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Lo Schifazzo nella tradizione cantieristica trapanese - Studiomusmeci

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ALMA MATER STUDIORUM<br />

UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA<br />

_____________________ ooOoo_____________________<br />

FACOLTA’ DI CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI<br />

Corso di Laurea in Beni Archeologici<br />

<strong>Lo</strong> schifazzo <strong>nella</strong> <strong>tradizione</strong> <strong>cantieristica</strong><br />

Relatore<br />

Prof. Marco Bonino<br />

<strong>trapanese</strong><br />

Tesi di laurea in Architettura Navale<br />

III Sessione<br />

Anno Accademico 2002-2003<br />

1<br />

Presentata da<br />

Giampiero Musmeci


1. Programma e metodo di lavoro.<br />

INDICE<br />

2. Storia della marineria <strong>trapanese</strong> attraverso l’utilizzo dello <strong>Schifazzo</strong>.<br />

3. Posizione dello schifazzo <strong>nella</strong> <strong>tradizione</strong> navale della Sicilia occidentale.<br />

4. Individuazione dell’esemplare rilevato.<br />

5. Rilievo fotografico.<br />

6. Schedatura e rilievo delle forme, stato d’uso.<br />

7. Confronti strutture, piano dei legni.<br />

8. Ricostruzione del piano velico.<br />

9. Censimento degli ultimi schifazzi.<br />

10. Il vincolo<br />

11. Conclusioni<br />

Ringraziamenti<br />

Bibliografia, fonti orali<br />

2


1. PROGRAMMA E METODO DI LAVORO<br />

Scopo del presente lavoro è quello di provvedere a predisporre una prima<br />

documentazione per una successiva opera di recupero di una imbarcazione<br />

storica siciliana. Viene qui utilizzato il termine “recupero” poiché si ritiene<br />

possibile, nel caso in esame, recuperare anche la funzione originaria del mezzo.<br />

Si ipotizza, infatti, che il ripristino della funzione ed il riuso saranno il fine di un<br />

futuro intervento. Il metodo di lavoro, ormai consolidato per la predisposizione<br />

di progetti di restauro muove nel presente caso, da una indagine <strong>nella</strong> storia della<br />

marineria del periodo ed in particolare di quella <strong>trapanese</strong>. In tale indagine sono<br />

state incluse ogni informazione possibile ricavata da ricerche d’archivio, ricerche<br />

iconografiche, contratti, misure e stime, elenchi di spese, nomi di maestranze.<br />

Non è stata trascurata la ricerca di fonti orali, nonché l’individuazione di<br />

attrezzature presso collezioni private. Si è proceduto inoltre all’approfondimento<br />

della conoscenza del mezzo tramite il rilievo dell’imbarcazione ed alla sua<br />

schedatura. Questa metodologia, utilizzata per aumentare le capacità conoscitive<br />

è stata finalizzata a restituire il Piano di Costruzione e poiché ogni rilievo<br />

comporta le sue proprie difficoltà, e quello di un mezzo navale è particolarmente<br />

complesso, ci si è limitati al rilievo delle sole forme, cioè delle linee geometriche<br />

che caratterizzano la sua superficie esterna.<br />

Al rilievo del piano delle forme dovrà seguire un’ulteriore<br />

approfondimento della ricerca rilevando il piano dei legni ed ipotizzando, sulla<br />

base di opportuni studi e riscontri anche sullo stesso scafo, una ricostruzione del<br />

piano velico. Ciò al fine di predisporre un progetto esecutivo ed un programma<br />

di lavori per il recupero del mezzo.<br />

3


2. STORIA DELLA MARINERIA TRAPANESE ATTRAVERSO<br />

L’UTILIZZO DELLO SCHIFAZZO<br />

Nel porto di Trapani, verso la fine del Settecento, si svolgeva un traffico<br />

commerciale suddiviso in due grandi comparti: le rotte di lungo cabotaggio con<br />

destinazioni Genova e Venezia, riservate ai legni maggiori presenti nel porto (tali<br />

navi appartenevano in gran parte ad armatori esteri) ed il piccolo cabotaggio che<br />

invece, aveva come destinazione nel Tirreno Napoli, Livorno, la Sardegna e<br />

l’intera costa siciliana svolto da imbarcazioni minori appartenenti ad armatori<br />

locali i patruni di varca e alcuni maestri corallari 1 . La composizione della<br />

flottiglia mercantile <strong>trapanese</strong> per tutto il Settecento fu prevalentemente<br />

composta da schifazzi e liudelli 2 . <strong>Lo</strong> schifazzo aveva un utilizzo vario. Veniva<br />

prevalentemente utilizzato per il trasporto di vino, materiale da costruzione e per<br />

il trasporto del sale, formaggi e prodotti di tonnara. Veniva anche usato sia per la<br />

pesca che per la pesca delle spugne ed anche per le esportazioni di corallo sia<br />

grezzo che lavorato. Le due categorie di mezzi, schifazzi e liudelli costituivano la<br />

stragrande maggioranza delle imbarcazioni registrate in entrata o uscita dai libri<br />

doganali del periodo. Si tratta di natanti di piccola portata: uno schifazzo poteva<br />

caricare infatti da trenta a cinquanta salme di sale Una portata del genere<br />

corrispondeva a un modesto, livello di traffici anche se negli anni buoni, la sola<br />

produzione di sale, superava le trentamila salme. Le stesse, non numerose,<br />

tartane 3 trapanesi, pur avendo una portata maggiore, potevano mediamente<br />

1 Benigno 1982: 102 i quali, nel 1633, si erano organizzati in maestranza.<br />

2 Bellabarba -Guerreri 2002: 132-135. Liudello o Lautello, barca con fondo quasi piatto di circa 10/12 metri,<br />

armata con due alberi a vela vatina, uno di maestra ed uno più piccolo di mezzana all’estrema poppa su una<br />

sovrastruttura che fuoriesce dallo scafo. P.A.Hennique è l’univa fonte. Arca utilizzata a Trapani per la pesca del<br />

corallo.<br />

3 Bellabarba -Guerreri 2002: 222-229. Uno dei tipi d’imbarcazione più diffuso in Mediterraneo. La prima<br />

menzione è del 1300. Nel 1905 in italia ne sono ancora censite 165. Imbarcazione con forme piuttosto piene di<br />

circa 20 metri di lunghezza, caratterizzata da una ruota di prua che si porge in avanti al di sotto di un lungo<br />

bompresso. E’ armata con un solo albero a vela latina con controranda e due fiocchi.<br />

4


caricare da centocinquanta a trecento salme 4 di sale ciascuna.<br />

FOTO 2.1 Muciare pronte per il rimorchio – foto Prof. Nicola Scariano 1950 circa.<br />

4 La misura ancora oggi utilizzata a Trapani per la pesatura del sale è di Kg 469 (sino alla metà del Seicento<br />

misurava per una equivalenza di Kg. 222)<br />

5


FOTO 2.2 Operazioni di caricamento sottobordo anni ’30 – foto Costanza, S., 1988<br />

Le vendite del sale 5 in loco, erano sempre effettuate franco a bordo di navi<br />

maggiori in sosta nel porto, quindi il proprietario doveva disporre di personale<br />

per la raccolta, di barche e di ciurma (personale) per il caricamento. Il trasporto<br />

del sale cominciava con la sua raccolta dalle casedde 6 (vasche di salinazione), e<br />

il trasporto all’ariuni 7 , mediante ceste coniche intessute con strisce di canna<br />

(cartedde) che contenevano circa 25/30 Kg. di prodotto.<br />

5 Il sale esportato era costituito da cloruro di sodio in cristalli, rimasto così come veniva estratto dalle saline: il<br />

cosiddetto sale « granito » o « grosso ». Con la macinatura e la riduzione in grani più fini il sale perde quella<br />

qualità di resistenza all’umidità che, facendo atto a una lunga conservazione, ne permettevano il trasporto durante<br />

le lunghe traversate marine nelle stive dei legni da carico in partenza da Trapani per fuori Regno. Per questo<br />

motivo le esportazioni di sale molito erano molto ridotte, dirette verso scali prossimi e per lo più legate ai<br />

rifornimenti alle tonnare.<br />

6 Vasche in cui è suddivisa la salina.<br />

7 Ampio argine delle vasche salanti, dove veniva posto il sale in attesa del suo caricamento sulla barca.<br />

6


FOTO 2.3 Salinaio che trasporta una cartedda di sale - foto Prof. Nicola Scariano 1950 circa<br />

Le squadre (venne) degli addetti alla raccolta del sale erano composte da<br />

venti lavoranti ciascuna, assunti per il lavoro stagionale sotto il comando del<br />

curatolo (responsabile) che sorvegliava l’attività della salina durante l’anno: gli<br />

uomini delle venne si accompagnavano nel loro lavoro con un canto monotono i<br />

cui versi, aiutavano a ricordare il numero delle cartedde trasportate. Arrivati alla<br />

ventiquattresima l’uomo che riceveva il sale (u signaturi) faceva una tacca in un<br />

bastone di legno (fella o ferula, la pianta delle ombrellifere che cresce spontanea<br />

nei campi). I mucchi raccolti negli ariuni, dopo le prime piogge che dilavano il<br />

sale delle impurità e dei cloruri di potassio e di magnesio, si coprivano con<br />

7


tegole (ciaramire) in argilla. Da qui gli schifazzari trasportano per mare il sale<br />

fino al porto con gli schifazzi forniti di ponte e di una vela latina con fiocco.<br />

Nelle stesse saline operavano le muciare 8 , più piccole e senza vela, che<br />

attraversavano i canali che intersecano le saline.<br />

FOTO 2.4 Caricamento meccanico di schifazzi e muciare - Prof. Nicola Scariano 1950 circa<br />

La retribuzione per le operazioni della raccolta e del trasporto del sale,<br />

veniva corrisposto a cottimo e variava secondo la natura dei servizi. La<br />

retribuzione per ciascun servizio determinata su otto salme di sale, cioè circa tre<br />

8 Barcone di portata inferiore allo <strong>Schifazzo</strong> e senza ponte, che navigano a rimorchio con l’aiuto di pali puntati<br />

sul fondo dei canali. E per il tipo di trasporto effettuato erano anche dette “salinari”.<br />

8


ton<strong>nella</strong>te, veniva così suddivisa 9 :<br />

Rottura e ammucchiamento del sale nelle caselle L. 0, 67<br />

Estrazione dalle caselle………………………… 1, 60<br />

Misuratura……………………………………… 0, 11<br />

Caricamento nelle barche……………………… 1, 93<br />

Trasporto……………………………………….. 3, 40<br />

Caricamento nei bastimenti……………………. 0, 56<br />

Il trasporto con le barche era molto oneroso incidendo <strong>nella</strong> misura del<br />

28% del costo complessivo dell’intera operazione di raccolta e trasporto sotto<br />

bordo e questo faceva dei patruni di varca una categoria meno povera di altre. Ai<br />

produttori, per assolvere agli obblighi contrattuali della vendita sin sotto bordo,<br />

non restavano che due soluzioni: rivolgersi ai piccoli armatori ovvero costituire<br />

una propria flotta di schifazzi.<br />

9 Mondini G., 1881: 21<br />

9<br />

Tot. L. 8, 27


FOTO 2.5 Parte della flotta S.I.E.S. (schifazzi) - Prof. Nicola Scariano 1950 circa<br />

Quest’ultima soluzione sarà adottata quasi di regola dalla fine<br />

dell’Ottocento fino agli anni 20 del Novecento. Infatti, fin quando le numerose<br />

saline del litorale <strong>trapanese</strong> appartennero a diversi proprietari/affittuari non<br />

risultava economicamente valido dotarsi di grandi flotte, sia per il limitato<br />

periodo di utilizzo (prevalentemente estivo) sia per l’esigua quantità del sale da<br />

trasportare e pertanto spesso ci si rivolgeva al mercato delle “barche”.<br />

Quando poi, nel 1920 fu costituita la S.I.E.S. 10 (Società Italiana<br />

Esportazione Sali) questa società, organizzò un proprio servizio di trasporto con<br />

10 Si succederanno nel tempo due società S.I.E.S.. Quella del ’20 Soc. Italiana Esportazione Sali e quella del<br />

’62 Soc.Industriale Estrazione Sali S.p.a.<br />

1


numerosissime varche (barche) circa 100 tra schifazzi e muciare. Occorre<br />

sottolineare che la fusione delle diverse saline del comprensorio, fece cambiare<br />

radicalmente l’utilizzo dei diversi impianti. Se precedentemente ciascuna delle<br />

saline disponeva, secondo il “Tipo di Salina” tradizionale 11 dei suoi canali, degli<br />

aironi e delle proprie vasche (fredde, d’acqua cruda, delle ruffiane, delle calde e<br />

delle caselle) dopo tale fusione, quasi tutto il comprensorio a sud di Trapani<br />

divenne, così com’ ancora oggi, un’unica immensa salina con una superficie<br />

complessiva di circa 400 ettari 12 . In conseguenza di ciò le fasce di vasche sono<br />

state diversamente destinate e, dalle fredde, poste lungo la fascia costiera e a sud<br />

verso Paceco, un lunghissimo giro porta le acque alle vasche di salinazione poste<br />

nelle immediate vicinanze del<br />

porto. Questa rivoluzione silenziosa dettata da molteplici fattori, che pure<br />

a permesso la sopravvivenza della “coltivazione” del sale, ha avuto notevoli ed<br />

immaginabili conseguenze anche per il tipo di trasporto su acqua rappresentato<br />

dagli schifazzi. La grande flotta S.I.E.S formata dal conferimento di quote di<br />

singoli proprietari/gestori di salina/armatori, fu progressivamente, in un primo<br />

tempo privata del piano velico e motorizzata ed in seguito utilizzata alla stessa<br />

stregua delle muciare cioè a rimorchio. Nel 1984 la nuova S.I.E.S S.p.a.<br />

(Società Industriale Estrazione Sali S.p.a.) dismise le ultime barche delle quali,<br />

non poche avevano lavorato per quasi un secolo.<br />

11 Mondini, G., 1881. Appendice A, Tipo di Salina.<br />

12 Intervista al Cav. Antonio d’Alì Staiti, si veda bibliografia.<br />

1


DOCUMENTO 1<br />

Estratto dal Registro Navi Minori e Galleggianti dal n. 592 al n.800 (Archivio della<br />

Capitaneria di Porto di Trapani).<br />

1


FOTO 2.6 Braccio laterale del Canale di Mezzo. Resti di parte della flotta di schifazzi e<br />

muciare dismesse dalla S.I.E.S. S.p.a. nel 1984 – foto achivio Lega Navale Italiana anno 2002.<br />

Gli schifazzi, a seconda del tipo di trasporto prevalente venivano realizzate<br />

con forme e dimensioni ed armamento leggermente diverso. Le imbarcazioni<br />

esclusivamente commerciali si distinguevano poco dalle altre, differendo per una<br />

maggiore stazza, la presenza della coperta ed un piano velico con superficie<br />

maggiore, “più frazionata” 13 . Gli schifazzi per il trasporto di cantuna (blocchi di<br />

tufo) presentavano un maggiore “bordo libero” 14 e due fiocchi (vele di prua), a<br />

differenza di quelli da sale che portavano un solo fiocco ed uno scafo con “bordo<br />

13 L’intera superfice velica divisa su più tipologie di vele (randa, controranda, fiocco, controfiocco) anziché<br />

un'unica grande vela, permette una più facile riduzione del piano velico in caso di necessità, la manovra con<br />

un numero ridotto di equipaggio e la possibilità di scegliere sulla quantità i spinta da imprimere al mezo. Ad<br />

esempio per l’entata in porto veniva utilizzato un solo fiocco, ciò per permettere alla barca di fermarsi (il<br />

problema maggiore, non disponendo di motore e retromarcia) in banchina con l’abbrivio appena sufficiente.<br />

14 La parte emersa dello scafo, dalla linea di galleggiamento al trincarino.<br />

1


libero” più basso.<br />

E interessante notare che oltre all’attività di trasporto per conto terzi,<br />

molte imbarcazioni svolgevano attività in proprio, conducendo merci “a sorte” o<br />

“a ventura” <strong>nella</strong> quale venivano trasportate le diverse specie di merci con<br />

destinazioni diverse. Spesso ad “armare” le barche, non era il solo proprietario,<br />

ma il finanziamento delle singole imprese veniva sottoscritto, in quote, da parte<br />

di fasce di popolazione estranee al mondo del porto, riproponendo un modello<br />

economico proveniente dalla più antica pesca a corallo. Proporzionalmente alle<br />

quote investite divenivano suddivisi gli utili in caso di campagna di pesca<br />

favorevole o dell’operazione commerciale conclusa. Non tutte le quote venivano<br />

vendute, rimanendo quote di valore per la proprietà della barca e<br />

dell’attrezzatura e per l’equipaggio 15 . Ciò coinvolgeva tutta la città all’attività del<br />

porto.<br />

Si possono desumere informazioni sugli schifazzi dagli atti delle<br />

maestranze 16 poiché i consoli 17 della maestranza dei naviganti esigevano ogni<br />

anno da tutti i proprietari di imbarcazione una tassa proporzionale alla portata ed<br />

ugualmente i mastri di galbo 18 avevano l’obbligo di versare al console dell’arte<br />

una tassa su ogni scafo approntato. Era prevista una tassa di un tarì 19 per ogni<br />

schifazzo di salina o liudello da pesca; due per schifazzi o liudelli di “riviera” ;<br />

quindici tarì per ogni tartana costruita. Non erano previsti contributi per legni di<br />

stazza superiore alla tartana, che non venivano evidentemente fabbricati nei<br />

modesti cantieri cittadini, ed erano esentate le imbarcazioni di lunghezza<br />

inferiore ai 30 palmi 20 (circa otto metri). Sotto questa misura, si realizzavano<br />

solo barche da pesca, poiché anche uno schifazzo di salina non misurava in<br />

15 Benigno 1982: 107.<br />

16 Corporazione di arti e mestieri in Trapani.<br />

17 Carica elettiva per il governo di ciascuna corporazione.<br />

18 Gli antichi mastri d’ascia, costruttori navali.<br />

19 Il tarì è una moneta d’oro araba e normanna della Sicilia, imitata dalle zecche dell’Italia meridionale e<br />

coniata, in multipli sotto gli Svevi e in argento sotto gli Aragonesi, fino alla fine del XVIII sec.<br />

20 Agnello, A., 1861, Un palmo equivale a circa 25 centimetri.<br />

1


genere meno di 35-40 palmi.<br />

I prezzi delle imbarcazioni erano nel 1750 21 i seguenti: schifazzo latino in<br />

buone condizioni, ad es., veniva venduto per 112 onze 22 (75 per lo scafo, 15 per<br />

le vele, 6 per i remi, il resto per il sartiame), poteva essere trovato a meno a<br />

seconda dello stato d’uso. Uno schifazzo di salina invece valeva molto meno ed<br />

era possibile acquistarlo, sempre negli stessi anni, per 25 onze.<br />

Il prezzo dei noli dipendeva ovviamente dal quantitativo di merce<br />

imbarcato e dalla distanza. La durata del viaggio dipendeva dalle condizioni<br />

metereologiche e non veniva specificato in contratto ma il tempo concesso per le<br />

operazioni di terra veniva rigidamente prefissato; per ogni giorno di sosta oltre<br />

quelli stabiliti (stallie) veniva prevista una penale. Su quest’aspetto, i contratti<br />

erano in genere estremamente precisi. Non sempre il nolo era calcolato sulla<br />

quantità della merce in viaggio: talvolta, in genere per piccoli carichi, si stabiliva<br />

una cifra unitaria forfetaria. Ad esempio Padron Francesco Manca noleggiava il<br />

suo schifazzo Gesù, Maria, Giuseppe (la gran parte dei legni trapanesi veniva<br />

posta sotto la protezione della Trinità terrestre) per il trasporto di settemila<br />

bacarelle(?) da Sciacca a Palermo al prezzo forfetario di tre onze e sette tarì e<br />

con pagamento in due rate 23 . Molte barche erano dedite al contrabbando fatto di<br />

traffici ridotti e continui, utilizzando l’occultamento delle merci e la loro non<br />

registrazione. Per arginare tale fenomeno un articolo della Sagrezia 24 imponeva a<br />

tutti i natanti giunti in porto di dichiarare la merce a bordo (obbligo di<br />

manifesto) entro ventiquattrore e, a partire dal 1671 25 , per le barche minori entro<br />

la stessa giornata.<br />

Buona parte di questi mezzi nautici venivano fabbricati in città. La<br />

carpenteria navale era un’attività tradizionale e si svolgeva da secoli alla marina,<br />

nel porto. Vi lavoravano mastri di galbo (mastri d’ascia), velai, funai (esiste al<br />

21 Benigno 1982: 107<br />

22 Agnello, A, 1861, una Onza equivale a L. 12,75<br />

23 A.S.T, Notaio Carrara Giuseppe, atto 8 Agosto 1677.<br />

24 Amministrazione periferica del Regno cui era affidata, tra l’altro, la riscossione delle gabelle e dei dazi regi.<br />

25 Bando della Segrezia ordine del Maestro Segreto del Regno durante una sua visita compiuta a Trapani, del 4<br />

Aprile 1671.<br />

1


porto una Via Funai), calafati e altri gruppi di artigiani per tutte le necessità della<br />

marineria. Il legname per le costruzioni non era disponibile in loco e proveniva<br />

dalla Calabria e dalla Sicilia occidentale. Per l’alto costo di approvvigionamento<br />

spesso conveniva spostare gli artigiani trapanesi in altre città come ad esempio<br />

nel caso di una tartana costruita da maestranze trapanesi a S. Agata di<br />

Militello 26 :<br />

I patruni di varca , occupavano una posizione decisiva nel commercio<br />

marittimo della città. Socialmente poi, la loro condizione era migliore di molte<br />

altre categorie come quelle senza lavoro fisso che pur ruotavano attorno al porto<br />

come: pescatori, marinai o lavoratori di tonnara o di salina. I patruni di varca<br />

tendevano a trasmettere di padre in figlio l’attrezzatura ed il mestiere<br />

sviluppando di generazione in generazione, con una continuità sorprendente, la<br />

propria attività di mercanti ambulanti lungo le rotte marine. Un confronto tra i<br />

nomi dei consoli dei ceto naviganti e del consolato del mare succedutisi in<br />

questo periodo e quelli dei “padroni” registrati nei libri “segreziali” permette di<br />

osservare come i cognomi ricorrenti sono circa una ventina ed i rispettivi nuclei<br />

familiari operano come piccoli armatori e mercanti.<br />

3. POSIZIONE DELLO SCHIFAZZO NELLA TRADIZIONE NAVALE<br />

DELLA SICILIA OCCIDENTALE<br />

<strong>Lo</strong> schifazzo, è stata una barca usata principalmente in Sicilia per i piccoli<br />

trasporti locali. Si può dire che si tratta di un’imbarcazione <strong>trapanese</strong>, perché le<br />

scarse fonti la danno presente soprattutto in questa provincia. Il De Negri 27 cita<br />

una statistica del 1867, secondo la quale a Trapani esistevano allora una vera<br />

flotta composta da ben 120 schifazzi. Nel 1991 Rocco Sisci 28 , riproduce le foto<br />

di due schifazzi, ancora in uso a Trapani e Favignana armato ancora con un<br />

albero a vela latina, in buono stato d’uso. Il termine schifazzo potrebbe avere dei<br />

26 AST notaio Carrara Giuseppe, atti 4 Luglio e 24 novembre 1677.<br />

27 De Negri, C., 1974.<br />

28 Sisci,R, 1991.<br />

1


collegamenti con lo schirazzo, un’imbarcazione presente nei documenti antichi.<br />

Pantero Pantera 29 lo cita all’inizio del 1600 tra i “vasi” che veleggiano alla<br />

quadra (navi cioè attrezzate a vela quadra) Pare indubbio per che lo schifazzo<br />

fosse di origine orientale. Sempre il Sisci, spiega il termine schifazzo come<br />

grossa barca, cioè grosso schifo.<br />

Il termine schifo era un tempo comunissimo, ed equivaleva a barca,<br />

canotto di servizio, portato sulle galee o sulle navi a vela sul ponte o a rimorchio.<br />

Il Pantera avverte che lo schifo del Mediterraneo occidentale equivaleva<br />

all’imbarcazione di servizio denominata copano a Venezia. Schifo è un termine<br />

derivazione germanica (schiff, o inglese ship). Dall’italiano provengono lo<br />

spagnolo e francese esquife, che fu adottato anche dagli inglesi (skiff). Il termine<br />

schifo era anche diffuso in mediterraneo, del quale schifazzo potrebbe essere una<br />

variante siciliana analoga a galeazza = grossa galea.<br />

Recenti studi 30 tendono ad una ipotesi diversa. <strong>Schifazzo</strong> potrebbe derivare<br />

dal latino scapha. Da tale termine deriverebbe scafa e scafaccia delle tradizioni<br />

dell’Italia centrale interna (soprattutto il Tevere, ma poi anche la Campania) e,<br />

come avvenuto per il navicello 31 toscano, la scafa fu anche barca marittima,<br />

talvolta a vela latina con tre alberi anche chiamata barca o barcaccia. Barcacce<br />

provenienti da Napoli e dalla Sicilia sono documentate nei registri della Fiera di<br />

Senigallia della fine del XVIII secolo 32 .<br />

<strong>Lo</strong> scafo si presenta con linee molto potenti senza slanci, caratterizzato dal<br />

fatto che la lunghezza fuori tutto coincide con la linea al galleggiamento. Sopra<br />

l’estremità della ruota di prora non è presente, il pelliccione 33 che fin<br />

dall’antichità veniva inserito come parte integrante del legno per augurio e buon<br />

auspicio verso gli dei. Per l’attività cui veniva destinata la barca, l’allestimento<br />

29 Pantera P. 1625.<br />

30 Bonino M. 1978, Archeologia e <strong>tradizione</strong> navale tra la Romagna e il Po, Ravenna<br />

31 Bellabarba -Guerreri 2002: 158-163. Imbarcazione da carico di circa 20 metri sia fluviale che marittima<br />

caratterizzata da un’ampia velatura tra l’albero di maestra e l’albero e di trinchetto a prua. Avevano una capacità<br />

di carico da 30,70 anche 100 tonn. Nel 1905 in italia ne sono stati censiti 98 contro i 70 del 1897.<br />

32 Bonino M. 1978, Fig 21.<br />

33 Elemento posto all’estremità superiore del dritto di prua.<br />

1


era estremamente sobrio. Il dritto di prua si presenta leggermente inclinato a<br />

poppavia. La sua versatilità ne fece il “mulo del mare” e con l’avvento del<br />

motore fu utilizzato per qualsiasi uso navale adattato alle diverse ulteriori<br />

esigenze (si arrivò anche ad allungarne qualche esemplare quasi di un terzo della<br />

lunghezza usuale) 34 . L’economicità d’esercizio, la versatilità, unita alla longevità,<br />

ha fatto sì che questo mezzo contribuisse allo sviluppo dell’economia della Città.<br />

Secondo il tipo di caricamento prevalente si sono avuti:<br />

• schifazzi da salina (es. San Giacomo);<br />

• schifazzi di cantuna, tufi (es. Mizar);<br />

• schifazzi di piccolo cabotaggio, “ di riviera”.<br />

Venivano, inoltre, realizzati sulle stesse sagome imbarcazioni più piccole detti<br />

Schifazzeddi da 7-8-9 metri (es. Gesù, Giuseppe e Maria).<br />

Una ricerca degli studenti del Liceo Scientifico Fardella di Trapani Storia<br />

della <strong>cantieristica</strong> <strong>trapanese</strong> dalle origini fino all’età contemporanea, alla quale<br />

stato conferito il secondo premio Paolo Galli, nell’anno 2001 35 , spiega i motivi<br />

per cui non esiste un’ampia documentazione sulle antiche imbarcazioni di questa<br />

zona: .<br />

Le barche erano di proprietà di grandi armatori, in genere proprietari di saline<br />

o di cave di tufo, che fornivano il mezzo “a freddo” a comandanti che venivano<br />

34 Intervista al Dott.Giacomo d’Alì Staiti, si veda bibliografia<br />

35 Yacht Digest, n.117: 94.<br />

1


impegnati all’occasione e pagati a salmaggio, (a viaggio). I comandanti e la<br />

ciurma, quando necessaria, veniva reclutata <strong>nella</strong> zona di Porta Galli<br />

nell’angiporto di Trapani, nell’area oggi corrispondente all’incrocio tra la via<br />

Ammiraglio Staiti con la via Funai. Nella stessa zona, poi, si svolgeva nelle ore<br />

antimeridiane il tocco (il sorteggio) tra i comandanti per aggiudicarsi il diritto di<br />

caricamento. Ci serviva per equilibrare l’evidenza che esistevano inevitabilmente<br />

schifazzi più veloci di altri pertanto il turno veniva affidato alla sorte<br />

permettendo a tutti il un guadagno per il sostentamento della famiglia, anche se<br />

alla condotta di un mezzo lento 36 . Sino agli anni 50 vi era <strong>nella</strong> zona di porta<br />

galli una grande concentrazione di schifazzi da cantuni che facevano<br />

collegamento con Favignana di proprietà della famiglia Gandolfo proprietari di<br />

cave ed armatori.<br />

Tra i costruttori, mastri d’ascia più famosi del nostro secolo, si ricordano:<br />

mastro Michele Damico, mastro Nanai Stabile, mastro Cavasino, mastro Lillo<br />

Stampa Tra i mastri di garbo dell’Ottocento: i Bascone, De Vincenzi, Greco,<br />

Frusteri (che realizzo tra gli altri il brigantino Fratelli Scalabrino 37 ) e, ancora,<br />

Cavasino. Ad uno di questi mastri ancora attivo, mastro Michele D’Amico del<br />

cantiere Daromarci, stato affidato il compito per la realizzazione della Venus<br />

Ericina, la ricostruzione della nave oneraria romana del II secolo d.C. che la<br />

facoltà di Archeologia Navale di Trapani ha avviato in collaborazione con<br />

l’Amministrazione Provinciale e l’Università di Bologna 38 . Documenti<br />

significativi di questa attività <strong>cantieristica</strong> dell’Ottocento sono costituiti dal<br />

carteggio inedito, di seguito riportato, dell’archivio privato del Sen. Antonio<br />

d’Ali Solina di Trapani 39 . Tali documenti sono relativi alla commessa per la<br />

realizzazione di alcune muciare. E necessario chiarire che non si tratta delle<br />

omonime imbarcazioni da tonnara, bensì di barconi direttamente derivati dagli<br />

36 Intervista al Dott. Piero Cudia si veda bibliografia<br />

37 Intervista al Sig. (mastro Nardo) Leonardo D’Amico, si veda bibliografia.<br />

38 Bonino, M, 2001Brochure di progetto presso i Corsi di archeologia Navale.<br />

39 Archivio privato: n.5 documenti. Relazione per le barche; Relazione di una mosciara, lettera di presentazione,<br />

convenzione per la realizzazione di otto mugare; Relazione per una barca da galleggio. Documentazione<br />

databile tra la fine dell’ Ottocento ed i primi del Novecento.<br />

1


schifazzi, senza ponte, utilizzate quasi esclusivamente in salina e per questo<br />

erano anche dette salinari. Le muciare (di salina) navigavano prevalentemente a<br />

rimorchio con l’aiuto di pali, detti punitori, puntati sul fondo dei canali ovvero<br />

trainati lungo le sponde dei canali, mantenute al centro di questi, quando erano in<br />

fase di caricamento, a mezzo lunghe funi tirate da entrambe gli argini dagli<br />

addetti.<br />

2


DOCUMENTO 2<br />

2


Prima Relazione pagina per del le documento barche Relazione per le barche (Archivio Sen. Antonio d’Alì Solina,<br />

Trapani). Oggi in Trapani il 22 Novembre 1878.<br />

Si tra i qui sottoscritti Sig. Silvestro Burgarella del fu Agostino e Capo<br />

Maestro Greco figlio di Gaspare domiciliati e residenti in Trapani, conchiusa<br />

la seguente convenzione in carta privata da avere tutti gli effetti di legge.<br />

Dovendo il detto Sig. Burgarella far costruire due barche dette MUCIARE,<br />

incaricò il detto di Greco onde con i materiali da lui stesso apprestati, eseguire<br />

la detta costruzione, ed il Greco avendo accettato lincarico, stabilirono di<br />

accordo le seguenti convenzioni che regolar debbono le modalità ed il prezzo<br />

di dette MUCIARE, delle quali per ciascuna di esse il prezzo e le convenzioni<br />

sono le seguenti. 1 La massima lunghezza di pascima , delle stesse deve essere<br />

di palmi 36. 2 La larghezza nel centro palmi 12. 3 L’altezza nel centro palmi 4<br />

ed once 3. 4 La Chiglia da poppa a prora di legname Ilice, attaccando di poppa<br />

e di prora con legname rovere e con la sua grossezza al loco delle Polelle once<br />

4 a finire ad once 3 e . 5 La Chiglia nel centro larga once 6 ed alta once 5. 6<br />

Staminale grossezza once 3, altezza corrispondente alle materie a finire al loco<br />

della cinta ad once 2 e di legname Celso Bianco. Così pure li furcazzi e le<br />

riempiture di poppa e di prora pure di Celso Bianco. 7 Palamezzano legname<br />

rovere, largo palmo 1, alto once 3. 8 Le scuse una per parte larghe once 6, alte<br />

once 3 di legno rovere con suo puntuale doppio. 9 Ramo di maestra largo<br />

palmo 1 doppio once 3 legname rovere con suoi braccioli corrispondenti. 10<br />

La lunghezza delle coperte di poppa e di prora a piacere del Sig. Burgarella.<br />

11 Le cinte di legname di Pegno ed il sottopiano tutto di rovere della<br />

grossezza di oncia 1 e con suo pagliuolo, cassitti e compagna a poppa. 12<br />

Chiavata e rischiavata come richiede l’arte, così pure calafatata ed impiciata<br />

lesta a terra. 13 La tavolame non più larga di 1 palmo. 14 La lunghezza della<br />

tavolame di rovere, in massimo 3 pezzi per ogni filo; tavolame di pegno 2<br />

pezzi per ogni filo. 16 Paramezzale in 1 pezzo. 17 La consegna delle dette<br />

MUCIARE come sopra condizionate e compite sarà fatta al Signor Burgarella<br />

il giorno 15 di Febbraio 1879. 18 Il prezzo per tale costruzione e per ogni<br />

MUCIARA resta convenuto <strong>nella</strong> somma di once 60 pari a Lire 765 pagabili<br />

in carta moneta.<br />

2


DOCUMENTO 3<br />

Prima pagina del documento Relazione di una masciara (Archivio Sen. Antonio d’Alì Solina,<br />

Trapani).<br />

2


Relazione di una mosciara<br />

La sua larghezza di rota in rota palmi 33. La larghezza nel centro palmi 41, la<br />

sua altezza nel centro palmi 3 e once 8, con sua chiglia di rovere: grossezza di<br />

chiglia nel centro once 6, grossezza di rote once 4, grossezza di materia once<br />

5, grossezza di staminale. Li detti staminale e materie che siano legname di<br />

Celso, con suo palamizzano di pengno, la sua larghezza ricadente a parte, la<br />

sua grossezza once 4, la sua larghezza palmo 1 con suoi scusi di poppa a<br />

proda, la sua larghezza once 5 e grossezza once 2 e che siano di pengno<br />

(pegno o pino?) con suoi scazzi di poppa a proda, con suoi cinti di poppa a<br />

proda che siano di rovere, la sua larghezza once 6. La sua grossezza once 2 e<br />

con suo banco di maestra che sia di rovere, la sua larghezza palmo 2, la sua<br />

grossezza once 3 e con suo latinotto(?) a poppa che sia di rovere con sua<br />

poppa la prora riquidente a l’arte che sia chiusa di pengno con suoi lotti a<br />

poppa e a prora li detti lotti che siano di rovere, la coperta di poppa e prora<br />

che sia di pegno la sua grossezza di detta tavolame oncia 1 e , tavolame di<br />

fuori che sia tutta di pegno, la sua grossezza oncia 1 e con suo pagliolo.con<br />

suoi cascitti di poppa, la prora con sua compagna la poppa, calafatata e<br />

inchiodata e impiciata come richiede l’arte lesta in terra, tutta la detta legname<br />

deve essere fuori fracida (fradicia?) squadrata e stratagliata, più il ristretto<br />

prezzo non meno di once ……..60<br />

2


DOCUMENTO 4<br />

Prima pagina del documento Signor se lei vole sapere le barche che io ho fatto….. (Archivio<br />

Sen. Antonio d’Alì Solina, Trapani).<br />

2


Signor se lei vole sapere le barche che io ho fatto ai Padrone particolare e<br />

schifazzara sono le seguenti. Antonino Gianquinto ci fece Mugare, al coratolo<br />

della salina nuova ci fece 2 mugare, a Giuseppe Grillo schifazzaro ci fece 2<br />

mugare, a Salvatore Catania ci fece 2 mugare, a Michele Malato ci fece 2<br />

schifazzi 2 mugare, al coratolo di pietro Pizzardi ci fece 1 mugara, per le<br />

proprietari sono Giacomazzi ci fece 4 mugare. Al signor DAgostino<br />

Burgarella ci ho fatto diverse barche e presentamente ci sto costruendo barche.<br />

Al Sig. D’Alì Giuseppe ci ho fatto diversi barche e lo servo io, e poi ad altri<br />

diversi padrone di marina, ed io ho piacere di servire al Sig. D’Alì Giacomo di<br />

fare questi barche. Per il prezzo quando vole Lei basta che lo servo io;<br />

Gaspare Cavasino<br />

2


DOCUMENTO 5<br />

Prima<br />

pagina del documento Commenzionedi farsi n. 8 mugare…… (Archivio Sen. Antonio d’Alì<br />

Solina, Trapani).<br />

2


Commenzione di farsi n 8 mugare nuovi con la seguente commenzione cioè la<br />

lunghezza per ognuna mugara deve essere di palmi 36, larghezza palmi 12,<br />

alta palmi 4 e once 3, la materia di legname di rovere, larghezza di detti<br />

materie once 5 , alti once 3 e , le staminale di legname di ceuso, larghezza<br />

once 3, alti once 3.<br />

Il ginchimento di legname ceuso, il palamizzano di legname di rovere,<br />

larghezza di detto once 10, grossezza 3 e , scuse di legname di rovere,<br />

larghezza once 5, grossi once 3, il banco di legname di rovere, larghezza once<br />

10, grosso once 3 e 1/2 , le latti di legname di rovere, larghezza once 4, grossi<br />

once 2 e , le vernici di legname pegno, larghezza once 5, grossezza once 2 e ,<br />

la vernici di legname pegno, larghezza once 5, grossezza once due e mezza le<br />

cinte di legname pegno larghezza once sei grossi once tre, le soprasole di<br />

legname di pegno, grossezza once 2, larghezza richetende alla barca, oppure<br />

once 6, la tavolame di coverta di legname pegno, la grossezza once 1,50 , il<br />

arronato di fuori di sotto la cinta di legname di pegno e sotto nel piano la<br />

tavolame di legname di rovere, la grossezza di once 1 e , franca di serra con il<br />

suo pagliolo incassittata e chiodata bene di ferro e bene calafatata e impiciata<br />

di dentro e fuori come richiede l’arte e resta a terra senza caparro per il prezzo<br />

di detta mugare a piacere del Sig. D’ali. Il costruttore Gaspare Cavasino<br />

2


DOCUMENTO 6<br />

Prima pagina del documento Relazione per una barca da galleggio (Archivio Sen. Antonio<br />

d’Alì Solina, Trapani).<br />

2


Relazione per una barca da galleggio<br />

Carena d’Inice lunga palmi 37 e rispettivamente di celso spessezza palmi.<br />

Once 3 e .Materie di celso spessezza once 3 e larghezza once 5.Staminale<br />

larghezza once 3 e ed altezza once 3. Paramezzale di pino largo once 13, alto<br />

3 e .Scuse di pino, larghe once 6 ed alte once 3. Balio di mezzo largo palmo<br />

1, alto once 3 con i suoi bracci. Cinte larghe once 5 alte 2 . spessezza once 1 e<br />

.Soprasuola ovvero capo di banda spessezza once due .La larghezza della<br />

carena once 5 di quadra. Dimensione: Larghezza della barca di ..misurata<br />

palmi 37; Larghezza palmi 12; Altezza palmi 4 e<br />

.Prezzo di detta barca posta in mare once 53 pari a Lire 675 e 75 centesimi.<br />

Onze 53 pari Lire 675.75. Filippo Di Vincenzo. Se la sopradetta relazione di<br />

barca la S.V. la vuole costruita con fasciame e materie di rovere il prezzo<br />

donze 58 pari a Lire 739 e centesimi 50.Lire 739.50.<br />

Barca intesa sempre posta in mare.<br />

3


4. INIDIVIDUAZIONE DELLESEMPLARE<br />

<strong>Schifazzo</strong> “SAN GIACOMO”<br />

Realizzato nel 1879 ed iscritto al registro delle navi minori in data<br />

09.10.1947 con le seguenti caratteristiche: lunghezza mt 11,15 (misurata mt.<br />

11.43), larghezza mt. 3,45 (misurata mt. 4.10), altezza 1,15, stazza lorda 10,61,<br />

netta 7,21. Realizzato unitamente ad altre 12/13 imbarcazioni similari per conto<br />

del Barone Adragna fu utilizzato per il trasporto del sale dalle Saline site in<br />

località Isola Grande nello Stagnone di Marsala al porto di Trapani. In seguito<br />

tali imbarcazioni, divennero di proprietà della famiglia Amodeo e continuarono a<br />

fare servizio a Marsala. Furono conferite, al momento della fondazione, nel 1920<br />

al patrimonio della SIES, poi nel 1962 alla S.I.E.S. S.p.a. Negli anni 60 fu<br />

oggetto di lavori di ristrutturazione e venne adibito a diporto-rappresentanza ed<br />

utilizzato dalla famiglia del Cav. Antonio DAli Staiti. Il San Giacomo fu<br />

acquistato dal Rag. Piero Cudia dalla S.I.E.S. S.p.a. con atto notaio Giuseppe Di<br />

Marzo in data 11 gennaio 1973 e donato alla Provincia Regionale di Trapani con<br />

atto Notaio Alfredo Mineo in data 31.12.1999. Secondo la donazione l’Ente<br />

Provincia avrebbe dovuto provvedere al restauro. Dopo un anno dalla donazione<br />

fu eseguita una relazione perizia tecnica per il progetto di restauro eseguita da un<br />

tecnico della stessa Provincia il Geom. Benedetto Mezzapelle con i suggerimenti<br />

dell’ex proprietario Dr. Piero Cudia, il Comandante Diego Giacalone ed il Prof.<br />

Galia del locale Istituto Nautico. Tale documento descrive puntualmente lo stato<br />

d’uso del mezzo (nel novembre 2000) e gli interventi necessari ai lavori di<br />

restauro. Oggi il San Giacomo si trova in Trapani in stato d’abbandono presso il<br />

cantiere navale Guaiana nelle vicinanze del porto peschereccio.<br />

3


DOCUMENTO 7<br />

Estratto dal Registro Navi Minori e Galleggianti dal n. 592 al n.800 (Archivio della<br />

Capitaneria di Porto di Trapani<br />

3


DOCUMENTO 8<br />

Prima pagina Atto di donazione alla Provincia Regionale di Trapani (Archivio Notarile)<br />

3


5. RILIEVO FOTOGRAFICO<br />

Foto 5.1 Vista obliqua: si noti la “cabina” posticcia – foto dell’autore.<br />

Foto 5.2 Vista laterale: si noti la presenza del timone– foto dell’autore.<br />

3


Foto 5.3 Vista da prua – foto dell’autore.<br />

Foto 5.4 Vista da poppa – foto dell’autore.<br />

3


6. SCHEDATURA E RILIEVO DELLE FORME, STATO D’USO<br />

Il rilievo è stato eseguito in due fasi:<br />

• Scheda per le informazioni generali<br />

• Rilievo delle forme<br />

• Stato d’uso: relazione Geom. Mezzapelle anno 2000<br />

Scheda per le informazioni generali<br />

Tipo di imbarcazione: <strong>Schifazzo</strong> Scheda n° 001<br />

<strong>Lo</strong>calità Trapani – Cantiere Guaiana, porto peschereccio.<br />

Lunghezza: mt 11,43<br />

Sporgenza della prua: cm. – 11,5<br />

Larghezza: mt. 4,10<br />

Altezza a prua: mt 1.60<br />

Altezza a poppa: mt 1,14<br />

Altezza al centro: mt 1.27<br />

N° di ordinate: 39<br />

N° di bagli: 26 (latte)<br />

Sporgenza della poppa: cm. – 10<br />

Bolzone di baglio: cm. 19.5<br />

Distanza tra le ordinate: cm. 17,5/23,5<br />

Spessore delle ordinate:<br />

staminali cm. 8 x 9<br />

madieri cm. 10 x 12<br />

Timone: SI Ancore: NO<br />

Albero/i n° 1 Dimensione: h. mt. 8,80<br />

Caratteristiche presumibilmente si tratta dell’originale. Piede a sezione<br />

ottagonale (cm 23) sino all’altezza dei bagli, si raccorda a sezione rotonda a<br />

metri due dalla scassa e si rastrema verso la testa d’albero terminando con il<br />

“calcese” (ringrossamento contenente due pulegge). Modificato in alcuni<br />

particolari: allungamento in testa d’albero oltre la “formaggetta” con elemento<br />

metallico; sistemi di ritenuta e paranco della drizza dell’antenna.<br />

Bompresso SI<br />

Caratteristiche: lunghezza mt. 2.90, diametro cm. 16 si rastrema verso prua a cm<br />

3


10, posizionato in modo fisso al di sopra del dritto di prua (non lateralmente) è<br />

sostenuto inferiormente da elemento ligneo, raccordato alla ruota di prua con<br />

sagoma a “tartana” che sembra essere estraneo al tipo.<br />

Vele n°: NO Tipo: NO Dimensione:<br />

NO<br />

Manovra: Fisse: SI (n.2 stralli; n.2 coppie di sartie) non originali, Mobili:<br />

NO<br />

Legnami impiegati:<br />

Colori: azzurro (opera viva)<br />

Bianco (opera morta)<br />

Sezioni di riferimento: N°3 - Distanza dall’estrema prua: mt 2, mt 4, mt 6<br />

- Larghezza: mt 3,95, mt 4,10 (max), mt 4,00<br />

Proprietario: Provincia Regionale di Trapani<br />

Data di costruzione: 1879 Costruttore: ignoto<br />

Rilievo delle forme<br />

Non sono state rilevate le deformazioni dello scafo, dovute alla<br />

permanenza in cantiere, che comunque si mantengono entro limiti non<br />

apprezzabili visivamente se non in alcuni punti della carena nelle immediate<br />

vicinanze della chiglia nei “corsi di fondo”. Per il rilievo si è predisposta in<br />

cantiere, una griglia geometrica di riferimento con fili posizionati con l’ausilio<br />

di “livella” e “piombo”. Su tale reticolo si è provveduto, in senso inverso di<br />

come si predispone un progetto, a riportare sui diversi piani le forme<br />

dell’esistente. Le tolleranze sono state previste al centimetro e per la restituzione<br />

è stata utilizzata una scala congrua al modello da rappresentare di 1:20 (ridotta<br />

nello schema a scala 1:50).<br />

3


DOCUMENTO 9<br />

Stato d’uso: relazione Geom. Mezzapelle anno 2000<br />

3


DOCUMENTO 10<br />

Computo metrico per il restauro dello scafo<br />

4


Le condizioni di conservazione dello scafo rilevate oggi, confrontate con<br />

la relazione del Geom. Mezzapelle (documento 9 e 10) risultano ulteriormente<br />

peggiorate. La permanenza sullo scalo d’alaggio, senza alcuna protezione specie<br />

dalle temperature torride estive che tendono a seccare il legname perdendo ogni<br />

capacità di resistenza, deformando lo scafo sotto l’effetto del suo stesso peso su<br />

appoggi non uniformi.<br />

4


7. CONFRONTI - STRUTTURE PIANO DEI LEGNI<br />

Di seguito si riporta il piano dei legni di schifazzi ricavati da disegni<br />

dell’Hennique da Corrado Sanfilippo 40 , per un primo confronto con l’esemplare<br />

individuato e per dare indicazioni sulle strutture originarie e un contributo per la<br />

ricostruzione definitiva.<br />

Piano delle forme (Ricostruzione Sanfilippo C.)<br />

Piano dei legni (Ricostruzione Sanfilippo C.)<br />

40 Bellabarba -Guerreri 2002: 200-201.<br />

4


Piano velico (Ricostruzione Sanfilippo C.)<br />

Come si nota da un più attenta visione delle linee dello scafo dello<br />

schifazzo, esso è caratterizzato da una lunghezza al galleggiamento quasi uguale<br />

o minore della lunghezza fuori tutto, cioè priva di slanci di poppa e di prua che<br />

anzi sono di valore negativo poiché rientranti verso il centro dello scafo. Inoltre<br />

il baglio massimo ovvero al maggiore larghezza dello scafo non si trova al centro<br />

dello stesso ma leggermente spostato verso prua. Questa scelta progettuale è<br />

tipica delle imbarcazioni da carico che necessitavano di una maggiore<br />

immersione a fronte del grande peso imbarcato. Essa era determinata, con<br />

l’esperienza di generazioni di costruttori navali, dal fatto di concentrare verso<br />

prua il corpo della carena, la parte più immersa e voluminosa, e lasciare verso<br />

poppa una maggiore lunghezza per raccordare più dolcemente possibile le linee<br />

di carena e ottenere una parte poppiera più filante in modo tale da offrire la<br />

minore resistenza all’avanzamento nell’acqua riducendo il “treno” di onde che<br />

crea la barca al suo passaggio. <strong>Lo</strong> scafo risultava quindi più rigonfio <strong>nella</strong> parte<br />

4


prodiera e ristretto in quella verso poppa. Così descritta la progettazione appare<br />

semplice ma essa è estremamente più complessa. Solo per accennare ad alcune<br />

problematiche basta considerare che, nelle barche a propulsione velica, a causa<br />

dello sbandamento, possono variare le immersioni delle varie parti dello scafo e<br />

quindi le spinte relative e che sotto l’azione del vento la barca tende a<br />

scarrocciare 41 e si rende necessario contrastare questa spinta laterale. Deve<br />

essere inoltre ricercato attraverso opportune forme, l’equilibrio tra il “centro di<br />

deriva” 42 ed il “centro velico” 43 . Per raccordare poi, le superfici esterne tra<br />

l’”opera viva” (la carena) e l’”opera morta” (la parte emersa dello scafo), verso<br />

poppa e prua estrema, assumono forme complesse divenendo più svasate verso<br />

l’esterno sino ad ottenere all’altezza del “trincarino” forme simili tra l estremità<br />

della barca. Per gestire tale complessità i mastri d’ascia utilizzavano per le loro<br />

realizzazioni il sistema costruttivo, empirico, del mezzo garbo,<br />

FOTO 7.1 Mastro Nardo mostra e spiega l’uso del garbo – foto dell’autore 2004.<br />

41 Medas, S. 2000, Spostamento trasversale della nave rispetto alla direzione di rotta, dovuto alla spinta del vento<br />

sulla vela e sullo scafo (da cui scarrocciare).<br />

42 Centro d’applicazione delle forze esercitate dall’acqua sulla parte immersa.<br />

43 Punto di applicazione della forza del vento su una vela o su un piano velico (risultante).<br />

4


FOTO 7.2 Mastro Nardo disegna su cartone un nuovo progetto – foto dell’autore 2004.<br />

Esso, utilizzato per le imbarcazioni minori, riproduceva la mezza sezione<br />

maestra dell’imbarcazione da costruire ed era realizzata in legno dello spessore<br />

di circa un centimetro. Su tale strumento venivano tracciati, dai due lati, alcuni<br />

segni, che permettevano la corretta sagomatura delle ordinate e quindi dello<br />

scafo, determinandone la sagoma, le rotondità, la pancia 44 . In seguito, i maestri<br />

d’ascia, utilizzando il disegno, realizzato su prevalentemente su tavole di legno o<br />

cartoni, definivano le linee del progetto, le ingrandivano al “vero” (scala 1:1) e<br />

ne ricavavano le sagome in legno delle ordinate. Con tali sagome, come<br />

precedentemente con il garbo (nelle diverse posizioni) ricercavano dei tronchi di<br />

legno che avessero lo stesso andamento. Trovato il legno adatto, il mastro<br />

provvedeva a segnarlo da entrambe i lati e i giovani di bottega provvedevano a<br />

tagliarlo segandolo disponendosi in due persone uno sul tronco (il più giovane)<br />

ed un altro sotto, procedendo al taglio lungo i segni. A Trapani nelle botteghe dei<br />

44 Castro, F., 1997<br />

4


mastri marina, vi è l’usanza di conservare di ogni barca realizzata le sagome di<br />

tutte le ordinate, come documento della costruzione, per adattarle all’occorrenza<br />

a successive nuove costruzioni similari, per eseguire copie della stessa<br />

imbarcazione ovvero come testimonianza della propria capacità e delle<br />

commesse portate a termine. Tali sagome (che sopravvivono spesso alla stessa<br />

costruzione) appaiono ai non esperti come semplici “pezzi di legno” e spesso,<br />

non comprendendo la loro funzione vengono dispersi. Costituiscono invece un<br />

documento importantissimo della <strong>cantieristica</strong> navale minore.<br />

A volte, per le realizzazioni più impegnative realizzavano anche il<br />

“mezzo modello” in legno per il controllo complessivo delle forme prima della<br />

costruzione vera e propria.<br />

FOTO 7.3 Al soffitto sono conservati i disegni delle barche realizzate: le sagome – foto<br />

dell’autore 2004.<br />

4


FOTO 7.4 Giovanni D’Acqui mostra il mezzo modello di una costruzione – foto dell’autore<br />

2004.<br />

FOTO 7.5 foto Marzari ’97:337 FOTO 7.6 foto dell’autore 2004<br />

4


FOTO 7.7 foto dell’autore 2004<br />

5


8. RICOSTRUZIONE DEL PIANO VELICO<br />

L’unica fonte storica, da cui possiamo attingere la testimonianza di come<br />

questa barca era fatta, sono gli schizzi di Hennique, storico francese incaricato da<br />

Napoleone Bonaparte di censire le imbarcazioni italiane che nel 1867 rilevò<br />

registrate alla capitaneria di porto di Porto Empedocle 4 schifazzi e 120 in quella<br />

di Trapani. Ben quattro diversi schifazzi furono ritratti da questo autore, ed in<br />

ognuno si possono riscontrare interessanti particolarità dell’attrezzatura. Risulta<br />

in generale con tutta evidenza che questa barca era caratterizzata dalla forma<br />

dello scafo, identica in tutti gli esemplari mentre per l’alberatura vi è una grande<br />

varietà di soluzioni. Dalla diversa tipologia d’armamento si può comunque<br />

comprendere che lo schifazzo presentava ottime qualità veliche e buona<br />

andatura. Nel tempo, si può presumere, si sia avuta una progressiva riduzione<br />

dell’attrezzatura velica ad un sicuro vantaggio delle capacità manovriere. Ciò è<br />

forse dovuto alla necessità di aumentare le capacità di evoluire nei bassi fondali<br />

e nei canali tipici della zone del <strong>trapanese</strong> ed inoltre, ultimo ma non minore, al<br />

fatto che con tale attrezzatura un solo uomo poteva condurre un’imbarcazione<br />

così grande. Da notare inoltre che gli schifazzi visti da Hennique erano impiegati<br />

non per il trasporto del sale, dei tufi o per altre merci ma per la pesca delle<br />

spugne che allora si trovavano ancora numerose sulle coste della Sicilia e della<br />

Tunisia. Sarebbe interessante approfondire il sistema di stivaggio delle piccole<br />

imbarcazioni ritratte vicino gli schifazzi durante la navigazione.<br />

Da tale fonte è possibile ricostruire i diversi armamenti dello schifazzo:<br />

a tre alberi: ha l’albero di trinchetto piantato sull’estrema prora inclinato in<br />

avanti. L’antenna di trinchetto ha un’orza (la manovra che tirava verso il basso<br />

l’estremità anteriore dell’antenna, detta carro nel Mediterraneo occidentale) che<br />

fa “dormiente” sul bompresso, ed addirittura su di un cavaliere scorrevole sul<br />

5


ompresso stesso. Questa antenna di trinchetto, poi, ha la drizza che scende a<br />

poppavia dell’albero, il che significa che questa vela probabilmente non veniva<br />

passata sottovento quando questo avrebbe potuto migliorarne la portanza. Ma<br />

forse, trattandosi di una vela piccola, si riusciva a passare il “carro” nonostante<br />

l’ingombro rappresentato dalla drizza. La vela di maestra non era una vela<br />

propriamente latina, cioè triangolare; l’angolo prodiero era infatti tagliato, sicché<br />

la vela risultava di forma trapezoidale. Simili vele latine col pizzo tagliato<br />

appaiono spesso sulle barche arabe, tanto che molti le hanno volute definire<br />

“latine arabe”;<br />

Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:198.<br />

5


A due alberi: Questo secondo esemplare di schifazzo porta all’estrema poppa<br />

una mezzana con vela aurica, che potremmo definire al quinto. Vele di questo<br />

genere erano in uso nell’alto Adriatico e nelle aree lagunari padane, ma non in<br />

altre zone del Mediterraneo. Nel Mediterraneo centrale vi era una versione<br />

trapezzoidale della vela latina, ma non definibile come vela al terzo o al quinto.<br />

Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:203.<br />

5


A due alberi: un altro schifazzo ritratto da Hennique mostra un’alberatura meno<br />

originale, vale a dire due latine, maestra e trinchetto ed un solo fiocco. Anche<br />

qui, l’antenna di trinchetto ha la drizza a poppavia dell’albero. Tutti gli<br />

esemplari portano in testa d’albero dei bozzelli, per i quali poteva essere filata<br />

una drizza per issare delle gabbiole volanti;<br />

Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:200.<br />

5


A un solo albero: questo esemplare di schifazzo portava una grande vela latina<br />

più due fiocchi. Questo schifazzo fu ritratto da Hennique in prospettiva, di prora,<br />

in un momento di pausa durante una pesca di spugne (che si notano issate ad<br />

asciugare con l’ausilio di due paranchi). Il taglio della parte anteriore della latina<br />

appare chiaramente visibile. Della vela maestra, infatti, a prora ne manca un<br />

pezzo, il che permette di far portare meglio una trinchettina, chiamata anche<br />

cavalla o pilaccune.<br />

Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:203.<br />

5


Come si nota il mezzo poteva portare molta “tela” al vento. I diversi<br />

armamenti richiedevano differente numero di marinai e differenti capacità<br />

nautiche degli stessi. Possiamo supporre che sulle rotte lunghe venissero<br />

utilizzati gli armamenti più complessi e frazionati ma con maggiore capacità di<br />

spinta specie nelle andature portanti, mentre per le tratte più brevi venisse<br />

preferito un armamento più semplice che consentisse l’utilizzo di un equipaggio<br />

ridotto (fino a alla condotta di un singolo marinaio), capace di migliori qualità<br />

manovriere necessarie sottocosta. In ogni caso era necessaria molta perizia per la<br />

condotta “sotto vela” dello schifazzo poiché l’equipaggio era, in ogni caso<br />

quello strettamente necessario e la velatura, certamente di dimensioni<br />

mediterranee, esponeva al vento la superficie massima possibile con la<br />

tecnologia al tempo disponibile. Sull’ultima tipologia di piano velico, e cioè<br />

quella ad un albero, giunta sino quasi ai nostri giorni, è possibile fare un<br />

approfondimento grazie ad un documento inedito che costituito da un libretto 45<br />

di accompagnamento allo schifazzo San Luigi, oggi andato perduto, anch’esso<br />

confluito come quota per la costituzione della prima Società S.I.E.S.<br />

45 Archivio privato Sig. Roberto Musmeci: formato cm 10.7 x 15.6, composto da 10 fogli con copertina in carta<br />

pergamena e laccio di chiusura.<br />

5


DOCUMENTO 11<br />

Libretto che porta nel frontespizio la seguente dicitura -N.135 <strong>Schifazzo</strong> T8 San Luigi nel<br />

quale sono annotate tutte le attrezzature di bordo (archivio privato Sig. Roberto Musmeci)<br />

5


Maestra<br />

Pelaccone grande<br />

Scotta di pelacconello<br />

Scotta di mangiamento<br />

Mante<br />

Mante gabbia grossa<br />

Mante gabbia piccola<br />

Ciunco<br />

Menale mante gabbia grossa<br />

Manale manta gabbia piccola<br />

Stroppo mante gabbia grossa<br />

Stroppo mante gabbia piccola<br />

Stroppo di taglione<br />

Taglione<br />

Bracotti<br />

5


Antenna<br />

Albero<br />

Soprantenna<br />

Legane d’antenna<br />

Davanti<br />

Montone<br />

Stroppo davanti (16/11 80)<br />

Stroppo montine<br />

Staso<br />

Ferro grosso<br />

Ferro piccolo<br />

Palamaro<br />

Paleggio<br />

Colonne di farrie<br />

Stroppo di farrie<br />

5


Menale di farrie<br />

Bigliolo<br />

Sassola<br />

Bozzelli<br />

Schifazzari 5/2 81 Baldassare La Francesca<br />

Dei termini sottolineati, non si comprende il significato e lo studio<br />

necessita di un ulteriore approfondimento. L’attrezzatura elencata sembra<br />

prevedere oltre randa e due fiocchi una controranda (gabbia) inferita 46 in un<br />

secondo albero mobile (contrantenna). Quindi anche lo schifazzo di salina di fine<br />

secolo (i numeri riportati nel libretto si ritiene siano abbreviazioni di date: 16<br />

novembre 1880 5 febbraio 1881) utilizzava un’attrezzatura piuttosto complessa<br />

come la controranda per aumentare la capacità di spinta delle vele.<br />

46 Medas, S. 2000, Collegata agli alberi mediante una cima.<br />

6


9 . CENSIMENTO DEGLI ULTIMI SCHIFAZZI<br />

• MIZAR<br />

Acquistato dal Dott. Florio Alagna dalla SIES, è uno schifazzo da cantuni,<br />

costruito agli inizi del 900 è stato sottoposto a lavori di “allungamento”. E’ oggi<br />

navigante e visibile presso il porto di Marsala;<br />

• PENELOPE (Non è il nome originale)<br />

Acquistato dalle Famiglie Alagna Pellegrino, negli anni ‘60/70 (non si conosce<br />

la precedente proprietà), faceva servizio tra Marsala e Favignana. E’ stato<br />

acquistato dalla Sig.ra Martina Alagna, trasferito a Talamone, rientrato a Trapani<br />

è stato venduto a Milazzo oggi sede di armamento dove svolge attività di charter<br />

alle Eolie;<br />

• (senza nome)<br />

<strong>Schifazzo</strong> modificato <strong>nella</strong> prua e <strong>nella</strong> poppa dal maestro d’ascia mastro<br />

“Liddu” Stampa è oggi di proprietà di Mondo X e si trova conservato presso<br />

l’Isola di Formica;<br />

• SOLEDAD<br />

Uno degli schifazzi che era stato sottoposto a lavori di allungamento, stato per<br />

decenni di proprietà della famiglia Forgia. Veduto nel 1999 a Napoli ed<br />

affondato durante una traversata nell’ inverno 2002 47 ;<br />

• FIUME PLATANI (Eppuru si move)<br />

Ultimo schifazzo costruito a Trapani. Realizzato negli anni ’60, dal mastro<br />

d’ascia Leonardo Giovanni Barraco detto “mastro Nardo” per conto della Sig.na<br />

Gandolfo di Favignana è stato venduto anni addietro ed oggi si trova a<br />

47 Intervista ai Sig.ri Fabrizio e Dario Forgia si veda bibliografia.<br />

6


Fiumicino. Eppuru si move è stato il sopranome dato alla barca dalla gente di<br />

mare. Il mezzo, in uno dei primi viaggi per Favignana, affondò appena fuori il<br />

porto. Nel tragico incedente perse la vita uno dei tre uomini d’equipaggio.<br />

Recuperato, lo schifazzo fu riparato dallo stesso costruttore e rimesso in breve<br />

tempo in mare a navigare. Da qui la ‘ngiuria (sopranome) 48 .<br />

• (senza nome)<br />

Si è avuta notizia di uno schifazzo abbandonata su una banchina nel porto di<br />

Genova 49 ;<br />

• GESU’, GIUSEPPE E MARIA<br />

Schifazzeddu realizzato verso la fine degli anni ’20, forse dal Cantiere Stabile,<br />

viene registrato per la prima volta nel 1937. Facente parte di una commessa per<br />

la costruzione di due imbarcazioni simili, fu utilizzato quale “postale” per l’isola<br />

di Levanzo fino alla metà degli anni ’60 (N. B. nel 1965 entrò in linea il primo<br />

aliscafo Rodriquez: Pinturicchio). Appartenuto in seguito al Not. Di Marzo, poi<br />

al Rag. Cudia ed in seguito al Cantiere Bonanno di Marsala, fu acquistato dal<br />

Sig. Elio Catalano è ora di proprietà dell’Associazione Armatori Amici dello<br />

<strong>Schifazzo</strong>, con sede in Trapani. L’associazione senza scopo di lucro, ne ha<br />

provveduto al restauro. L’imbarcazione è navigante e visibile presso la LNI di<br />

Trapani. Viene messa a disposizione a richiesta per attività didattiche e<br />

divulgative;<br />

48 Intervista al Sig. (mastro Nardo) Leonardo D’Amico, si veda bibliografia.<br />

49 Intervista al Com.te Franco Bosco, si veda bibliografia.<br />

6


FOTO 9,1 <strong>Lo</strong> schifazzeddu Gesù. Giuseppe e Maria – foto Avv. Vito Scuderi<br />

2002<br />

6


10. IL VINCOLO<br />

Per il “San Giacomo”, la sua storia e le sue caratteristiche, può essere<br />

richiesto il riconoscimento di “bene culturale” e l’apposizione del vincolo di<br />

salvaguardia. Tale procedura, che prende spunto dalle precedenti norme di tutela,<br />

è prevista, per i beni mobili e specificatamente per le imbarcazioni, <strong>nella</strong> nuova<br />

legge sulla Nautica (Legge 8.07.2003, n 172). Infatti all’art. 7 della stessa legge,<br />

che riprende concettualmente tutte le disposizioni sancite dal Testo Unico n° 490<br />

(Legge 1089/’49), viene definita la categoria delle barche di “valore storico”.<br />

Questo concetto è innovativo per la nautica e contempla la riconduzione a<br />

beni culturali delle unità da diporto “storiche” e, comunque, con particolari<br />

valori <strong>nella</strong> storia della nautica e della marineria. In particolare il comma I.<br />

considera beni culturali (DL n° 490) con più di 25 anni di età (la precedente legge<br />

1089 ne contemplava 50 anni) e che possiedono particolari requisiti in merito a<br />

peculiarità progettuale, tecnica o ingegneristica <strong>nella</strong> costruzione e nei materiali<br />

adottati; traguardi sportivi o tecnici; interesse storico o etnologico; sviluppo<br />

sociale o economico del Paese; riproduzioni storiche. Il comma 3 definisce una<br />

commissione che esprima opinione sulla rispondenza ai requisiti richiesti e<br />

sull’individuazione di eventuali interventi di restauro e recupero, nonché le<br />

relative professionalità atte ad intervenire in tal senso. Il comma 5 richiama<br />

l’applicazione del DL 29/10/1999 n° 490 <strong>nella</strong> parte che regola tutte le eventuali<br />

prerogative, opportunità ed obblighi connessi all’identificazione di “bene<br />

culturale”.<br />

I risvolti per le unità navali possono essere molteplici: dalla possibilità di<br />

contributi ai restauri alle misure conservative; da facilitazioni per la mobilità del<br />

mezzo, all’impiego in mostre; dalla possibilità di ottenere contributi per la<br />

ricerca al premio per il ritrovamento; dall’esproprio, all’impiego per scopi<br />

6


scolastici e didattici; dalla contraffazione ai danneggiamenti ed alle relative<br />

sanzioni.<br />

riportate.<br />

Le modalità sulla procedura di richiesta a vincolo sono di seguito<br />

La richiesta del vincolo, può essere inoltrata da qualsiasi soggetto ente,<br />

associazione, privato cittadino, anche non proprietario. La richiesta può essere<br />

inoltrata sia nel caso di una barca già restaurata, che in caso, come il presente, di<br />

una imbarcazione da sottoporre a restauro. Dovrà essere redatto un documento<br />

che attesti tutti i requisiti richiesti sull’identificazione del bene ed il “profilo<br />

storico”. Questo dovrà essere redatto da un professionista del settore<br />

archeologico navale, etnologo appartenente ad un Istituto riconosciuto. Alla<br />

relazione dovranno essere allegate le fotografie, l’eventuale certificato di stazza<br />

dell’imbarcazione ed ogni altra documentazione ritenuta utile ad attestare<br />

l’importanza del bene e comunque la rispondenza dello stesso ai requisiti<br />

previsti dalla Legge. La documentazione completa dovrà essere inviata a mezzo<br />

raccomandata, alla Soprintendenza per i BB. CC. AA. di zona che provvederà,<br />

qualora lo ritenga opportuno, avviare un procedimento di vincolo ai sensi delle<br />

leggi in materia e ad inoltrare tale documentazione al Ministero per i Beni<br />

Culturali e Ambientali – Ufficio Centrale per i Beni Archeologici Architettonici<br />

Artistici e Storici – V Divisione – Roma. Espletate tutte le procedure di legge,<br />

viene emesso un decreto di tutela a firma del Direttore Generale<br />

dell’Assessorato regionale ai BB. CC.AA. con successiva notifica all’armatore<br />

proprietario. L’imbarcazione, ottenuto il riconoscimento richiesto, dovrà essere<br />

conservata, mantenuta, restaurata, ed anche eventualmente ceduta, seguendo<br />

quanto previsto dalle leggi in vigore.<br />

6


Normativa di riferimento<br />

• Legge 1.06.1939, n° 1089 Tutela del patrimonio storico artistico, demo-<br />

etno-antropologico, archeologico,archivistico, librario;<br />

• Decreto Legislativo 3.12.1993, n° 29;<br />

• Legge 8.10.1997, n° 352 Disposizione sui beni culturali;<br />

• Decreto Legislativo – Testo Unico 29.10.1999, n° 490 Testo unico delle<br />

disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali, a norma dell’art.<br />

1 della legge 8 ottobre 1997, n.352;<br />

11. CONCLUSIONI<br />

Questa ricerca è intesa a dare un contributo di conoscenza indispensabile<br />

per il successivo recupero dell’imbarcazione. La pratica della tutela della<br />

conservazione e del recupero si è estesa oggi a tutto il patrimonio culturale anche<br />

“minore”, e pertanto anche al nostro schifazzo, e poiché questo si è conservato<br />

attraverso la “memoria collettiva” della società cui appartiene, diviene produttore<br />

e riproduttore di cultura ed il suo recupero ne spiega l’utilità sociale. La pratica<br />

del restauro > 50 . Il “San Giacomo”, l’esemplare da noi<br />

individuato, è ancora recuperabile. L’impresa è tecnicamente fattibile, poiché la<br />

<strong>cantieristica</strong> locale ha ancora le capacità tecnica d’intervenire e le conoscenze<br />

navali antiche non sono ancora del tutto andate disperse e le recenti normative<br />

consentendo l’apposizione “ufficiale” del vincolo di salvaguardia e tutela<br />

potrebbero evitarne un ulteriore degrado. Il mezzo restaurato, poi, anche<br />

50 Carbonara, G., 1996, vol I: pp. 5 – 7, 10 -14.<br />

6


sull’esperienza di simili recuperi già attuati in italia 51 , potrebbe riprendere il mare<br />

e avere un futuro come strumento didattico presso la nostra sede universitaria.<br />

Si ringraziano:<br />

Giampiero Musmeci<br />

Associazione Armatori Amici dello <strong>Schifazzo</strong> nelle persone dell’Avv.<br />

Vito Scuderi, Sig. Elio Catalano, Dott. Nicola Scariano;<br />

Rag. Piero Cudia;<br />

Dott. Giuseppe Pino Fuggiano;<br />

Sig. Davide Grasso;<br />

Sen. Antonio d’Ali Solina;<br />

Prof. Pietro Monteleone;<br />

Lega Navale Sez. di Trapani;<br />

Liceo Scientifico Fardella Trapani.<br />

51 Intervista al Dott. Pino Fuggiano.si veda bibliografia. Risultano sottoposte a vincolo (ancora con la legge<br />

1089/39) almeno cinque imbarcazioni: Anno 1997 – lancia romagnola a due alberi – “Assunta” – Proprietà<br />

Marini – Cervia; Anno 1998 – lancione romagnolo-marchigiano a due alberi – “Saviolina” già “Nino Bixio” –<br />

proprietà Comune di Riccione- Armatore Club Nautico Riccione; Anno 1998 – leudo rivano – “Dominica Nina”<br />

ex San Marco – proprietà Passigli Armando.<br />

6


BIBLIOGRAFIA<br />

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Ravenna), in “Navis” N.2, Sottomarina (Ve).<br />

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occidentale in 2° convegno internazionale di archeologia subacquea del<br />

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tecnici della ricerca, in “La ricerca folklorica” N. 21, Brescia, p.23<br />

BONINO, M., 1993, Tipi e tradizioni navali italiane, un approccio per aree<br />

culturali secc. XIX, XX, in La penisola italiana e il mare, trasporti e commerci<br />

tra XV e XX secolo, Viareggio 1991, Atti del Convegno, Napoli , pp 411 – 427.<br />

BONINO M. 1997, Aspetti linguistici dell’indagine sulle barche tradizionali<br />

della acque interne, note in margine al programma dell’Atlante in Il lago . . . uno<br />

6


spazio domestico, Studi in memoria di Alessandro Alimenti, “Quaderni del<br />

Museo della pesca del Lago Trasimeno”, N. 3, S. Feliciano, pp 235 – 243.<br />

BORIANI, M. – SCAZZOSI, L., 1987, Natura e Architettura, Milano.<br />

BUFALINO, G., 1988, Saline di Sicilia, Palermo.<br />

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architettonico vol I: pp. 5 – 7, 10 -14.<br />

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Ronchi dei Legionari (GO).<br />

CEDRINI, R., 1988, Le vie dell’acqua, in Saline di Sicilia, Palermo.<br />

COSTANZA, S.,1988, Itinerari del sale e storia delle saline <strong>nella</strong> Sicilia sud-<br />

occidentale, in Saline di Sicilia, Palermo.<br />

COSTANZA, S.,1997, Fra mare e terra, Palermo.<br />

CURTI, O.,1968, Il grande libro del modellismo, Milano.<br />

CURTI, O.,1979, Il libro completo dell’attrezzatura navale, Milano.<br />

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Palermo.<br />

De Negri Carlo, 1974, Vele italiane del XIX secolo, Milano, pp. 166 – 168 (n.<br />

XXXII)<br />

6


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GIACOMARRA, M., 1988, Antropologia del lavoro in salina in Saline di<br />

Sicilia, Palermo.<br />

GRASSI, G., Un premio da ricordare, un uomo e una cultura, in Yacht Digest,<br />

n.117:94.<br />

MARINO, L., 1990, Il rilievo per il restauro, Milano.<br />

LA MONICA, G, 1976, giuseppe patricolo “restauratore”, Palermo.<br />

MEDAS, S., “Forme di conoscenza nautica dei piloti antichi”, NAVIS.<br />

Rassegna di studi di archeologia, etnologia e storia navale, 1, a cura di<br />

M.Marzari, Sottomarina (Ve).<br />

MONDINI, G., 1999, Le Saline di Trapani, Trapani.<br />

PIRAZZOLI, N., 1994, Teoria e storia del restauro, Ravenna.<br />

SISCI, R., 1991, Tonnare e barche tradizionali di Sicilia, Messina.<br />

INTERVISTE (effettuate nel periodo ottobre 2003 gennaio2004)<br />

Com.te Franco Bosco<br />

Rag. Piero Cudia<br />

Sig. Leonardo D’Amico<br />

Cav. Antonio d’Alì Staiti<br />

Dott. Giacomo d’Alì Staiti<br />

Sig.ri. Fabrizio e Dario Forgia<br />

Dott. Piero Fuggiano<br />

7


ALTRE FONTI<br />

Archivio privato<br />

- Sen. Antonio D’Ali Solina, n.5 documenti: Relazione per le barche; Relazione<br />

di una mosciara, lettera di presentazione, convenzione per la realizzazione di otto<br />

mugare; Relazione per una barca da galleggio (databili tra la fine dell’ Ottocento<br />

ed i primi del Novecento).<br />

- Sig. Roberto Musmeci, n.1 documento: Libretto contenete le attrezzature dello<br />

schifazzo N. 135, T8, San Luigi, formato cm 10.7 x 15.6, composto da 10 fogli<br />

con copertina in carta pergamena e laccio di chiusura (databile 1880 -1881).<br />

Raccolta privata<br />

- Rag. Piero Cudia, n. 4 elementi: Campione di legname denominato “legno<br />

santo” dimensioni cm 19,8 x 7 x 5,8; Paranco a tre vie dell’amante dell’antenna<br />

composto da Taglione in legno cm 39 x 16 x19 e Taglia cm 44 x 11 x 13,5;<br />

Imbuto da calafato cm 52 diametro cm 14,5;<br />

- Avv. Vito Scuderi, n. 1 elemento: elemento mobile di coperta per il rimando<br />

per cime di ormeggio o rimorchio.<br />

SITI INTERNET DI RIFERIMENTO<br />

Dizionario termini nautici in <strong>trapanese</strong>, http://www.trapanisiannu.it/marinai.htp<br />

RONCI, E., <strong>Lo</strong> <strong>Schifazzo</strong>, in Bacheca dei vecchi cantieri italiani,<br />

http://www.modellismonavale.com/schifazzo,htm.<br />

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