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POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...

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(Juana Ines de la Cruz), la sofferta e letale perseveranza<br />

(Isabella Morra), o del matrimonio talora<br />

funesto,talaltra intelligentemente beffardo, come<br />

quello in cui riuscivano le poetesse cortigiane del<br />

Cinquecento, si assiste nella contemporaneità alla<br />

messa in stato d’accusa <strong>di</strong> quel potere maschile<br />

che ha tentato sia la riduzione sepolcrale del femminile,<br />

quanto la guerra, la <strong>di</strong>struzione entro cui le<br />

donne hanno dovuto e potuto trovare motivi <strong>di</strong><br />

emersione.<br />

Una ribellione al padre che talvolta può parere<br />

senza mèta e che comporta paurosi salti nel vuoto.<br />

Il vuoto è la <strong>di</strong>mensione angosciosa che attraversa<br />

i tre romanzi <strong>di</strong> cui parliamo. Il vuoto volo suicida<br />

<strong>di</strong> Picasso (Winterson),delle stanze della casa <strong>di</strong><br />

Io (Bachmann), dei confini vigilati dai militari<br />

(Kristof) in cui questi Io devono continuamente<br />

moltiplicarsi per non esserne assorbiti, occupare<br />

spazi <strong>di</strong> vuoto e addensarli. Di angoscia, <strong>di</strong> paura<br />

ma essendoci.<br />

Il vuoto sta anche a rappresentare quella <strong>di</strong>mensione<br />

sottrattiva che pare precedere la scrittura.<br />

Infatti, narrativamente spazio dell’azione <strong>di</strong>viene<br />

la scrittura non solo come atto dell’autore, ma<br />

quale elemento che a vario titolo è presente nelle<br />

vicende dei protagonisti qui presentati. In questi<br />

tre romanzi c’è sempre qualcuno che scrive. Scrivere<br />

è azione del pensiero. E ogni azione segna<br />

l’impossibilità <strong>di</strong> tornare in<strong>di</strong>etro. Per quanto possa<br />

essere incerto e incostante il <strong>di</strong>venire, non si<br />

rinuncia più ad esserne parti consapevoli.<br />

Non interessa più tentare varchi <strong>di</strong> presenza dalla<br />

periferia, ma arrogarsi attraverso la crudeltà <strong>di</strong><br />

questa in<strong>di</strong>vidualità moltiplicata, la riduzione al<br />

silenzio attraverso cui mantenere aperte le cose.<br />

Il silenzio però qui non è più quello della marginalità<br />

subalterna ma quello dello shock che segue<br />

sempre una irrime<strong>di</strong>abile rivelazione.<br />

L’umano appartiene alla storia e questa appartiene<br />

al soggetto femminile nel rischio dell’or<strong>di</strong>ne<br />

quanto del <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>ne. Del rumore e dell’afonia.<br />

Il linguaggio, in questi romanzi, è preciso sino al<br />

dolore, ma non definitivo se non nel momento<br />

della manifestazione. Esso, piuttosto, è perentorio.<br />

Nulla può più essere definitivo poiché queste tre<br />

autrici si collocano nello spazio del conflitto, un<br />

conflitto che non è antagonismo <strong>di</strong> genere ma esuberanza<br />

<strong>di</strong> vigore. La crudeltà inferta, subita,<br />

rappresentata dall’Io moltiplicato appartiene alla<br />

Storia quanto il loro essere donne scrittrici.<br />

L’autobiografia è arte e menzogna, scrive la Winterson<br />

con paradossale intelligenza, <strong>di</strong>chiarando<br />

così il primato dell’invenzione a partire proprio<br />

dal soggetto.<br />

Era assassinio, sono le parole che chiudono Malina.<br />

L’imperfetto denuncia continuità nel tempo <strong>di</strong><br />

un’azione che per la sua natura, l’assassinio, dovrebbe<br />

essere impossibilmente <strong>di</strong>chiarata dall ’Io<br />

che la subisce. Ma qui l’Io è attore e spettatore (<br />

moltiplicazione, ancora) della storia da cui non<br />

permette più estromissioni, neanche tramite la<br />

morte.<br />

Ahimè, la vita calma e tranquilla che mi ero immaginato<br />

si è molto rapidamente trasformata in<br />

un inferno, <strong>di</strong>ce uno degli enigmatici protagonisti<br />

della Kristof. Alienato lui come chiunque altro<br />

dall’illusione ideologica, esistenziale a cui si sopravvive<br />

solo moltiplicando gli orizzonti visivi,<br />

osando azioni spregiu<strong>di</strong>cate.<br />

Scritture esemplari, dunque <strong>di</strong> un’emersione <strong>di</strong><br />

soggettività consapevole, cosciente e storica. Crudeli<br />

tanto quanto il tempo da cui hanno preteso<br />

ascolto, benevole tanto quanto l’immenso movimento<br />

d’intelligenza ed emozione che procurano.<br />

Per una <strong>critica</strong> <strong>di</strong>alogante 2<br />

Cara Mariella,<br />

meno <strong>di</strong> te, in teoria, avrei titolo <strong>di</strong> esprimermi sulla questione<br />

della scrittura al femminile, ma, visto che dal femminismo<br />

siamo stati attraversati, <strong>di</strong>co qualcosa sul tuo saggio, premettendo<br />

che non ho letto le opere che tu commenti e che quin<strong>di</strong><br />

le mie osservazioni- obiezioni scaturiscono unicamente da<br />

quanto tu <strong>di</strong>ci in esso e dal modo in cui lo <strong>di</strong>ci.<br />

“Il silenzio mantiene le cose aperte”(Sontag). Tanti i<br />

dubbi. Decenni fa, una scrittrice (francese mi pare, non ricordo<br />

se si chiamasse Marie Car<strong>di</strong>nal...) aveva scritto Le<br />

parole per <strong>di</strong>rlo. Cosa, invece, induce oggi a tornare a privilegiare<br />

il silenzio? E quale silenzio (Ve<strong>di</strong> dopo)? E poi il silenzio<br />

è, forse, solo delle donne? Esiste o no un’ambiguità<br />

del silenzio, per cui non è detto che esso mantenga con certezza<br />

«le cose aperte»?<br />

Nel silenzio presente nel lavoro letterario e poetico<br />

delle donne - mi pare <strong>di</strong> capire - tu ve<strong>di</strong> «un esercizio <strong>di</strong> presenza»,<br />

e cioè – sempre azzardando – la possibilità per le<br />

donne <strong>di</strong> far emergere «una lingua, [...] un linguaggio, [...] un<br />

molteplice che attraversa l’uni<strong>di</strong>mensionalità con cui si tende<br />

a ridurre la visione del mondo, sotto la pretesa <strong>di</strong> una esemplificazione<br />

paritetica».<br />

La cosa avverrebbe oggi attraverso «un Io <strong>di</strong>latato,<br />

crudele e in sé molteplice», che esemplifichi nei testi prescelti<br />

delle tre autrici esaminate. In nessuno <strong>di</strong> questi libri -<br />

affermi - la narrazione è affidata sempre allo stesso soggetto;<br />

e in questa «avventura pronominale» scorgi «una violenta<br />

appropriazione della soggettività storica ed umana delle scriventi».<br />

Le quali si muoverebbero «a ridosso [attenzione: «a<br />

ridosso» non equivale a «dentro», nota mia] della Storia (la<br />

guerra, il nazismo, il potere temporale della Chiesa)» e contro<br />

«il padre quale figura deprecabilmente insufficiente - se<br />

non avvilitoria - alla costruzione dell’or<strong>di</strong>ne o ad un suo man-<br />

Poliscritture/Letture d’autore 55

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