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POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...

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Per una <strong>critica</strong> <strong>di</strong>alogante 3<br />

Ennio Abate, Alcune osservazioni sul testo <strong>di</strong><br />

Loredana Magazzeni<br />

Il testo <strong>di</strong> Loredana Magazzeni mi spinge alle obiezioni qui<br />

rapidamente sintetizzate:<br />

a) Anche se può parere atto inopportuno, astioso o<br />

dettato da incomprensione verso lettori e lettrici che stabiliscono<br />

con dei testi poetici un rapporto emotivo, mi pare giusto<br />

sollevare la questione tra successo letterario <strong>di</strong> un autore<br />

o <strong>di</strong> un’autrice (nel caso quello tar<strong>di</strong>vo <strong>di</strong> Alda Merini) e con<strong>di</strong>zioni<br />

<strong>cultura</strong>li e politiche che l’hanno agevolato: e valutarne<br />

anche l’effetto <strong>di</strong>storcente sulla comprensione della sua opera.<br />

Non si può sorvolare, infatti, che, in misura ridotta rispetto<br />

a calciatori, attori del cinema, firme giornalistiche, esiste in<br />

piccolo un <strong>di</strong>vismo anche dei poeti e delle poetesse, un culto<br />

che è prodotto <strong>di</strong> corporazione e poco ha a che vedere con<br />

una seria conoscenza delle loro opere. Non vorrei che le<br />

femministe serie sorvolassero sugli aspetti negativi del fenomeno<br />

solo perché Alda Merini è stata accolta nel simbolico<br />

massme<strong>di</strong>ale e da cenerentola è <strong>di</strong>ventata principessa, risarcendo<br />

il dannoso silenzio su tante poetesse viventi o defunte;<br />

b) «Resurrezione», «Gerico manicomiale», «terra<br />

santa del ricovero» sono metafore <strong>di</strong> matrice biblica con cui<br />

la Merini esprime la sua esperienza del manicomio. E capisco<br />

che una poetessa, cresciuta nell’immaginario cattolico,<br />

possa ricorrervi spontaneamente. Ma l’uso <strong>di</strong> richiami religiosi<br />

e biblici, nobilitati da una secolare tra<strong>di</strong>zione, non rischia <strong>di</strong><br />

infiorare le catene della sofferenza psichica e quel luogo orribile<br />

che è stato ed è il manicomio? Posso anche riconoscere<br />

che, attingendo al serbatoio della sua educazione cattolica,<br />

la Merini abbia trovato un aiuto per non soccombere al<br />

dolore mentale e alla violenza manicomiale. Ma solo parziale.<br />

Insomma la poesia e la religione sono solo in minima parte<br />

terapeutiche. Accentuare questo aspetto porta autori e<br />

lettori fuori strada nel tentativo ricorrente (forse vano, ma utile)<br />

<strong>di</strong> chiedersi: cos’è la poesia? da dove nasce? Loredana<br />

scrive in un punto Come Giobbe, citato dalla Zambrano, “è<br />

un viscere che grida dal suo deserto”, così per Alda Merini<br />

“Gli inguini sono la forza dell’anima” e i paralleli che lei <strong>di</strong>segna<br />

fra cammino <strong>di</strong> salvezza attraverso il manicomio e cammino<br />

<strong>di</strong> salvezza attraverso l’amore vedono nei riferimenti<br />

alla passione e alla terra santa la metafora principe della sua<br />

scrittura». Non posso fare a meno <strong>di</strong> notare l’ambiguità <strong>di</strong><br />

queste affermazioni (quella della Merini in particolare) che<br />

sono paradossali per il senso comune cattolico, ma che sostituiscono<br />

per me con un cortocircuito verbale l’oscillazione<br />

cattolica fra materialismo e idealismo (sotterranea e irrisolta,<br />

anche perché mantenuta dalla dottrina della chiesa<br />

nell’oscurità del piano interiore (dei desideri inconsci) e continua<br />

a creare – senza che mai si capisca bene come e perché<br />

– vite <strong>di</strong> “santi” e vite <strong>di</strong> “demoni”. Che la «salvezza»<br />

possa avvenire sia attraverso il manicomio che attraverso<br />

l’amore (più in generale sia attraverso il Male che il Bene)<br />

sposta il <strong>di</strong>scorso umano sul piano del Mistero. Diffido <strong>di</strong> que-<br />

sto spostamento. Non per orgoglio luciferino, non perché affermi<br />

che <strong>di</strong> misteri non abbon<strong>di</strong> la vita umana, ma semplicemente<br />

perché i gestori istituzionali e secolari del Mistero<br />

(chiesa cattolica innanzitutto) se ne servono per dar copertura<br />

alle varie forme <strong>di</strong> «manicomio» proliferanti nel pianeta.<br />

Essi con un <strong>di</strong>scorso pseudoreligioso sul Mistero (Cfr. anche<br />

intervista a Michele Ranchetti), altri con un <strong>di</strong>scorso pseudoscientifico<br />

sull’Oggettività non fanno che confermare il dominio<br />

<strong>di</strong> parti dell’umanità “sane”, “normali” sulle altre “matte”,<br />

“anormali”, “devianti”. In un altro passo insiste ancora:<br />

«L’attraversamento della follia va nella <strong>di</strong>rezione del riconoscimento<br />

del sacro nel corpo addolorato, colpito, ferito, corpo<br />

santificato perché unico suggello al ricongiungimento fra le<br />

parti frantumate e <strong>di</strong>vise attraverso la me<strong>di</strong>azione del linguaggio».<br />

Ma perché il sacro dovrebbe coincidere in particolare<br />

col dolore del corpo e non con la gioia o il piacere? E<br />

cosa comporta una santificazione del corpo «colpito, ferito»?<br />

E in un altro ancora: «Il manicomio in particolare è stato,<br />

scrive Alda Merini, come la sabbia che, se entra nelle valve<br />

<strong>di</strong> un’ostrica, genera perle. E’ stato anche un “formidabile e<br />

privilegiato punto <strong>di</strong> osservazione”, un evento che ha conferito<br />

alla vita una specie <strong>di</strong> santificazione e <strong>di</strong> profon<strong>di</strong>tà abissale,<br />

punto <strong>di</strong> vista sul mondo e dentro <strong>di</strong> sé che l’ha salvata<br />

dall’annichilimento “con la capacità dello stupore”. D’altra<br />

parte il dolore è quasi sempre alla base del suo fare poesia e<br />

lei stessa scrive .”Non c’è nessun poeta che possa scegliere,<br />

<strong>di</strong> per sé, <strong>di</strong> stare bene”». Mi chiedo: è il manicomio che crea<br />

la perla Merini? che è un punto <strong>di</strong> osservazione privilegiato?<br />

che santifica e permette <strong>di</strong> guardare gli Abissi? è il dolore la<br />

base della poesia? E non posso che ricordarmi <strong>di</strong> Adorno,<br />

che contro l’equiparazione romantica <strong>di</strong> genio e follia <strong>di</strong>ceva<br />

che la poesia non è mai frutto della follia ma della resistenza<br />

del poeta alla follia. Si è tanto spesso <strong>di</strong>scusso se la forza<br />

poetica <strong>di</strong> Leopar<strong>di</strong> derivasse dalla sua gobba o dalla sua<br />

infelice esperienza personale <strong>di</strong> malaticcio, solitario e senza<br />

donne. Lui lo escludeva contro il cattolico Tommaseo. I critici<br />

più seri hanno <strong>di</strong>mostrato a sufficienza che quel determinismo<br />

non c’è. E io penso che la Merini si sbagli <strong>di</strong> grosso<br />

nell’in<strong>di</strong>care la causa della sua poesia nella sua esperienza<br />

manicomiale.<br />

c) Nel suo testo Loredana collega le considerazioni<br />

mistiche della Zambrano alla «con<strong>di</strong>zione tragica» del Novecento.<br />

Conosco ben poco la Zambrano. Mi pare però <strong>di</strong> poter<br />

obiettare che in lei la storia del Novecento perda le sue<br />

particolarità e si confonda con un Male oggetto secolare <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>tazione da parte <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione filosofica che può risalire<br />

fino a Platone e che prescinde dagli eventi <strong>di</strong> questo o<br />

quel secolo, <strong>di</strong> questa o quella civiltà, fondandosi su un contrasto<br />

assoluto e originario <strong>di</strong> Male/Bene, anima/corpo, Cielo/Terra.<br />

Da riconciliare secondo alcuni. Inconciliabile per<br />

altri. E la poesia della Merini, in particolare, mi pare iscriversi<br />

in pieno in questa tra<strong>di</strong>zione.<br />

d) «La follia è stata il lievito che ha fatto gonfiare il linguaggio<br />

fino a un livello due, un livello che supera il linguaggio<br />

della <strong>cultura</strong>, quel linguaggio che è pura “masticazione<br />

<strong>cultura</strong>le”, mentre il linguaggio della poesia è “pane, nutrimento<br />

celeste”»? Ovvia per Merini questa riduzione del linguaggio<br />

della <strong>cultura</strong> a ruminazione. Ma quanta sottovalutazione<br />

del linguaggio come comunicazione sociale!<br />

e) Sul rapporto letteratura e psicoanalisi. Non mi convince<br />

il modo come Merini utilizza «le chiavi interpretative della<br />

psichiatria e in particolare dell’analisi junghiana per spiegare<br />

Poliscritture/Letture d’autore 63

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