POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...

POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ... POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...

backupoli.altervista.org
from backupoli.altervista.org More from this publisher
11.06.2013 Views

Consisteva nel vivere con mia moglie, coi miei figli. Sono sempre stato fuori da questi ambienti di letterati. E anche le mie letture mi spingevano a rimanere fuori. Ho sempre avuto una diffidenza delle riunioni. Poi, quando sono uscito dal lavoro in banca e ho comiciato a partecipare a qualche lettura e poi anche alla vita pubblica, mi sono reso conto che davvero sono più le spine che le rose. Invidie e meschinerie non mancano. A partire da una certa epoca il primo che si è interessato molto al mio lavoro e nel ’72 sul Ragguaglio librario ha scritto una critica e poi è venuto a trovarmi ed è diventato mio amico è stato Cucchi. Anceschi ne aveva parlato nel ’70, Raboni nel ’71. Ti hanno giovato queste critiche? Mi hanno aiutato psicologicamente. Nell’attrito tra due epoche Da quanto mi dici devo pensare che mai, e soprattutto da quando hai cominciato a lavorare in banca, ti sei interessato di politica? In un certo senso di politica non mi sono mai interessato. Ma in un altro senso io di politica vivo, perché continuamente polemizzo contro le false informazioni e la faziosità. Ma questo più che vivere di politica a me pare vivere una contraddizione interiore. È come se tu fossi ancora immerso emotivamente in quel periodo della tua giovinezza, nel suo mito e ti ritrovassi poi disarmato in un’epoca che ti sembra la sua completa negazione. La tua esperienza di uomo maturo, sconfitto dalla storia («soccombente» come dici) è in attrito col tempo in cui vivi. Come ti gestisci questo attrito fra due epoche storiche che a me pare tremendo? Sì, sono stato per molto tempo in attrito con la storia successiva di questo Paese. Mi fai venire in mente una poesia di Fortini che ha colto questo dramma dello scontro tragico tra due epoche e due modi contrapposti di sentirle, riconoscendo però la comune sostanza umana dei contendenti. Senti: Quel giovane tedesco Quel giovane tedesco ferito sul Lungosenna ai piedi d’una casa durante l’insurrezione che moriva solo mentre Parigi era urla intorno all’ Hôtel de Ville e moriva senza lamenti la fronte sul marciapiede. Quel fascista a Torino che sparò per due ore e poi scese per strada con la camicia candida i modi distinti e disse andiamo pure asciugando il sudore con un foulard di seta. ..... [da F. Fortini, Una volta per sempre. Poesie 1938-1973, Einaudi 1978] Anche Fenoglio, uno scrittore che ammiro molto, ha saputo rendere omaggio ai combattenti delle opposte fazioni. Nota di E.A. Queste due conversazioni con Giampiero Neri sono tappe del mio avvicinamento critico a una figura umana affabile e ferma e alla sua poesia, limpida ma complessa e inquieta. Come si capisce dall’andamento del colloquio, entrambi concordiamo sull’importanza nella sua poesia della storia tragica (in particolare per l’Italia) del Novecento, che a me pare anzi la fonte reale decisiva. Ma ad essa guardiamo attraverso il filtro di dissimili esperienze di vita e di concezioni del mondo. Neri - sulla scorta di Darwin, della saggezza antica e di quello che definisce un «vago teismo» - tende a mantenerla sullo sfondo, a sentirla come inenarrabile ferita, a pensarla come teatro naturale o fiume vorticoso d’eventi, che gli uomini possono vivere o da vincitori o da vinti ma non giudicare e tantomeno orientare in senso razionale. Io - sinteticamente - da un’ottica segnata soprattutto dalle lotte sociali del ’68-’69 e che non abbandona la lezione cristiana e quella marxiana. Da qui forse la postura rispettosamente “duellante” di entrambi. Che non scalfisce un’amicizia in apparenza insolita, ma paradossalmente fertile e che si va consolidando anche nella condirezione assieme ad altri de Il Monte Analogo, una «rivista di poesia e ricerca» da Neri ispirata. Spero che queste conversazioni possano continuare a lungo e confluire, assieme ad altri miei appunti sui suoi scritti, da me tardivamente scoperti, in un saggio che ho in mente di scrivere. Poliscritture/Letture d’autore 50

- Andrea Boeri: Secolarizzazione e legittimità dell’età moderna. Considerazioni sulla critica di Blumenberg alla filosofia della storia di Löwith In Significato e fine della storia, Karl Löwith, affrontando più esplicitamente presupposti peraltro già contenuti in una delle sue opere più conosciute, Da Hegel a Nietzsche, delinea quello che Blumenberg definisce il teorema della secolarizzazione: un tentativo di delegittimazione della modernità, attuato mediante l’analisi dei motivi teologici peculiari della moderna filosofia della storia. Questo, nel tentativo di dimostrare come le differenti formulazioni dottrinali da esse ricevute nel corso dello sviluppo del pensiero europeo sino a Hegel, Comte e Marx, siano riconducibili alla visione storica biblico-cristiana. Se infatti, da un lato, l’opera di Löwith intende evidenziare la sostanziale derivazione della filosofia della storia dalla teologia della salvezza, dall’altro, cerca anche di mettere in luce l’inevitabile fallimento in cui essa sarebbe incorsa, in quanto, pur sostituendo alla fede nella provvidenza divina la fede nel progresso umano, oppure quella nella realizzazione dello “spirito del mondo” o nell’avvento della società senza classi, rimanendo vincolata alla prospettiva teologica, avrebbe conservato un’impronta teologica. Per Löwith, “… sembra che le due concezioni dell’antichità e del cristianesimo – il movimento ciclico e l’orientamento escatologico – abbiano esaurito la possibilità della comprensione della storia “ (1), in modo tale che le interpretazioni più recenti non sarebbero altro che variazioni di questi due principi. Ciò in cui la concezione ciclica si differenzierebbe inequivocabilmente da quella giudaico-cristiana sarebbe l’abdicazione rispetto allo sforzo di conoscere il senso ultimo della storia, poiché, in base alla concezione classica del mondo, tutto si muoverebbe in un eterno ricorso determinato dalla coincidenza di principio e fine. Non s’intende in questa sede affrontare la pur rilevante questione relativa alla legittimità di una così ampia schematizzazione della concezione storica classica, sebbene essa costituisca uno dei fondamenti teorici essenziali del pensiero di Löwith che non a caso, in Nietzsche e l’eterno ritorno, presenta la cosmologia nietzscheana come la visione della storia più prossima a quella pagana e come l’autentica alternativa alla crisi filosofica seguita alla crisi dell’idealismo hegeliano. Quello che invece risulta importante evidenziare è come la considerazione del tradimento che l’interpretazione teologica della storia avrebbe operato dell’autenticità originaria di quella pagana si rifletta, in un secondo momento, nella denuncia della illegittimità della concezione storica moderna, che, volendo “ … rappresentare la storia come un progresso significativo anche se indefinito, verso un compimento immanente “ ( 2), rimarrebbe vincolata all’attesa escatologica. La modernità, pur cercando di liberarsi dalla fede cristiana, concependo ancora il passato come preparazione ed il futuro come compimento, ne conserverebbe i presupposti, tanto che la storia della salvezza non diverrebbe altro che una teologia dello sviluppo progressivo: la filosofia della storia e la sua ricerca del senso dello sviluppo storico “ … sono scaturite dalla fede escatologica in un fine ultimo della salvezza “ (3). Perciò, la scoperta da parte della modernità del significato che spieghi il divenire storico e ciò verso cui si orienta non sarebbe altro che la secolarizzazione della speranza teologica nell’avvento del regno dei cieli. In essa sarebbe da ricercarsi la ragione del fallimento del progetto moderno di una fondazione scientifica della dimensione dell’attesa, dato che il senso del mondo e della storia si sottraggono alla conoscenza: “ Ricercare seriamente il senso ultimo della storia supera ogni possibilità conoscitiva “ (4). Questo è il motivo inoltre per cui Löwith si domanda: “ Chi non sarebbe disposto a considerare saggia e oggettiva la concezione antica “ - per la quale il problema della conoscenza del significato ultimo della storia neppure si pone, poiché tutto si muove in un eterno ricorso che nega il principio del senso storico-universale di un singolo evento – “ … mentre la fede ebraica “ – quindi anche la sua secolarizzazione, - “ che eleva la speranza a virtù morale e a dovere religioso sembra essere tanto folle quanto esaltata ? “. La critica che Blumenberg, in Legittimità dell’età moderna, muove nei confronti del “ teorema della secolarizzazione “ intende primariamente affermare il rifiuto della riduzione della moderna filosofia della storia alla teologia giudaico-cristiana. Se il teorema della secolarizzazione è il corollario dell’idea di una continuità che regolerebbe il divenire storico – nel caso di Löwith la regolarità della concezione ciclica classica della storia – egli, cercando di mostrare l’autentica novità che caratterizzerebbe l’età moderna, evidenzia come la storia non sia una totalità in cui è possibile riscontrare unicamente delle continuità, ma anche delle sostanziali discontinuità. Pur riconoscendo l’intima connessione tra passato e presente, Blumenberg considera fortemente riduttiva la tesi secondo cui il mondo sarebbe una “ … costante la cui affidabilità permetterebbe di attendersi che nel processo storico una situazione originaria debba ripresentarsi in modo palese “ (6). Se si considera la secolarizzazione come il recupero mondanizzato di un’originarietà perduta Poliscritture/Letture d’autore 51

- Andrea Boeri: Secolarizzazione e legittimità<br />

dell’età moderna. Considerazioni sulla <strong>critica</strong><br />

<strong>di</strong> Blumenberg alla filosofia della storia <strong>di</strong><br />

Löwith<br />

In Significato e fine della storia, Karl Löwith, affrontando<br />

più esplicitamente presupposti peraltro<br />

già contenuti in una delle sue opere più conosciute,<br />

Da Hegel a Nietzsche, delinea quello che Blumenberg<br />

definisce il teorema della secolarizzazione:<br />

un tentativo <strong>di</strong> delegittimazione della modernità,<br />

attuato me<strong>di</strong>ante l’analisi dei motivi teologici<br />

peculiari della moderna filosofia della storia. Questo,<br />

nel tentativo <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare come le <strong>di</strong>fferenti<br />

formulazioni dottrinali da esse ricevute nel corso<br />

dello sviluppo del pensiero europeo sino a Hegel,<br />

Comte e Marx, siano riconducibili alla visione<br />

storica biblico-cristiana. Se infatti, da un lato,<br />

l’opera <strong>di</strong> Löwith intende evidenziare la sostanziale<br />

derivazione della filosofia della storia dalla teologia<br />

della salvezza, dall’altro, cerca anche <strong>di</strong><br />

mettere in luce l’inevitabile fallimento in cui essa<br />

sarebbe incorsa, in quanto, pur sostituendo alla<br />

fede nella provvidenza <strong>di</strong>vina la fede nel progresso<br />

umano, oppure quella nella realizzazione dello<br />

“spirito del mondo” o nell’avvento della società<br />

senza classi, rimanendo vincolata alla prospettiva<br />

teologica, avrebbe conservato un’impronta teologica.<br />

Per Löwith, “… sembra che le due concezioni<br />

dell’antichità e del cristianesimo – il movimento<br />

ciclico e l’orientamento escatologico – abbiano<br />

esaurito la possibilità della comprensione<br />

della storia “ (1), in modo tale che le interpretazioni<br />

più recenti non sarebbero altro che variazioni<br />

<strong>di</strong> questi due principi. Ciò in cui la concezione<br />

ciclica si <strong>di</strong>fferenzierebbe inequivocabilmente da<br />

quella giudaico-cristiana sarebbe l’ab<strong>di</strong>cazione<br />

rispetto allo sforzo <strong>di</strong> conoscere il senso ultimo<br />

della storia, poiché, in base alla concezione classica<br />

del mondo, tutto si muoverebbe in un eterno<br />

ricorso determinato dalla coincidenza <strong>di</strong> principio<br />

e fine. Non s’intende in questa sede affrontare la<br />

pur rilevante questione relativa alla legittimità <strong>di</strong><br />

una così ampia schematizzazione della concezione<br />

storica classica, sebbene essa costituisca uno dei<br />

fondamenti teorici essenziali del pensiero <strong>di</strong> Löwith<br />

che non a caso, in Nietzsche e l’eterno ritorno,<br />

presenta la cosmologia nietzscheana come la<br />

visione della storia più prossima a quella pagana e<br />

come l’autentica alternativa alla crisi filosofica<br />

seguita alla crisi dell’idealismo hegeliano. Quello<br />

che invece risulta importante evidenziare è come<br />

la considerazione del tra<strong>di</strong>mento che<br />

l’interpretazione teologica della storia avrebbe<br />

operato dell’autenticità originaria <strong>di</strong> quella pagana<br />

si rifletta, in un secondo momento, nella denuncia<br />

della illegittimità della concezione storica moderna,<br />

che, volendo “ … rappresentare la storia come<br />

un progresso significativo anche se indefinito,<br />

verso un compimento immanente “ ( 2), rimarrebbe<br />

vincolata all’attesa escatologica. La modernità,<br />

pur cercando <strong>di</strong> liberarsi dalla fede cristiana, concependo<br />

ancora il passato come preparazione ed il<br />

futuro come compimento, ne conserverebbe i presupposti,<br />

tanto che la storia della salvezza non <strong>di</strong>verrebbe<br />

altro che una teologia dello sviluppo<br />

progressivo: la filosofia della storia e la sua <strong>ricerca</strong><br />

del senso dello sviluppo storico “ … sono scaturite<br />

dalla fede escatologica in un fine ultimo della<br />

salvezza “ (3). Perciò, la scoperta da parte della<br />

modernità del significato che spieghi il <strong>di</strong>venire<br />

storico e ciò verso cui si orienta non sarebbe altro<br />

che la secolarizzazione della speranza teologica<br />

nell’avvento del regno dei cieli. In essa sarebbe da<br />

<strong>ricerca</strong>rsi la ragione del fallimento del progetto<br />

moderno <strong>di</strong> una fondazione scientifica della <strong>di</strong>mensione<br />

dell’attesa, dato che il senso del mondo<br />

e della storia si sottraggono alla conoscenza: “ Ricercare<br />

seriamente il senso ultimo della storia supera<br />

ogni possibilità conoscitiva “ (4). Questo è il<br />

motivo inoltre per cui Löwith si domanda: “ Chi<br />

non sarebbe <strong>di</strong>sposto a considerare saggia e oggettiva<br />

la concezione antica “ - per la quale il problema<br />

della conoscenza del significato ultimo della<br />

storia neppure si pone, poiché tutto si muove in<br />

un eterno ricorso che nega il principio del senso<br />

storico-universale <strong>di</strong> un singolo evento – “ …<br />

mentre la fede ebraica “ – quin<strong>di</strong> anche la sua secolarizzazione,<br />

- “ che eleva la speranza a virtù<br />

morale e a dovere religioso sembra essere tanto<br />

folle quanto esaltata ? “. La <strong>critica</strong> che Blumenberg,<br />

in Legittimità dell’età moderna, muove nei<br />

confronti del “ teorema della secolarizzazione “<br />

intende primariamente affermare il rifiuto della<br />

riduzione della moderna filosofia della storia alla<br />

teologia giudaico-cristiana. Se il teorema della secolarizzazione<br />

è il corollario dell’idea <strong>di</strong> una continuità<br />

che regolerebbe il <strong>di</strong>venire storico – nel caso<br />

<strong>di</strong> Löwith la regolarità della concezione ciclica<br />

classica della storia – egli, cercando <strong>di</strong> mostrare<br />

l’autentica novità che caratterizzerebbe l’età moderna,<br />

evidenzia come la storia non sia una totalità<br />

in cui è possibile riscontrare unicamente delle<br />

continuità, ma anche delle sostanziali <strong>di</strong>scontinuità.<br />

Pur riconoscendo l’intima connessione tra passato<br />

e presente, Blumenberg considera fortemente<br />

riduttiva la tesi secondo cui il mondo sarebbe una<br />

“ … costante la cui affidabilità permetterebbe <strong>di</strong><br />

attendersi che nel processo storico una situazione<br />

originaria debba ripresentarsi in modo palese “<br />

(6). Se si considera la secolarizzazione come il recupero<br />

mondanizzato <strong>di</strong> un’originarietà perduta<br />

Poliscritture/Letture d’autore 51

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!