Grandimostre n 04 - Emmi srl
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Rubriche<br />
SITI NON ONLINE...<br />
MOSTRE CHE HANNO FATTO STORIA<br />
50 |<strong>Grandimostre</strong><br />
ARCHEO’<br />
Italia Langobardorum. A metà<br />
È il nostro prossimo candidato a entrare nella prestigiosa lista del Patrimonio dell’Umanità<br />
dell’Unesco. Italia Langobardorum è un insieme di sette luoghi che dovrebbero dare il senso<br />
della presenza longobarda in terra d’Italia. “La candidatura più articolata e complessa mai<br />
proposta all’Unesco”, si legge nel sito internet di presentazione (www.italialangobardorum.<br />
it). A giugno sapremo se ce la farà. Al momento, però, articolata e complessa è stata la sua<br />
gestazione. Tutto nacque da un’idea dei “Longobardi del nord”, primi fra tutti i friulani<br />
di Cividale che ci fantasticano da oltre un decennio. Consci della diffi coltà dell’im presa,<br />
unirono a un certo punto le forze coi Bresciani, e per completare il quadro “nordico” ci<br />
misero pure Castelseprio. Infi ne si è giunti all’attuale candidatura dove, tra pressioni varie<br />
e scelte opportunistiche, hanno trovato spazio anche San Salvatore a Spoleto, il Tempietto<br />
del Clitunno a Campello, Santa Sofi a a Benevento e il Santuario di San Michele a Monte<br />
Sant’Angelo. Insomma il tutto è diventato geographically correct, ma il pregiudizio “nordico”<br />
permane comunque nelle date che racchiudono il periodo storico considerato: 568-774 d.C., cioè<br />
fi no alla fi ne del Regno del nord. Mentre sappiamo che al sud il Ducato di Benevento protrarrà i fasti<br />
longobardi di altri tre secoli. Certo, la presentazione dice che le date si riferiscono al “periodo di maggior fulgore” dei Longobardi, ma<br />
allora perché ignorare la capitale Pavia? E perché comunque trascurare Salerno, porto mediterraneo e fulcro del potere longobardo<br />
ben più della defi lata Benevento? Oppure l’abbazia di San Vincenzo al Volturno che tanto si barcamenò tra Longobardi e Carolingi?<br />
Perché non sono conservati e promossi a dovere, si è detto. Ed è vero. Ma perché allora non adeguarli agli standard di qualità imposti<br />
dall’Unesco, e presentare poi una candidatura più organica? Così è solo raff azzonata. Un po’ come nel 1997 quando si candidarono<br />
le città vesuviane scordandosi Stabia. I soliti pasticci all’italiana.<br />
VINTAGE<br />
A CURA DI CINZIA DAL MASO<br />
A CURA DI IRENE TEDESCO<br />
Civiltà del Seicento a Napoli, 1984-<br />
1985<br />
Un passo avanti e un salto all’indietro.<br />
Siamo rimbalzati dentro la Civiltà del<br />
Seicento a Napoli, il “secolo d’oro” della<br />
produzione artistica del meridione d’Italia,<br />
nella capitale del Viceregno spagnolo,<br />
centro di accoglienza di numerosi artisti,<br />
porto ricettivo e propulsore di novità<br />
multidisciplinari tra arte e società.<br />
All’alba degli studi novecenteschi sulle<br />
tre arti canoniche - pittura, scultura e<br />
architettura - in Campania si tiene la<br />
Mostra di Tre Secoli nelle sale “mascoline”<br />
aragonesi di Castel Nuovo, dove lo<br />
storico Sergio Ortolani nel ‘38 traccia<br />
una prima linea d’indagine sugli studi<br />
riguardo il XVII secolo e che proseguono, dagli anni Cinquanta<br />
grazie alle forze intuitive di due giovani, Raff aello Causa e<br />
Ferdinando Bologna, che lavoravano nell’allora Sovrintendenza<br />
per le Antichità e Belle Arti.<br />
C’era un mondo da scoprire brulicante di personalità<br />
semisconosciute (chi erano allora questi Carneade della pittura<br />
come Giovan Battista Spinelli o Agostino Beltrano?), ricco di<br />
tele strappate dal tempo, sculture semiabbandonate nelle chiese,<br />
divenute covi di fantasiosi scenari tridimensionali impreziositi<br />
da scaloni “a tenaglia” e stravaganti marmi “mischi”. Intere casse<br />
di incisioni, monete, argenti e ceramiche formavano un nucleo<br />
compatto di collezionismo nobiliare.<br />
Questi toni avventurosi nello studio del Naturalismo<br />
caravaggesco e del Barocco, vissuti alle prove generali di Civiltà<br />
in foto: Fibula Longobarda, VII secolo<br />
del ‘700 a Napoli (1979-80), hanno avuto<br />
più ampio respiro dal 24 ottobre 1984<br />
al 14 aprile 1985, attraverso Civiltà del<br />
Seicento nei musei di Capodimonte e<br />
Villa Pignatelli. Splendida mostra, un<br />
catalogo in due volumi, una campagna<br />
di restauri condotta appositamente e<br />
soprattutto un momento di festa per la<br />
ricerca e di rammarico per la scomparsa<br />
del soprintendente Raff aello Causa e il<br />
conseguente passaggio epocale a Nicola<br />
Spinosa, in carica fi no al 2010.<br />
All’ombra del Vesuvio si sciolgono in un<br />
sessantennio intricate vicende come il<br />
disvelamento della cortina che copriva le<br />
Sette opere di misericordia di Caravaggio<br />
(9 gennaio 1607), ma i napoletani ben<br />
informati come Massimo Stanzione erano già a conoscenza dei<br />
risultati raggiunti da questi a Roma. Anni cruciali come il 1616<br />
quando lo spagnoletto Ribera installa la proprio fucina di opere<br />
e giovani artisti, il ‘30 (e poi il ‘50) con Velàzquez a Napoli,<br />
l’eruzione del Vesuvio l’anno successivo, lo scoppio del ‘47<br />
quando il pescivendolo Masaniello capeggiò la rivolta muovendo<br />
da piazza Mercato. Episodi di cronaca registrati in pittura da<br />
Micco Spadaro. Episodi di novità carraccesche importate da<br />
Giovanni Lanfranco per la Certosa di S. Martino. Su tutto<br />
scende però la peste nel ’56 portando via intere generazioni di<br />
artisti, ma lasciando innumerevoli spunti per i saggi contenuti in<br />
Ricerche sul Seicento napoletano, raccolta annuale per gli studiosi<br />
edita ancor oggi e una sorta di veloce wikipedia per scegliere<br />
l’argomento della tesi per tutti noi.