POLISCRITTURE Rivista di ricerca e cultura critica Numero prova ...
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5<br />
Zibaldone<br />
- Luciano De Feo: Scritto nelle stelle<br />
Ghirigori <strong>di</strong> china, corvi spauriti che svolazzano<br />
sul fondotinta anemico <strong>di</strong> un volto <strong>di</strong> donna. E<br />
io che mordevo già, a piccoli sorsi, l’ultimo bicchierino<br />
e una pillola rossa, occhio <strong>di</strong> tigre incastonato<br />
nel durissimo granito della notte.<br />
Il mare del Nord, che il vento rimbocca come<br />
una coperta damascata <strong>di</strong> stelle spumeggianti sugli<br />
aspri fianchi frastagliati della costa scan<strong>di</strong>nava,<br />
scava abissi <strong>di</strong> solitu<strong>di</strong>ne tra l’orrore che si cela<br />
<strong>di</strong>etro il sipario tenebroso chiazzato <strong>di</strong> pallide nuvole<br />
gonfie <strong>di</strong> tempesta e le povere marionette che<br />
si agitano a scatti, rispondendo al muto comando<br />
del più perfido dei burattinai.<br />
E già, perché non è che un mangiafuoco in età<br />
pensionabile, questo Destino che ci ha fatti ritrovare<br />
in questo posto <strong>di</strong>menticato da tutti, Dio in testa<br />
– e non potrebbe essere altrimenti, <strong>di</strong> questi tempi.<br />
Il destino non conosce soste, ha scarsa <strong>di</strong>mestichezza<br />
con la pietà e quando va in ferie è perché<br />
è la morte a chiedergli strada, per <strong>prova</strong>re il filo<br />
del suo arnese ricurvo. Che strano! L’allegoria della<br />
morte mette subito all’erta i miei sensi. Penso<br />
alle scimitarre e mi viene in mente Dubai, con le<br />
sue strade polverose <strong>di</strong> giorno e silenziose <strong>di</strong> antichi<br />
misteri <strong>di</strong> notte. Quelle notti, io non le ho ancora<br />
<strong>di</strong>menticate: notti <strong>di</strong> agguati e <strong>di</strong> peccato, <strong>di</strong><br />
dolore e <strong>di</strong> dolcissima rassegnazione.<br />
A Teheran si è fermato il mio tempo, prima<br />
che le bombe benedette, incartate <strong>di</strong> stelle e <strong>di</strong><br />
sangue, piovessero sull’innocenza come tragiche<br />
uova pasquali!<br />
Shadrak im Shakì, il vecchio usuraio poliglotta,<br />
che io sappia giace ancora abbandonato in un<br />
su<strong>di</strong>cio campo alla periferia <strong>di</strong> Ramallah, la testa<br />
da una parte e ciò che resta del corpo sparso tra i<br />
ciuffi d’erba bruciati, come spiccioli <strong>di</strong><br />
un’esistenza gettata sul banco dove un tempo uomini<br />
dalle armature d’argento tirarono la sorte sulle<br />
Santissime Spoglie.<br />
Ben misero crociato, sono, se ripenso a quelle<br />
notti persiane che nulla hanno delle antiche fiabe.<br />
Ma sto <strong>di</strong>vagando, come al solito mi sembra <strong>di</strong><br />
sentirti <strong>di</strong>re. A Beirut fu la tua voce a deviare la<br />
pallottola in<strong>di</strong>rizzata al mio cuore, e adesso mi<br />
chiedo se sia stato un bene … Voglio <strong>di</strong>re, quello<br />
della pallottola finita nella vetrina illuminata <strong>di</strong> un<br />
bar, saltato in aria l’indomani perché situato in un<br />
punto definito strategico dagli analisti. Per quanto<br />
mi riguarda quel bar è uno dei tanti posti sbagliati<br />
al momento sbagliato, l’incrociarsi <strong>di</strong> forze ostili<br />
nel grande labirinto del fuoco e dell’orrore.<br />
Un sacrificio! Come se non se ne celebrassero<br />
anche troppi in nome <strong>di</strong> questa Causa <strong>di</strong> merda,<br />
quella con l’iniziale maiuscola. L’eterna schermaglia<br />
che solo gli sciocchi vestono <strong>di</strong> leggenda sta<br />
tingendosi troppo <strong>di</strong> catastrofe, perché si possa<br />
continuare a far finta <strong>di</strong> niente. Io non so più <strong>di</strong>stinguere<br />
i colori della vita, sarà per via <strong>di</strong> questo<br />
rosso fuoco che accende la bestia che è in me.<br />
Quale causa può mai definirsi giusta, se a rimetterci<br />
sono tanti innocenti: bambini sventrati dalle<br />
mine, donne violate, vecchi sgozzati, povere case<br />
rase al suolo dal più infame degli angeli ven<strong>di</strong>catori?<br />
E’ forse lo stesso oscuro movente che ha fatto<br />
<strong>di</strong> me un assassino a raccogliere, come un ceppo,<br />
l’ultima goccia <strong>di</strong> sangue che scherza con l’orlo<br />
del tuo fazzoletto, quello che raccolsi presso un<br />
bazar <strong>di</strong> Istambul, or sono tre anni.<br />
E’ vero, non ho perso l’abitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> esprimermi<br />
come uno <strong>di</strong> quei personaggi che sembrano evasi<br />
da un feuilleton ottocentesco, che a te fanno<br />
venire i brivi<strong>di</strong>, e che a me hanno invece insegnato<br />
più cose sulla vita che non i tuoi Manuali Cato<strong>di</strong>ci,<br />
infarciti <strong>di</strong> uomini <strong>di</strong> pezza, <strong>di</strong> punti luminosi gettati<br />
a casaccio in mezzo a grappoli <strong>di</strong> merci pronte<br />
per il consumo e quesiti venuti a galla nel bel<br />
mezzo <strong>di</strong> un quiz a premi.<br />
Mi fa un male pazzesco, questa dannata ferita<br />
che scava tra le mie costole come nel Mar Rosso la<br />
Gloria del Signore, al passaggio del popolo eletto.<br />
Adesso sono seduto su <strong>di</strong> una bitta <strong>di</strong>vorata dalla<br />
ruggine. Non faccio che fissare da ore lo stesso<br />
cabinato scuro che rulla, beccheggia, quasi volteggia<br />
sulle acque grigie <strong>di</strong> questo fazzoletto <strong>di</strong> mare<br />
gettato a mo’ <strong>di</strong> rete in mezzo a peste scogliere incre<strong>di</strong>bilmente<br />
cristalline alla pallida, eppure per<br />
me così abbagliante, luce della remota luna<br />
d’inverno, in un posto qualunque tra Solna e il tuo<br />
esilio.<br />
Ti sogno ogni notte, dacché ho ricevuto quel<br />
semplice foglio a quadretti su cui, un giorno<br />
rubato a caso nel mazzo <strong>di</strong>cembrino del più<br />
tragico dei miei anni, hai scritto: “Ti penso<br />
sempre. Appena arrivo ti faccio uno squillo”.<br />
Ecco, proprio così c’era scritto, non si è trattato<br />
<strong>di</strong> uno scherzo della mia immaginazione. Ero al<br />
bar “dei reduci”, come chiamano il Lazarus Inn<br />
questi sciocchi marcantoni dagli occhi <strong>di</strong> ghiaccio,<br />
unico scampolo <strong>di</strong> umanità in quest’anfratto sperduto.<br />
Poliscritture/Storia adesso 38