11.06.2013 Views

POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...

POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...

POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

iconico del progressivo decomporsi del corpo, o,<br />

circostanziando, come il progressivo separarsi <strong>di</strong><br />

corpo ed intelletto, fino ai versi finali “Dolore della<br />

mente è il mio dolore | per il mio mondo… e<br />

per l’altro maggiore…” che sanciscono quella separazione<br />

e la natura totalmente mentale della pena<br />

(mentre il corpo, che è la scrittura, è forse luogo<br />

della salvazione).<br />

L’orizzontalità è, invece, innanzitutto il luogo della<br />

sintassi: sintassi della parola e del corpo nel<br />

nuovo stato (“colliquativo”). L’endecasillabo non<br />

è solo il metro <strong>di</strong> scansione della parola e della<br />

musicalità del verso, ma anche il ritmo della <strong>di</strong>ssoluzione<br />

del corpo, del suo affondare. Sarebbe<br />

interessante stu<strong>di</strong>are le modalità <strong>di</strong> posizionamento<br />

delle cesure all’interno dell’endecasillabo, 36 la<br />

sua funzione in questa poesia. Certo è che la cesura<br />

è una pausa secondaria rispetto a quella <strong>di</strong> fine<br />

verso, e che l’endecasillabo non ha cesura fissa<br />

ma mobile. In questo testo si può vedere molto<br />

chiaramente: i vv. 1, 5, 6, 7, 8, 10 hanno accento<br />

in sesta (e talvolta ottava) sillaba e per lo più un<br />

settenario iniziale (ci sono <strong>di</strong>versi endecasillabi a<br />

maiore), dopo il quale la cesura è piuttosto blanda<br />

(tranne ai vv. 6-7, dove è marcata dalla punteggiatura).<br />

I vv. 2, 3, 4, 9 e 11 hanno accenti in quarta e<br />

sesta, e in questo senso sono piuttosto classici.<br />

Non fosse che hanno delle cesure molto forti tra le<br />

due sillabe accentate (tranne il v. 3. piuttosto fluido),<br />

ed in specie cesure sintattiche affidate alla<br />

virgola che a tutti gli effetti scinde i versi in due<br />

emistichi autonomi ed impe<strong>di</strong>sce in due casi la sinalefe<br />

(vv. 4 e 11). Il v. 9 non ha la virgola ma la<br />

cesura rispetta la stessa scansione del v. 2, del<br />

quale è isomorfo: questo isomorfismo può essere<br />

una spia importante. Se <strong>di</strong>fatti al v. 2 “sotto il mio<br />

dolore” c’è un tutto buio e in<strong>di</strong>stinto, in questo caso<br />

a sopportare il peso del dolore è un io presente<br />

a se stesso, ancora mentalmente resistente, come<br />

<strong>di</strong>cono i due versi successivi. Il <strong>di</strong>scendere della<br />

morte ha come controparte, nell’orizzontalità, una<br />

progressiva acquisizione <strong>di</strong> presenza a sé dell’io<br />

monologante, una resistenza della vita mentale alla<br />

morte del corpo: letteralmente, allo sgocciolio<br />

(v. 8) <strong>di</strong> quello si oppone il ringorgo della mente<br />

(v. 9).<br />

36 Quella della presenza o meno della cesura<br />

nell’endecasillabo è a <strong>di</strong>re il vero questione molto controversa<br />

e <strong>di</strong>battuta dai metricisti. Cfr. I. Baldelli, Endecasillabo, in<br />

Enciclope<strong>di</strong>a Dantesca,I, pp. 672-676, 1970; Elwert, Versificazione<br />

italiana dalle origini ai giorni nostri (1968), Firenze,<br />

Le Monnier, 1973; G. L. Beccaria, L’autonomia del significante.<br />

Figure del ritmo e della sintassi, Torino, Einau<strong>di</strong>,<br />

1975; C. Di Girolamo, Teoria e prassi della versificazione,<br />

Bologna, Il Mulino, 1976 e Dal verso metrico al verso libero,<br />

in A. Pietropaoli, Materiali per lo stu<strong>di</strong>o del verso libero in<br />

Italia, Napoli, E<strong>di</strong>zioni Scientifiche italiane, 1994.<br />

Se dovessimo trovare un corrispettivo sintattico<br />

al “ringorgare” della mente in questo testo,<br />

esso starebbe certo nelle cesure. Le cesure infatti<br />

marcano il rallentamento del flatus voci in maniera<br />

mobile, non stabile (non <strong>di</strong>mentichiamo<br />

l’attenzione della Valduga per la pratica performativa<br />

dell’oralità); marcano l’alternanza <strong>di</strong> flui<strong>di</strong>tà<br />

(in particolare i vv.1, 3, 5, 8 ), progressiva <strong>di</strong>ssoluzione<br />

verso est da una parte, e resistenza, anche<br />

se oramai solo mentale, “in intellectu”, dall’altra.<br />

In modo non <strong>di</strong>ssimile, il sistema <strong>di</strong> rime baciate è<br />

sia un modo <strong>di</strong> far scivolare compattamente (a<br />

blocchi, come a gra<strong>di</strong>ni) il testo verso la chiusa,<br />

sia un modo <strong>di</strong> opporre, per via della medesima<br />

compattezza, una sorta <strong>di</strong> resistenza allo scivolamento.<br />

In questo senso, esse, più che avere una<br />

funzione eufonica, hanno una funzione strutturale<br />

“strofica” ed insieme strutturale “versale” giacché<br />

stabiliscono un limite alla nostra percezione dello<br />

spazio orizzontale (versale) del testo, ed insieme il<br />

senso del passaggio verso il basso, del <strong>di</strong>scendere<br />

(strofico).<br />

Non è forse azzardato sostenere che cesure e rime<br />

siano il corrispettivo sintattico della porta che “si<br />

interpose” marcando uno spazio sempre più ristretto<br />

(il testo), che solo se simmetricamente riversato<br />

dal mondo nel buio dolore della mente<br />

può accogliere il tempo della storia (come se, capovolgendo<br />

la clessidra, cambiasse la materia del<br />

tempo). In un certo senso cesure e rime <strong>di</strong>segnano<br />

spazialmente il luogo della clausura e del <strong>di</strong>battimento<br />

del corpo e della mente dell’io monologante:<br />

solo al lettore è offerta, e meglio consegnata, la<br />

possibilità <strong>di</strong> fare <strong>di</strong> quelle clausure, dolori e <strong>di</strong>battimenti<br />

il momento <strong>di</strong> ri-inizio dell’azione nella<br />

Storia.<br />

***<br />

C’è, <strong>di</strong>cevo, un punto del testo che solo ad una ripetuta<br />

lettura, una lettura mirata, fa problema. Lo<br />

faccio presente nella forma <strong>di</strong> un’esperienza personale<br />

<strong>di</strong> lettura, per mettere in evidenza come la<br />

percezione <strong>di</strong> un testo - in quanto iconicamente<br />

strutturato - chiama in causa per certi versi una<br />

competenza <strong>di</strong> tipo strutturale, per altro la proiezione<br />

sul testo <strong>di</strong> attese latamente estetiche a partire<br />

dalle quali la ricostruzione del senso operata dal<br />

lettore interprete – nell’iterazione degli approcci,<br />

delle letture, nella verifica degli strumenti – può<br />

incorrere nell’auto-inganno. Ciò non significa affatto,<br />

però, che non stia proprio in questo il nodo<br />

dei no<strong>di</strong>: può trattarsi, paradossalmente, <strong>di</strong> un lauto<br />

inganno.<br />

Il punto in questione è relativo al primo verso:<br />

“Poi goccia a goccia misuro le ore”. In particolare,<br />

nella mia memoria <strong>di</strong> quel verso il sintagma avverbiale<br />

“goccia a goccia” rimuginava al punto<br />

Poliscritture/Letture d’autore 70

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!