11.06.2013 Views

POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...

POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...

POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...

SHOW MORE
SHOW LESS

You also want an ePaper? Increase the reach of your titles

YUMPU automatically turns print PDFs into web optimized ePapers that Google loves.

perché non mi si veda, che chissà,<br />

può venire un collasso a chi mi guarda.<br />

Non ne so niente, non mi riguarda,<br />

ma i miei occhi, oh i miei occhi, le cose<br />

che hanno visto i miei occhi, o se paurose!<br />

Poi il buio, e la porta si interpose.<br />

Quest’ultimo verso sancisce l’abbandono<br />

dell’or<strong>di</strong>ne logico-razionale retto dall’intelletto<br />

che posiziona gli eventi nel tempo. Quell’or<strong>di</strong>ne<br />

risulta palesemente invertito: è la porta che chiudendosi<br />

delimita il buio, entità del tutto simbolica<br />

che sta in figura della morte. La temporalità viene,<br />

da questo momento in poi, abolita: nel tempo <strong>di</strong>latato<br />

dell’osmosi <strong>di</strong> vita e morte (una “piccola eternità”,<br />

come si <strong>di</strong>rà, conclusa dai limiti tipografici<br />

della scrittura), nel tempo non-misurabile del<br />

passaggio la sola <strong>di</strong>mensione possibile è la spazialità<br />

del buio.<br />

Le possibilità iconiche del testo sono utilizzate qui<br />

all’ennesima potenza: l’elemento gerarchicamente<br />

più importante ai fini del senso e della “narrazione”<br />

è anteposto sintatticamente all’evento che lo<br />

produce: “Poi il buio, e la porta si interpose”. Il<br />

passaggio, oltre che dalla vita alla morte, è da una<br />

logica temporale-lineare ad una spaziale cogentemente<br />

materiale: dal basso verso l’alto incontriamo<br />

il corpo <strong>di</strong> “io”, il buio, la porta che si interpone<br />

come un vero e proprio operatore sintattico,<br />

un attivatore (shifter) della percettività, 31 infine<br />

l’oltreporta mondano: ma cosa è questo oltre, la<br />

vita che rimane, quella vissuta, l’esterno, la realtà,<br />

la luce? È la <strong>di</strong>mensione temporale per intero?, il<br />

nostro tempo <strong>di</strong> lettori?<br />

La porta sancisce l’entrata in un’altra <strong>di</strong>mensione<br />

sensoriale (dalla vista all’u<strong>di</strong>to), e qui troviamo il<br />

clinamen <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>cevo poc’anzi. Si noti, oltretutto,<br />

che la porta “si interpose”: la marca temporale<br />

del perfetto (tempo concluso per eccellenza, ma<br />

anche tempo lontanissimo, “fuori del tempo”; è<br />

l’unico perfetto dell’intera raccolta, mentre è frequente<br />

il passato prossimo), inverte simmetricamente<br />

interno (presente) ed esterno (passato prossimo).<br />

32 Quello che segue è una storia dal buio, 33<br />

31 Relativamente alla valenza simbolica della porta rimando a<br />

G. P. Caprettini, La porta: valenze mitiche e funzioni narrative.<br />

Saggio <strong>di</strong> analisi semiologica, Torino, Giappichelli,<br />

197a5 poi ripreso nel più recente G. P. Caprettini, Simboli al<br />

bivio, Palermo, Sellerio, 1992.<br />

32 Altrove, nella poesia della Valduga, questa inversione ha<br />

come operatore sintattico, come fulcro, il corpo senziente, il<br />

corpo del desiderio: “Via da me…no, verso me: mi entro dentro…|«Che<br />

cosa hai detto?» Non ho detto niente…| come<br />

verso il rovescio del mio centro, | come uno svenimento della<br />

mente” (quartina 37 <strong>di</strong> P. Valduga, Cento quartine e altre<br />

storie d’amore, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1997, p. 41).<br />

ma una storia in corso. La porta conchiude il tempo<br />

finito, tenendolo fuori e segnando allo stesso<br />

tempo la spazialità pronta per una nuova percettività.<br />

Lo fa con vigore, con una cesura: è una porta<br />

inchiodata, ce lo <strong>di</strong>ce il testo, è la porta del feretro.<br />

***<br />

Chiuso dentro il buio del feretro, il corpo in <strong>di</strong>scioglimento<br />

emette solo una frequenza vitale,<br />

prodotto della ragione in assopimento, eppure resistente:<br />

Poi goccia a goccia misuro le ore.<br />

Nel tutto buio, sotto il mio dolore,<br />

più giù del buio della notte affondo.<br />

Scena muta <strong>di</strong> sogno, ombra <strong>di</strong> mondo,<br />

5 un niente <strong>di</strong> due tutti e <strong>di</strong> due vite,<br />

piccola eternità, e ore infinite,<br />

pienissima <strong>di</strong> me, viva <strong>di</strong> un cuore<br />

che mi sgocciola via senza rumore,<br />

in me ringorgo sotto il mio dolore.<br />

10 Dolore della mente è il mio dolore…<br />

per il mio mondo…e per l’altro maggiore… 34<br />

Si tratta <strong>di</strong> un<strong>di</strong>ci endecasillabi a rima baciata, con<br />

la sola ultima rima iterata ulteriormente nel verso<br />

finale (così tutta la raccolta), a mo’ <strong>di</strong> chiusa.<br />

La struttura binaria è presente a tutti i livelli in<br />

questa poesia, in questa raccolta e probabilmente<br />

in tutta l’opera della Valduga 35 e si ripercuote dalla<br />

verticalità della scansione dei versi<br />

all’orizzontalità (“verso est”) del singolo verso. Si<br />

noti che i versi sono per lo più monolitici, mancano<br />

le inarcature ed anzi la tendenza è a far coincidere<br />

fine <strong>di</strong> verso e punteggiatura (con la sola eccezione<br />

del v. 7). Ma il legame tra verticalità e orizzontalità<br />

si ripercuote anche ad altri livelli, ed<br />

innanzitutto a quello semantico e sintattico.<br />

La verticalità è il luogo deputato ad accogliere la<br />

semantica profonda: gli avverbi “sotto” (v. 2),<br />

“più giù del buio”(v. 3) e ancora “sotto” (v. 9); i<br />

verbi “affondo”(v. 3), “sgocciola” (v. 8), rafforzano<br />

l’isotopia del “<strong>di</strong>scendere” che è componente<br />

dell’isotopia “morte”. Dal punto <strong>di</strong> vista della semantica,<br />

la verticalità appare come il correlativo<br />

33 Non è un caso che Donna <strong>di</strong> dolori termini con questi versi:<br />

“Do all’aria due manciate del mio sangue | per il suo chiaro…E<br />

sarà il nero ancora. | Oh notte solo mia! Niente più aurora<br />

| adesso, triste da me fino ai cani, | e niente sangue e<br />

niente più domani, | come se il sogno fosse cosa vera, | e come<br />

se l’aurora fosse sera, | e come se una nera notte. Nera”<br />

(P. Valduga, Prima antologia, cit. p. 29).<br />

34 P. Valduga, Prima antologia, cit. p. 10.<br />

35 Rifacendosi a Ignacio Matte Blanco, la Valduga chiama<br />

“bilogica” questa struttura binaria (Cfr. Le parole, il desiderio,<br />

la morte, in P. Valduga Lezione d’amore, cit. p. 150<br />

sgg.).<br />

Poliscritture/Letture d’autore 69

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!