POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...
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tenimento»; e, per estensione, contro «quel potere maschile<br />
che ha tentato sia la riduzione sepolcrale del femminile,<br />
quanto la guerra, la <strong>di</strong>struzione entro cui le donne hanno dovuto<br />
e potuto trovare motivi <strong>di</strong> emersione».<br />
Siamo alla classica <strong>critica</strong> femminista - e devo aggiungere<br />
- astorica (antropologica, se vogliamo) al patriarcato.<br />
Ora vada per la «ribellione al padre» (dal ’68 in poi non si<br />
è parlato d’altro, in termini spesso approssimativi...), ma il<br />
fatto che essa «può parere senza meta e che comporta paurosi<br />
salti nel vuoto» è un fatto su cui non si dovrebbe sorvolare<br />
o fermarsi alle impressioni.<br />
Sono state in<strong>di</strong>viduate delle mete (da queste scrittrici<br />
o da altre)? Sono stati limitati i «salti nel vuoto»? Se «il<br />
vuoto è la <strong>di</strong>mensione angosciosa che attraversa i tre romanzi»,<br />
se questi Io femminili - come <strong>di</strong>ci - «devono continuamente<br />
moltiplicarsi per non esserne assorbiti» (in sostanza<br />
non trovano pace, non maturano <strong>di</strong>rei con qualche malizia...)<br />
o devono - heideggerianamente - «esserci», ma solo<br />
nell’angoscia e nella paura, o trovano spazio (o azione) solo<br />
nella scrittura, a me pare che qualcosa non funzioni.<br />
«Scrivere è azione del pensiero»? Ma perché un<br />
pensiero deve/dovrebbe vedere solo nella scrittura le sue<br />
possibilità <strong>di</strong> azione? E perché ogni azione (=scrittura) dovrebbe<br />
comportare «l’impossibilità <strong>di</strong> tornare in<strong>di</strong>etro»? Questi<br />
io mi appaiono condannati ad un universo claustrofobico,<br />
all’incertezza del <strong>di</strong>venire, ad una consapevolezza irrinunciabile<br />
sì - come scrivi - ma impotente rispetto alla realtà, che<br />
non può ridursi alla scrittura.<br />
E che conquista umana o femminile sarebbe<br />
quest’«arrogarsi attraverso la crudeltà <strong>di</strong> questa in<strong>di</strong>vidualità<br />
moltiplicata, la riduzione al silenzio attraverso cui mantenere<br />
aperte le cose»? Moltiplicarsi non è necessariamente liberarsi.<br />
Altrettanto non lo è <strong>di</strong>ventare crudeli.<br />
Questa enfasi sul silenzio - ripeto -, che «però qui<br />
non è più quello della marginalità subalterna ma quello dello<br />
shock che segue sempre una irrime<strong>di</strong>abile rivelazione», finisce<br />
per presentarsi come puro dogma o spostare appunto il<br />
<strong>di</strong>scorso sul piano inverificabile della «rivelazione», che posso<br />
anche rispettare ma, come sai, <strong>di</strong>fficilmente è comunicabile<br />
o moltiplicabile.<br />
E poi come si fa a <strong>di</strong>re che la storia «appartiene al<br />
soggetto femminile nel rischio dell’or<strong>di</strong>ne quanto del <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne»<br />
oggi che si parla <strong>di</strong> «fine della storia» ed è tutto un pullulare<br />
osceno <strong>di</strong> revisionismi storici? Cos’è qui, per te, «la<br />
storia» o la «Storia»?<br />
E cos’è questo «conflitto che non è antagonismo <strong>di</strong> genere<br />
ma esuberanza <strong>di</strong> vigore», se esso (il conflitto) ha questo<br />
seguito <strong>di</strong> angosce, indefinitezze, ecc..? Cioè è senza meta<br />
identificabile. E cos’è - aggiungerei - quel «padre», <strong>di</strong> cui parlavi<br />
prima, se non l’assente Storia (o «storia») che resta - mi<br />
pare <strong>di</strong> capire da tutto quello che <strong>di</strong>ci sulle tre scrittrici - comunque<br />
sullo sfondo? Sei davvero convinta che questi io<br />
crudeli vogliano guardare in faccia la Storia (o la «storia»)?<br />
Se lo facessero o l’avessero fatto, mi metterei volentieri ad<br />
ascoltare la loro lezione.<br />
Scusa le rigi<strong>di</strong>tà che ti potranno parere parapatriarcali<br />
delle mie obiezioni<br />
Un caro saluto<br />
Ennio<br />
- Marco Gaetani: Sartre fuori moda<br />
Il 2005 è anno sartriano: l’uomo che scelse <strong>di</strong> essere<br />
Jean-Paul Sartre nacque infatti a Parigi il 21<br />
giugno del 1905. Il sistema delle ineluttabili recursività<br />
su cui si fonda ormai l’industria me<strong>di</strong>atico-istituzionale<br />
dell’”evento <strong>cultura</strong>le”, quel meccanismo<br />
combinatorio brillantemente descritto<br />
qualche anno fa da Maurizio Bettini, può forse offrire<br />
– la ricorrenza scattando “oggettivamente” –<br />
se non altro un’occasione per tornare a riflettere in<br />
maniera non solitaria (ed evitando,<br />
nell’unanimismo dominante, ogni accusa <strong>di</strong> estemporanea<br />
gratuità) sulla figura del “celebrando<br />
secondo il turno calendariale” (Contini). Certo<br />
non è facile in questi casi sottrarsi alla chiacchiera,<br />
sfuggire al turbinio effimero <strong>di</strong> cui<br />
s’ingrossano le pagine degli inserti <strong>cultura</strong>li. Si<br />
tratta tuttavia, per quanto possibile, <strong>di</strong> volgere a<br />
profitto l’incremento <strong>di</strong> pubblicazioni a stampa, la<br />
temporaneamente benevola <strong>di</strong>sposizione<br />
dell’u<strong>di</strong>enza, ed ogni altra circostanza virtualmente<br />
favorevole; <strong>di</strong> cogliere infine il pretesto<br />
dell’anniversario per qualche considerazione meno<br />
genericamente apologetica, oziosa, vacua o<br />
scandalistica.<br />
Al clima delle celebrazioni sartriane deve<br />
probabilmente qualcosa anche un recente volume,<br />
uscito negli ultimi mesi dell’anno scorso (e dunque<br />
in tempestivo anticipo sulla scadenza centenaria)<br />
per le cure <strong>di</strong> un valente stu<strong>di</strong>oso italiano <strong>di</strong><br />
Sartre, Giovanni Invitto 3 . Il libro costituisce la<br />
“trasposizione integrale della colonna sonora” <strong>di</strong><br />
un film biografico realizzato nei primi anni settanta<br />
e uscito in Francia nel 1976; la struttura <strong>di</strong>alogata<br />
conferisce al testo un andamento fluido e <strong>di</strong>vagante,<br />
da conversazione: la “voce” <strong>di</strong> Sartre si<br />
alterna con quelle dei suoi interlocutori (Simone<br />
De Beauvoir, Michel Contat, Alexandre Astruc,<br />
André Gorz, Jacques-Laurent Bost, Jacques Pouillon)<br />
e con quella “recitante” che inframmezza al<br />
<strong>di</strong>battito passi tratti dalle opere del filosofo;<br />
l’interazione <strong>di</strong>alogica riportata mantiene così<br />
qualcosa della oralità originaria, attrae il lettore<br />
riuscendo varia eppure sostenuta, nel toccare tanto<br />
problematiche <strong>di</strong> carattere schiettamente filosofico<br />
quanto argomenti tratti dall’attualità politica<br />
dell’epoca (Cuba, la tensione tra U. S. A. e U. R.<br />
S. S., l’Algeria, il Vietnam), con le note del curatore<br />
italiano che soccorrono puntualmente a precisare,<br />
informare, fornire dettagli su quei personaggi<br />
3 J.-P. Sartre, La mia autobiografia in un film. Una confessione,<br />
Christian Marinotti e<strong>di</strong>zioni, Milano 2004. Si tratta<br />
della prima traduzione italiana del volume e<strong>di</strong>to da Gallimard<br />
nel 1977 e intitolato semplicemente Sartre.<br />
Poliscritture/Letture d’autore 56