Lo Schifazzo nella tradizione cantieristica trapanese - Studiomusmeci
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ALMA MATER STUDIORUM<br />
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI BOLOGNA<br />
_____________________ ooOoo_____________________<br />
FACOLTA’ DI CONSERVAZIONE DEI BENI CULTURALI<br />
Corso di Laurea in Beni Archeologici<br />
<strong>Lo</strong> schifazzo <strong>nella</strong> <strong>tradizione</strong> <strong>cantieristica</strong><br />
Relatore<br />
Prof. Marco Bonino<br />
<strong>trapanese</strong><br />
Tesi di laurea in Architettura Navale<br />
III Sessione<br />
Anno Accademico 2002-2003<br />
1<br />
Presentata da<br />
Giampiero Musmeci
1. Programma e metodo di lavoro.<br />
INDICE<br />
2. Storia della marineria <strong>trapanese</strong> attraverso l’utilizzo dello <strong>Schifazzo</strong>.<br />
3. Posizione dello schifazzo <strong>nella</strong> <strong>tradizione</strong> navale della Sicilia occidentale.<br />
4. Individuazione dell’esemplare rilevato.<br />
5. Rilievo fotografico.<br />
6. Schedatura e rilievo delle forme, stato d’uso.<br />
7. Confronti strutture, piano dei legni.<br />
8. Ricostruzione del piano velico.<br />
9. Censimento degli ultimi schifazzi.<br />
10. Il vincolo<br />
11. Conclusioni<br />
Ringraziamenti<br />
Bibliografia, fonti orali<br />
2
1. PROGRAMMA E METODO DI LAVORO<br />
Scopo del presente lavoro è quello di provvedere a predisporre una prima<br />
documentazione per una successiva opera di recupero di una imbarcazione<br />
storica siciliana. Viene qui utilizzato il termine “recupero” poiché si ritiene<br />
possibile, nel caso in esame, recuperare anche la funzione originaria del mezzo.<br />
Si ipotizza, infatti, che il ripristino della funzione ed il riuso saranno il fine di un<br />
futuro intervento. Il metodo di lavoro, ormai consolidato per la predisposizione<br />
di progetti di restauro muove nel presente caso, da una indagine <strong>nella</strong> storia della<br />
marineria del periodo ed in particolare di quella <strong>trapanese</strong>. In tale indagine sono<br />
state incluse ogni informazione possibile ricavata da ricerche d’archivio, ricerche<br />
iconografiche, contratti, misure e stime, elenchi di spese, nomi di maestranze.<br />
Non è stata trascurata la ricerca di fonti orali, nonché l’individuazione di<br />
attrezzature presso collezioni private. Si è proceduto inoltre all’approfondimento<br />
della conoscenza del mezzo tramite il rilievo dell’imbarcazione ed alla sua<br />
schedatura. Questa metodologia, utilizzata per aumentare le capacità conoscitive<br />
è stata finalizzata a restituire il Piano di Costruzione e poiché ogni rilievo<br />
comporta le sue proprie difficoltà, e quello di un mezzo navale è particolarmente<br />
complesso, ci si è limitati al rilievo delle sole forme, cioè delle linee geometriche<br />
che caratterizzano la sua superficie esterna.<br />
Al rilievo del piano delle forme dovrà seguire un’ulteriore<br />
approfondimento della ricerca rilevando il piano dei legni ed ipotizzando, sulla<br />
base di opportuni studi e riscontri anche sullo stesso scafo, una ricostruzione del<br />
piano velico. Ciò al fine di predisporre un progetto esecutivo ed un programma<br />
di lavori per il recupero del mezzo.<br />
3
2. STORIA DELLA MARINERIA TRAPANESE ATTRAVERSO<br />
L’UTILIZZO DELLO SCHIFAZZO<br />
Nel porto di Trapani, verso la fine del Settecento, si svolgeva un traffico<br />
commerciale suddiviso in due grandi comparti: le rotte di lungo cabotaggio con<br />
destinazioni Genova e Venezia, riservate ai legni maggiori presenti nel porto (tali<br />
navi appartenevano in gran parte ad armatori esteri) ed il piccolo cabotaggio che<br />
invece, aveva come destinazione nel Tirreno Napoli, Livorno, la Sardegna e<br />
l’intera costa siciliana svolto da imbarcazioni minori appartenenti ad armatori<br />
locali i patruni di varca e alcuni maestri corallari 1 . La composizione della<br />
flottiglia mercantile <strong>trapanese</strong> per tutto il Settecento fu prevalentemente<br />
composta da schifazzi e liudelli 2 . <strong>Lo</strong> schifazzo aveva un utilizzo vario. Veniva<br />
prevalentemente utilizzato per il trasporto di vino, materiale da costruzione e per<br />
il trasporto del sale, formaggi e prodotti di tonnara. Veniva anche usato sia per la<br />
pesca che per la pesca delle spugne ed anche per le esportazioni di corallo sia<br />
grezzo che lavorato. Le due categorie di mezzi, schifazzi e liudelli costituivano la<br />
stragrande maggioranza delle imbarcazioni registrate in entrata o uscita dai libri<br />
doganali del periodo. Si tratta di natanti di piccola portata: uno schifazzo poteva<br />
caricare infatti da trenta a cinquanta salme di sale Una portata del genere<br />
corrispondeva a un modesto, livello di traffici anche se negli anni buoni, la sola<br />
produzione di sale, superava le trentamila salme. Le stesse, non numerose,<br />
tartane 3 trapanesi, pur avendo una portata maggiore, potevano mediamente<br />
1 Benigno 1982: 102 i quali, nel 1633, si erano organizzati in maestranza.<br />
2 Bellabarba -Guerreri 2002: 132-135. Liudello o Lautello, barca con fondo quasi piatto di circa 10/12 metri,<br />
armata con due alberi a vela vatina, uno di maestra ed uno più piccolo di mezzana all’estrema poppa su una<br />
sovrastruttura che fuoriesce dallo scafo. P.A.Hennique è l’univa fonte. Arca utilizzata a Trapani per la pesca del<br />
corallo.<br />
3 Bellabarba -Guerreri 2002: 222-229. Uno dei tipi d’imbarcazione più diffuso in Mediterraneo. La prima<br />
menzione è del 1300. Nel 1905 in italia ne sono ancora censite 165. Imbarcazione con forme piuttosto piene di<br />
circa 20 metri di lunghezza, caratterizzata da una ruota di prua che si porge in avanti al di sotto di un lungo<br />
bompresso. E’ armata con un solo albero a vela latina con controranda e due fiocchi.<br />
4
caricare da centocinquanta a trecento salme 4 di sale ciascuna.<br />
FOTO 2.1 Muciare pronte per il rimorchio – foto Prof. Nicola Scariano 1950 circa.<br />
4 La misura ancora oggi utilizzata a Trapani per la pesatura del sale è di Kg 469 (sino alla metà del Seicento<br />
misurava per una equivalenza di Kg. 222)<br />
5
FOTO 2.2 Operazioni di caricamento sottobordo anni ’30 – foto Costanza, S., 1988<br />
Le vendite del sale 5 in loco, erano sempre effettuate franco a bordo di navi<br />
maggiori in sosta nel porto, quindi il proprietario doveva disporre di personale<br />
per la raccolta, di barche e di ciurma (personale) per il caricamento. Il trasporto<br />
del sale cominciava con la sua raccolta dalle casedde 6 (vasche di salinazione), e<br />
il trasporto all’ariuni 7 , mediante ceste coniche intessute con strisce di canna<br />
(cartedde) che contenevano circa 25/30 Kg. di prodotto.<br />
5 Il sale esportato era costituito da cloruro di sodio in cristalli, rimasto così come veniva estratto dalle saline: il<br />
cosiddetto sale « granito » o « grosso ». Con la macinatura e la riduzione in grani più fini il sale perde quella<br />
qualità di resistenza all’umidità che, facendo atto a una lunga conservazione, ne permettevano il trasporto durante<br />
le lunghe traversate marine nelle stive dei legni da carico in partenza da Trapani per fuori Regno. Per questo<br />
motivo le esportazioni di sale molito erano molto ridotte, dirette verso scali prossimi e per lo più legate ai<br />
rifornimenti alle tonnare.<br />
6 Vasche in cui è suddivisa la salina.<br />
7 Ampio argine delle vasche salanti, dove veniva posto il sale in attesa del suo caricamento sulla barca.<br />
6
FOTO 2.3 Salinaio che trasporta una cartedda di sale - foto Prof. Nicola Scariano 1950 circa<br />
Le squadre (venne) degli addetti alla raccolta del sale erano composte da<br />
venti lavoranti ciascuna, assunti per il lavoro stagionale sotto il comando del<br />
curatolo (responsabile) che sorvegliava l’attività della salina durante l’anno: gli<br />
uomini delle venne si accompagnavano nel loro lavoro con un canto monotono i<br />
cui versi, aiutavano a ricordare il numero delle cartedde trasportate. Arrivati alla<br />
ventiquattresima l’uomo che riceveva il sale (u signaturi) faceva una tacca in un<br />
bastone di legno (fella o ferula, la pianta delle ombrellifere che cresce spontanea<br />
nei campi). I mucchi raccolti negli ariuni, dopo le prime piogge che dilavano il<br />
sale delle impurità e dei cloruri di potassio e di magnesio, si coprivano con<br />
7
tegole (ciaramire) in argilla. Da qui gli schifazzari trasportano per mare il sale<br />
fino al porto con gli schifazzi forniti di ponte e di una vela latina con fiocco.<br />
Nelle stesse saline operavano le muciare 8 , più piccole e senza vela, che<br />
attraversavano i canali che intersecano le saline.<br />
FOTO 2.4 Caricamento meccanico di schifazzi e muciare - Prof. Nicola Scariano 1950 circa<br />
La retribuzione per le operazioni della raccolta e del trasporto del sale,<br />
veniva corrisposto a cottimo e variava secondo la natura dei servizi. La<br />
retribuzione per ciascun servizio determinata su otto salme di sale, cioè circa tre<br />
8 Barcone di portata inferiore allo <strong>Schifazzo</strong> e senza ponte, che navigano a rimorchio con l’aiuto di pali puntati<br />
sul fondo dei canali. E per il tipo di trasporto effettuato erano anche dette “salinari”.<br />
8
ton<strong>nella</strong>te, veniva così suddivisa 9 :<br />
Rottura e ammucchiamento del sale nelle caselle L. 0, 67<br />
Estrazione dalle caselle………………………… 1, 60<br />
Misuratura……………………………………… 0, 11<br />
Caricamento nelle barche……………………… 1, 93<br />
Trasporto……………………………………….. 3, 40<br />
Caricamento nei bastimenti……………………. 0, 56<br />
Il trasporto con le barche era molto oneroso incidendo <strong>nella</strong> misura del<br />
28% del costo complessivo dell’intera operazione di raccolta e trasporto sotto<br />
bordo e questo faceva dei patruni di varca una categoria meno povera di altre. Ai<br />
produttori, per assolvere agli obblighi contrattuali della vendita sin sotto bordo,<br />
non restavano che due soluzioni: rivolgersi ai piccoli armatori ovvero costituire<br />
una propria flotta di schifazzi.<br />
9 Mondini G., 1881: 21<br />
9<br />
Tot. L. 8, 27
FOTO 2.5 Parte della flotta S.I.E.S. (schifazzi) - Prof. Nicola Scariano 1950 circa<br />
Quest’ultima soluzione sarà adottata quasi di regola dalla fine<br />
dell’Ottocento fino agli anni 20 del Novecento. Infatti, fin quando le numerose<br />
saline del litorale <strong>trapanese</strong> appartennero a diversi proprietari/affittuari non<br />
risultava economicamente valido dotarsi di grandi flotte, sia per il limitato<br />
periodo di utilizzo (prevalentemente estivo) sia per l’esigua quantità del sale da<br />
trasportare e pertanto spesso ci si rivolgeva al mercato delle “barche”.<br />
Quando poi, nel 1920 fu costituita la S.I.E.S. 10 (Società Italiana<br />
Esportazione Sali) questa società, organizzò un proprio servizio di trasporto con<br />
10 Si succederanno nel tempo due società S.I.E.S.. Quella del ’20 Soc. Italiana Esportazione Sali e quella del<br />
’62 Soc.Industriale Estrazione Sali S.p.a.<br />
1
numerosissime varche (barche) circa 100 tra schifazzi e muciare. Occorre<br />
sottolineare che la fusione delle diverse saline del comprensorio, fece cambiare<br />
radicalmente l’utilizzo dei diversi impianti. Se precedentemente ciascuna delle<br />
saline disponeva, secondo il “Tipo di Salina” tradizionale 11 dei suoi canali, degli<br />
aironi e delle proprie vasche (fredde, d’acqua cruda, delle ruffiane, delle calde e<br />
delle caselle) dopo tale fusione, quasi tutto il comprensorio a sud di Trapani<br />
divenne, così com’ ancora oggi, un’unica immensa salina con una superficie<br />
complessiva di circa 400 ettari 12 . In conseguenza di ciò le fasce di vasche sono<br />
state diversamente destinate e, dalle fredde, poste lungo la fascia costiera e a sud<br />
verso Paceco, un lunghissimo giro porta le acque alle vasche di salinazione poste<br />
nelle immediate vicinanze del<br />
porto. Questa rivoluzione silenziosa dettata da molteplici fattori, che pure<br />
a permesso la sopravvivenza della “coltivazione” del sale, ha avuto notevoli ed<br />
immaginabili conseguenze anche per il tipo di trasporto su acqua rappresentato<br />
dagli schifazzi. La grande flotta S.I.E.S formata dal conferimento di quote di<br />
singoli proprietari/gestori di salina/armatori, fu progressivamente, in un primo<br />
tempo privata del piano velico e motorizzata ed in seguito utilizzata alla stessa<br />
stregua delle muciare cioè a rimorchio. Nel 1984 la nuova S.I.E.S S.p.a.<br />
(Società Industriale Estrazione Sali S.p.a.) dismise le ultime barche delle quali,<br />
non poche avevano lavorato per quasi un secolo.<br />
11 Mondini, G., 1881. Appendice A, Tipo di Salina.<br />
12 Intervista al Cav. Antonio d’Alì Staiti, si veda bibliografia.<br />
1
DOCUMENTO 1<br />
Estratto dal Registro Navi Minori e Galleggianti dal n. 592 al n.800 (Archivio della<br />
Capitaneria di Porto di Trapani).<br />
1
FOTO 2.6 Braccio laterale del Canale di Mezzo. Resti di parte della flotta di schifazzi e<br />
muciare dismesse dalla S.I.E.S. S.p.a. nel 1984 – foto achivio Lega Navale Italiana anno 2002.<br />
Gli schifazzi, a seconda del tipo di trasporto prevalente venivano realizzate<br />
con forme e dimensioni ed armamento leggermente diverso. Le imbarcazioni<br />
esclusivamente commerciali si distinguevano poco dalle altre, differendo per una<br />
maggiore stazza, la presenza della coperta ed un piano velico con superficie<br />
maggiore, “più frazionata” 13 . Gli schifazzi per il trasporto di cantuna (blocchi di<br />
tufo) presentavano un maggiore “bordo libero” 14 e due fiocchi (vele di prua), a<br />
differenza di quelli da sale che portavano un solo fiocco ed uno scafo con “bordo<br />
13 L’intera superfice velica divisa su più tipologie di vele (randa, controranda, fiocco, controfiocco) anziché<br />
un'unica grande vela, permette una più facile riduzione del piano velico in caso di necessità, la manovra con<br />
un numero ridotto di equipaggio e la possibilità di scegliere sulla quantità i spinta da imprimere al mezo. Ad<br />
esempio per l’entata in porto veniva utilizzato un solo fiocco, ciò per permettere alla barca di fermarsi (il<br />
problema maggiore, non disponendo di motore e retromarcia) in banchina con l’abbrivio appena sufficiente.<br />
14 La parte emersa dello scafo, dalla linea di galleggiamento al trincarino.<br />
1
libero” più basso.<br />
E interessante notare che oltre all’attività di trasporto per conto terzi,<br />
molte imbarcazioni svolgevano attività in proprio, conducendo merci “a sorte” o<br />
“a ventura” <strong>nella</strong> quale venivano trasportate le diverse specie di merci con<br />
destinazioni diverse. Spesso ad “armare” le barche, non era il solo proprietario,<br />
ma il finanziamento delle singole imprese veniva sottoscritto, in quote, da parte<br />
di fasce di popolazione estranee al mondo del porto, riproponendo un modello<br />
economico proveniente dalla più antica pesca a corallo. Proporzionalmente alle<br />
quote investite divenivano suddivisi gli utili in caso di campagna di pesca<br />
favorevole o dell’operazione commerciale conclusa. Non tutte le quote venivano<br />
vendute, rimanendo quote di valore per la proprietà della barca e<br />
dell’attrezzatura e per l’equipaggio 15 . Ciò coinvolgeva tutta la città all’attività del<br />
porto.<br />
Si possono desumere informazioni sugli schifazzi dagli atti delle<br />
maestranze 16 poiché i consoli 17 della maestranza dei naviganti esigevano ogni<br />
anno da tutti i proprietari di imbarcazione una tassa proporzionale alla portata ed<br />
ugualmente i mastri di galbo 18 avevano l’obbligo di versare al console dell’arte<br />
una tassa su ogni scafo approntato. Era prevista una tassa di un tarì 19 per ogni<br />
schifazzo di salina o liudello da pesca; due per schifazzi o liudelli di “riviera” ;<br />
quindici tarì per ogni tartana costruita. Non erano previsti contributi per legni di<br />
stazza superiore alla tartana, che non venivano evidentemente fabbricati nei<br />
modesti cantieri cittadini, ed erano esentate le imbarcazioni di lunghezza<br />
inferiore ai 30 palmi 20 (circa otto metri). Sotto questa misura, si realizzavano<br />
solo barche da pesca, poiché anche uno schifazzo di salina non misurava in<br />
15 Benigno 1982: 107.<br />
16 Corporazione di arti e mestieri in Trapani.<br />
17 Carica elettiva per il governo di ciascuna corporazione.<br />
18 Gli antichi mastri d’ascia, costruttori navali.<br />
19 Il tarì è una moneta d’oro araba e normanna della Sicilia, imitata dalle zecche dell’Italia meridionale e<br />
coniata, in multipli sotto gli Svevi e in argento sotto gli Aragonesi, fino alla fine del XVIII sec.<br />
20 Agnello, A., 1861, Un palmo equivale a circa 25 centimetri.<br />
1
genere meno di 35-40 palmi.<br />
I prezzi delle imbarcazioni erano nel 1750 21 i seguenti: schifazzo latino in<br />
buone condizioni, ad es., veniva venduto per 112 onze 22 (75 per lo scafo, 15 per<br />
le vele, 6 per i remi, il resto per il sartiame), poteva essere trovato a meno a<br />
seconda dello stato d’uso. Uno schifazzo di salina invece valeva molto meno ed<br />
era possibile acquistarlo, sempre negli stessi anni, per 25 onze.<br />
Il prezzo dei noli dipendeva ovviamente dal quantitativo di merce<br />
imbarcato e dalla distanza. La durata del viaggio dipendeva dalle condizioni<br />
metereologiche e non veniva specificato in contratto ma il tempo concesso per le<br />
operazioni di terra veniva rigidamente prefissato; per ogni giorno di sosta oltre<br />
quelli stabiliti (stallie) veniva prevista una penale. Su quest’aspetto, i contratti<br />
erano in genere estremamente precisi. Non sempre il nolo era calcolato sulla<br />
quantità della merce in viaggio: talvolta, in genere per piccoli carichi, si stabiliva<br />
una cifra unitaria forfetaria. Ad esempio Padron Francesco Manca noleggiava il<br />
suo schifazzo Gesù, Maria, Giuseppe (la gran parte dei legni trapanesi veniva<br />
posta sotto la protezione della Trinità terrestre) per il trasporto di settemila<br />
bacarelle(?) da Sciacca a Palermo al prezzo forfetario di tre onze e sette tarì e<br />
con pagamento in due rate 23 . Molte barche erano dedite al contrabbando fatto di<br />
traffici ridotti e continui, utilizzando l’occultamento delle merci e la loro non<br />
registrazione. Per arginare tale fenomeno un articolo della Sagrezia 24 imponeva a<br />
tutti i natanti giunti in porto di dichiarare la merce a bordo (obbligo di<br />
manifesto) entro ventiquattrore e, a partire dal 1671 25 , per le barche minori entro<br />
la stessa giornata.<br />
Buona parte di questi mezzi nautici venivano fabbricati in città. La<br />
carpenteria navale era un’attività tradizionale e si svolgeva da secoli alla marina,<br />
nel porto. Vi lavoravano mastri di galbo (mastri d’ascia), velai, funai (esiste al<br />
21 Benigno 1982: 107<br />
22 Agnello, A, 1861, una Onza equivale a L. 12,75<br />
23 A.S.T, Notaio Carrara Giuseppe, atto 8 Agosto 1677.<br />
24 Amministrazione periferica del Regno cui era affidata, tra l’altro, la riscossione delle gabelle e dei dazi regi.<br />
25 Bando della Segrezia ordine del Maestro Segreto del Regno durante una sua visita compiuta a Trapani, del 4<br />
Aprile 1671.<br />
1
porto una Via Funai), calafati e altri gruppi di artigiani per tutte le necessità della<br />
marineria. Il legname per le costruzioni non era disponibile in loco e proveniva<br />
dalla Calabria e dalla Sicilia occidentale. Per l’alto costo di approvvigionamento<br />
spesso conveniva spostare gli artigiani trapanesi in altre città come ad esempio<br />
nel caso di una tartana costruita da maestranze trapanesi a S. Agata di<br />
Militello 26 :<br />
I patruni di varca , occupavano una posizione decisiva nel commercio<br />
marittimo della città. Socialmente poi, la loro condizione era migliore di molte<br />
altre categorie come quelle senza lavoro fisso che pur ruotavano attorno al porto<br />
come: pescatori, marinai o lavoratori di tonnara o di salina. I patruni di varca<br />
tendevano a trasmettere di padre in figlio l’attrezzatura ed il mestiere<br />
sviluppando di generazione in generazione, con una continuità sorprendente, la<br />
propria attività di mercanti ambulanti lungo le rotte marine. Un confronto tra i<br />
nomi dei consoli dei ceto naviganti e del consolato del mare succedutisi in<br />
questo periodo e quelli dei “padroni” registrati nei libri “segreziali” permette di<br />
osservare come i cognomi ricorrenti sono circa una ventina ed i rispettivi nuclei<br />
familiari operano come piccoli armatori e mercanti.<br />
3. POSIZIONE DELLO SCHIFAZZO NELLA TRADIZIONE NAVALE<br />
DELLA SICILIA OCCIDENTALE<br />
<strong>Lo</strong> schifazzo, è stata una barca usata principalmente in Sicilia per i piccoli<br />
trasporti locali. Si può dire che si tratta di un’imbarcazione <strong>trapanese</strong>, perché le<br />
scarse fonti la danno presente soprattutto in questa provincia. Il De Negri 27 cita<br />
una statistica del 1867, secondo la quale a Trapani esistevano allora una vera<br />
flotta composta da ben 120 schifazzi. Nel 1991 Rocco Sisci 28 , riproduce le foto<br />
di due schifazzi, ancora in uso a Trapani e Favignana armato ancora con un<br />
albero a vela latina, in buono stato d’uso. Il termine schifazzo potrebbe avere dei<br />
26 AST notaio Carrara Giuseppe, atti 4 Luglio e 24 novembre 1677.<br />
27 De Negri, C., 1974.<br />
28 Sisci,R, 1991.<br />
1
collegamenti con lo schirazzo, un’imbarcazione presente nei documenti antichi.<br />
Pantero Pantera 29 lo cita all’inizio del 1600 tra i “vasi” che veleggiano alla<br />
quadra (navi cioè attrezzate a vela quadra) Pare indubbio per che lo schifazzo<br />
fosse di origine orientale. Sempre il Sisci, spiega il termine schifazzo come<br />
grossa barca, cioè grosso schifo.<br />
Il termine schifo era un tempo comunissimo, ed equivaleva a barca,<br />
canotto di servizio, portato sulle galee o sulle navi a vela sul ponte o a rimorchio.<br />
Il Pantera avverte che lo schifo del Mediterraneo occidentale equivaleva<br />
all’imbarcazione di servizio denominata copano a Venezia. Schifo è un termine<br />
derivazione germanica (schiff, o inglese ship). Dall’italiano provengono lo<br />
spagnolo e francese esquife, che fu adottato anche dagli inglesi (skiff). Il termine<br />
schifo era anche diffuso in mediterraneo, del quale schifazzo potrebbe essere una<br />
variante siciliana analoga a galeazza = grossa galea.<br />
Recenti studi 30 tendono ad una ipotesi diversa. <strong>Schifazzo</strong> potrebbe derivare<br />
dal latino scapha. Da tale termine deriverebbe scafa e scafaccia delle tradizioni<br />
dell’Italia centrale interna (soprattutto il Tevere, ma poi anche la Campania) e,<br />
come avvenuto per il navicello 31 toscano, la scafa fu anche barca marittima,<br />
talvolta a vela latina con tre alberi anche chiamata barca o barcaccia. Barcacce<br />
provenienti da Napoli e dalla Sicilia sono documentate nei registri della Fiera di<br />
Senigallia della fine del XVIII secolo 32 .<br />
<strong>Lo</strong> scafo si presenta con linee molto potenti senza slanci, caratterizzato dal<br />
fatto che la lunghezza fuori tutto coincide con la linea al galleggiamento. Sopra<br />
l’estremità della ruota di prora non è presente, il pelliccione 33 che fin<br />
dall’antichità veniva inserito come parte integrante del legno per augurio e buon<br />
auspicio verso gli dei. Per l’attività cui veniva destinata la barca, l’allestimento<br />
29 Pantera P. 1625.<br />
30 Bonino M. 1978, Archeologia e <strong>tradizione</strong> navale tra la Romagna e il Po, Ravenna<br />
31 Bellabarba -Guerreri 2002: 158-163. Imbarcazione da carico di circa 20 metri sia fluviale che marittima<br />
caratterizzata da un’ampia velatura tra l’albero di maestra e l’albero e di trinchetto a prua. Avevano una capacità<br />
di carico da 30,70 anche 100 tonn. Nel 1905 in italia ne sono stati censiti 98 contro i 70 del 1897.<br />
32 Bonino M. 1978, Fig 21.<br />
33 Elemento posto all’estremità superiore del dritto di prua.<br />
1
era estremamente sobrio. Il dritto di prua si presenta leggermente inclinato a<br />
poppavia. La sua versatilità ne fece il “mulo del mare” e con l’avvento del<br />
motore fu utilizzato per qualsiasi uso navale adattato alle diverse ulteriori<br />
esigenze (si arrivò anche ad allungarne qualche esemplare quasi di un terzo della<br />
lunghezza usuale) 34 . L’economicità d’esercizio, la versatilità, unita alla longevità,<br />
ha fatto sì che questo mezzo contribuisse allo sviluppo dell’economia della Città.<br />
Secondo il tipo di caricamento prevalente si sono avuti:<br />
• schifazzi da salina (es. San Giacomo);<br />
• schifazzi di cantuna, tufi (es. Mizar);<br />
• schifazzi di piccolo cabotaggio, “ di riviera”.<br />
Venivano, inoltre, realizzati sulle stesse sagome imbarcazioni più piccole detti<br />
Schifazzeddi da 7-8-9 metri (es. Gesù, Giuseppe e Maria).<br />
Una ricerca degli studenti del Liceo Scientifico Fardella di Trapani Storia<br />
della <strong>cantieristica</strong> <strong>trapanese</strong> dalle origini fino all’età contemporanea, alla quale<br />
stato conferito il secondo premio Paolo Galli, nell’anno 2001 35 , spiega i motivi<br />
per cui non esiste un’ampia documentazione sulle antiche imbarcazioni di questa<br />
zona: .<br />
Le barche erano di proprietà di grandi armatori, in genere proprietari di saline<br />
o di cave di tufo, che fornivano il mezzo “a freddo” a comandanti che venivano<br />
34 Intervista al Dott.Giacomo d’Alì Staiti, si veda bibliografia<br />
35 Yacht Digest, n.117: 94.<br />
1
impegnati all’occasione e pagati a salmaggio, (a viaggio). I comandanti e la<br />
ciurma, quando necessaria, veniva reclutata <strong>nella</strong> zona di Porta Galli<br />
nell’angiporto di Trapani, nell’area oggi corrispondente all’incrocio tra la via<br />
Ammiraglio Staiti con la via Funai. Nella stessa zona, poi, si svolgeva nelle ore<br />
antimeridiane il tocco (il sorteggio) tra i comandanti per aggiudicarsi il diritto di<br />
caricamento. Ci serviva per equilibrare l’evidenza che esistevano inevitabilmente<br />
schifazzi più veloci di altri pertanto il turno veniva affidato alla sorte<br />
permettendo a tutti il un guadagno per il sostentamento della famiglia, anche se<br />
alla condotta di un mezzo lento 36 . Sino agli anni 50 vi era <strong>nella</strong> zona di porta<br />
galli una grande concentrazione di schifazzi da cantuni che facevano<br />
collegamento con Favignana di proprietà della famiglia Gandolfo proprietari di<br />
cave ed armatori.<br />
Tra i costruttori, mastri d’ascia più famosi del nostro secolo, si ricordano:<br />
mastro Michele Damico, mastro Nanai Stabile, mastro Cavasino, mastro Lillo<br />
Stampa Tra i mastri di garbo dell’Ottocento: i Bascone, De Vincenzi, Greco,<br />
Frusteri (che realizzo tra gli altri il brigantino Fratelli Scalabrino 37 ) e, ancora,<br />
Cavasino. Ad uno di questi mastri ancora attivo, mastro Michele D’Amico del<br />
cantiere Daromarci, stato affidato il compito per la realizzazione della Venus<br />
Ericina, la ricostruzione della nave oneraria romana del II secolo d.C. che la<br />
facoltà di Archeologia Navale di Trapani ha avviato in collaborazione con<br />
l’Amministrazione Provinciale e l’Università di Bologna 38 . Documenti<br />
significativi di questa attività <strong>cantieristica</strong> dell’Ottocento sono costituiti dal<br />
carteggio inedito, di seguito riportato, dell’archivio privato del Sen. Antonio<br />
d’Ali Solina di Trapani 39 . Tali documenti sono relativi alla commessa per la<br />
realizzazione di alcune muciare. E necessario chiarire che non si tratta delle<br />
omonime imbarcazioni da tonnara, bensì di barconi direttamente derivati dagli<br />
36 Intervista al Dott. Piero Cudia si veda bibliografia<br />
37 Intervista al Sig. (mastro Nardo) Leonardo D’Amico, si veda bibliografia.<br />
38 Bonino, M, 2001Brochure di progetto presso i Corsi di archeologia Navale.<br />
39 Archivio privato: n.5 documenti. Relazione per le barche; Relazione di una mosciara, lettera di presentazione,<br />
convenzione per la realizzazione di otto mugare; Relazione per una barca da galleggio. Documentazione<br />
databile tra la fine dell’ Ottocento ed i primi del Novecento.<br />
1
schifazzi, senza ponte, utilizzate quasi esclusivamente in salina e per questo<br />
erano anche dette salinari. Le muciare (di salina) navigavano prevalentemente a<br />
rimorchio con l’aiuto di pali, detti punitori, puntati sul fondo dei canali ovvero<br />
trainati lungo le sponde dei canali, mantenute al centro di questi, quando erano in<br />
fase di caricamento, a mezzo lunghe funi tirate da entrambe gli argini dagli<br />
addetti.<br />
2
DOCUMENTO 2<br />
2
Prima Relazione pagina per del le documento barche Relazione per le barche (Archivio Sen. Antonio d’Alì Solina,<br />
Trapani). Oggi in Trapani il 22 Novembre 1878.<br />
Si tra i qui sottoscritti Sig. Silvestro Burgarella del fu Agostino e Capo<br />
Maestro Greco figlio di Gaspare domiciliati e residenti in Trapani, conchiusa<br />
la seguente convenzione in carta privata da avere tutti gli effetti di legge.<br />
Dovendo il detto Sig. Burgarella far costruire due barche dette MUCIARE,<br />
incaricò il detto di Greco onde con i materiali da lui stesso apprestati, eseguire<br />
la detta costruzione, ed il Greco avendo accettato lincarico, stabilirono di<br />
accordo le seguenti convenzioni che regolar debbono le modalità ed il prezzo<br />
di dette MUCIARE, delle quali per ciascuna di esse il prezzo e le convenzioni<br />
sono le seguenti. 1 La massima lunghezza di pascima , delle stesse deve essere<br />
di palmi 36. 2 La larghezza nel centro palmi 12. 3 L’altezza nel centro palmi 4<br />
ed once 3. 4 La Chiglia da poppa a prora di legname Ilice, attaccando di poppa<br />
e di prora con legname rovere e con la sua grossezza al loco delle Polelle once<br />
4 a finire ad once 3 e . 5 La Chiglia nel centro larga once 6 ed alta once 5. 6<br />
Staminale grossezza once 3, altezza corrispondente alle materie a finire al loco<br />
della cinta ad once 2 e di legname Celso Bianco. Così pure li furcazzi e le<br />
riempiture di poppa e di prora pure di Celso Bianco. 7 Palamezzano legname<br />
rovere, largo palmo 1, alto once 3. 8 Le scuse una per parte larghe once 6, alte<br />
once 3 di legno rovere con suo puntuale doppio. 9 Ramo di maestra largo<br />
palmo 1 doppio once 3 legname rovere con suoi braccioli corrispondenti. 10<br />
La lunghezza delle coperte di poppa e di prora a piacere del Sig. Burgarella.<br />
11 Le cinte di legname di Pegno ed il sottopiano tutto di rovere della<br />
grossezza di oncia 1 e con suo pagliuolo, cassitti e compagna a poppa. 12<br />
Chiavata e rischiavata come richiede l’arte, così pure calafatata ed impiciata<br />
lesta a terra. 13 La tavolame non più larga di 1 palmo. 14 La lunghezza della<br />
tavolame di rovere, in massimo 3 pezzi per ogni filo; tavolame di pegno 2<br />
pezzi per ogni filo. 16 Paramezzale in 1 pezzo. 17 La consegna delle dette<br />
MUCIARE come sopra condizionate e compite sarà fatta al Signor Burgarella<br />
il giorno 15 di Febbraio 1879. 18 Il prezzo per tale costruzione e per ogni<br />
MUCIARA resta convenuto <strong>nella</strong> somma di once 60 pari a Lire 765 pagabili<br />
in carta moneta.<br />
2
DOCUMENTO 3<br />
Prima pagina del documento Relazione di una masciara (Archivio Sen. Antonio d’Alì Solina,<br />
Trapani).<br />
2
Relazione di una mosciara<br />
La sua larghezza di rota in rota palmi 33. La larghezza nel centro palmi 41, la<br />
sua altezza nel centro palmi 3 e once 8, con sua chiglia di rovere: grossezza di<br />
chiglia nel centro once 6, grossezza di rote once 4, grossezza di materia once<br />
5, grossezza di staminale. Li detti staminale e materie che siano legname di<br />
Celso, con suo palamizzano di pengno, la sua larghezza ricadente a parte, la<br />
sua grossezza once 4, la sua larghezza palmo 1 con suoi scusi di poppa a<br />
proda, la sua larghezza once 5 e grossezza once 2 e che siano di pengno<br />
(pegno o pino?) con suoi scazzi di poppa a proda, con suoi cinti di poppa a<br />
proda che siano di rovere, la sua larghezza once 6. La sua grossezza once 2 e<br />
con suo banco di maestra che sia di rovere, la sua larghezza palmo 2, la sua<br />
grossezza once 3 e con suo latinotto(?) a poppa che sia di rovere con sua<br />
poppa la prora riquidente a l’arte che sia chiusa di pengno con suoi lotti a<br />
poppa e a prora li detti lotti che siano di rovere, la coperta di poppa e prora<br />
che sia di pegno la sua grossezza di detta tavolame oncia 1 e , tavolame di<br />
fuori che sia tutta di pegno, la sua grossezza oncia 1 e con suo pagliolo.con<br />
suoi cascitti di poppa, la prora con sua compagna la poppa, calafatata e<br />
inchiodata e impiciata come richiede l’arte lesta in terra, tutta la detta legname<br />
deve essere fuori fracida (fradicia?) squadrata e stratagliata, più il ristretto<br />
prezzo non meno di once ……..60<br />
2
DOCUMENTO 4<br />
Prima pagina del documento Signor se lei vole sapere le barche che io ho fatto….. (Archivio<br />
Sen. Antonio d’Alì Solina, Trapani).<br />
2
Signor se lei vole sapere le barche che io ho fatto ai Padrone particolare e<br />
schifazzara sono le seguenti. Antonino Gianquinto ci fece Mugare, al coratolo<br />
della salina nuova ci fece 2 mugare, a Giuseppe Grillo schifazzaro ci fece 2<br />
mugare, a Salvatore Catania ci fece 2 mugare, a Michele Malato ci fece 2<br />
schifazzi 2 mugare, al coratolo di pietro Pizzardi ci fece 1 mugara, per le<br />
proprietari sono Giacomazzi ci fece 4 mugare. Al signor DAgostino<br />
Burgarella ci ho fatto diverse barche e presentamente ci sto costruendo barche.<br />
Al Sig. D’Alì Giuseppe ci ho fatto diversi barche e lo servo io, e poi ad altri<br />
diversi padrone di marina, ed io ho piacere di servire al Sig. D’Alì Giacomo di<br />
fare questi barche. Per il prezzo quando vole Lei basta che lo servo io;<br />
Gaspare Cavasino<br />
2
DOCUMENTO 5<br />
Prima<br />
pagina del documento Commenzionedi farsi n. 8 mugare…… (Archivio Sen. Antonio d’Alì<br />
Solina, Trapani).<br />
2
Commenzione di farsi n 8 mugare nuovi con la seguente commenzione cioè la<br />
lunghezza per ognuna mugara deve essere di palmi 36, larghezza palmi 12,<br />
alta palmi 4 e once 3, la materia di legname di rovere, larghezza di detti<br />
materie once 5 , alti once 3 e , le staminale di legname di ceuso, larghezza<br />
once 3, alti once 3.<br />
Il ginchimento di legname ceuso, il palamizzano di legname di rovere,<br />
larghezza di detto once 10, grossezza 3 e , scuse di legname di rovere,<br />
larghezza once 5, grossi once 3, il banco di legname di rovere, larghezza once<br />
10, grosso once 3 e 1/2 , le latti di legname di rovere, larghezza once 4, grossi<br />
once 2 e , le vernici di legname pegno, larghezza once 5, grossezza once 2 e ,<br />
la vernici di legname pegno, larghezza once 5, grossezza once due e mezza le<br />
cinte di legname pegno larghezza once sei grossi once tre, le soprasole di<br />
legname di pegno, grossezza once 2, larghezza richetende alla barca, oppure<br />
once 6, la tavolame di coverta di legname pegno, la grossezza once 1,50 , il<br />
arronato di fuori di sotto la cinta di legname di pegno e sotto nel piano la<br />
tavolame di legname di rovere, la grossezza di once 1 e , franca di serra con il<br />
suo pagliolo incassittata e chiodata bene di ferro e bene calafatata e impiciata<br />
di dentro e fuori come richiede l’arte e resta a terra senza caparro per il prezzo<br />
di detta mugare a piacere del Sig. D’ali. Il costruttore Gaspare Cavasino<br />
2
DOCUMENTO 6<br />
Prima pagina del documento Relazione per una barca da galleggio (Archivio Sen. Antonio<br />
d’Alì Solina, Trapani).<br />
2
Relazione per una barca da galleggio<br />
Carena d’Inice lunga palmi 37 e rispettivamente di celso spessezza palmi.<br />
Once 3 e .Materie di celso spessezza once 3 e larghezza once 5.Staminale<br />
larghezza once 3 e ed altezza once 3. Paramezzale di pino largo once 13, alto<br />
3 e .Scuse di pino, larghe once 6 ed alte once 3. Balio di mezzo largo palmo<br />
1, alto once 3 con i suoi bracci. Cinte larghe once 5 alte 2 . spessezza once 1 e<br />
.Soprasuola ovvero capo di banda spessezza once due .La larghezza della<br />
carena once 5 di quadra. Dimensione: Larghezza della barca di ..misurata<br />
palmi 37; Larghezza palmi 12; Altezza palmi 4 e<br />
.Prezzo di detta barca posta in mare once 53 pari a Lire 675 e 75 centesimi.<br />
Onze 53 pari Lire 675.75. Filippo Di Vincenzo. Se la sopradetta relazione di<br />
barca la S.V. la vuole costruita con fasciame e materie di rovere il prezzo<br />
donze 58 pari a Lire 739 e centesimi 50.Lire 739.50.<br />
Barca intesa sempre posta in mare.<br />
3
4. INIDIVIDUAZIONE DELLESEMPLARE<br />
<strong>Schifazzo</strong> “SAN GIACOMO”<br />
Realizzato nel 1879 ed iscritto al registro delle navi minori in data<br />
09.10.1947 con le seguenti caratteristiche: lunghezza mt 11,15 (misurata mt.<br />
11.43), larghezza mt. 3,45 (misurata mt. 4.10), altezza 1,15, stazza lorda 10,61,<br />
netta 7,21. Realizzato unitamente ad altre 12/13 imbarcazioni similari per conto<br />
del Barone Adragna fu utilizzato per il trasporto del sale dalle Saline site in<br />
località Isola Grande nello Stagnone di Marsala al porto di Trapani. In seguito<br />
tali imbarcazioni, divennero di proprietà della famiglia Amodeo e continuarono a<br />
fare servizio a Marsala. Furono conferite, al momento della fondazione, nel 1920<br />
al patrimonio della SIES, poi nel 1962 alla S.I.E.S. S.p.a. Negli anni 60 fu<br />
oggetto di lavori di ristrutturazione e venne adibito a diporto-rappresentanza ed<br />
utilizzato dalla famiglia del Cav. Antonio DAli Staiti. Il San Giacomo fu<br />
acquistato dal Rag. Piero Cudia dalla S.I.E.S. S.p.a. con atto notaio Giuseppe Di<br />
Marzo in data 11 gennaio 1973 e donato alla Provincia Regionale di Trapani con<br />
atto Notaio Alfredo Mineo in data 31.12.1999. Secondo la donazione l’Ente<br />
Provincia avrebbe dovuto provvedere al restauro. Dopo un anno dalla donazione<br />
fu eseguita una relazione perizia tecnica per il progetto di restauro eseguita da un<br />
tecnico della stessa Provincia il Geom. Benedetto Mezzapelle con i suggerimenti<br />
dell’ex proprietario Dr. Piero Cudia, il Comandante Diego Giacalone ed il Prof.<br />
Galia del locale Istituto Nautico. Tale documento descrive puntualmente lo stato<br />
d’uso del mezzo (nel novembre 2000) e gli interventi necessari ai lavori di<br />
restauro. Oggi il San Giacomo si trova in Trapani in stato d’abbandono presso il<br />
cantiere navale Guaiana nelle vicinanze del porto peschereccio.<br />
3
DOCUMENTO 7<br />
Estratto dal Registro Navi Minori e Galleggianti dal n. 592 al n.800 (Archivio della<br />
Capitaneria di Porto di Trapani<br />
3
DOCUMENTO 8<br />
Prima pagina Atto di donazione alla Provincia Regionale di Trapani (Archivio Notarile)<br />
3
5. RILIEVO FOTOGRAFICO<br />
Foto 5.1 Vista obliqua: si noti la “cabina” posticcia – foto dell’autore.<br />
Foto 5.2 Vista laterale: si noti la presenza del timone– foto dell’autore.<br />
3
Foto 5.3 Vista da prua – foto dell’autore.<br />
Foto 5.4 Vista da poppa – foto dell’autore.<br />
3
6. SCHEDATURA E RILIEVO DELLE FORME, STATO D’USO<br />
Il rilievo è stato eseguito in due fasi:<br />
• Scheda per le informazioni generali<br />
• Rilievo delle forme<br />
• Stato d’uso: relazione Geom. Mezzapelle anno 2000<br />
Scheda per le informazioni generali<br />
Tipo di imbarcazione: <strong>Schifazzo</strong> Scheda n° 001<br />
<strong>Lo</strong>calità Trapani – Cantiere Guaiana, porto peschereccio.<br />
Lunghezza: mt 11,43<br />
Sporgenza della prua: cm. – 11,5<br />
Larghezza: mt. 4,10<br />
Altezza a prua: mt 1.60<br />
Altezza a poppa: mt 1,14<br />
Altezza al centro: mt 1.27<br />
N° di ordinate: 39<br />
N° di bagli: 26 (latte)<br />
Sporgenza della poppa: cm. – 10<br />
Bolzone di baglio: cm. 19.5<br />
Distanza tra le ordinate: cm. 17,5/23,5<br />
Spessore delle ordinate:<br />
staminali cm. 8 x 9<br />
madieri cm. 10 x 12<br />
Timone: SI Ancore: NO<br />
Albero/i n° 1 Dimensione: h. mt. 8,80<br />
Caratteristiche presumibilmente si tratta dell’originale. Piede a sezione<br />
ottagonale (cm 23) sino all’altezza dei bagli, si raccorda a sezione rotonda a<br />
metri due dalla scassa e si rastrema verso la testa d’albero terminando con il<br />
“calcese” (ringrossamento contenente due pulegge). Modificato in alcuni<br />
particolari: allungamento in testa d’albero oltre la “formaggetta” con elemento<br />
metallico; sistemi di ritenuta e paranco della drizza dell’antenna.<br />
Bompresso SI<br />
Caratteristiche: lunghezza mt. 2.90, diametro cm. 16 si rastrema verso prua a cm<br />
3
10, posizionato in modo fisso al di sopra del dritto di prua (non lateralmente) è<br />
sostenuto inferiormente da elemento ligneo, raccordato alla ruota di prua con<br />
sagoma a “tartana” che sembra essere estraneo al tipo.<br />
Vele n°: NO Tipo: NO Dimensione:<br />
NO<br />
Manovra: Fisse: SI (n.2 stralli; n.2 coppie di sartie) non originali, Mobili:<br />
NO<br />
Legnami impiegati:<br />
Colori: azzurro (opera viva)<br />
Bianco (opera morta)<br />
Sezioni di riferimento: N°3 - Distanza dall’estrema prua: mt 2, mt 4, mt 6<br />
- Larghezza: mt 3,95, mt 4,10 (max), mt 4,00<br />
Proprietario: Provincia Regionale di Trapani<br />
Data di costruzione: 1879 Costruttore: ignoto<br />
Rilievo delle forme<br />
Non sono state rilevate le deformazioni dello scafo, dovute alla<br />
permanenza in cantiere, che comunque si mantengono entro limiti non<br />
apprezzabili visivamente se non in alcuni punti della carena nelle immediate<br />
vicinanze della chiglia nei “corsi di fondo”. Per il rilievo si è predisposta in<br />
cantiere, una griglia geometrica di riferimento con fili posizionati con l’ausilio<br />
di “livella” e “piombo”. Su tale reticolo si è provveduto, in senso inverso di<br />
come si predispone un progetto, a riportare sui diversi piani le forme<br />
dell’esistente. Le tolleranze sono state previste al centimetro e per la restituzione<br />
è stata utilizzata una scala congrua al modello da rappresentare di 1:20 (ridotta<br />
nello schema a scala 1:50).<br />
3
DOCUMENTO 9<br />
Stato d’uso: relazione Geom. Mezzapelle anno 2000<br />
3
DOCUMENTO 10<br />
Computo metrico per il restauro dello scafo<br />
4
Le condizioni di conservazione dello scafo rilevate oggi, confrontate con<br />
la relazione del Geom. Mezzapelle (documento 9 e 10) risultano ulteriormente<br />
peggiorate. La permanenza sullo scalo d’alaggio, senza alcuna protezione specie<br />
dalle temperature torride estive che tendono a seccare il legname perdendo ogni<br />
capacità di resistenza, deformando lo scafo sotto l’effetto del suo stesso peso su<br />
appoggi non uniformi.<br />
4
7. CONFRONTI - STRUTTURE PIANO DEI LEGNI<br />
Di seguito si riporta il piano dei legni di schifazzi ricavati da disegni<br />
dell’Hennique da Corrado Sanfilippo 40 , per un primo confronto con l’esemplare<br />
individuato e per dare indicazioni sulle strutture originarie e un contributo per la<br />
ricostruzione definitiva.<br />
Piano delle forme (Ricostruzione Sanfilippo C.)<br />
Piano dei legni (Ricostruzione Sanfilippo C.)<br />
40 Bellabarba -Guerreri 2002: 200-201.<br />
4
Piano velico (Ricostruzione Sanfilippo C.)<br />
Come si nota da un più attenta visione delle linee dello scafo dello<br />
schifazzo, esso è caratterizzato da una lunghezza al galleggiamento quasi uguale<br />
o minore della lunghezza fuori tutto, cioè priva di slanci di poppa e di prua che<br />
anzi sono di valore negativo poiché rientranti verso il centro dello scafo. Inoltre<br />
il baglio massimo ovvero al maggiore larghezza dello scafo non si trova al centro<br />
dello stesso ma leggermente spostato verso prua. Questa scelta progettuale è<br />
tipica delle imbarcazioni da carico che necessitavano di una maggiore<br />
immersione a fronte del grande peso imbarcato. Essa era determinata, con<br />
l’esperienza di generazioni di costruttori navali, dal fatto di concentrare verso<br />
prua il corpo della carena, la parte più immersa e voluminosa, e lasciare verso<br />
poppa una maggiore lunghezza per raccordare più dolcemente possibile le linee<br />
di carena e ottenere una parte poppiera più filante in modo tale da offrire la<br />
minore resistenza all’avanzamento nell’acqua riducendo il “treno” di onde che<br />
crea la barca al suo passaggio. <strong>Lo</strong> scafo risultava quindi più rigonfio <strong>nella</strong> parte<br />
4
prodiera e ristretto in quella verso poppa. Così descritta la progettazione appare<br />
semplice ma essa è estremamente più complessa. Solo per accennare ad alcune<br />
problematiche basta considerare che, nelle barche a propulsione velica, a causa<br />
dello sbandamento, possono variare le immersioni delle varie parti dello scafo e<br />
quindi le spinte relative e che sotto l’azione del vento la barca tende a<br />
scarrocciare 41 e si rende necessario contrastare questa spinta laterale. Deve<br />
essere inoltre ricercato attraverso opportune forme, l’equilibrio tra il “centro di<br />
deriva” 42 ed il “centro velico” 43 . Per raccordare poi, le superfici esterne tra<br />
l’”opera viva” (la carena) e l’”opera morta” (la parte emersa dello scafo), verso<br />
poppa e prua estrema, assumono forme complesse divenendo più svasate verso<br />
l’esterno sino ad ottenere all’altezza del “trincarino” forme simili tra l estremità<br />
della barca. Per gestire tale complessità i mastri d’ascia utilizzavano per le loro<br />
realizzazioni il sistema costruttivo, empirico, del mezzo garbo,<br />
FOTO 7.1 Mastro Nardo mostra e spiega l’uso del garbo – foto dell’autore 2004.<br />
41 Medas, S. 2000, Spostamento trasversale della nave rispetto alla direzione di rotta, dovuto alla spinta del vento<br />
sulla vela e sullo scafo (da cui scarrocciare).<br />
42 Centro d’applicazione delle forze esercitate dall’acqua sulla parte immersa.<br />
43 Punto di applicazione della forza del vento su una vela o su un piano velico (risultante).<br />
4
FOTO 7.2 Mastro Nardo disegna su cartone un nuovo progetto – foto dell’autore 2004.<br />
Esso, utilizzato per le imbarcazioni minori, riproduceva la mezza sezione<br />
maestra dell’imbarcazione da costruire ed era realizzata in legno dello spessore<br />
di circa un centimetro. Su tale strumento venivano tracciati, dai due lati, alcuni<br />
segni, che permettevano la corretta sagomatura delle ordinate e quindi dello<br />
scafo, determinandone la sagoma, le rotondità, la pancia 44 . In seguito, i maestri<br />
d’ascia, utilizzando il disegno, realizzato su prevalentemente su tavole di legno o<br />
cartoni, definivano le linee del progetto, le ingrandivano al “vero” (scala 1:1) e<br />
ne ricavavano le sagome in legno delle ordinate. Con tali sagome, come<br />
precedentemente con il garbo (nelle diverse posizioni) ricercavano dei tronchi di<br />
legno che avessero lo stesso andamento. Trovato il legno adatto, il mastro<br />
provvedeva a segnarlo da entrambe i lati e i giovani di bottega provvedevano a<br />
tagliarlo segandolo disponendosi in due persone uno sul tronco (il più giovane)<br />
ed un altro sotto, procedendo al taglio lungo i segni. A Trapani nelle botteghe dei<br />
44 Castro, F., 1997<br />
4
mastri marina, vi è l’usanza di conservare di ogni barca realizzata le sagome di<br />
tutte le ordinate, come documento della costruzione, per adattarle all’occorrenza<br />
a successive nuove costruzioni similari, per eseguire copie della stessa<br />
imbarcazione ovvero come testimonianza della propria capacità e delle<br />
commesse portate a termine. Tali sagome (che sopravvivono spesso alla stessa<br />
costruzione) appaiono ai non esperti come semplici “pezzi di legno” e spesso,<br />
non comprendendo la loro funzione vengono dispersi. Costituiscono invece un<br />
documento importantissimo della <strong>cantieristica</strong> navale minore.<br />
A volte, per le realizzazioni più impegnative realizzavano anche il<br />
“mezzo modello” in legno per il controllo complessivo delle forme prima della<br />
costruzione vera e propria.<br />
FOTO 7.3 Al soffitto sono conservati i disegni delle barche realizzate: le sagome – foto<br />
dell’autore 2004.<br />
4
FOTO 7.4 Giovanni D’Acqui mostra il mezzo modello di una costruzione – foto dell’autore<br />
2004.<br />
FOTO 7.5 foto Marzari ’97:337 FOTO 7.6 foto dell’autore 2004<br />
4
FOTO 7.7 foto dell’autore 2004<br />
5
8. RICOSTRUZIONE DEL PIANO VELICO<br />
L’unica fonte storica, da cui possiamo attingere la testimonianza di come<br />
questa barca era fatta, sono gli schizzi di Hennique, storico francese incaricato da<br />
Napoleone Bonaparte di censire le imbarcazioni italiane che nel 1867 rilevò<br />
registrate alla capitaneria di porto di Porto Empedocle 4 schifazzi e 120 in quella<br />
di Trapani. Ben quattro diversi schifazzi furono ritratti da questo autore, ed in<br />
ognuno si possono riscontrare interessanti particolarità dell’attrezzatura. Risulta<br />
in generale con tutta evidenza che questa barca era caratterizzata dalla forma<br />
dello scafo, identica in tutti gli esemplari mentre per l’alberatura vi è una grande<br />
varietà di soluzioni. Dalla diversa tipologia d’armamento si può comunque<br />
comprendere che lo schifazzo presentava ottime qualità veliche e buona<br />
andatura. Nel tempo, si può presumere, si sia avuta una progressiva riduzione<br />
dell’attrezzatura velica ad un sicuro vantaggio delle capacità manovriere. Ciò è<br />
forse dovuto alla necessità di aumentare le capacità di evoluire nei bassi fondali<br />
e nei canali tipici della zone del <strong>trapanese</strong> ed inoltre, ultimo ma non minore, al<br />
fatto che con tale attrezzatura un solo uomo poteva condurre un’imbarcazione<br />
così grande. Da notare inoltre che gli schifazzi visti da Hennique erano impiegati<br />
non per il trasporto del sale, dei tufi o per altre merci ma per la pesca delle<br />
spugne che allora si trovavano ancora numerose sulle coste della Sicilia e della<br />
Tunisia. Sarebbe interessante approfondire il sistema di stivaggio delle piccole<br />
imbarcazioni ritratte vicino gli schifazzi durante la navigazione.<br />
Da tale fonte è possibile ricostruire i diversi armamenti dello schifazzo:<br />
a tre alberi: ha l’albero di trinchetto piantato sull’estrema prora inclinato in<br />
avanti. L’antenna di trinchetto ha un’orza (la manovra che tirava verso il basso<br />
l’estremità anteriore dell’antenna, detta carro nel Mediterraneo occidentale) che<br />
fa “dormiente” sul bompresso, ed addirittura su di un cavaliere scorrevole sul<br />
5
ompresso stesso. Questa antenna di trinchetto, poi, ha la drizza che scende a<br />
poppavia dell’albero, il che significa che questa vela probabilmente non veniva<br />
passata sottovento quando questo avrebbe potuto migliorarne la portanza. Ma<br />
forse, trattandosi di una vela piccola, si riusciva a passare il “carro” nonostante<br />
l’ingombro rappresentato dalla drizza. La vela di maestra non era una vela<br />
propriamente latina, cioè triangolare; l’angolo prodiero era infatti tagliato, sicché<br />
la vela risultava di forma trapezoidale. Simili vele latine col pizzo tagliato<br />
appaiono spesso sulle barche arabe, tanto che molti le hanno volute definire<br />
“latine arabe”;<br />
Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:198.<br />
5
A due alberi: Questo secondo esemplare di schifazzo porta all’estrema poppa<br />
una mezzana con vela aurica, che potremmo definire al quinto. Vele di questo<br />
genere erano in uso nell’alto Adriatico e nelle aree lagunari padane, ma non in<br />
altre zone del Mediterraneo. Nel Mediterraneo centrale vi era una versione<br />
trapezzoidale della vela latina, ma non definibile come vela al terzo o al quinto.<br />
Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:203.<br />
5
A due alberi: un altro schifazzo ritratto da Hennique mostra un’alberatura meno<br />
originale, vale a dire due latine, maestra e trinchetto ed un solo fiocco. Anche<br />
qui, l’antenna di trinchetto ha la drizza a poppavia dell’albero. Tutti gli<br />
esemplari portano in testa d’albero dei bozzelli, per i quali poteva essere filata<br />
una drizza per issare delle gabbiole volanti;<br />
Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:200.<br />
5
A un solo albero: questo esemplare di schifazzo portava una grande vela latina<br />
più due fiocchi. Questo schifazzo fu ritratto da Hennique in prospettiva, di prora,<br />
in un momento di pausa durante una pesca di spugne (che si notano issate ad<br />
asciugare con l’ausilio di due paranchi). Il taglio della parte anteriore della latina<br />
appare chiaramente visibile. Della vela maestra, infatti, a prora ne manca un<br />
pezzo, il che permette di far portare meglio una trinchettina, chiamata anche<br />
cavalla o pilaccune.<br />
Disegno Hennique, Bellabarba-Guerreri, 2002:203.<br />
5
Come si nota il mezzo poteva portare molta “tela” al vento. I diversi<br />
armamenti richiedevano differente numero di marinai e differenti capacità<br />
nautiche degli stessi. Possiamo supporre che sulle rotte lunghe venissero<br />
utilizzati gli armamenti più complessi e frazionati ma con maggiore capacità di<br />
spinta specie nelle andature portanti, mentre per le tratte più brevi venisse<br />
preferito un armamento più semplice che consentisse l’utilizzo di un equipaggio<br />
ridotto (fino a alla condotta di un singolo marinaio), capace di migliori qualità<br />
manovriere necessarie sottocosta. In ogni caso era necessaria molta perizia per la<br />
condotta “sotto vela” dello schifazzo poiché l’equipaggio era, in ogni caso<br />
quello strettamente necessario e la velatura, certamente di dimensioni<br />
mediterranee, esponeva al vento la superficie massima possibile con la<br />
tecnologia al tempo disponibile. Sull’ultima tipologia di piano velico, e cioè<br />
quella ad un albero, giunta sino quasi ai nostri giorni, è possibile fare un<br />
approfondimento grazie ad un documento inedito che costituito da un libretto 45<br />
di accompagnamento allo schifazzo San Luigi, oggi andato perduto, anch’esso<br />
confluito come quota per la costituzione della prima Società S.I.E.S.<br />
45 Archivio privato Sig. Roberto Musmeci: formato cm 10.7 x 15.6, composto da 10 fogli con copertina in carta<br />
pergamena e laccio di chiusura.<br />
5
DOCUMENTO 11<br />
Libretto che porta nel frontespizio la seguente dicitura -N.135 <strong>Schifazzo</strong> T8 San Luigi nel<br />
quale sono annotate tutte le attrezzature di bordo (archivio privato Sig. Roberto Musmeci)<br />
5
Maestra<br />
Pelaccone grande<br />
Scotta di pelacconello<br />
Scotta di mangiamento<br />
Mante<br />
Mante gabbia grossa<br />
Mante gabbia piccola<br />
Ciunco<br />
Menale mante gabbia grossa<br />
Manale manta gabbia piccola<br />
Stroppo mante gabbia grossa<br />
Stroppo mante gabbia piccola<br />
Stroppo di taglione<br />
Taglione<br />
Bracotti<br />
5
Antenna<br />
Albero<br />
Soprantenna<br />
Legane d’antenna<br />
Davanti<br />
Montone<br />
Stroppo davanti (16/11 80)<br />
Stroppo montine<br />
Staso<br />
Ferro grosso<br />
Ferro piccolo<br />
Palamaro<br />
Paleggio<br />
Colonne di farrie<br />
Stroppo di farrie<br />
5
Menale di farrie<br />
Bigliolo<br />
Sassola<br />
Bozzelli<br />
Schifazzari 5/2 81 Baldassare La Francesca<br />
Dei termini sottolineati, non si comprende il significato e lo studio<br />
necessita di un ulteriore approfondimento. L’attrezzatura elencata sembra<br />
prevedere oltre randa e due fiocchi una controranda (gabbia) inferita 46 in un<br />
secondo albero mobile (contrantenna). Quindi anche lo schifazzo di salina di fine<br />
secolo (i numeri riportati nel libretto si ritiene siano abbreviazioni di date: 16<br />
novembre 1880 5 febbraio 1881) utilizzava un’attrezzatura piuttosto complessa<br />
come la controranda per aumentare la capacità di spinta delle vele.<br />
46 Medas, S. 2000, Collegata agli alberi mediante una cima.<br />
6
9 . CENSIMENTO DEGLI ULTIMI SCHIFAZZI<br />
• MIZAR<br />
Acquistato dal Dott. Florio Alagna dalla SIES, è uno schifazzo da cantuni,<br />
costruito agli inizi del 900 è stato sottoposto a lavori di “allungamento”. E’ oggi<br />
navigante e visibile presso il porto di Marsala;<br />
• PENELOPE (Non è il nome originale)<br />
Acquistato dalle Famiglie Alagna Pellegrino, negli anni ‘60/70 (non si conosce<br />
la precedente proprietà), faceva servizio tra Marsala e Favignana. E’ stato<br />
acquistato dalla Sig.ra Martina Alagna, trasferito a Talamone, rientrato a Trapani<br />
è stato venduto a Milazzo oggi sede di armamento dove svolge attività di charter<br />
alle Eolie;<br />
• (senza nome)<br />
<strong>Schifazzo</strong> modificato <strong>nella</strong> prua e <strong>nella</strong> poppa dal maestro d’ascia mastro<br />
“Liddu” Stampa è oggi di proprietà di Mondo X e si trova conservato presso<br />
l’Isola di Formica;<br />
• SOLEDAD<br />
Uno degli schifazzi che era stato sottoposto a lavori di allungamento, stato per<br />
decenni di proprietà della famiglia Forgia. Veduto nel 1999 a Napoli ed<br />
affondato durante una traversata nell’ inverno 2002 47 ;<br />
• FIUME PLATANI (Eppuru si move)<br />
Ultimo schifazzo costruito a Trapani. Realizzato negli anni ’60, dal mastro<br />
d’ascia Leonardo Giovanni Barraco detto “mastro Nardo” per conto della Sig.na<br />
Gandolfo di Favignana è stato venduto anni addietro ed oggi si trova a<br />
47 Intervista ai Sig.ri Fabrizio e Dario Forgia si veda bibliografia.<br />
6
Fiumicino. Eppuru si move è stato il sopranome dato alla barca dalla gente di<br />
mare. Il mezzo, in uno dei primi viaggi per Favignana, affondò appena fuori il<br />
porto. Nel tragico incedente perse la vita uno dei tre uomini d’equipaggio.<br />
Recuperato, lo schifazzo fu riparato dallo stesso costruttore e rimesso in breve<br />
tempo in mare a navigare. Da qui la ‘ngiuria (sopranome) 48 .<br />
• (senza nome)<br />
Si è avuta notizia di uno schifazzo abbandonata su una banchina nel porto di<br />
Genova 49 ;<br />
• GESU’, GIUSEPPE E MARIA<br />
Schifazzeddu realizzato verso la fine degli anni ’20, forse dal Cantiere Stabile,<br />
viene registrato per la prima volta nel 1937. Facente parte di una commessa per<br />
la costruzione di due imbarcazioni simili, fu utilizzato quale “postale” per l’isola<br />
di Levanzo fino alla metà degli anni ’60 (N. B. nel 1965 entrò in linea il primo<br />
aliscafo Rodriquez: Pinturicchio). Appartenuto in seguito al Not. Di Marzo, poi<br />
al Rag. Cudia ed in seguito al Cantiere Bonanno di Marsala, fu acquistato dal<br />
Sig. Elio Catalano è ora di proprietà dell’Associazione Armatori Amici dello<br />
<strong>Schifazzo</strong>, con sede in Trapani. L’associazione senza scopo di lucro, ne ha<br />
provveduto al restauro. L’imbarcazione è navigante e visibile presso la LNI di<br />
Trapani. Viene messa a disposizione a richiesta per attività didattiche e<br />
divulgative;<br />
48 Intervista al Sig. (mastro Nardo) Leonardo D’Amico, si veda bibliografia.<br />
49 Intervista al Com.te Franco Bosco, si veda bibliografia.<br />
6
FOTO 9,1 <strong>Lo</strong> schifazzeddu Gesù. Giuseppe e Maria – foto Avv. Vito Scuderi<br />
2002<br />
6
10. IL VINCOLO<br />
Per il “San Giacomo”, la sua storia e le sue caratteristiche, può essere<br />
richiesto il riconoscimento di “bene culturale” e l’apposizione del vincolo di<br />
salvaguardia. Tale procedura, che prende spunto dalle precedenti norme di tutela,<br />
è prevista, per i beni mobili e specificatamente per le imbarcazioni, <strong>nella</strong> nuova<br />
legge sulla Nautica (Legge 8.07.2003, n 172). Infatti all’art. 7 della stessa legge,<br />
che riprende concettualmente tutte le disposizioni sancite dal Testo Unico n° 490<br />
(Legge 1089/’49), viene definita la categoria delle barche di “valore storico”.<br />
Questo concetto è innovativo per la nautica e contempla la riconduzione a<br />
beni culturali delle unità da diporto “storiche” e, comunque, con particolari<br />
valori <strong>nella</strong> storia della nautica e della marineria. In particolare il comma I.<br />
considera beni culturali (DL n° 490) con più di 25 anni di età (la precedente legge<br />
1089 ne contemplava 50 anni) e che possiedono particolari requisiti in merito a<br />
peculiarità progettuale, tecnica o ingegneristica <strong>nella</strong> costruzione e nei materiali<br />
adottati; traguardi sportivi o tecnici; interesse storico o etnologico; sviluppo<br />
sociale o economico del Paese; riproduzioni storiche. Il comma 3 definisce una<br />
commissione che esprima opinione sulla rispondenza ai requisiti richiesti e<br />
sull’individuazione di eventuali interventi di restauro e recupero, nonché le<br />
relative professionalità atte ad intervenire in tal senso. Il comma 5 richiama<br />
l’applicazione del DL 29/10/1999 n° 490 <strong>nella</strong> parte che regola tutte le eventuali<br />
prerogative, opportunità ed obblighi connessi all’identificazione di “bene<br />
culturale”.<br />
I risvolti per le unità navali possono essere molteplici: dalla possibilità di<br />
contributi ai restauri alle misure conservative; da facilitazioni per la mobilità del<br />
mezzo, all’impiego in mostre; dalla possibilità di ottenere contributi per la<br />
ricerca al premio per il ritrovamento; dall’esproprio, all’impiego per scopi<br />
6
scolastici e didattici; dalla contraffazione ai danneggiamenti ed alle relative<br />
sanzioni.<br />
riportate.<br />
Le modalità sulla procedura di richiesta a vincolo sono di seguito<br />
La richiesta del vincolo, può essere inoltrata da qualsiasi soggetto ente,<br />
associazione, privato cittadino, anche non proprietario. La richiesta può essere<br />
inoltrata sia nel caso di una barca già restaurata, che in caso, come il presente, di<br />
una imbarcazione da sottoporre a restauro. Dovrà essere redatto un documento<br />
che attesti tutti i requisiti richiesti sull’identificazione del bene ed il “profilo<br />
storico”. Questo dovrà essere redatto da un professionista del settore<br />
archeologico navale, etnologo appartenente ad un Istituto riconosciuto. Alla<br />
relazione dovranno essere allegate le fotografie, l’eventuale certificato di stazza<br />
dell’imbarcazione ed ogni altra documentazione ritenuta utile ad attestare<br />
l’importanza del bene e comunque la rispondenza dello stesso ai requisiti<br />
previsti dalla Legge. La documentazione completa dovrà essere inviata a mezzo<br />
raccomandata, alla Soprintendenza per i BB. CC. AA. di zona che provvederà,<br />
qualora lo ritenga opportuno, avviare un procedimento di vincolo ai sensi delle<br />
leggi in materia e ad inoltrare tale documentazione al Ministero per i Beni<br />
Culturali e Ambientali – Ufficio Centrale per i Beni Archeologici Architettonici<br />
Artistici e Storici – V Divisione – Roma. Espletate tutte le procedure di legge,<br />
viene emesso un decreto di tutela a firma del Direttore Generale<br />
dell’Assessorato regionale ai BB. CC.AA. con successiva notifica all’armatore<br />
proprietario. L’imbarcazione, ottenuto il riconoscimento richiesto, dovrà essere<br />
conservata, mantenuta, restaurata, ed anche eventualmente ceduta, seguendo<br />
quanto previsto dalle leggi in vigore.<br />
6
Normativa di riferimento<br />
• Legge 1.06.1939, n° 1089 Tutela del patrimonio storico artistico, demo-<br />
etno-antropologico, archeologico,archivistico, librario;<br />
• Decreto Legislativo 3.12.1993, n° 29;<br />
• Legge 8.10.1997, n° 352 Disposizione sui beni culturali;<br />
• Decreto Legislativo – Testo Unico 29.10.1999, n° 490 Testo unico delle<br />
disposizioni in materia di beni culturali ed ambientali, a norma dell’art.<br />
1 della legge 8 ottobre 1997, n.352;<br />
11. CONCLUSIONI<br />
Questa ricerca è intesa a dare un contributo di conoscenza indispensabile<br />
per il successivo recupero dell’imbarcazione. La pratica della tutela della<br />
conservazione e del recupero si è estesa oggi a tutto il patrimonio culturale anche<br />
“minore”, e pertanto anche al nostro schifazzo, e poiché questo si è conservato<br />
attraverso la “memoria collettiva” della società cui appartiene, diviene produttore<br />
e riproduttore di cultura ed il suo recupero ne spiega l’utilità sociale. La pratica<br />
del restauro > 50 . Il “San Giacomo”, l’esemplare da noi<br />
individuato, è ancora recuperabile. L’impresa è tecnicamente fattibile, poiché la<br />
<strong>cantieristica</strong> locale ha ancora le capacità tecnica d’intervenire e le conoscenze<br />
navali antiche non sono ancora del tutto andate disperse e le recenti normative<br />
consentendo l’apposizione “ufficiale” del vincolo di salvaguardia e tutela<br />
potrebbero evitarne un ulteriore degrado. Il mezzo restaurato, poi, anche<br />
50 Carbonara, G., 1996, vol I: pp. 5 – 7, 10 -14.<br />
6
sull’esperienza di simili recuperi già attuati in italia 51 , potrebbe riprendere il mare<br />
e avere un futuro come strumento didattico presso la nostra sede universitaria.<br />
Si ringraziano:<br />
Giampiero Musmeci<br />
Associazione Armatori Amici dello <strong>Schifazzo</strong> nelle persone dell’Avv.<br />
Vito Scuderi, Sig. Elio Catalano, Dott. Nicola Scariano;<br />
Rag. Piero Cudia;<br />
Dott. Giuseppe Pino Fuggiano;<br />
Sig. Davide Grasso;<br />
Sen. Antonio d’Ali Solina;<br />
Prof. Pietro Monteleone;<br />
Lega Navale Sez. di Trapani;<br />
Liceo Scientifico Fardella Trapani.<br />
51 Intervista al Dott. Pino Fuggiano.si veda bibliografia. Risultano sottoposte a vincolo (ancora con la legge<br />
1089/39) almeno cinque imbarcazioni: Anno 1997 – lancia romagnola a due alberi – “Assunta” – Proprietà<br />
Marini – Cervia; Anno 1998 – lancione romagnolo-marchigiano a due alberi – “Saviolina” già “Nino Bixio” –<br />
proprietà Comune di Riccione- Armatore Club Nautico Riccione; Anno 1998 – leudo rivano – “Dominica Nina”<br />
ex San Marco – proprietà Passigli Armando.<br />
6
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INTERVISTE (effettuate nel periodo ottobre 2003 gennaio2004)<br />
Com.te Franco Bosco<br />
Rag. Piero Cudia<br />
Sig. Leonardo D’Amico<br />
Cav. Antonio d’Alì Staiti<br />
Dott. Giacomo d’Alì Staiti<br />
Sig.ri. Fabrizio e Dario Forgia<br />
Dott. Piero Fuggiano<br />
7
ALTRE FONTI<br />
Archivio privato<br />
- Sen. Antonio D’Ali Solina, n.5 documenti: Relazione per le barche; Relazione<br />
di una mosciara, lettera di presentazione, convenzione per la realizzazione di otto<br />
mugare; Relazione per una barca da galleggio (databili tra la fine dell’ Ottocento<br />
ed i primi del Novecento).<br />
- Sig. Roberto Musmeci, n.1 documento: Libretto contenete le attrezzature dello<br />
schifazzo N. 135, T8, San Luigi, formato cm 10.7 x 15.6, composto da 10 fogli<br />
con copertina in carta pergamena e laccio di chiusura (databile 1880 -1881).<br />
Raccolta privata<br />
- Rag. Piero Cudia, n. 4 elementi: Campione di legname denominato “legno<br />
santo” dimensioni cm 19,8 x 7 x 5,8; Paranco a tre vie dell’amante dell’antenna<br />
composto da Taglione in legno cm 39 x 16 x19 e Taglia cm 44 x 11 x 13,5;<br />
Imbuto da calafato cm 52 diametro cm 14,5;<br />
- Avv. Vito Scuderi, n. 1 elemento: elemento mobile di coperta per il rimando<br />
per cime di ormeggio o rimorchio.<br />
SITI INTERNET DI RIFERIMENTO<br />
Dizionario termini nautici in <strong>trapanese</strong>, http://www.trapanisiannu.it/marinai.htp<br />
RONCI, E., <strong>Lo</strong> <strong>Schifazzo</strong>, in Bacheca dei vecchi cantieri italiani,<br />
http://www.modellismonavale.com/schifazzo,htm.<br />
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