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11.06.2013 Views

Conversione pastorale significa che non bisogna incappare né in Scilla, né in Cariddi, cioè chiudersi in una mortale autosufficienza pastorale, oppure rassegnarsi a essere “centro di servizi”. Il duplice scoglio si supera con l’integrazione pastorale, cioè intensificando la collaborazione con le parrocchie vicine, per programmare insieme le attività che superano le possibilità della singola parrocchia. 4. La fonte e i canali di una pastorale integrata Una pastorale integrata è postulata non solo, né principalmente dai cambiamenti sociologici, ma dal mistero stesso della Chiesa che è Comunione. La comunionalità della Chiesa sgorga dalla Trinità e sfocia nella missionarietà. a) Fondamentali, per l’unità e l’integrazione pastorale sono gli Orientamenti Pastorali dati dal Vescovo e l’impegno degli Uffici Pastorali della Curia. Tuttavia, una ecclesiologia di comunione non germoglia ugualmente senza una convinta disponibilità e una vera obbedienza da parte dei sacerdoti e dei fedeli laici. b) Ecco la necessità che, prima sacerdoti e seminaristi, e fedeli laici poi, si convertano allo Spirito di comunione e a una fede missionaria, che non rinuncia al confronto con mentalità e culture estranee e contrarie al Vangelo. c) Conversione a una pastorale integrata non è sinonimo di moltiplicazione di attività. Tutt’altro! Bisogna cominciare col valorizzare ciò che esiste pastoralmente e che ci fa avvicinare tante persone precariamente legate alla Chiesa. d) La svolta missionaria non è né aggiunta, né alternativa alla pastorale ordinaria; ma rivoluzione copernicana di mentalità e di rapporti con la Diocesi e con le altre parrocchie. e) Resta primaria la cura pastorale degli adulti, cioè delle famiglie e degli ambienti di lavoro, cominciando a rimescolare tutte le ore e le date degli incontri, secondo i ritmi di vita delle famiglie. Anche per raggiungere i giovani non si può fare a meno della collaborazione delle famiglie. f) Come si può parlare di parrocchia e non parlare del parroco? Nel Decreto Conciliare Christus Dominus (30) si legge: “collaboratori del Vescovo sono i parroci, ai quali, come a pastori propri, è affida- 2

300 ta la cura delle anime, in una determinata parte della Diocesi, sotto l’autorità dello stesso Vescovo”. La pastorale integrata, o rinnovamento pastorale, non mette in discussione il ruolo e la responsabilità del parroco, ma lo aiuta ad esercitare l’ufficio nel modo più autentico e non da protagonista unico delle sorti della parrocchia. g) Il servizio pastorale non è una condanna ad esaurirsi, ma responsabilità: • di coinvolgere e formare i laici alla corresponsabilità; • attenzione a non fare della parrocchia una bacca chiusa in se stessa, ma ad inserirla nella comunione ecclesiale e missionaria e nel dialogo interparrocchiale. h) Integrazione pastorale significa anche invito, apertura e accoglienza verso i Religiosi e le Associazioni e Movimenti presenti in Parrocchia, perché entrino in modo stabile nella vita e nelle attività della parrocchia, pur nel rispetto del loro carisma. i) Chi ha la grazia di avere il Vicario parrocchiale o un diacono, o chi ne svolge il compito, non sottovaluti l’importanza di tale presenza. Il vice-parroco fa una preziosa esperienza in vista di altre responsabilità; il parroco ha interlocutori preziosi per il dialogo, il confronto, la pastorale giovanile, la vita comune. l) Queste riflessioni sulla parrocchia sono incomplete e sintetiche; tuttavia non è possibile concluderle senza accennare: • alla necessità di puntare a ciò che è primario ed essenziale nella pastorale: l’annuncio del Regno di Dio; • alla assoluta necessità di costituire in ogni Parrocchia Consigli Pastorali formati, responsabilizzati, ascoltati e valorizzati. Non posso nascondere che nel giro, fatto quest’anno, tra i Consigli Pastorali delle Parrocchie, ho incontrato Consigli molto ricettivi, passivi, muti, senza segni di sollecitudine missionaria con molti membri in atteggiamento di ospiti, di uditori, di invitati. Con Consigli così fatti, la Parrocchia può solo dormire un sonno comatoso col rischio di non svegliarsi più. m) “La parrocchia da sola non basta - dice il Documento C.E.I. al n. 9; ci vogliono competenze che possono essere assicurate solo da livelli più integrati, diocesani o almeno zonali, e da dedizioni più specifiche, come quelle associative”. Se non basta da sola la parrocchia, a maggior ragione non basta da solo il parroco.

Conversione pastorale significa che non bisogna incappare né in Scilla,<br />

né in Cariddi, cioè chiudersi in una mortale autosufficienza pastorale,<br />

oppure rassegnarsi a essere “centro di servizi”.<br />

Il duplice scoglio si supera con l’integrazione pastorale, cioè intensificando<br />

la collaborazione con le parrocchie vicine, per programmare<br />

<strong>insieme</strong> le attività che superano le possibilità della singola parrocchia.<br />

4. La fonte e i canali di una pastorale integrata<br />

Una pastorale integrata è postulata non solo, né principalmente dai<br />

cambiamenti sociologici, ma dal mistero stesso della Chiesa che è Comunione.<br />

La comunionalità della Chiesa sgorga dalla Trinità e sfocia<br />

nella missionarietà.<br />

a) Fondamentali, per l’unità e l’integrazione pastorale sono gli Orientamenti<br />

Pastorali dati dal Vescovo e l’impegno degli Uffici Pastorali<br />

della Curia. Tuttavia, una ecclesiologia di comunione non germoglia<br />

ugualmente senza una convinta disponibilità e una vera obbedienza<br />

da parte dei sacerdoti e dei fedeli laici.<br />

b) Ecco la necessità che, prima sacerdoti e seminaristi, e fedeli laici<br />

poi, si convertano allo Spirito di comunione e a una fede missionaria,<br />

che non rinuncia al confronto con mentalità e culture estranee e<br />

contrarie al Vangelo.<br />

c) Conversione a una pastorale integrata non è sinonimo di moltiplicazione<br />

di attività. Tutt’altro! Bisogna cominciare col valorizzare ciò<br />

che esiste pastoralmente e che ci fa avvicinare tante persone precariamente<br />

legate alla Chiesa.<br />

d) La svolta missionaria non è né aggiunta, né alternativa alla pastorale<br />

ordinaria; ma rivoluzione copernicana di mentalità e di rapporti con<br />

la <strong>Diocesi</strong> e con le altre parrocchie.<br />

e) Resta primaria la cura pastorale degli adulti, cioè <strong>delle</strong> famiglie e<br />

degli ambienti di lavoro, cominciando a rimescolare tutte le ore e le<br />

date degli incontri, secondo i ritmi di vita <strong>delle</strong> famiglie. Anche per<br />

raggiungere i giovani non si può fare a meno della collaborazione<br />

<strong>delle</strong> famiglie.<br />

f) Come si può parlare di parrocchia e non parlare del parroco? Nel<br />

Decreto Conciliare Christus Dominus (30) si legge: “collaboratori<br />

del Vescovo sono i parroci, ai quali, come a pastori propri, è affida-<br />

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