POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...
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correnti <strong>di</strong> pensiero fino ad anni recenti separate o in<br />
contrasto tra loro (marxismo, femminismo, decostruzionismo<br />
filosofico, antropologia <strong>cultura</strong>le), spaziano<br />
dalla letteratura alla storia, alla psicanalisi,<br />
all’economia. Ad esse collaborano reti <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>osi europei<br />
e occidentali, ma anche asiatici, caraibici, latino<br />
americani o africani. Tutti influenzati in vari mo<strong>di</strong> da<br />
Marx, da Gramsci, dallo strutturalismo e dal poststrutturalismo<br />
dei francesi Derrida, Foucault, Barthes,<br />
Althusser; ma anche da Martin Bernal, autore <strong>di</strong> Atena<br />
nera, un libro importante del 1991 sulla centralità della<br />
storia dell’Egitto nero per la civiltà della Grecia antica,<br />
che gli stu<strong>di</strong> accademici nell’Ottocento avevano cancellato<br />
per dare all’Europa un’ere<strong>di</strong>tà bianca ellenistica<br />
e – per il progetto dei Subaltern Stu<strong>di</strong>es - dagli storici<br />
britannici come E. P. Thompson e E. Hobsbawm.<br />
Sulla scia <strong>di</strong> questi autori, gli stu<strong>di</strong>osi postcoloniali<br />
hanno <strong>critica</strong>to gli aspetti eurocentrici<br />
dell’Illuminismo; e insistito sul fatto che il soggetto<br />
conoscente dei popoli “altri” è stato colonialista, bianco<br />
e maschio, ha incorporato idee in<strong>di</strong>gene per rafforzare<br />
il proprio dominio (gli ingegneri britannici in In<strong>di</strong>a<br />
poterono realizzare ponti e <strong>di</strong>ghe consultando gli<br />
esperti locali), elaborato immagini <strong>di</strong> africani, turchi,<br />
musulmani o «abitanti dell’In<strong>di</strong>a» in modo da rafforzare<br />
il cliché <strong>di</strong> un’Europa e <strong>di</strong> un Occidente <strong>di</strong>fferenti e<br />
più civili del “resto del mondo”. Hanno anche documentato<br />
che, intrecciando fatti e finzioni, la vasta letteratura<br />
<strong>di</strong> viaggio prodotta dagli scrittori “imperiali” e<br />
la stessa scienza moderna hanno e<strong>di</strong>ficato una visione<br />
razzista dell’umanità <strong>di</strong> stampo eurocentrico fin dal<br />
Settecento; e che la stessa teoria dell’evoluzione <strong>di</strong><br />
Darwin ha fatto da base a varie ideologie <strong>di</strong> supremazia<br />
razziale dalla fine dell’Ottocento ad oggi.<br />
Questa in<strong>di</strong>spensabile e ampia premessa sul<br />
«postcolonialismo» dovrebbe invogliare alla lettura<br />
del n. 23 della rivista DeriveAppro<strong>di</strong>, uscito nell’ormai<br />
lontano giugno 2003. Il numero contiene articoli<br />
d’inchiesta a carattere regionale e <strong>di</strong> taglio militante<br />
(dalla Kabylia alla Nigeria, al Sudafrica post-apartheid,<br />
all’Argentina delle «fabbriche sociali», ecc.) proprio<br />
sugli attuali «movimenti postocolinali». Ma per un preliminare<br />
inquadramento teorico dell’argomento appaiono<br />
utili soprattutto sette saggi e un’intervista. Li<br />
elenco in<strong>di</strong>cando la pagina: Sandro Mezzadra, Federico<br />
Rahola, La con<strong>di</strong>zione postcoloniale, p. 7; Nirman Puwar,<br />
Parole situate e politica globale, p.13 ; François<br />
Cusset, Il dominio è <strong>di</strong> ogni colore, intervista a Gayatry<br />
Chakravorty Spivak, p. 20; 25, Dipesh Chakrabarty,<br />
Dopo i Subaltern Stu<strong>di</strong>es: globalizzazione, democrazia<br />
e futuri anteriori, p. 25; Marcello Tarì, Gli Stu<strong>di</strong> Subalterni<br />
(e postcoloniali) ci riguardano?, p. 32; 37, Robert<br />
J.C. Young, Germinazioni postcoloniali: da Bandung<br />
a L’Avana, p. 37; Yann Moulier Boutang, Ragione<br />
meticcia, p. 50; Miguel Mellino, L’ora delle <strong>di</strong>aspore.<br />
Genealogia <strong>di</strong> un soggetto postcoloniale, p. 54.<br />
Due unici appunti critici: 1) la rivista per ciascuno<br />
degli autori si limita a in<strong>di</strong>care solo l’università<br />
in cui opera e una lista non ragionata <strong>di</strong> riferimenti bibliografici,<br />
senza andare incontro alle <strong>di</strong>fficoltà o alla<br />
curiosità <strong>di</strong> lettori non specialisti, che per un tema in<br />
Italia trascurato avrebbero bisogno <strong>di</strong> un apparato <strong>di</strong><br />
note necessariamente puntiglioso e non essere immessi<br />
quasi <strong>di</strong> botto nel <strong>di</strong>battito dei piani alti della <strong>cultura</strong><br />
transnazionale; 2) la grafica, che privilegia la fotografia,<br />
risulta alquanto <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata, priva <strong>di</strong> <strong>di</strong>dascalie e<br />
sembra riempire dei vuoti o in alcuni casi poco coerente<br />
con il contenuto dei testi.<br />
Il mio “giro <strong>di</strong> giostra” è stato necessariamente<br />
selettivo e, nel renderne qui conto, mi soffermo su<br />
due questioni: 1) la <strong>ricerca</strong> storica dei Subaltern Stu<strong>di</strong>es<br />
e 2) la problematica legata al concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza,<br />
in particolare quella <strong>di</strong> genere, per concludere con<br />
3) un sunto critico del saggio introduttivo <strong>di</strong> Mezzadra<br />
e Rahola:<br />
1) I Subaltern Stu<strong>di</strong>es prendono <strong>di</strong> petto il carattere<br />
astrattamente universale della storiografia moderna,<br />
europea e occidentale. Questi <strong>ricerca</strong>tori, rileggendo<br />
al <strong>di</strong> fuori dell’ideologia del «terzomon<strong>di</strong>smo»<br />
degli anni ’50-’60 i classici dell’anticolonialismo (Fanon,<br />
Césaire, Senghor, ecc.), vogliono riportare in superficie<br />
la «molteplicità <strong>di</strong> storie» che il colonialismo<br />
ha travolto o <strong>di</strong>sposto in una successione per «sta<strong>di</strong>»<br />
(popoli primitivi-popoli civilizzati; paesi sottosviluppati-paesi<br />
sviluppati) allo scopo <strong>di</strong> ricondurle a un’unica<br />
Storia, quella regolata dall’idea astratta <strong>di</strong> Progresso.<br />
Fondatore dei Subaltern Stu<strong>di</strong>es è stato Ranajit<br />
Guha, storico ed economista in<strong>di</strong>ano. Egli ha analizzato<br />
le insurrezioni e le forme <strong>di</strong> resistenza delle masse<br />
conta<strong>di</strong>ne e dei poveri nell’In<strong>di</strong>a coloniale dal Settecento<br />
al Novecento. E ha contrapposto le altre storie<br />
dei gruppi ritenuti marginali (donne, minoranze, rifugiati,<br />
esiliati, ecc.) non solo a quella scritta dal punto <strong>di</strong><br />
vista dei colonizzatori inglesi, ma anche a quella<br />
dell’élite in<strong>di</strong>ana che ad essi si contrappose (Gandhi,<br />
Nehru, Jinnah).<br />
Mosso da grande passione politica e convinto<br />
– come scrive Said - che «riscrivere la storia in<strong>di</strong>ana<br />
oggi sia una prosecuzione con altri mezzi della lotta tra<br />
le masse in<strong>di</strong>ane e il Raj [sovrano, sovranità, dominio<br />
coloniale] britannico», per riportare alla luce tali storie<br />
alternative, ignorate o soppresse dalla storiografia ufficiale,<br />
Guha è ricorso a fonti <strong>di</strong>verse, come la raccolta<br />
<strong>di</strong> memorie popolari (storia orale), o ha reinterpretato i<br />
documenti dell’amministrazione coloniale, le testimonianze<br />
pubbliche e private, le lettere, i documenti<br />
commerciali.<br />
È sorprendente, come fa presente Marcello<br />
Tarì nel suo articolo, l’inconsapevole parentela tra questo<br />
metodo d’indagine storica e le ricerche sviluppatesi<br />
dopo il 1945, soprattutto nel Meri<strong>di</strong>one d’Italia e a partire<br />
dai lavori <strong>di</strong> Ernesto De Martino e poi <strong>di</strong> Cirese, Di<br />
Nola e Bosio. Né si deve trascurare che lo stesso termine<br />
‘subalterni’ emblema <strong>di</strong> questi stu<strong>di</strong>, oggi quasi<br />
scomparso dal nostro lessico politico, sia stato ripreso<br />
da Gramsci, che l’aveva coniato al posto <strong>di</strong> ‘proletario’<br />
per sfuggire alla censura dei suoi carcerieri fascisti. Ed<br />
è anche da notare che il termine era un ampliamento<br />
del più ristretto concetto marxiano <strong>di</strong> ‘classe’, <strong>di</strong> solito<br />
riferito esclusivamente alla classe operaia industriale e<br />
quin<strong>di</strong> metropolitana, cioè dei paesi colonizzatori e che<br />
era implicitamente opposto al termine ‘dominante’ (o<br />
Poliscritture/Sulla giostra delle riviste 78