggior povertà che è succeduta in tal modo l'effetto perpetua la causa, e terminerà la Vallebrembana col diventare un Deserto abitato da soli capraj, e saranno chiuse quelle miniere di ferro ed estinti i forni e le fucine” 66 . Come si vede anche la buroespertocrazia, evidentemente sensibile al particolare accanimento contro le capre manifestato dagli esponenti dell’èlite economica, non si preoccupa di nascondere le finalità sociali della loro avversione alle capre; dei boschi a questi “paleoforestali” non importa molto, se non in quanto risorsa energetica per l’industria. Uno scrittore locale della Val di Scalve, dove le miniere di ferro sono rimaste attive sino alla seconda metà del XX secolo, mette a fuoco con molto minor enfasi i termini della questione: “Il povero accarezza la capra qual nutrice della sua famiglia, qual sua compagna nella foresta e sulle più erme montagne, traendo da essa un salubre economico alimento; ma il possidente la maledice a tutta ragione qual flagello dei boschi. Istruiti esatti confronti tra i vantaggi ed i danno provenienti dalle capre, è indubitabile che i secondi vincano di gran pezza i primi e tanto più nella nostra Valle, atteso l’alto prezzo del carbone” 67 Perché tanto accanimento contro le capre nelle provincie ex-venete? In effetti qui era concentrata l’industria estrattiva lombarda legata alla prima lavorazione del minerale ferroso. Si trattava di un apparato produttivo considerevole 68 , ma la sua crisi era profonda e legata ai richiamati fattori strutturali di arretratezza 69 . La questione delle capre continua a destare nel periodo del Regno Lombardo-Veneto l’attenzione di autorità provinciali, amministrazioni comunali e dell’amministrazione forestale a testimonianza della rilevanza socio-economica della questione. In un rapporto del Delegato Provinciale di Bergamo alla Congregazione Centrale in merito a ricorsi contro il pascolo abusivo e il “soverchio numero” delle capre in Valle Camonica (durante il Regno Lombardo-Veneto parte della Provincia di Bergamo) non si manca di far osservare come da parte della Deputazione provinciale, nei limiti delle proprie attribuzioni, si fossero attuate tutte le disposizioni per reprimere il pascolo abusivo delle capre nei luoghi comunali “In alcuni distretti della Val Brembana le disposizioni dello scrivente produssero non pochi salutari effetti, ma in 66 Ibidem 67 G.GRASSI, op. cit., p.60 . 68 Costituito da 200 miniere, 37 altiforni e 266 fucine. Cfr.A. CARERA, op. cit. p. 229. 69 Il Carera evidenzia come: “l’estrazione del minerale e la trasformazione in semilavorato siderurgico e in pezzo finito erano talmente arretrate da denunciare l’inadeguatezza dell’intera struttura produttiva, più che strozzature in qualche fase del ciclo” Ivi, p. 228. Vedi nota n. 37.
altri distretti e, segnatamente nella Valle Camonica, ove le inveterate consuetudini e gli abusi di simil genere più generalmente radicati oppongono maggiore difficoltà di attivazione di serie discipline, si ottennero risultanze poco o nulla corrispondenti al desiderio” 70 . E’ interessante notare come il Delegato Provinciale individui nella questione un problema di ordine pubblico. Si auspica che le amministrazioni locali collaborino ad una politica restrittiva dell’allevamento caprino temperata dal “concedere eccezionalmente 1 o 2 capre e sotto opportune cautele” previo vaglio delle “situazioni delle singole famiglie”. Queste “concessioni” paternalistiche erano suggerite da “imponenti motivi di convenienza non potendosi agevolmente prevedere fino a quali eccessi possa giungere lo spirito di malcontento di quelle rozze e povere popolazioni ove con tutto il rigore e sull’istante si mandasse ad effetto un generale ed assoluto bando alle capre” 71 . Per il potere politico-amministrativo le considerazioni di opportunità politica valgono a smussare i toni della “guerra alle capre” anche se la limitatezza delle concessioni non era certo tale da favorire una politica del consenso. I termini complessivi dello scontro sociale vanno, però, compresi anche tenendo conto del potere reale che andava assumendo, a scapito degli organi elettivi territoriali (ma, in prospettiva anche delle autorità politiche centrali), la burocrazia forestale (II.RR. Ispettorati Boschivi). La nascente tecnoburocrazia forestale, cui le ambiguità della politica apparivano già incomprensibili, non mancava di fare sentire la propria opininione a proposito dell’atteggiamento “prudente” degli organi politici. Nei confronti della Delegazione Provinciale di Bergamo, il Conservatore de’ Boschi di Brescia, di cui abbiamo già avuto modo di conoscere la personale interpretazione “sociale” della questione e gli equanimi giudizi sui caprai, in un rapporto all’ I.R. Direzione Demanio e Boschi “sopra ordinazioni fra loro diverse della Delegazione Provinciale di Bergamo in punto delle capre del 7.7.1820 si esprime nei seguenti termini: “ciò che più mi duole è il comprendere quanto sia dilatato lo spirito di funesta tolleranza delle capre in una Provincia ricca di miniere, e lacerata da più di trentamila [capre]” 72 Le autorità centrali continuarono a mantenere un atteggiamento prudente che è bene espresso nella relazione di accompagnamento ad un progetto (destinato a rimanere tale) di una nuova regolamentazione di tutta la materia del pascolo caprino elaborato, nel 1817, della Direzione Generale Demanio e Boschi. La considerazione di fondo è che “un bando assoluto di questo animale sarebbe fatale a molte Popolazioni, ed all’interesse dello Stato” 73 . La tesi sostenuta dai rappresentanti più radicali degli interessi delle classi dominanti è che la capra fosse al tempo stesso effetto e causa della miseria; eliminando le capre si sarebbe rotto il circolo vizioso della “poltroneria” e dell’ “immoralità” a vantaggio delle stesse comunità. In queste forme di legittimazione delle politiche sulla gestione agro-silvo-pastorale non è difficile scorgere un intreccio con i nuovi orientamenti della questione dell’assistenza pubblica che emergevano dopo la fine dell’ancien régime e il venir meno degli ammortizzatori sociali che lo caratterizzavano 74 e che echeggiavano l’ideologia delle New poor law inglesi (con le famigerate workhouses) 75 . I nuovi orientamenti assistenziali in Lombardia avevano avuto già dei precedenti in Lombardia nel periodo 70 ASM, agricoltura p.m. c. 81. 71 Ibidem. 72 Ibidem. 73 ASM, agricoltura p.m. c. 79. 74 E. BRESSAN. «La Lombardia veneta» in G.RUMI (a cura di): La formazione della Lombardia contemporanea, Milano/ Roma-Bari, 1998, pp.15-58. 75 R.G. FUCHS. «Beneficenza privata e assistenza pubblica» in : Storia della famiglia in europa. Il lungo ottocento. In A M.BARBAGLI E D.I. KERTZER (cura di), Roma-Bari, 2002, pp. 232-283.
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industriali arretrati e poco competitivi alla ricerca di … capri espiatori per la loro crisi. Essa non<br />
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boschi, dal suo punto di vista, devono servire per fornire energia a buon mercato all’industria del<br />
ferro, i montanari invece di “oziare”, conducendo al pascolo le capre, dovrebbero fornire braccia<br />
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Nella requisitoria contro le capre della Delegazione bresciana si fa riferimento alla “rovina della<br />
Val Brembana”. dove erano stati concessi dei permessi in deroga al sopracitato Decreto del<br />
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Conservatore dei Boschi di Brescia in una relazione inviata a Milano sulla base di un rapporto<br />
dell’Ispettore ai Boschi di Bergamo. Le argomentazioni dell’amministrazione forestale non sono<br />
meno pesanti di quelle dei notabili bresciani. Essa invoca “misure radicali” a nulla bastando, a suo<br />
dire, le “mezze misure” sino ad allora adottate. Le argomentazioni sono analoghe:<br />
“i capraj ed i loro protettori gridano che sono necessarie per la povertà di quella Valle, ma la povertà è derivata<br />
dall’introduzione delle capre, perché diminuiti i boschi, si è sottratto l’impiego solito delle popolazioni nei taglj,<br />
carbonizzazione, miniere, forni, fucine, trasporti […] “accresciute le capre per la maggior povertà che è succeduta in tal<br />
modo l'effetto perpetua la causa, e terminerà la Vallebrembana col diventare un Deserto abitato da soli capraj, e saranno<br />
chiuse quelle miniere di ferro ed estinti i forni e le fucine” 66 .<br />
Come si vede anche la buroespertocrazia, evidentemente sensibile al particolare accanimento<br />
contro le capre manifestato dagli esponenti dell’èlite economica, non si preoccupa di nascondere le<br />
finalità sociali della loro avversione alle capre; dei boschi a questi “paleoforestali” non importa<br />
molto, se non in quanto risorsa energetica per l’industria. Uno scrittore locale della Val di Scalve,<br />
dove le miniere di ferro sono rimaste attive sino alla seconda metà del XX secolo, mette a fuoco con<br />
molto minor enfasi i termini della questione:<br />
“Il povero accarezza la capra qual nutrice della sua famiglia, qual sua compagna nella foresta e sulle più erme<br />
montagne, traendo da essa un salubre economico alimento; ma il possidente la maledice a tutta ragione qual flagello<br />
dei boschi. Istruiti esatti confronti tra i vantaggi ed i danno provenienti dalle capre, è indubitabile che i secondi<br />
vincano di gran pezza i primi e tanto più nella nostra Valle, atteso l’alto prezzo del carbone” 67<br />
Perché tanto accanimento contro le capre nelle provincie ex-venete? In effetti qui era<br />
concentrata l’industria estrattiva lombarda legata alla prima lavorazione del minerale ferroso. Si<br />
trattava di un apparato produttivo considerevole 68 , ma la sua crisi era profonda e legata ai richiamati<br />
fattori strutturali di arretratezza 69 .<br />
La questione delle capre continua a destare nel periodo del Regno Lombardo-Veneto<br />
l’attenzione di autorità provinciali, amministrazioni comunali e dell’amministrazione forestale a<br />
testimonianza della rilevanza socio-economica della questione. In un rapporto del Delegato<br />
Provinciale di Bergamo alla Congregazione Centrale in merito a ricorsi contro il pascolo abusivo e<br />
il “soverchio numero” delle capre in Valle Camonica (durante il Regno Lombardo-Veneto parte<br />
della Provincia di Bergamo) non si manca di far osservare come da parte della Deputazione<br />
provinciale, nei limiti delle proprie attribuzioni, si fossero attuate tutte le disposizioni per reprimere<br />
il pascolo abusivo delle capre nei luoghi comunali<br />
“In alcuni distretti della Val Brembana le disposizioni dello scrivente produssero non pochi salutari effetti, ma in<br />
66 Ibidem<br />
67 G.GRASSI, op. cit., p.60 .<br />
68 Costituito da 200 miniere, 37 altiforni e 266 fucine. Cfr.A. CARERA, op. cit. p. 229.<br />
69 Il Carera evidenzia come: “l’estrazione del minerale e la trasformazione in semilavorato siderurgico e in pezzo<br />
finito erano talmente arretrate da denunciare l’inadeguatezza dell’intera struttura produttiva, più che strozzature in<br />
qualche fase del ciclo” Ivi, p. 228. Vedi nota n. 37.