POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...
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di uno sprofondamento. E in effetti sono molti gli aspetti della esperienza e del pensiero di Sartre che sembrano rimandare ad una temperie paradigmaticamente moderna: il suo lavoro si incunea nel pieno del Novecento, ne recepisce le tendenze più tipiche, si rispecchia in (ed alimenta di) un tempo in cui la Modernità ci si presenta nelle sue forme già mature per il tramonto. C’è però un ulteriore aspetto, oltre ai tre già ricordati, che autorizza a far valere la lezione sartriana al di fuori della cappa plumbea della tarda modernità, e a farla reagire dentro l’attuale caleidoscopica epoca postmoderna. Si tratta precisamente della classicità di questo pensatore, di quella dimensione per cui Sartre si affianca ad autori “eterni” la cui riflessione non teme il tempo che la sopravanza, ma sempre vi s’attaglia. La tradizione francese ritrova in lui l’intellettuale di battaglia, dalla vocazione voltairiana; ma nella sua riflessione riaffiora anche quell’attitudine analitico-introspettiva che ne fa un erede nobile dei Montaigne e dei Pascal, dei Proust. Senza che i due tratti – l’engagement e l’introversione – vadano peraltro a detrimento di un rigore filosofico che pone il non accademico Sartre (il quale raccoglie così pure l’eredità di Descartes) nella tradizione più alta del pensiero speculativo europeo: suoi eterni interlocutori restano Hegel, Marx, Husserl, Bergson, Kierkegaard... Non si tratta, tuttavia, di sostenere in tal modo il valore metastorico del contributo di Sartre, magari all’insegna di un equivoco umanesimo di recupero (c’è effettivamente, come noto, anche un umanesimo sartriano, esistenzialistico: che quando non sia malinteso è forse l’unica forma ancora percorribile di umanesimo, nell’epoca del nichilismo); Sartre è un “classico” allo stesso modo in cui può esserlo un Brecht: egli attraversa il tempo viaggiando sulla cresta d’onda del (proprio) tempo. E ci raggiunge. - Loredana Magazzeni: Alda Merini e l’erotismo polimorfo del materno Testimone vivente dell’inespresso Ad Alda Merini è toccato inaspettatamente in sorte di essere una delle voci femminili più intense del Novecento e di vedersi riconosciuta in vita questa grandezza. Ciò accade raramente ai poeti e ancora più raramente alle donne poete, specie se anticonformiste e dirompenti come Alda. Oggi molti forse sorridono riferendosi a lei, ne parlano ormai come di una diva della poesia, madrina e protagonista di innumerevoli manifesta- zioni e ammiccano alla sua vecchiaia di poeta povera, insonne, circondata di gatti e di disordine nella sua modesta casa sul Naviglio. Ma pochi oggi sanno ancora pienamente cos’è e cos’è stata la poesia di Alda Merini, quale cammino di autocoscienza, come si diceva negli anni ’70, le ha fatto attraversare la follia senza tradire, anzi potenziando l’alta poesia che la contraddistingue. Alda Merini non è stata una studiosa, una accademica in senso stretto. Ha compiuto pochi studi regolari, si è diplomata come stenodattilografa, in compenso ha avuto alle spalle una famiglia che l’ha sempre incoraggiata a leggere, ad amare la letteratura e la poesia, come lei stessa ricorda in Reato di vita 1 , libro paradigmatico che assembla scritti autobiografici e interviste amorevolmente raccolte da Luisella Veroli, studiosa di matristica, archeologa e autrice di prima di eva, viaggio alle origini dell’eros, pubblicato dall’Associazione Melusine di Milano. A sedici anni viene scoperta da Giacinto Spagnoletti che riconosce la grandezza dei suoi versi. La prima raccolta, La presenza di Orfeo, è del 1953. Salvatore Quasimodo e Maria Corti, oltre allo stesso Spagnoletti, la includono in tre importanti antologie di poesia degli anni ‘50 e ‘80: Poesia italiana contemporanea, Poesia italiana del dopoguerra e Viaggio nel ‘900. Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta si aprono per Alda Merini i cosiddetti “anni dell’inferno psichiatrico”, che ripercorrerà in tutte le opere successive e che conferiscono un’impronta definitiva alla sua poetica, anni che rievoca in libri come Vuoto d’amore, La terra santa, Testamento e in scritti autobiografici come il già citato Reato di vita o ne L’altra verità. Diario di una diversa. Cammino pulsionale spirituale Per i critici è molto difficile tentare una catalogazione esauriente dell’intera opera poetica di Alda Merini che è enorme e annovera ancora moltissimi inediti, raccolti in parte nel Fondo Manoscritti di Pavia ad opera di Maria Corti, oltre a una miriade di testi sparsi e varianti d’autore regalate ad amici e conoscenti. Per quanto riguarda più espressamente le tematiche, si è tentati di avvicinare la scrittura profondamente autobiografica e passionale, quasi pulsionale di Alda Merini, alla poesia confessional di matrice anglosassone, riconoscervi una parentela con scrittrici come Sylvia Plath o Anne Sexton, a loro volta eredi di grandi universi di poesia emozionale e dell’esperienza disegnati a cavallo fra ‘800 e ‘900 da Emily Dickinson, Emily Bronte o Elisabeth Barret Browning. Poliscritture/Letture d’autore 60
In particolare Sylvia Plath e Anne Sexton hanno avuto in comune con Merini l’esperienza della sofferenza mentale e del rapporto con il manicomio. Ma, a differenza da loro, Alda Merini non è stata toccata dal tema del suicidio. La sua resurrezione, di cui parla più volte, passa per la Gerico manicomiale, attraversa la terra santa del ricovero, ma riesce a superarli per dirsi, per divenire racconto, mentre le due americane vi precipitano dentro, portandosi dietro un universo allucinatorio di bellezza infinita ma senza salvezza. Forse il cammino cosiddetto confessional di Alda Merini ha radici intuitive, radici di sapienza interiore che avvicinano la sua ricerca a una matrice evangelica, forse dovuta a un’influenza familiare, che le ha permesso di trovare sostegno e linfa nel divenire racconto, confessione, sulla traccia delle Confessioni di Sant’Agostino o delle invocazioni di Giovanni della Croce. Oppure, è più giusto dire che c’è, nella poetica confessional di molte donne poete, qualcosa che le accomuna alla mistica, quella traccia erotica di un dolore di partenza, di fondo, che permea tutta la vita e la scrittura come la traccia di una assenza mai colmata e che attraversa sia la scrittura di Alda Merini sia quella delle due poetesse americane. La condizione tragica del ‘900 Scrive la filosofa spagnola Marìa Zambrano in La confessione come genere letterario, che esiste una condizione tragica, che è poi quella del Novecento, in cui agiscono “ uomini che hanno più contatto profondo con la realtà hanno perso il centro interiore”. “La Confessione sembra essere un metodo” per non annichilire e disperdersi, ma conseguire uno “stato quasi di invulnerabilità”, uno stato che, scrive la filosofa, “ha a che vedere con l’unità pura, con il centro interiore”. Tutta la poesia di Alda Merini è alla ricerca di questa unità interiore invulnerabile, condizione sentita come postuma, la quotidiana essendo frantumazione, dualismo e dispersione di sé. E’ l’amore, per Alda, a realizzare questa conciliazione degli opposti, proprio come postula la Zambrano quando afferma essere l’amore “l’intermediario tra vita sensibile e contemplazione del vero”, mentre la natura della nostra vita è “dispersività, passività e passionalità” e la verità non può avere la meglio sulla vita se non “innamorandola”, rendendola “resa senza rancore”. Solo nell’amore “le viscere dolenti e rancorose finiscono per diventare di qualcuno”. Nella condizione dell’amore e nella mistica “Essa (l’anima) desidera riunirsi ad un qualcosa che ha la sua stessa natura; è come se non fosse nata intera, come se cercasse quel che le manca e che, non ri- trovato, le nega ogni analogia nel mondo stesso in cui cerca”. E ancora: “La condizione del mistico è una condizione di solitudine che anima “il suo smisurato amore per il tutto”. Il mistico fa il vuoto dentro di sé “affinché in questo deserto, in questo vuoto, venga ad abitare un altro”. In lui “vive una voracità”, voracità che, trasposta sul piano umano, è amore, fame irresistibile di esistere, di avere “presenza e figura”. Chi ha consuetudine con il lessico di Alda Merini sa quante volte vi ricorrano termini come fuoco, viscere, voracità, amore, corpo, anima, dismisura, frattura. Come Giobbe, citato dalla Zambrano, “è un viscere che grida dal suo deserto”, così per Alda Merini “Gli inguini sono la forza dell’anima” e i paralleli che lei disegna fra cammino di salvezza attraverso il manicomio e cammino di salvezza attraverso l’amore vedono nei riferimenti alla passione e alla terra santa la metafora principe della sua scrittura. L’attraversamento della follia va nella direzione del riconoscimento del sacro nel corpo addolorato, colpito, ferito, corpo santificato perché unico suggello al ricongiungimento fra le parti frantumate e divise attraverso la mediazione del linguaggio. Anche la nuzialità, le nozze reiterate e ripercorse, i congiungimenti dolorosi o irraggiungibili con gli amanti sono per Alda Merini metafora del ricongiungimento mistico con l’Assente, con l’altro da sé e dentro sé. E infatti scrive: “basta un sorriso o un’assenza e/ la mia mente concepisce un amore”. E mentre il manicomio è il monte Sinai, la terra promessa da attraversare, la sua religione è la follia, un cammino mariano e misterico, un mistero doloroso, verso il ricongiungimento con la parte di sé che si è persa. La madre, in molte poesie e nell’autobiografia Reato di vita è il luogo originario della gioia, l’alba di un destino di viandanza. Il destino della poeta Merini è di incontrare, toccare e riconoscere con le parole i simili, i mèntori e infine la propria madre. La sua poesia è per questo popolata di nomi e presenze vive. L’attraversamento del buio si fa così comunione e pietà verso gli inermi, coloro che condividono il suo destino di dolore e dentro i quali alberga la vera sapienza. Che il cammino verso la sapienza sia tortuoso e ambivalente è testimoniato da una figura ricorrente che è quella del gobbo, un essere rozzo e deforme che è minaccioso ma anche facilitatore di “metamorfosi e passaggi”: “Ma viene a volte un gobbo sfaccendato/ un simbolo presago di allegrezza/ che ha il dono di una strana profezia/ e perché vada incontro a una promessa/ lui mi tra- Poliscritture/Letture d’autore 61
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che sembrano rimandare ad una temperie para<strong>di</strong>gmaticamente<br />
moderna: il suo lavoro si incunea<br />
nel pieno del Novecento, ne recepisce le tendenze<br />
più tipiche, si rispecchia in (ed alimenta <strong>di</strong>) un<br />
tempo in cui la Modernità ci si presenta nelle sue<br />
forme già mature per il tramonto.<br />
C’è però un ulteriore aspetto, oltre ai tre<br />
già ricordati, che autorizza a far valere la lezione<br />
sartriana al <strong>di</strong> fuori della cappa plumbea della tarda<br />
modernità, e a farla reagire dentro l’attuale caleidoscopica<br />
epoca postmoderna. Si tratta precisamente<br />
della classicità <strong>di</strong> questo pensatore, <strong>di</strong><br />
quella <strong>di</strong>mensione per cui Sartre si affianca ad autori<br />
“eterni” la cui riflessione non teme il tempo<br />
che la sopravanza, ma sempre vi s’attaglia. La tra<strong>di</strong>zione<br />
francese ritrova in lui l’intellettuale <strong>di</strong> battaglia,<br />
dalla vocazione voltairiana; ma nella sua<br />
riflessione riaffiora anche quell’attitu<strong>di</strong>ne analitico-introspettiva<br />
che ne fa un erede nobile dei<br />
Montaigne e dei Pascal, dei Proust. Senza che i<br />
due tratti – l’engagement e l’introversione – vadano<br />
peraltro a detrimento <strong>di</strong> un rigore filosofico che<br />
pone il non accademico Sartre (il quale raccoglie<br />
così pure l’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> Descartes) nella tra<strong>di</strong>zione<br />
più alta del pensiero speculativo europeo: suoi eterni<br />
interlocutori restano Hegel, Marx, Husserl,<br />
Bergson, Kierkegaard...<br />
Non si tratta, tuttavia, <strong>di</strong> sostenere in tal<br />
modo il valore metastorico del contributo <strong>di</strong> Sartre,<br />
magari all’insegna <strong>di</strong> un equivoco umanesimo<br />
<strong>di</strong> recupero (c’è effettivamente, come noto, anche<br />
un umanesimo sartriano, esistenzialistico: che<br />
quando non sia malinteso è forse l’unica forma<br />
ancora percorribile <strong>di</strong> umanesimo, nell’epoca del<br />
nichilismo); Sartre è un “classico” allo stesso modo<br />
in cui può esserlo un Brecht: egli attraversa il<br />
tempo viaggiando sulla cresta d’onda del (proprio)<br />
tempo. E ci raggiunge.<br />
- Loredana Magazzeni: Alda Merini e<br />
l’erotismo polimorfo del materno<br />
Testimone vivente dell’inespresso<br />
Ad Alda Merini è toccato inaspettatamente in sorte<br />
<strong>di</strong> essere una delle voci femminili più intense<br />
del Novecento e <strong>di</strong> vedersi riconosciuta in vita<br />
questa grandezza. Ciò accade raramente ai poeti e<br />
ancora più raramente alle donne poete, specie se<br />
anticonformiste e <strong>di</strong>rompenti come Alda.<br />
Oggi molti forse sorridono riferendosi a lei, ne<br />
parlano ormai come <strong>di</strong> una <strong>di</strong>va della poesia, madrina<br />
e protagonista <strong>di</strong> innumerevoli manifesta-<br />
zioni e ammiccano alla sua vecchiaia <strong>di</strong> poeta povera,<br />
insonne, circondata <strong>di</strong> gatti e <strong>di</strong> <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne<br />
nella sua modesta casa sul Naviglio.<br />
Ma pochi oggi sanno ancora pienamente cos’è e<br />
cos’è stata la poesia <strong>di</strong> Alda Merini, quale cammino<br />
<strong>di</strong> autocoscienza, come si <strong>di</strong>ceva negli anni<br />
’70, le ha fatto attraversare la follia senza tra<strong>di</strong>re,<br />
anzi potenziando l’alta poesia che la contrad<strong>di</strong>stingue.<br />
Alda Merini non è stata una stu<strong>di</strong>osa, una accademica<br />
in senso stretto. Ha compiuto pochi stu<strong>di</strong><br />
regolari, si è <strong>di</strong>plomata come stenodattilografa, in<br />
compenso ha avuto alle spalle una famiglia che<br />
l’ha sempre incoraggiata a leggere, ad amare la<br />
letteratura e la poesia, come lei stessa ricorda in<br />
Reato <strong>di</strong> vita 1 , libro para<strong>di</strong>gmatico che assembla<br />
scritti autobiografici e interviste amorevolmente<br />
raccolte da Luisella Veroli, stu<strong>di</strong>osa <strong>di</strong> matristica,<br />
archeologa e autrice <strong>di</strong> prima <strong>di</strong> eva, viaggio alle<br />
origini dell’eros, pubblicato dall’Associazione<br />
Melusine <strong>di</strong> Milano.<br />
A se<strong>di</strong>ci anni viene scoperta da Giacinto Spagnoletti<br />
che riconosce la grandezza dei suoi versi. La<br />
prima raccolta, La presenza <strong>di</strong> Orfeo, è del 1953.<br />
Salvatore Quasimodo e Maria Corti, oltre allo<br />
stesso Spagnoletti, la includono in tre importanti<br />
antologie <strong>di</strong> poesia degli anni ‘50 e ‘80: Poesia<br />
italiana contemporanea, Poesia italiana del dopoguerra<br />
e Viaggio nel ‘900.<br />
Dagli anni Sessanta agli anni Ottanta si aprono per<br />
Alda Merini i cosiddetti “anni dell’inferno psichiatrico”,<br />
che ripercorrerà in tutte le opere successive<br />
e che conferiscono un’impronta definitiva<br />
alla sua poetica, anni che rievoca in libri come<br />
Vuoto d’amore, La terra santa, Testamento e in<br />
scritti autobiografici come il già citato Reato <strong>di</strong><br />
vita o ne L’altra verità. Diario <strong>di</strong> una <strong>di</strong>versa.<br />
Cammino pulsionale spirituale<br />
Per i critici è molto <strong>di</strong>fficile tentare una catalogazione<br />
esauriente dell’intera opera poetica <strong>di</strong> Alda<br />
Merini che è enorme e annovera ancora moltissimi<br />
ine<strong>di</strong>ti, raccolti in parte nel Fondo Manoscritti<br />
<strong>di</strong> Pavia ad opera <strong>di</strong> Maria Corti, oltre a una miriade<br />
<strong>di</strong> testi sparsi e varianti d’autore regalate ad<br />
amici e conoscenti.<br />
Per quanto riguarda più espressamente le tematiche,<br />
si è tentati <strong>di</strong> avvicinare la scrittura profondamente<br />
autobiografica e passionale, quasi pulsionale<br />
<strong>di</strong> Alda Merini, alla poesia confessional <strong>di</strong><br />
matrice anglosassone, riconoscervi una parentela<br />
con scrittrici come Sylvia Plath o Anne Sexton, a<br />
loro volta ere<strong>di</strong> <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> universi <strong>di</strong> poesia emozionale<br />
e dell’esperienza <strong>di</strong>segnati a cavallo fra<br />
‘800 e ‘900 da Emily Dickinson, Emily Bronte o<br />
Elisabeth Barret Browning.<br />
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