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hegel e aristotele - Facoltà di Lettere e Filosofia - Università degli ...

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI CAGLIARI<br />

<strong>Facoltà</strong> <strong>di</strong> <strong>Lettere</strong> e <strong>Filosofia</strong> e <strong>di</strong> Scienze dell'Educazione<br />

Dipartimento <strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong> e Teoria delle Scienze Umane<br />

M. MIGNUCCI, A. MORETTO, P. ZIZI, R. PORCHEDDU,<br />

C. FERRINI, L. SAMONÀ, A. FERRARIN, C. MEAZZA, G. MOVIA<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

Atti del Convegno <strong>di</strong> Cagliari<br />

(11-15 Aprile 1994)<br />

a cura <strong>di</strong><br />

GIANCARLO MOVIA<br />

EDIZIONI<br />

AV<br />

CAGLIARI - 1997


ANNALI DELLA FACOLTÀ<br />

DI LETTERE E FILOSOFIA<br />

DELL’UNIVERSITÀ DI CAGLIARI<br />

NUOVA SERIE XIV (VOL. LI) - 1995<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

Atti del Convegno <strong>di</strong> Cagliari<br />

(11-15 Aprile 1994)<br />

a cura <strong>di</strong><br />

GIANCARLO MOVIA<br />

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI<br />

1995


ANNALI DELLA FACOLTÀ<br />

DI LETTERE E FILOSOFIA<br />

DELL’UNIVERSITÀ DI CAGLIARI<br />

NUOVA SERIE XIV (VOL. LI) - 1995<br />

SOMMARIO<br />

Presentazione — In<strong>di</strong>rizzi <strong>di</strong> saluto — Relazioni: MARIO MIGNUCCI: L’interpretazione<br />

<strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele — ANTONIO MORETTO: Sul<br />

problema della considerazione matematica dell’infinito e del continuo in Aristotele<br />

e Hegel — PAOLO ZIZI: Il concetto metafisico <strong>di</strong> “intero” in Aristotele e in<br />

Hegel — RAIMONDO PORCHEDDU: L’idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione<br />

<strong>di</strong> Hegel — CINZIA FERRINI: Tra etica e filosofia della natura: il significato<br />

della Metafisica aristotelica per il problema delle grandezze del sistema solare<br />

nel primo Hegel — LEONARDO SAMONÀ: Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione<br />

<strong>di</strong> Hegel — ALFREDO FERRARIN: Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione<br />

<strong>di</strong> concetti. Immaginazione e pensiero dalla phantasia aristotelica alla<br />

Einbildungskraft in Kant e Hegel — CARMELINO MEAZZA: Aristotele tra<br />

Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione — GIANCARLO MOVIA: L’Uno e<br />

i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’Essere per sé — Appen<strong>di</strong>ce: G.W.F. HEGEL:<br />

Chi pensa astratto? — In<strong>di</strong>ce dei nomi — Notizie sui relatori.<br />

UNIVERSITÀ DI CAGLIARI<br />

1995


A. FERRARIN, C. FERRINI, C. MEAZZA, M. MIGNUCCI<br />

A. MORETTO, G. MOVIA, R. PORCHEDDU, L. SAMONÀ, P. ZIZI<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

Atti del Convegno <strong>di</strong> Cagliari<br />

(11-15 Aprile 1994)<br />

a cura <strong>di</strong><br />

GIANCARLO MOVIA<br />

EDIZIONI<br />

AV<br />

CAGLIARI - 1997


DELLO STESSO EDITORE:<br />

R. BODEI, F. CHIEREGHIN, P.L. LECIS, L. LUGARINI, N.C. MOLINU, G. MOVIA,<br />

A. PEPERZAK, F. VALENTINI, J.-L. VIEILLARD-BARON, La logica <strong>di</strong> Hegel e la storia<br />

della filosofia, Atti del Convegno <strong>di</strong> Cagliari (20-22 Aprile 1993), a cura <strong>di</strong> G.<br />

Movia, 292 pp. («Pubblicazioni del Dipartimento <strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong> e Teoria delle<br />

Scienze Umane dell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Cagliari», 1).<br />

EDIZIONI<br />

AV<br />

© Cagliari - 1997<br />

© EDIZIONI AV <strong>di</strong> Antonino Valveri - Via M. De Martis, 6 - 09121 Cagliari<br />

Tel. e fax 070/54 08 53


PRESENTAZIONE<br />

Con Platone incomincia, e con Aristotele si compie il lavoro<br />

rivolto a elaborare la scienza filosofica come scienza, e più<br />

precisamente a conferire assetto scientifico al punto <strong>di</strong> vista<br />

socratico: e quin<strong>di</strong>, se v’è chi meriti il nome <strong>di</strong> maestro del<br />

genere umano, sono precisamente Platone e Aristotele.<br />

G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, II, p. 153<br />

Nel 1992, dal 27 aprile al 2 maggio, nell’ambito dell’insegnamento<br />

<strong>di</strong> Storia della filosofia antica, si svolse nella nostra <strong>Facoltà</strong><br />

un seminario su “Hegel e la filosofia eleatica”, guidato dal prof.<br />

Renato Milan, dottore <strong>di</strong> ricerca dell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Padova. Fu il<br />

primo germe <strong>di</strong> un progetto assai ambizioso, e tuttora in corso <strong>di</strong><br />

realizzazione, che doveva portare a Cagliari, per iniziativa congiunta<br />

dell’Istituto ed ora Dipartimento <strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong> e Teoria delle<br />

Scienze Umane e della locale sezione della Società Filosofica Italiana,<br />

docenti e stu<strong>di</strong>osi interessati a ri<strong>di</strong>scutere la portata e la<br />

profon<strong>di</strong>tà dell’influsso della filosofia greca sul pensiero <strong>hegel</strong>iano,<br />

tanto nella sua <strong>di</strong>mensione metodologico-<strong>di</strong>alettica quanto<br />

nella costruzione effettiva del suo sistema speculativo. Il Convegno<br />

internazionale <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, tenutosi dal 20 al 22 aprile 1993, i cui<br />

Atti sono stati pubblicati nel 1996 presso le E<strong>di</strong>zioni AV <strong>di</strong> Cagliari,<br />

su “La logica <strong>di</strong> Hegel e la storia della filosofia”, intendeva, per<br />

così <strong>di</strong>re, delineare i basilari quadri concettuali ed ermeneutici<br />

del suddetto progetto <strong>di</strong> ricerca e <strong>di</strong> incontri. Il volume che qui


8 HEGEL E ARISTOTELE<br />

presento contiene gli Atti del Convegno svoltosi, sempre a Cagliari,<br />

dall’11 al 15 aprile 1994 su “Hegel interprete <strong>di</strong> Aristotele”. Nei<br />

giorni 3 e 4 aprile 1995 si è tenuto un Convegno su “Hegel e la filosofia<br />

ellenistica”, cui hanno fatto seguito gli incontri internazionali<br />

su “Hegel e il neoplatonismo” (16-17 aprile 1996) e su “Hegel e il<br />

pensiero preplatonico” (8-9 aprile 1997). L’iniziativa si concluderà<br />

nel 1998 con un Convegno internazionale su “Hegel e Platone”.<br />

Si sa con quanta ammirazione Hegel abbia stu<strong>di</strong>ato e riflettuto<br />

(sin dai primi anni della sua formazione) sul pensiero <strong>di</strong> Aristotele,<br />

maggiore <strong>di</strong> quella riservata ad ogni altro filosofo antico e<br />

moderno, al punto da considerarlo, insieme con Platone, il “maestro”<br />

per eccellenza del genere umano. Eppure è altrettanto noto<br />

che, già per lo Hegel jenese, il «principio superiore dell’età moderna»,<br />

il «principio del Nord», la «soggettività», non era conosciuta<br />

da Platone, anzi dagli antichi, o, meglio, non si era per essi<br />

ancora “posta come tale”: nemmeno per Aristotele, il cui principio<br />

della enérgheia e della soggettività autoreferenziale Hegel pur<br />

coglie come la ultimativa struttura <strong>di</strong> fondo che anima il suo pensiero.<br />

L’unità imme<strong>di</strong>ata dell’universale e dell’in<strong>di</strong>viduale, presente<br />

nell’epoca antica, doveva passare attraverso la «scissione<br />

più alta», perché si potesse restaurare, ad un più alto livello, la<br />

totalità vivente.<br />

I contributi <strong>di</strong> questo volume non hanno alcuna pretesa <strong>di</strong><br />

completezza esaustiva, pur affrontando alcuni no<strong>di</strong> problematici<br />

essenziali che riguardano i due autori e che interessano la logica<br />

“formale” e quella speculativa, la filosofia della matematica e<br />

quella della natura, l’ontologia e la metafisica, la psicologia e l’etica,<br />

e pur coinvolgendo nelle loro analisi retrospettive e prospettive<br />

ampie sezioni della storia della filosofia, dai Pitagorici a Heidegger.<br />

I contributi sono de<strong>di</strong>cati fondamentalmente allo stu<strong>di</strong>o<br />

del complesso intreccio <strong>di</strong> appropriazione e <strong>di</strong> alterità irriducibile<br />

tra Aristotele e Hegel, <strong>di</strong> comunanza e anche <strong>di</strong> confutazione reciproca.<br />

Un intreccio e un gioco <strong>di</strong> rapporti che ha ai suoi punti


Presentazione<br />

estremi da un lato lo sforzo <strong>hegel</strong>iano <strong>di</strong> assimilazione a sé del<br />

pensiero dello Stagirita, anche attraverso alcune patenti violenze<br />

interpretative, e dall’altro lato la funzione <strong>di</strong> criterio <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio e<br />

misura <strong>di</strong> valore che la filosofia aristotelica è in grado <strong>di</strong> esercitare<br />

nei confronti della posizione <strong>hegel</strong>iana, che pure, a sua volta,<br />

tenta l’“oltrepassamento” del pensatore greco.<br />

Nella prima relazione al Convegno, su “L’interpretazione<br />

<strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele”, Mario Mignucci esamina il<br />

giu<strong>di</strong>zio che Hegel dà, nelle Lezioni sulla storia della filosofia, della<br />

logica aristotelica contenuta nel cosiddetto Organon. Mignucci illustra<br />

preliminarmente la nozione aristotelica <strong>di</strong> logica: Aristotele<br />

è l’iniziatore consapevole della logica nel mondo occidentale,<br />

giacché per primo mostra d’intendere la logica come teoria dell’inferenza.<br />

Più precisamente, per lo Stagirita, compito della logica<br />

è quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere le inferenze corrette da quelle scorrette,<br />

e ciò in <strong>di</strong>pendenza non già dai contenuti, ma dalla struttura formale<br />

delle premesse. Ne deriva allora che, se è legittima l’idea<br />

che la logica sia la teoria dell’inferenza e che la logica aristotelica<br />

sia la prima teoria dell’inferenza dell’Occidente, sembra altrettanto<br />

legittima, almeno in linea <strong>di</strong> principio, la prospettiva <strong>hegel</strong>iana<br />

secondo cui la logica è la descrizione delle forme del pensiero e la<br />

logica aristotelica è la teoria <strong>di</strong> alcune forme finite del pensiero,<br />

ovvero non collegate in una struttura generale e unificante. Mignucci<br />

rileva d’altro canto che l’assenza <strong>di</strong> sillogismi nella costruzione<br />

delle dottrine filosofiche <strong>di</strong> Aristotele non <strong>di</strong>pende, come<br />

crede Hegel, da una questione <strong>di</strong> principio, ossia dall’incapacità<br />

della logica aristotelica <strong>di</strong> adeguarsi alle movenze del pensiero infinito,<br />

ma soltanto da una questione <strong>di</strong> fatto, giacché lo Stagirita<br />

riteneva <strong>di</strong> aver già provato l’adeguatezza della forma sillogistica<br />

alle argomentazioni filosofiche.<br />

Il secondo saggio del volume, <strong>di</strong> Antonio Moretto, si sofferma<br />

“Sul problema della considerazione matematica dell’infinito e<br />

del continuo in Aristotele e Hegel”. L’autore confronta i punti <strong>di</strong><br />

9


10 HEGEL E ARISTOTELE<br />

vista sull’infinito e il continuo <strong>di</strong> Aristotele e <strong>di</strong> Hegel, quali risultano<br />

soprattutto dalla Fisica del primo e dalla Logica del secondo.<br />

Le concezioni dell’infinito e del continuo <strong>di</strong> Aristotele sono per<br />

Hegel adeguate alla matematica come scienza rigorosa dell’intelletto.<br />

Hegel riconosce che una matematica infinitesimale rigorosa,<br />

adeguata al suo standard <strong>di</strong> scienza dell’intelletto, accoglie l’infinito<br />

sotto l’aspetto potenziale (Lagrange). Tuttavia egli trova che altre<br />

proposte dei matematici moderni (Galilei, Cavalieri), riabilitando<br />

il concetto <strong>di</strong> infinito attuale, intuiscono un concetto <strong>di</strong><br />

vera infinità che assorbe in sé l’infinità potenziale e il limite. Moretto<br />

mostra che Hegel rinviene in Spinoza, ma anche già nel genere<br />

del “ misto” del Filebo platonico, il superamento della <strong>di</strong>cotomia<br />

finito-infinito e, quin<strong>di</strong>, l’approdo al punto <strong>di</strong> vista della ragione.<br />

Anche nel caso della nozione del continuo (e <strong>di</strong> quella “coappartente”<br />

del <strong>di</strong>screto), che Hegel ripensa anche attraverso una<br />

fruttuosa Auseinandersetzung col logos zenoniano della <strong>di</strong>cotomia<br />

e con l’antinomica kantiana, il superamento della concezione aristotelica<br />

della continuità come <strong>di</strong>visibilità all’infinito <strong>di</strong> ciò che è<br />

esteso comporta, per Hegel, il passaggio dalla sfera dell’intelletto<br />

a quella della ragione. Il continuo si ricompone come una infinità<br />

attuale <strong>di</strong> in<strong>di</strong>visibili, e anche questa nozione favorirà successive<br />

elaborazioni concettuali della teoria <strong>degli</strong> insiemi.<br />

Paolo Zizi si occupa de “Il concetto metafisico <strong>di</strong> ‘intero’ in<br />

Aristotele e in Hegel”. La nozione <strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> intero, come l’elemento<br />

universale che racchiude in sé il particolare, è ispirata all’assioma<br />

aristotelico dell’anteriorità essenziale dell’intero rispetto<br />

alle parti, che già il primo Hegel aveva verificato nelle nozioni<br />

del vivente e della volontà generale. Zizi approfon<strong>di</strong>sce particolarmente<br />

il nesso fra intero e <strong>di</strong>alettica, la quale, secondo Hegel, è<br />

lo strumento conoscitivo piu idoneo per l’approccio all’intero e al<br />

suo principio. Nella Fenomenologia Hegel si rifà al concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>alettica<br />

“negativa” del Parmenide platonico e soprattutto dei Topici<br />

aristotelici, smascherando l’inconsistenza <strong>di</strong> tutti i tentativi del


Presentazione<br />

pensiero finito <strong>di</strong> esprimere l’assoluto. L’accezione “positiva” della<br />

<strong>di</strong>alettica, come automovimento dei concetti, viene sviluppata<br />

da Hegel nella Scienza della logica e nel sistema dell’Enciclope<strong>di</strong>a,<br />

nelle quali il filosofo <strong>di</strong> Stoccarda valorizza la concezione aristotelica<br />

della metafisica come scienza dell’essere in quanto essere e<br />

come teoria della verità dell’intero. Ad entrambi i filosofi resta in<br />

comune il proposito <strong>di</strong> combattere ogni posizione che scambi una<br />

certezza particolare con il sapere dell’intero. Hegel peraltro, rispetto<br />

alla teoria aristotelica della plurivocità dei significati dell’essere,<br />

privilegia la dottrina, pur essa aristotelica, dell’unità <strong>di</strong><br />

consecuzione dei termini che, a suo parere, autorizza una <strong>di</strong>alettica<br />

speculativa <strong>di</strong> tipo deduttivistico. Ne deriva che, mentre per lo<br />

Stagirita, creatore (insieme con Platone) <strong>di</strong> una metafisica problematica,<br />

l’intero è spiegato me<strong>di</strong>ante una causa che trascende le finitezze,<br />

Hegel, sostenitore <strong>di</strong> una metafisica immanentistica, conclude<br />

all’assolutizzazione dell’esperienza e della storia.<br />

“L’idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel” è<br />

il tema affrontato nel saggio <strong>di</strong> Raimondo Porcheddu. Si mostra<br />

anzitutto che le Lezioni <strong>hegel</strong>iane sembrano far da contrappunto<br />

alla polemica antimeccanicistica e antievoluzionistica condotta da<br />

Aristotele nella Fisica. La presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> Hegel da Spinoza<br />

passa attraverso la riscoperta della teleologia aristotelica, riscoperta<br />

a sua volta me<strong>di</strong>ata dal finalismo colto da Kant nel mondo<br />

organico. La natura appare a Hegel dominata dalla finalità interna,<br />

che egli peraltro interpreta secondo l’apparato <strong>di</strong>alettico della<br />

propria filosofia: la natura, per Hegel, è l’idea che realizza se stessa.<br />

Di qui la propensione del filosofo <strong>di</strong> Stoccarda a identificare il<br />

Motore immobile con la natura stessa, e il privilegiamento della<br />

forma, dell’entelechìa e della soggettività autoriferentesi, col pericolo<br />

<strong>di</strong> minimizzare il ruolo del sostrato materiale sino a ridurlo a<br />

pura idealità o a momento me<strong>di</strong>ato dal concetto. A Porcheddu<br />

sembra che Leibniz, meglio <strong>di</strong> Hegel, abbia colto la natura della<br />

sostanza aristotelica e del suo finalismo. Egli mette anche in evi-<br />

11


12 HEGEL E ARISTOTELE<br />

denza che, dal punto <strong>di</strong> vista aristotelico, non la natura è spirito,<br />

ma piuttosto lo spirito è per natura. Non la <strong>di</strong>alettica, quin<strong>di</strong>, può<br />

spiegare la natura, ma è essa stessa da spiegare perché anch’essa<br />

rientra nella storicità della natura. A codesta storicità fa capo lo<br />

stesso spirito finito dell’uomo, che è il luogo in cui la natura prende<br />

coscienza <strong>di</strong> sé nell’apertura alla trascendenza.<br />

La relazione <strong>di</strong> Cinzia Ferrini: “Tra etica e filosofia della natura:<br />

il significato della Metafisica aristotelica per il problema delle<br />

grandezze del sistema solare nel primo Hegel” rinviene le tracce<br />

dell’influsso della Metafisica <strong>di</strong> Aristotele sulla matematica della<br />

natura nei primi scritti <strong>di</strong> Hegel, e in particolare nel De orbitis<br />

planetarum. Nella prima filosofia della natura <strong>hegel</strong>iana si può<br />

rintracciare un richiamo al pensiero aristotelico, che assume un<br />

ruolo prioritario rispetto alle dottrine pitagoriche e platoniche sul<br />

numero. La Ferrini rileva altresì che l’origine della riflessione <strong>di</strong><br />

Hegel sul mondo fisico in generale e sui moti e la <strong>di</strong>sposizione<br />

del sistema solare in particolare è legata a una prospettiva eticoreligiosa,<br />

che si riflette anche sull’approccio antikantiano (e antifichtiano)<br />

<strong>di</strong> Hegel alla moralità. Si ha così una Naturphilosophie<br />

“speculativa”, che intende conoscere in modo oggettivo, universale<br />

e necessario le leggi specifiche della natura, basandosi sulle<br />

idee della ragione (e non sulle categorie dell’intelletto), e che svolge<br />

una funzione critica sia nei confronti delle leggi della meccanica<br />

“esterne” alla natura, sia, tramite la me<strong>di</strong>azione aristotelica e il<br />

suo concetto <strong>di</strong> Dio come “sostanza attiva”, contro la stessa schellinghiana<br />

filosofia dell’identità. Al tempo stesso, il riferimento <strong>di</strong>retto<br />

all’“attività” della virtù adempie un compito critico nei confronti<br />

dell’artificialità e del formalismo della morale kantiana,<br />

contraendo cosi Hegel un debito anche con l’Etica Nicomachea. Tutti<br />

questi aspetti risultano peraltro pienamente comprensibili solo<br />

alla luce delle Lezioni sulla storia deIla filosofia.<br />

Leonardo Samonà, nel saggio su “Atto puro e pensiero <strong>di</strong><br />

pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel”, mostra che il tratto più


Presentazione<br />

speculativo che Hegel in<strong>di</strong>ca nella filosofia <strong>di</strong> Aristotele è appunto<br />

“il pensiero <strong>di</strong> pensiero”, in cui, per il filosofo tedesco, sono<br />

racchiuse tanto l’unità <strong>di</strong> soggettivo e oggettivo quanto la verità<br />

concepita ed espressa non solo come sostanza, ma anche come<br />

soggetto. La <strong>di</strong>fferenza innegabile tra le due filosofie è dovuta<br />

alle implicazioni <strong>di</strong>rompenti sotto il profilo sistematico che Hegel<br />

ha tratto dalla nozione <strong>di</strong> pensiero <strong>di</strong> pensiero. Tali implicazioni<br />

sono state favorite, tra l’altro, dall’integrazione della prova “cosmologica”<br />

aristotelica col passaggio dal pensiero (il concetto, il<br />

principio finale) all’essere proprio della prova ontologica; o anche<br />

dalla ripresa della dottrina neoplatonica della connessione tra Dio<br />

e mondo, e del pensiero <strong>di</strong> sé come compen<strong>di</strong>o del pensiero <strong>di</strong><br />

tutte le cose. Il nucleo del <strong>di</strong>scorso resta tuttavia, per il filosofo tedesco,<br />

insuperabilmente aristotelico. Hegel cerca infatti il filo<br />

conduttore della dottrina aristotelica della sostanza e lo ritrova<br />

nel principio dell’atto o attività, definito come l’autodeterminarsi,<br />

ciò che realizza se stesso, ciò che muove. Hegel vede anzi nella<br />

sostanza dell’anima aristotelica, intesa dapprima come natura, e<br />

poi soprattutto come spirito, un tipo <strong>di</strong> raccordo privilegiato per<br />

l’accesso alla sostanza immobile. L’articolazione interna all’atto<br />

puro è <strong>di</strong> fatto me<strong>di</strong>ata attraverso i concetti <strong>di</strong> “vita” e <strong>di</strong> “pensiero”.<br />

Samonà sottolinea che il punto teoricamente forse più delicato<br />

è quello in cui Hegel definisce il primo Motore immobile come<br />

unità <strong>di</strong> potenza e atto e pensa l’atto puro come movimento che<br />

ha come materia la propria essenza. Tuttavia Hegel mostra qui <strong>di</strong><br />

intendere la potenza come il modo <strong>di</strong> essere della relazione ad altro,<br />

tale da rimanere dentro l’atto stesso quale suo tratto “essenziale”.<br />

La <strong>di</strong>fferenza è un modo d’essere che va ricondotto a quella<br />

sostanza che coincide con l’atto. In questa maniera non viene<br />

persa <strong>di</strong> vista la prospettiva dell’immobilità e dell’in<strong>di</strong>visibilità<br />

dell’atto.<br />

La relazione <strong>di</strong> Alfredo Ferrarin: “Riproduzione <strong>di</strong> forme e<br />

esibizione <strong>di</strong> concetti. Immaginazione e pensiero dalla phantasia<br />

13


14 HEGEL E ARISTOTELE<br />

aristotelica alla Einbildungskraft in Kant e Hegel” rileva che pochi<br />

tra i punti centrali della filosofia della natura aristotelica sono sopravvissuti<br />

indenni al tempo, ed in particolare alla rivoluzione<br />

scientifica seicentesca, quanto la dottrina dell’immaginazione, nel<br />

suo rapporto con la sensazione da un lato, col tempo, la memoria<br />

e il “senso comune” dall’altro. La teoria dell’immaginazione è fondamentale<br />

per il concetto <strong>di</strong> sintesi a priori in Kant. Il ruolo me<strong>di</strong>atore<br />

tra intuizione e concetto svolto dall’immaginazione in<br />

Kant ha ricordato a più <strong>di</strong> un interprete (ad es., a Heidegger)<br />

l’analoga funzione <strong>di</strong> raccordo tra senso ed intelletto asserita da<br />

Aristotele. In realtà, il concetto <strong>di</strong> determinazione a priori delle<br />

forme pure <strong>di</strong> spazio e tempo, lo schematismo, il rapporto tra<br />

senso interno, contenuti dell’esperienza e tempo, in particolare il<br />

concetto <strong>di</strong> “autoaffezione”: tutto questo definisce l’immaginazione<br />

trascendentale ed è un portato originale della rivoluzione copernicana<br />

<strong>di</strong> Kant. Di fronte a questa, si può <strong>di</strong>re che Hegel prima<br />

facie ritorni ad una concezione aristotelica dell’immaginazione.<br />

Molti sono i punti in comune con Aristotele. Ad es., il principio<br />

aristotelico per cui ogni forma del conoscere è materia per una<br />

forma superiore fa sì che, nella <strong>hegel</strong>iana filosofia dello spirito teoretico,<br />

l’immaginazione sia concepita come un risultato e, insieme,<br />

come l’inizio delle forme soggettive generantisi l’una dall’altra.<br />

Inoltre la descrizione <strong>di</strong> molti lati dell’immaginazione — che<br />

per Kant sarebbero empirici, e non trascendentali — si possono<br />

ricondurre ad Aristotele. Ancora: è grazie alla concezione dello<br />

spirito come hexis che è possibile l’“interiorizzazione” <strong>hegel</strong>iana.<br />

Infine, il principio che Hegel ritrova in Aristotele e che fa valere<br />

contro Kant, è quello per cui, per l’intelligenza, intuizione e concetto<br />

non sono più due forme date come separate, ma si definiscono<br />

come i due poli della recettività apparente e dell’attività,<br />

nell’ambito del movimento immanente del pensiero. Ma proprio<br />

questo principio mostra come Hegel si <strong>di</strong>stacchi da Aristotele e<br />

concepisca la filosofia della soggettività come il superamento tan-


Presentazione<br />

to <strong>di</strong> Aristotele quanto <strong>di</strong> Kant (e Fichte). L’immaginazione, come<br />

la memoria, non è, come in Aristotele, un’affezione del senso comune,<br />

un residuo della sensazione, ma l’imme<strong>di</strong>ato presupposto<br />

soggettivo del pensiero puro. Né è autoaffezione come in Kant,<br />

ossia effetto dell’intelletto sull’intuizione spazio-temporale, ma —<br />

conclude Ferrarin — momento essenziale dell’autodeterminazione<br />

e della finitizzazione del pensiero in noi.<br />

Il saggio <strong>di</strong> Carmelino Meazza, su “Aristotele tra Hegel e<br />

Heidegger: tracce per una ricostruzione”, mira a ricostruire, sulla<br />

scorta <strong>di</strong> Hegel e Heidegger e col ricorso al vaglio critico <strong>di</strong> Levinas,<br />

la nozione aristotelica <strong>di</strong> physis. La prima definizione che<br />

Aristotele dà della physis, secondo Heidegger, ha al suo centro la<br />

questione del movimento o della motilità. L’ente che proviene<br />

dalla physis, o tutto o una parte, è qualcosa <strong>di</strong> mosso, cioè <strong>di</strong> determinato<br />

dalla motilità. Per Aristotele, secondo Heidegger, il<br />

movimento non è una cosa tra le altre, ma, come esser mosso, è il<br />

centro <strong>di</strong> una domanda essenziale: che cos’è l’ente in quanto ente?<br />

La seconda definizione aristotelica <strong>di</strong> physis pone invece la physis<br />

come causa originaria. Come essere nel movimento non significa<br />

essere necessariamente in movimento, così essere causati non significa<br />

avere la causa come esterna a sé. Lo Stagirita, secondo<br />

Heidegger, ci conduce alla definizione essenziale dell’ente: l’ente<br />

è in quanto ha il suo essere come sostegno per il suo esser posto o<br />

esser avviato. L’essenzialità <strong>di</strong> questo avvio è la motilità, che <strong>di</strong>venta<br />

il carattere fondamentale dell’ente; il movimento ha il carattere<br />

dell’“arrivare a presentarsi”. Ora c’è un punto in cui Heidegger<br />

sembra avvicinarsi alla lettura <strong>hegel</strong>iana della physis aristotelica:<br />

la pianta, ad es., che procede in avanti, è sempre più raccolta<br />

nella propria origine: è l’origine che <strong>di</strong>viene. Hegel, nelle Lezioni,<br />

aveva detto: l’immoto che muove è l’idea che rimane identica a se<br />

stessa e che, mentre muove, rimane in relazione a se stessa. E tuttavia<br />

in Heidegger la forma esegue, mentre in Hegel la forma attua.<br />

Cionon<strong>di</strong>meno c’è una familiarità originaria tra Hegel e Hei-<br />

15


16 HEGEL E ARISTOTELE<br />

degger nei seguenti punti essenziali: la concezione del “niente”<br />

come ciò che avvia il movimento, la “totalità” del circolo ermeneutico<br />

finito-infinito, la “ossessione” del metodo. Meazza mostra<br />

che qui si innesta la lettura aristotelica <strong>di</strong> Levinas, il quale recupera<br />

l’eccedenza <strong>di</strong> Aristotele rispetto alle tra<strong>di</strong>zionali figure dei<br />

“circoli”. Il “chi muove”, almeno per un istante, non può appartenere<br />

al mosso; occorre che, per un attimo, l’eternità si sottragga al<br />

movimento. Si tratta <strong>di</strong> un’eternità che nessuna storia può mutare<br />

o trasformare: che attiva il tempo, ma è “impassibile” al consumo<br />

del tempo, e che, quin<strong>di</strong>, è garanzia dell’eternità stessa del tempo.<br />

La relazione <strong>di</strong> chi scrive è un saggio <strong>di</strong> commento alla logica<br />

<strong>hegel</strong>iana dell’Essere per sé e quin<strong>di</strong> alla dottrina del rapporto<br />

<strong>di</strong>alettico tra l’Uno e i molti. Hegel con<strong>di</strong>vide il para<strong>di</strong>gma ontologico<br />

(primato dell’essere sull’uno) proposto dallo Stagirita in alternativa<br />

a quello henologico <strong>di</strong> Platone. Per Hegel la prima categoria<br />

della logica, fondamento <strong>di</strong> tutte le categorie successive,<br />

non è l’Uno (che è già una nozione più complessa e concreta), ma<br />

l’Essere, benché si tratti dell’Essere assolutamente indeterminato<br />

e non già dell’ente in quanto ente, ossia dell’ente polivoco <strong>di</strong> Aristotele.<br />

L’imme<strong>di</strong>ata, intriseca, originaria molteplicità dell’Uno è<br />

affermata, poi, tanto da Aristotele quanto da Hegel, con la <strong>di</strong>fferenza<br />

essenziale che, per quest’ultimo, la molteplicità dell’Uno<br />

non dà luogo ad una pluralità <strong>di</strong> significati: i termini a cui l’Uno<br />

si riferisce nella sua “autoframmentazione” sono essi stessi, per<br />

identità, <strong>degli</strong> uno, sicché in essi l’Uno si riferisce solo a se stesso.<br />

Infine le riflessioni <strong>hegel</strong>iane sulla dottrina aristotelica dell’istante,<br />

del punto e del limite in generale, concepiti ciascuno sia come<br />

“uno” sia come “molti”, mostrano che l’affermazione aristotelica<br />

dell’identità reale e della <strong>di</strong>fferenza logica <strong>di</strong> due determinazioni<br />

opposte (appunto l’unità e la molteplicità) è sufficiente a Hegel<br />

per attribuire allo Stagirita il superamento del principio intellettualistico<br />

d’identità e per ritrovare anche in lui (come già in Platone)<br />

la contrad<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>alettica.


Presentazione<br />

In appen<strong>di</strong>ce al volume il lettore troverà una nuova traduzione<br />

italiana (con introduzione e commento), curata da Franca Mastromatteo<br />

e Leonardo Paganelli, <strong>di</strong> un articolo <strong>di</strong> Hegel, risalente<br />

al 1807, dal titolo: “Chi pensa astratto?”. Uno Hegel apparentemente<br />

“minore”, ma in realtà meritevole <strong>di</strong> una rilettura critica.<br />

Ringrazio cor<strong>di</strong>almente il prof. Paolo Cugusi, Preside della<br />

<strong>Facoltà</strong> <strong>di</strong> <strong>Lettere</strong> e <strong>Filosofia</strong> dell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Cagliari, il Consiglio<br />

<strong>di</strong> <strong>Facoltà</strong> e la commissione per le pubblicazioni della <strong>Facoltà</strong> stessa,<br />

composta dal Preside e dalle colleghe prof.sse Luisa D’Arienzo<br />

e Maria Teresa Marcialis, per aver finanziato la pubblicazione del<br />

volume e per averlo ospitato negli Annali della <strong>Facoltà</strong>. Ringrazio<br />

anche il prof. Pasquale Mistretta, Rettore Magnifico dell’<strong>Università</strong><br />

<strong>di</strong> Cagliari, per la concessione <strong>di</strong> un ulteriore contributo finanziario.<br />

Il mio grazie affettuoso va infine all’E<strong>di</strong>tore Antonino Valveri,<br />

che ancora una volta ha <strong>di</strong>mostrato la sua ammirevole fiducia nella<br />

cultura filosofica.<br />

17<br />

GIANCARLO MOVIA


INDIRIZZI DI SALUTO


LUISA D’ARIENZO<br />

PRESIDE DELLA FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA<br />

Diamo inizio a queste cinque giornate de<strong>di</strong>cate a “Hegel interprete<br />

<strong>di</strong> Aristotele”, ricordando che sono ormai tre anni che<br />

siamo abituati a questa scadenza <strong>hegel</strong>iana. Ci si offre un altro<br />

convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> grande interesse e <strong>di</strong> alto valore scientifico.<br />

Devo inoltre ricordare che l’Istituto <strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong> della <strong>Facoltà</strong> <strong>di</strong><br />

<strong>Lettere</strong> dell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Cagliari è presente in modo incisivo nelle<br />

iniziative culturali dell’Ateneo. Nel suo ambito, infatti, è molto<br />

attiva anche la sezione cagliaritana della Società filosofica italiana.<br />

Anche questa sezione ha al suo attivo un triennio <strong>di</strong> vita durante<br />

il quale sono stati svolti seminari e conferenze. La sezione<br />

pubblica un Bollettino informativo, e fanno parte <strong>di</strong> essa un centinaio<br />

<strong>di</strong> soci, fra i quali molto numerosi sono i professori <strong>di</strong> Liceo<br />

e delle Scuole me<strong>di</strong>e superiori, che s’impegnano soprattutto in<br />

funzione dei giovani e a favore della <strong>di</strong>dattica della filosofia.<br />

Vedo dal programma che anche la sezione locale della S.F.I. (oltre<br />

che l’Istituto <strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong>) figura tra i patrocinatori <strong>di</strong> questo convegno<br />

che oggi inizia. Non posso che rallegrarmi per questa attività<br />

e per questa collaborazione reciproca.<br />

“Hegel interprete <strong>di</strong> Aristotele”: un tema quanto mai ampio<br />

e <strong>di</strong> indubbio fascino: un altro convegno cagliaritano su Hegel,<br />

un filosofo che visse ben ra<strong>di</strong>cato nella realtà del suo tempo, che<br />

fu a stretto contatto con i giovani dapprima come precettore privato<br />

a Berna e a Francoforte e poi come libero docente a Jena.


22 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Ho notato che in questo convegno è stato lasciato molto<br />

spazio a giovani relatori. Ci sono dei ricercatori, borsisti, dottori<br />

<strong>di</strong> ricerca, anche se sappiamo che non sempre i ricercatori sono<br />

così giovani, perché, per ottenere un posto <strong>di</strong> ricercatore, al giorno<br />

d’oggi bisogna mettersi in una lunga lista d’attesa. Mi rallegro<br />

per questa scelta fatta a favore dei giovani; vedo che gli organizzatori<br />

hanno affidato loro dei temi non facili, <strong>degli</strong> argomenti<br />

molto complessi: come il concetto metafisico <strong>di</strong> intero, l’idea<br />

aristotelica <strong>di</strong> natura in Hegel, la metafisica aristotelica in relazione<br />

ai moti celesti, atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero, e altri temi ancora.<br />

Esprimo il mio compiacimento per l’affluenza <strong>di</strong> pubblico<br />

che in prevalenza è costituito da giovani e ringrazio i convenuti e<br />

in modo particolare i relatori che ci accompagneranno in queste<br />

giornate. Alcuni conoscono già la Sardegna e sono sar<strong>di</strong> o insegnano<br />

o hanno insegnato in Sardegna; per loro Cagliari e la nostra<br />

isola non sono una novità. Ma ce n’è uno che viene da molto<br />

lontano, Mario Mignucci, che è professore or<strong>di</strong>nario in una sede<br />

prestigiosa, il King’s College <strong>di</strong> Londra. Egli ci onora con la sua<br />

presenza e io lo ringrazio molto anche a nome dei miei colleghi e<br />

dei nostri studenti. Essi, ritornando a casa, potranno <strong>di</strong>re <strong>di</strong> aver<br />

sentito una lezione in <strong>di</strong>retta dal King’s College, che non è cosa<br />

da poco. Il prof. Mignucci affronterà un tema molto importante e<br />

molto complesso: “Hegel e la logica aristotelica”. Ricordo che la<br />

logica fu uno dei temi principali toccati da Hegel e uno <strong>degli</strong> sforzi<br />

più complessi che egli fece nella sua vita <strong>di</strong> filosofo. La logica<br />

fu veramente il cuore del suo sistema, e quin<strong>di</strong> ascolterò il prof.<br />

Mignucci con vivo interesse.<br />

Rivolgo il benvenuto mio e della <strong>Facoltà</strong> <strong>di</strong> <strong>Lettere</strong> sia al<br />

pubblico che ai docenti, augurandovi un piacevole soggiorno. C’è<br />

stata una piccola capatina <strong>di</strong> sole; speriamo che continui e sia un<br />

segno benaugurante per il lavoro <strong>di</strong> queste giornate.


In<strong>di</strong>rizzi <strong>di</strong> saluto<br />

MARIA TERESA MARCIALIS<br />

DIRETTORE DELL’ISTITUTO DI FILOSOFIA DELLA FACOLTÀ DI LETTERE<br />

PRESIDENTE DELLA SEZIONE CAGLIARITANA DELLA S.F.I.<br />

Rivolgo anch’io il mio benvenuto e un caloroso augurio <strong>di</strong><br />

buon lavoro ai partecipanti al Convegno.<br />

È la seconda volta che mi trovo a presentare un Convegno<br />

su Hegel, questa volta su “Hegel interprete <strong>di</strong> Aristotele”. Il mio<br />

Aristotele non è l’Aristotele <strong>hegel</strong>iano; il mio Aristotele è l’Aristotele<br />

dei libertini, l’Aristotele <strong>di</strong> Giulio Cesare Vanini, l’Aristotele<br />

panteista e spinoziano <strong>di</strong> Bayle, o anche quello empirista della<br />

tra<strong>di</strong>zione francese della Académie Royale des Sciences: è proprio<br />

un Aristotele quin<strong>di</strong> che non piaceva a Hegel. D’altra parte è uno<br />

<strong>degli</strong> Aristoteli che attraversano la storia della filosofia. Lo stesso<br />

Hegel, nelle Lezioni sulla storia della filosofia, riconosceva la presenza<br />

nella storia <strong>di</strong> almeno sei Aristoteli: l’Aristotele “storico”, il<br />

“vero” Aristotele, anche se è molto <strong>di</strong>fficile stabilire quale sia la<br />

vera e autentica filosofia aristotelica; l’Aristotele ciceroniano;<br />

l’Aristotele neoplatonico; l’Aristotele scolastico, che Hegel non<br />

amava; l’Aristotele rinascimentale; e infine un Aristotele più moderno,<br />

quello delle “strampalate interpretazioni” <strong>di</strong> Tennemann.<br />

A queste sei interpretazioni cui Hegel faceva riferimento, potremmo<br />

oggi aggiungerne molte altre: da quella <strong>di</strong> Heidegger, <strong>di</strong> cui si<br />

parlerà qui al Convegno, fino a quelle relative al neoaristotelismo,<br />

a quella <strong>di</strong> Riedel o a quella <strong>di</strong> MacIntyre. E potremmo aggiungere<br />

anche quella <strong>di</strong> Hegel, che è evidentemente una inter-<br />

23


24 HEGEL E ARISTOTELE<br />

pretazione molto particolare, e, se vogliamo usare questo termine,<br />

molto compromessa teoreticamente. L’Aristotele <strong>di</strong> Hegel segna<br />

certo un progresso rispetto all’Aristotele “platonico”; è però<br />

l’Aristotele del concetto, della determinatezza delle cose colte nella<br />

loro in<strong>di</strong>vidualità e non nei loro nessi, e soprattutto viste in<strong>di</strong>pendentemente<br />

da qualunque unità sintetica.<br />

Sono molto lontani i tempi della polemica antiidealistica, quelli<br />

in cui la Introduzione alle Lezioni sulla storia della filosofia e le stesse<br />

Lezioni venivano considerate come un obiettivo polemico principe.<br />

Sono lontani i tempi in cui Franco Lombar<strong>di</strong> parlava della storia<br />

della filosofia <strong>hegel</strong>iana come <strong>di</strong> una teoria <strong>di</strong> “salmo<strong>di</strong>anti begriffi”.<br />

Ora l’atteggiamento è più pacato, non si utilizzano più formule<br />

così pittoresche ed efficaci come quella <strong>di</strong> Franco Lombar<strong>di</strong>; è pur<br />

vero tuttavia che l’interpretazione <strong>hegel</strong>iana è fortemente connotata<br />

teoreticamente, e questo rende problematica l’impostazione storiografica<br />

<strong>hegel</strong>iana. D’altra parte è proprio questa compromissione<br />

(assumendo questo termine senza nessuna carica valutativa) teoretica<br />

<strong>di</strong> Hegel a rendere suggestive le sue letture aristoteliche.<br />

‘Suggestivo’ è un termine molto estetico e poco filosofico;<br />

esso però mette in evidenza certamente la ricchezza e la complessità<br />

del rapporto effettivo che si è istituito tra Hegel e Aristotele,<br />

un rapporto tale per cui Hegel si accosta ad Aristotele quasi come<br />

ad un contemporaneo, cioè come a un filosofo “aperto” del quale<br />

si può ancora utilizzare la lezione e il cui apporto è ancora estremamente<br />

importante. È proprio questa sorta <strong>di</strong> <strong>di</strong>battito per così<br />

<strong>di</strong>re intemporale tra Hegel e Aristotele a rendere significativa e<br />

importante la visione <strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> Aristotele, sia pure con tutti i<br />

limiti storiografici <strong>di</strong> cui prima parlavamo, tanto nelle Lezioni sulla<br />

storia della filosofia quanto nel corso <strong>di</strong> tutto il suo pensiero.<br />

Di questi tre livelli dell’approccio <strong>di</strong> Hegel ad Aristotele: il<br />

livello interpretativo, il livello teso a in<strong>di</strong>viduare l’apporto che<br />

Aristotele può aver dato alla filosofia <strong>hegel</strong>iana, e il livello, più<br />

specificatamente teoretico, che tiene conto del <strong>di</strong>alogo, del <strong>di</strong>bat-


In<strong>di</strong>rizzi <strong>di</strong> saluto<br />

tito che si è stabilito tra Hegel e Aristotele, abbiamo nel programma<br />

del Convegno delle significative testimonianze. Si parlerà infatti<br />

dell’idea aristotelica della natura nell’interpretazione <strong>hegel</strong>iana,<br />

si parlerà delle dottrine dell’atto puro e del pensiero <strong>di</strong> pensiero<br />

nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel, ma si terrà anche conto dell’apporto<br />

<strong>di</strong> Aristotele al problema dell’intero in Hegel, e dell’incidenza<br />

del pensiero dello Stagirita nella formazione culturale del<br />

giovane Hegel. Mi pare che proprio questi <strong>di</strong>versi livelli <strong>di</strong> lettura<br />

non possano che costituire un elemento <strong>di</strong> grande interesse per<br />

questo Convegno.<br />

25


RELAZIONI


MARIO MIGNUCCI<br />

L’INTERPRETAZIONE HEGELIANA<br />

DELLA LOGICA DI ARISTOTELE<br />

I<br />

Esaminare l’interpretazione che Hegel dà della logica <strong>di</strong><br />

Aristotele non è facile, non solo perché il tema è <strong>di</strong>fficile e richiederebbe<br />

acume e competenze che probabilmente mi mancano, ma<br />

anche per motivi, <strong>di</strong>ciamo così, oggettivi. Se leggiamo le poche<br />

pagine che Hegel de<strong>di</strong>ca alla logica <strong>di</strong> Aristotele nelle Vorlesungen<br />

über <strong>di</strong>e Geschichte der Philosophie ( 1 ) possiamo notare imme<strong>di</strong>atamente<br />

come egli non si <strong>di</strong>ffonda molto sui dettagli della teoria<br />

aristotelica e faccia piuttosto prevalere una valutazione complessiva<br />

<strong>di</strong> essa. È vero che egli analizza partitamente le singole opere<br />

che compongono l’Organon, ma, a parte alcune pagine riservate<br />

alle Categorie, poco o nulla è detto <strong>degli</strong> Analitici, l’opera che invece<br />

oggigiorno attira <strong>di</strong> più l’interesse <strong>degli</strong> storici della logica, e la<br />

complicata costruzione dei Topici è liquidata con poche battute.<br />

( 1 ) Com’è ben noto, delle Vorlesungen esistono due e<strong>di</strong>zioni curate da<br />

Michelet. La prima e<strong>di</strong>zione è quella che ritroviamo nell’e<strong>di</strong>zione delle opere <strong>di</strong><br />

Hegel curata da H. GLOCKNER (Sämtliche Werke, Stuttgart-Bad Cannstatt: Frommann,<br />

1965 4 , XVIII 1 e 2 [Il volume 2 = VGPh 1 ] e i quaderni che ne costituiscono la<br />

fonte sono stati recentemente ripubblicati nell’e<strong>di</strong>zione curata da W. Jaeschke e P.<br />

Garniron (Frankfurt: Meiner, 1991). La seconda e<strong>di</strong>zione è quella ripubblicata da<br />

Bolland (G.W.F. HEGEL,Vorlesungen über <strong>di</strong>e Geschichte der Philosophie, ed. by G.J.P.J.<br />

BOLLAND, Leiden: A.H. Adriani, 1908, pp. 522, 532 [=WGPh 2 ] e su questa è basata la<br />

traduzione italiana (G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, trad. a cura <strong>di</strong> E.<br />

CODIGNOLA e G. SANNA, 4 voll., 1981 2 (il secondo volume =LSF).


30 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Considereremo in seguito il giu<strong>di</strong>zio complessivo <strong>di</strong> Hegel.<br />

Per il momento conviene soffermarsi su un’osservazione metodologica<br />

preliminare che può essere utile per organizzare la nostra<br />

ricerca e, al tempo stesso, per apprezzare meglio il punto <strong>di</strong> vista<br />

<strong>di</strong> Hegel. È chiaro che una valutazione globale della logica <strong>di</strong> Aristotele<br />

coinvolge una presa <strong>di</strong> posizione sulla nozione generale <strong>di</strong><br />

logica. Non possiamo <strong>di</strong>re quale sia il posto che la logica occupa<br />

nella filosofia aristotelica, né cercare <strong>di</strong> determinare con ragionevole<br />

approssimazione quale sia il suo peso speculativo senza aver<br />

prima chiarito che cosa si debba intendere per logica. Più esattamente<br />

l’obiettività storica richiede che si debba evidenziare che<br />

cosa Aristotele intende per logica. Il compito che questa osservazione<br />

metodologica ci pone <strong>di</strong> fronte è dunque quello <strong>di</strong> esaminare<br />

la nozione aristotelica <strong>di</strong> logica.<br />

II<br />

Il progetto <strong>di</strong> indagine è chiaro e semplice, ma non è altrettanto<br />

chiaro e semplice in<strong>di</strong>care come si debba realizzare. In effetti<br />

non appena ci accostiamo agli scritti aristotelici ci troviamo in<br />

una curiosa situazione. Aristotele, da un lato, sembra consapevole<br />

della <strong>di</strong>mensione profondamente innovativa che le sue ricerche<br />

logiche hanno rispetto alla tra<strong>di</strong>zione filosofica precedente. Un<br />

passo famoso alla fine <strong>degli</strong> Elenchi Sofistici lo testimonia:<br />

(A) Per quanto riguarda la retorica c’era molto che esisteva da tempo,<br />

mentre per quel che riguarda l’inferenza (peri; de; tou` sullogivzesqai) non<br />

avevamo assolutamente nient’altro cui fare riferimento se non al fatto che<br />

abbiamo passato lungo tempo in logoranti ricerche ( 2 ).<br />

( 2 ) SE 34, 184 a 8- b 3: kai; peri; me;n tw`n rJhtorikw`n uJph`rce polla; kai; palaia; ta;<br />

legovmena, peri; de; tou§ sullogivzesqai pantelw§~ oujde;n ei[comen provteron levgein h]<br />

tribh§/ zhtou§nte~ polu;n cro;non ejponou§men. Dato il significato <strong>di</strong> ‘tribh§/’ un’altra traduzione<br />

potrebbe essere: “abbiamo passato lungo tempo in ricerche pratiche, sul<br />

campo”.


M. MIGNUCCI - L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele<br />

Qui <strong>di</strong> sicuro l’espressione ‘peri; de; tou` sullogivzesqai’ si riferisce<br />

non ai sillogismi, ma in generale alle inferenze, secondo<br />

un uso ben documentato <strong>di</strong> ‘sullogismov~’ e ‘sullogivzesqai’ ( 3 ).<br />

Aristotele è dunque pienamente cosciente del fatto che egli ha introdotto<br />

una teoria dell’inferenza o della deduzione che prima<br />

non c’era. Se pensiamo che una dottrina dell’inferenza è una parte<br />

importante, se non ad<strong>di</strong>rittura fondamentale, della logica, possiamo<br />

concludere che egli si rendeva conto <strong>di</strong> aver posto le basi <strong>di</strong><br />

una nuova <strong>di</strong>sciplina filosofica.<br />

Da un lato dunque abbiamo la consapevolezza <strong>di</strong> Aristotele<br />

<strong>di</strong> battere una strada nuova e <strong>di</strong> tracciare un nuovo in<strong>di</strong>rizzo <strong>di</strong><br />

ricerca. Dall’altro, curiosamente, non troviamo nessuna teorizzazione<br />

da parte dello Stagirita della logica come scienza. Per esempio<br />

in Metaph. E 1, dove la <strong>di</strong>avnoia, il pensiero, è <strong>di</strong>viso in pratico,<br />

produttivo e teorico ( 4 ), le scienze teoretiche, dove appunto ci si<br />

aspetterebbe <strong>di</strong> veder collocata la logica, sono <strong>di</strong>vise a loro volta<br />

in matematica, fisica e teologia e nessuna menzione è fatta della<br />

<strong>di</strong>sciplina che ci sta a cuore ( 5 ). Dunque la logica non entra nella<br />

classificazione aristotelica delle scienze.<br />

È dubbio che Aristotele avesse ad<strong>di</strong>rittura un nome per la<br />

<strong>di</strong>sciplina <strong>di</strong> cui si proclama, in un certo senso a buon <strong>di</strong>ritto, l’inventore.<br />

Sarebbe un errore tradurre l’aggettivo ‘logikov~’ con ‘logico’.<br />

In espressioni come ‘logiko;~ lovgo~’ ( 6 ) o anche ‘logikov~<br />

sullogismov~’, quest’ultimo opposto talvolta ad ajpovdeixi~, <strong>di</strong>mo-<br />

( 3 ) Cfr. ad es. APr. I 23, 40 b 20. Jonathan Barnes (Proof and the Syllogism, in<br />

Aristotle on Science. The “Posterior Analytics”. Procee<strong>di</strong>ng of the Eight Symposium<br />

Aristotelicum held in Padua from September 7 to 15, 1978, a cura <strong>di</strong> E. BERTI, Padova:<br />

Antenore, 1981, pp. 17-59) è arrivato ad<strong>di</strong>rittura a sostenere che ‘sullogismov~’ e<br />

‘oullogivzesqai’ in Aristotele non hanno mai il significato <strong>di</strong> ‘sillogismo’ e<br />

‘sillogizzare’. Ma forse quest’ipotesi è un po’ troppo audace.<br />

( 4 ) Metaph. E 1, 1025 b 25. Cfr. anche Top. VI 6, 145 a 15-16; VIII 1, 157 a 10-11.<br />

( 5 ) Metaph. E 1, 1026 a 18-19.<br />

( 6 ) Top. VIII 12, 162 b 2.<br />

31


32 HEGEL E ARISTOTELE<br />

strazione ( 7 ), ‘logikov~’ significa ‘<strong>di</strong>alettico’, dove ‘<strong>di</strong>alettico’,<br />

‘<strong>di</strong>alektikov~’, in Aristotele non ha certamente lo stesso significato<br />

che assumerà presso gli Stoici, quando <strong>di</strong>videranno la filosofia in<br />

<strong>di</strong>alettica, la logica appunto, fisica ed etica ( 8 ). Per Aristotele la<br />

<strong>di</strong>alettica non coincide con la logica, essendo piuttosto lo stu<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> certi tipi particolari <strong>di</strong> argomentazioni contrad<strong>di</strong>stinte dal fatto<br />

che le loro premesse sono e[ndoxa, opinioni accettate. In questo<br />

senso le inferenze <strong>di</strong>alettiche per Aristotele sono un tipo particolare<br />

<strong>di</strong> inferenze, quelle appunto che procedono sulla base <strong>di</strong> un<br />

tipo particolare <strong>di</strong> premesse ( 9 ). Per costruire un’inferenza, potremmo<br />

<strong>di</strong>re un’inferenza logica, è sufficiente che le premesse abbiano<br />

alcuni requisiti formali, siano cioè universali o particolari e<br />

affermative o negative; per ottenere un’inferenza <strong>di</strong>alettica dobbiamo<br />

poter <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> premesse che, oltre ai requisiti formali,<br />

sod<strong>di</strong>sfino al requisito <strong>di</strong> essere e[ndoxa, accettate dal pubblico <strong>di</strong><br />

fronte al quale l’argomentazione è svolta ( 10 ).<br />

Un altro can<strong>di</strong>dato per esprimere l’ambito entro il quale si<br />

svolge quella che oggigiorno non esiteremmo a chiamare una ricerca<br />

logica potrebbe apparire ‘ajnalutikov~’. Dovrebbe tuttavia essere<br />

subito chiaro che quest’ipotesi non può <strong>di</strong>pendere dal fatto<br />

che ‘ jAnalutikav’ è il titolo dato all’opera logica maggiore <strong>di</strong> Aristotele.<br />

Com’è ben noto, i titoli tra<strong>di</strong>zionali <strong>degli</strong> scritti aristotelici<br />

sono stati aggiunti dopo, anche se quello <strong>di</strong> ‘Ta; ajnalutikav’ dovette<br />

essere assegnato abbastanza presto, come è provato dal fatto<br />

che compare nella lista <strong>degli</strong> scritti aristotelici trasmessa da Dio-<br />

( 7 ) Cfr. p. es. APo. II 8, 93 a 14-15.<br />

( 8 ) Cfr. ad es. FDS 15 (=SVF II 35). Anche nel passo <strong>di</strong> Top. I 14, 105 b 19-25,<br />

dove si parla <strong>di</strong> ‘protavsei~ logikaiv’, opposte a quelle ϕusikaiv ed a quelle ejqikaiv,<br />

e dove ‘logikov~’ non può essere certamente reso con ‘<strong>di</strong>alettico’, il termine non<br />

significa ‘logico’, ma piuttosto ‘generale’. Ne fa fede l’esempio <strong>di</strong> premessa “logica”<br />

citata da Aristotele: se sia unica la scienza dei contrari.<br />

( 9 ) Cfr. Top. I 1, 100 a 25-30.<br />

( 10 ) APr. I 1, 24 a 16 ss. (v. testo (C)).


M. MIGNUCCI - L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele<br />

gene Laerzio, che, secondo alcuni stu<strong>di</strong>osi, risale ad<strong>di</strong>rittura ad<br />

Aristone, lo scolarca del Liceo vissuto nell’ultimo quarto del terzo<br />

secolo a.C. ( 11 ). Né è d’altro canto probante il fatto che talvolta troviamo<br />

riferimenti a passi contenuti negli Analitici con espressioni<br />

del tipo <strong>di</strong>: w{sper ejn toi`~ jAnalutikoi`~ levgetai ( 12 ). L’affidabilità<br />

dei rinvii interni alle varie opere del Corpus Aristotelicum è controversa,<br />

dato che non è del tutto chiaro come e quando esso si sia<br />

costituito nella forma che ci è oggi nota, per cui non si può facilmente<br />

considerare destituito <strong>di</strong> fondamento il sospetto che essi siano<br />

il risultato dell’attività e<strong>di</strong>toriale <strong>di</strong> Andronico <strong>di</strong> Ro<strong>di</strong>, testimoniata<br />

da Porfirio ( 13 ).<br />

Piuttosto sono passi come il seguente che potrebbero indurre<br />

a pensare che ‘ajnalutikov~’ sia talvolta equivalente a ‘logico’:<br />

(B) Come abbiamo già avuto occasione <strong>di</strong> <strong>di</strong>re, è evidente che la retorica è<br />

una combinazione della scienza analitica (th`~ ajnalutikh`~ ejpisthvmh~) e <strong>di</strong><br />

quella riguardante i costumi ed è simile per un verso alla <strong>di</strong>alettica (th/`<br />

<strong>di</strong>alektikh/`) e per un verso alle argomentazioni sofistiche (toi`~ sofistikoi`~<br />

lovgoi~) ( 14 ).<br />

Si potrebbe essere tentati <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere la <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong> cui si<br />

fa menzione qui dalla ajnalutikh; ejpisthvmh e identificare quest’ultima<br />

con la logica. Tuttavia quest’ipotesi <strong>di</strong> lettura sembra messa in<br />

dubbio dal rimando a 1356 a 25-27, dove la stessa idea è ripetuta<br />

senza però che ci sia alcuna <strong>di</strong>stinzione fra ajnalutikh; ejpisthvmh e<br />

( 11 ) Cf. D.L. V 22 (nr. 49 e 50 nella lista <strong>di</strong> Rose). Su tutta la questione cfr.<br />

P. MORAUX, Les listes anciennes des ouvrages d’Aristote, Louvain: É<strong>di</strong>tions<br />

universitaires de Louvain, 1951, pp. 87-88; 237-247.<br />

( 12 ) Int. 10, 19 b 31. Cfr. anche H. BONITZ, Index Aristotelicus, Graz:<br />

Akademische Druk- u. Verlagsanstalt, 1955 2 , 102 a 30-40.<br />

( 13 ) PORPH.,Vita Plotini 24.6-11.<br />

( 14 ) Rh. I 4, 1359 b 8-12. Seguo Kassel nell’espungere politikh§~, un’evidente<br />

glossa.<br />

33


34 HEGEL E ARISTOTELE<br />

<strong>di</strong>alektikhv, talché <strong>di</strong>viene plausibile supporre che le due espressioni<br />

siano usate come sinonimi ( 15 ).<br />

La conclusione è dunque che Aristotele non ha nemmeno la<br />

parola per in<strong>di</strong>care la <strong>di</strong>sciplina da lui fondata, la logica. Come<br />

possiamo allora pretendere <strong>di</strong> enucleare la sua nozione <strong>di</strong> logica?<br />

La risposta potrebbe essere la seguente. È vero che in Aristotele<br />

non c’è una teoria della logica. Tuttavia egli espone alcune dottrine<br />

logiche. Esaminiamole e cerchiamo <strong>di</strong> evidenziare la nozione<br />

<strong>di</strong> logica che egli usa, se non teorizza. In altri termini, consideriamo<br />

l’Organon, il corpus delle opere logiche <strong>di</strong> Aristotele, e dal tipo<br />

<strong>di</strong> teorie in esso contenute cerchiamo <strong>di</strong> ricavare quale fosse la<br />

sua idea <strong>di</strong> logica.<br />

Il progetto è buono solo in apparenza. Un’elementare riflessione<br />

ci fa subito avvertiti che il nostro punto <strong>di</strong> partenza è pregiu<strong>di</strong>cato.<br />

Com’è ben noto, il complesso delle cosiddette opere logiche<br />

<strong>di</strong> Aristotele è una costruzione tarda, non certamente voluta<br />

dal suo autore. Lo stesso nome <strong>di</strong> ‘ [Organon’ che le è stato attribuito<br />

rispecchia un’idea <strong>di</strong> logica che troviamo presente nei commentatori<br />

<strong>di</strong> Aristotele a partire da Alessandro, ma <strong>di</strong> cui non v’è<br />

traccia nel maestro. Essi riportano la polemica peripatetica contro<br />

gli Stoici: la logica non è parte della filosofia, come volevano questi<br />

ultimi, ma appunto o[rganon, strumento della filosofia, che viene<br />

prima <strong>di</strong> questa e ne è un’introduzione, senza tuttavia poterne<br />

essere una parte ( 16 ). Come non credere che il nome dato agli<br />

scritti aristotelici non sia il riflesso <strong>di</strong> una tale presa <strong>di</strong> posizione<br />

teorica della quale non c’è menzione in Aristotele?<br />

La stessa composizione della silloge tra<strong>di</strong>sce un intento sistematico<br />

che non abbiamo motivo <strong>di</strong> credere sia aristotelico. Si<br />

incomincia con le Categorie, intese come un trattato sui termini,<br />

ss.<br />

( 15 ) Rh. I 2, 1356 b 25-27.<br />

( 16 ) Cfr. ALEX., in APr. 1.9 ss.; PS-AMM., in APr. 6.19 ss.; PHLP., in APr. 8.20


M. MIGNUCCI - L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele<br />

per passare al De interpretatione, un’analisi delle proposizioni, per<br />

giungere agli Analitici Primi, una teoria dell’inferenza, <strong>di</strong> cui Analitici<br />

secon<strong>di</strong> e Topici (con il corollario <strong>degli</strong> Elenchi sofistici) costituiscono<br />

due possibili applicazioni, rispettivamente nel campo della<br />

scienza e della <strong>di</strong>alettica. Abbiamo dunque un andamento dal<br />

semplice al complesso (termini, proposizioni, inferenze) e dall’astratto<br />

al concreto (sillogismi, <strong>di</strong>mostrazioni, argomentazioni<br />

<strong>di</strong>alettiche). Di una simile sistemazione non c’è evidentemente<br />

traccia in Aristotele, né si trova in lui in<strong>di</strong>cazione dei suoi presupposti<br />

teorici.<br />

Insomma dovrebbe essere chiaro che il confezionamento<br />

dell’Organon corrisponde nel nome e nel contenuto ad una ben<br />

precisa idea <strong>di</strong> logica che non è <strong>di</strong> Aristotele e che, se fosse cambiata,<br />

darebbe a<strong>di</strong>to ad un <strong>di</strong>verso raggruppamento <strong>degli</strong> scritti.<br />

In effetti se il lavoro <strong>di</strong> e<strong>di</strong>tore delle opere logiche <strong>di</strong> Aristotele<br />

non fosse spettato a Andronico <strong>di</strong> Ro<strong>di</strong> (o a chi per lui), ma per<br />

esempio ad un logico moderno, nella raccolta tra<strong>di</strong>zionale sicuramente<br />

non avremmo trovato un’opera come gli Analitici secon<strong>di</strong>,<br />

un trattato che oggi preferiremmo classificare come teoria della<br />

scienza, e forse nemmeno gran parte delle Categorie. Il fatto che<br />

queste opere siano incluse nell’Organon prova forse che Aristotele<br />

aveva un’idea <strong>di</strong> logica <strong>di</strong>versa da quella <strong>degli</strong> autori moderni?<br />

Sicuramente no. Tutto quello che possiamo ricavare da queste<br />

considerazioni è che coloro i quali hanno organizzato l’Organon<br />

avevano un’idea <strong>di</strong> logica <strong>di</strong>versa da quella attuale. Ma con ciò la<br />

posizione <strong>di</strong> Aristotele resta sempre avvolta nel mistero.<br />

III<br />

L’oscurità in cui ci muoviamo circa la nozione aristotelica <strong>di</strong><br />

logica con<strong>di</strong>ziona e relativizza il senso dell’indagine storica in<br />

modo rilevante. Mi sia consentito fare un esempio. Si è a lungo<br />

<strong>di</strong>scusso <strong>di</strong> quando cominci la logica e le opinioni sono natural-<br />

35


36 HEGEL E ARISTOTELE<br />

mente <strong>di</strong>vise. Non è un caso che la famosa Geschichte der Logik im<br />

Abendlande <strong>di</strong> Carl Prantl cominci con gli Eleati e che quella più<br />

recente <strong>di</strong> Guido Calogero ad<strong>di</strong>rittura con Talete ( 17 ). Ma si potrebbe<br />

anche sostenere che la logica greca inizia con Aristotele,<br />

qualora si accettassero i seguenti punti teorici:<br />

(i) Bisognerebbe innanzitutto <strong>di</strong>stinguere l’uso dalla teoria<br />

logica. Altro è usare della logica, per esempio argomentare correttamente,<br />

ed altro è teorizzare la correttezza <strong>di</strong> un’argomentazione.<br />

È più o meno la <strong>di</strong>fferenza che passa fra parlare grammaticalmente,<br />

usare bene la grammatica, e teorizzare le regole che consentono<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>re che un certo uso linguistico è grammaticalmente<br />

corretto.<br />

(ii) In secondo luogo dovremmo ammettere che il compito<br />

della teoria logica è quello <strong>di</strong> fornire in<strong>di</strong>cazioni e criteri formali<br />

per <strong>di</strong>stinguere le inferenze corrette da quelle scorrette.<br />

(iii) Infine dovremmo accettare che la correttezza o meno <strong>di</strong><br />

un’inferenza non <strong>di</strong>pende dai suoi contenuti, da quello <strong>di</strong> cui l’inferenza<br />

parla, ma da certe caratteristiche (chiamiamole formali)<br />

delle proposizioni che le costituiscono e dal modo in cui tali caratteristiche<br />

sono intese e definite.<br />

Di questi tre punti quello che a me sembra più problematico<br />

è il secondo. Il primo mi sembra ovvio. Del resto la sua incontro-<br />

( 17 ) C. PRANTL, Geschichte der Logik im Abendlande, 3 voll., Leipzig: Gustav<br />

Fock, 1927 2 ; Cfr. G. CALOGERO, Storia della logica antica. I: L’età arcaica, Roma-Bari:<br />

Laterza, 1967. La posizione <strong>di</strong> quest’ultimo è ben espressa dal seguente passo<br />

tratto dall’Introduzione del suo lavoro: “Storia della logica antica è quin<strong>di</strong> non<br />

più, soltanto, la storia della sillogistica e dei suoi precedenti e susseguenti (né in<br />

quello, più proprio, dell’autentica apo<strong>di</strong>ttica classica, né in quello, meno proprio,<br />

dell’o<strong>di</strong>erna logica simbolica), bensí storia <strong>di</strong> tutti quei problemi attraverso cui<br />

si vennero man mano sviluppando le molteplici concezioni greche della forma intelligibile<br />

del reale, e dai quali sorsero, tra le altre, in situazioni storiche ben determinate<br />

e limitate, anche le varie dottrine costituenti la logica aristotelica” (p. 7; il corsivo<br />

è mio).


M. MIGNUCCI - L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele<br />

vertibilità appare palese non appena si costruiscano indagini storiche<br />

che non lo rispettano. Mi sia consentito ricordare che Ritter<br />

non moltissimi anni fa aveva preteso <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare che tutta la<br />

sillogistica <strong>di</strong> Aristotele era già in Platone, dato che nei <strong>di</strong>aloghi<br />

<strong>di</strong> quest’ultimo si trovano usati più o meno tutti i sillogismi teorizzati<br />

dal primo ( 18 ). Altrettanto chiaro mi sembra l’ultimo punto:<br />

la correttezza <strong>di</strong> un’inferenza non può <strong>di</strong>pendere dal suo contenuto,<br />

altrimenti il logico, nella misura in cui tende a tracciare una<br />

linea <strong>di</strong> demarcazione fra inferenze corrette e scorrette, dovrebbe<br />

essere onnisciente, dato che le inferenze possono essere applicate<br />

a qualunque contenuto.<br />

Il punto delicato è il secondo, quello nel quale si demarca<br />

l’ambito della logica. Infatti <strong>di</strong>re che il compito precipuo del logico<br />

è quello <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere le inferenze corrette da quelle scorrette<br />

significa in sostanza ridurre la logica a teoria dell’inferenza e ciò<br />

non è banale. Se ci mettiamo in questa prospettiva, possiamo facilmente<br />

mostrare che la prima teoria dell’inferenza a noi pervenuta<br />

è quella <strong>di</strong> Aristotele e che egli aveva ragione nel considerarsi<br />

il creatore <strong>di</strong> una nuova <strong>di</strong>sciplina. In effetti né in Platone, né<br />

presso i Sofisti né presso i Megarici, a quello che ci è dato <strong>di</strong> sapere,<br />

possiamo trovare una teoria generale dell’inferenza basata sulle<br />

proprietà formali delle proposizioni. È con Aristotele, a quel<br />

che ci consta, che quest’idea si affaccia chiaramente. Per rendersene<br />

conto basta leggere l’inizio <strong>degli</strong> Analitici primi, il trattato che<br />

contiene la sua teoria del sillogismo, ossia appunto dell’inferenza.<br />

Qui Aristotele <strong>di</strong>stingue le premesse delle <strong>di</strong>mostrazioni da quelle<br />

<strong>di</strong>alettiche e da quelle sillogistiche. Il passo è il seguente:<br />

(C) La premessa <strong>di</strong>mostrativa (hJ ajpodeiktikh; provtasi~) <strong>di</strong>fferisce da quella<br />

<strong>di</strong>alettica (th`~ <strong>di</strong>alektikh`~), perché quella <strong>di</strong>mostrativa consiste nell’assunzione<br />

<strong>di</strong> uno dei due membri <strong>di</strong> una contrad<strong>di</strong>zione (infatti chi <strong>di</strong>mo-<br />

( 18 ) C. RITTER, Platons Logik, “Philologus”, 75 (1919), pp. 1-67; 304-22.<br />

37


38 HEGEL E ARISTOTELE<br />

stra non domanda, ma assume), mentre la premessa <strong>di</strong>alettica consiste<br />

nella domanda circa una contrad<strong>di</strong>zione. Ciò non comporta alcuna <strong>di</strong>fferenza<br />

per l’effettuazione dell’inferenza relativa a ciascuno dei due casi.<br />

Infatti tanto chi <strong>di</strong>mostra quanto chi domanda produce un’inferenza assumendo<br />

che un termine appartiene o non appartiene ad un altro termine.<br />

Di conseguenza la premessa inferenziale (sullogistikh; me;n provtasi~)<br />

sarà semplicemente l’affermazione o la negazione <strong>di</strong> un termine rispetto<br />

ad un altro termine nel modo detto e sarà <strong>di</strong>mostrativa, qualora sia vera e<br />

assunta in virtù delle presupposizioni iniziali, mentre per chi interroga la<br />

premessa <strong>di</strong>alettica sarà la domanda circa una contrad<strong>di</strong>zione e per chi<br />

inferisce sarà l’assunzione <strong>di</strong> ciò che appare ed è nell’opinione comune,<br />

come è detto nei Topici ( 19 ).<br />

Per capire la <strong>di</strong>fferenza fra premesse <strong>di</strong>mostrative e premesse<br />

<strong>di</strong>alettiche è necessario por mente al <strong>di</strong>verso contesto e alle <strong>di</strong>verse<br />

finalità cui i due tipi <strong>di</strong> premesse fanno riferimento. Le premesse<br />

<strong>di</strong>mostrative sono le premesse delle argomentazioni scientifiche<br />

e la scienza ha <strong>di</strong> mira l’acquisizione <strong>di</strong> informazioni certe<br />

sul mondo. Non c’è quin<strong>di</strong> da stupirsi che Aristotele richieda per<br />

le premesse <strong>di</strong>mostrative la con<strong>di</strong>zione che siano vere: solo a partire<br />

da proposizioni vere abbiamo la sicurezza <strong>di</strong> derivare proposizioni<br />

vere.<br />

Diversa è la situazione delle premesse <strong>di</strong>alettiche. Qui lo<br />

scopo non è quello <strong>di</strong> ottenere conoscenze certe e sicure sul mondo,<br />

ma <strong>di</strong> raggiungere il successo nella <strong>di</strong>scussione con un<br />

interlocutore. La situazione tipica che Aristotele ha in mente è la<br />

seguente: due interlocutori X e Y si propongono uno <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere<br />

la tesi T e l’altro <strong>di</strong> attaccarla. Supponiamo che X sia l’attaccante e<br />

Y il <strong>di</strong>fensore. Lo scopo <strong>di</strong> X sarà quello <strong>di</strong> mostrare che l’accettazione<br />

<strong>di</strong> T da parte <strong>di</strong> Y comporta la negazione <strong>di</strong> altre assunzioni<br />

che Y con<strong>di</strong>vide con X e che normalmente fanno parte del<br />

background <strong>di</strong> credenze ammesse dalla comunità <strong>di</strong> cui X e Y fanno<br />

parte. In questo senso infatti tali premesse sono dette da Ari-<br />

( 19 ) Cfr. APr. I 1, 24 a 23-24 b 1.


M. MIGNUCCI - L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele<br />

stotele e[ndoxa. Perciò il primo compito <strong>di</strong> X nel suo tentativo <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>struggere T sarà quello <strong>di</strong> delimitare il campo delle assunzioni<br />

rilevanti ammesse da Y in modo da poterle sfruttare per la sua<br />

confutazione. Viceversa, se le parti sono invertite ed è Y che deve<br />

<strong>di</strong>fendere T rispetto a X, allora egli dovrà mostrare che T è una<br />

conseguenza delle credenze ammesse da X e da lui con<strong>di</strong>vise con<br />

la comunità cui entrambi appartengono. Ciò spiega perché Aristotele<br />

<strong>di</strong>ce che la premessa <strong>di</strong>alettica è, ad un tempo, una domanda<br />

circa un’alternativa contrad<strong>di</strong>ttoria e l’assunzione <strong>di</strong> una<br />

delle due parti della contrad<strong>di</strong>zione. È una domanda del tipo <strong>di</strong>:<br />

“è cosí o non cosí?”, dato che una proposizione, per poter entrare<br />

nel gioco della confutazione o della <strong>di</strong>fesa, deve essere preliminarmente<br />

accettata dall’interlocutore. È l’assunzione <strong>di</strong> una delle<br />

due parti della contrad<strong>di</strong>zione, perché dopo essere stata accettata<br />

dall’avversario <strong>di</strong>viene punto <strong>di</strong> partenza <strong>di</strong> un’inferenza.<br />

Ma quello che interessa soprattutto sottolineare è che Aristotele<br />

contrappone alle premesse <strong>di</strong>mostrative e <strong>di</strong>alettiche le<br />

premesse sillogistiche <strong>di</strong>cendo che per queste ultime non bisogna<br />

richiedere né che siano vere né che siano accettate dall’interlocutore.<br />

Egli aggiunge che per svolgere la loro funzione nelle inferenze<br />

è sufficiente che abbiano forma affermativa o negativa o, più<br />

esattamente, siano proposizioni universali o particolari, affermative<br />

o negative del tipo <strong>di</strong> quelle che egli ha descritto imme<strong>di</strong>atamente<br />

prima ( 20 ). Non ci interessa analizzare ora le implicazioni<br />

<strong>di</strong> questa presa <strong>di</strong> posizione aristotelica riguardo al tipo <strong>di</strong> proposizioni<br />

che sono chiamate a far parte delle inferenze. Preme piuttosto<br />

sottolineare che le premesse sillogistiche, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong><br />

quel che avviene per quelle <strong>di</strong>mostrative e <strong>di</strong>alettiche, non entrano<br />

in una deduzione perché siano vere o accettate, ma per il loro<br />

essere affermative o negative (o universali o particolari). A determinare<br />

un’inferenza non giocano quin<strong>di</strong> un ruolo i contenuti del-<br />

( 20 ) Cfr. APr. I 1, 24 a 16-22.<br />

39


40 HEGEL E ARISTOTELE<br />

le premesse, ma la loro struttura formale. Questo è dunque l’atto<br />

<strong>di</strong> nascita della logica o, per essere più precisi, <strong>di</strong> quella logica la<br />

cui idea è descritta dai punti teorici (i)-(iii) esposti sopra.<br />

IV<br />

Forti <strong>di</strong> queste considerazioni torniamo ad Hegel ed al suo<br />

giu<strong>di</strong>zio sulla logica <strong>di</strong> Aristotele. In che cosa consiste tale giu<strong>di</strong>zio?<br />

Anzitutto conviene ricordare quella che potremmo con un<br />

po’ <strong>di</strong> buona volontà considerare una descrizione in termini<br />

<strong>hegel</strong>iani del lavoro compiuto da Aristotele:<br />

(D) Da Aristotele derivano le forme logiche cosí del concetto come del<br />

giu<strong>di</strong>zio e del sillogismo. Come nella storia naturale si prendono in considerazione<br />

i vari animali, per esempio il liocorno, il mammuth, gli insetti,<br />

i molluschi, ecc. e si descrive com’è fatto ciascuno <strong>di</strong> essi, cosí Aristotele<br />

è in un certo modo il naturalista delle forme spirituali del pensiero; ma<br />

in questa deduzione <strong>di</strong> una forma dall’altra, Aristotele si è limitato a<br />

esporre in modo determinato il pensiero nella sua applicazione finita, sicché<br />

la sua logica è una storia naturale del pensiero finito. Poiché essa<br />

consiste nell’acquistar coscienza dell’attività astratta del puro intelletto,<br />

non è la scienza <strong>di</strong> questo o <strong>di</strong> quel concreto, ma pura forma: questa coscienza<br />

<strong>di</strong> fatto è mirabile, e ancor più mirabile è l’ampiezza con cui questa<br />

coscienza è stata esplicata: la logica aristotelica dunque è un’opera che<br />

onora sommamente la profon<strong>di</strong>tà e la vigoria d’astrazione del suo<br />

scopritore ( 21 ).<br />

In questo passo è chiaro l’intento laudatorio <strong>di</strong> Hegel. Aristotele<br />

è colui il quale ha indagato con profon<strong>di</strong>tà ed acutezza “le<br />

forme logiche del concetto, del giu<strong>di</strong>zio e del sillogismo” e per il<br />

suo aver saputo <strong>di</strong>staccare l’analisi <strong>di</strong> queste forme logiche dalla<br />

materia, egli ha saputo “acquistare coscienza dell’attività astratta<br />

del puro intelletto” e la scienza che egli ha teorizzato “non è la<br />

scienza <strong>di</strong> questo o quel concreto, ma pura forma”.<br />

( 21 ) LSF II p. 374. Cfr. VGPh 2 pp. 522-523 (=VGPh 1 p. 402).


M. MIGNUCCI - L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele<br />

Tuttavia Aristotele è come il naturalista delle forme spirituali<br />

del pensiero. Su questo paragone con il naturalista Hegel torna più<br />

avanti con una pagina piuttosto <strong>di</strong>vertente in cui si <strong>di</strong>ce che Aristotele<br />

è sí un naturalista, ma per lo meno delle “svariate forme e dei<br />

vari atteggiamenti” del pensiero:<br />

(E) Per quanto arida e vuota ci possa sembrare l’enumerazione delle <strong>di</strong>verse<br />

specie <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zi e sillogismi e dei loro vari incrocicchiamenti, e per<br />

quanto neanche la possiamo ritenere buona a farci scoprire la verità, per lo<br />

meno però in suo confronto non si può dare il vanto <strong>di</strong> una maggiore eccellenza<br />

a un’altra scienza. Oggi, per esempio, passa per fatica meritoria lo<br />

sforzarsi <strong>di</strong> conoscere le innumerevoli moltitu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> animali, per esempio<br />

le centosessantasette specie <strong>di</strong> cuculi, o il sapere dove una <strong>di</strong> esse ha sulla<br />

testa un ciuffo formato in maniera <strong>di</strong>versa, o una nuova miserabile varietà<br />

<strong>di</strong> una miserabile specie <strong>di</strong> muschio, che è niente più <strong>di</strong> una crosta, oppure<br />

nella entomologia scientifica si dà importanza a un insetto, a un verme, a<br />

una cimice, ecc.: orbene è molto più importante conoscere le varie specie <strong>di</strong><br />

movimenti del pensiero che non questi parassiti ( 22 ).<br />

Dunque Aristotele è sí un naturalista, ma per lo meno ha il<br />

merito <strong>di</strong> occuparsi delle forme del pensiero e non <strong>di</strong> vermi, cimici<br />

e licheni, oggetti tanto apprezzati dai moderni scienziati. Ma perché<br />

un naturalista, sia pure nobilitato dalla materia <strong>di</strong> cui si occupa?<br />

Perché secondo Hegel l’indagine <strong>di</strong> Aristotele è un’indagine<br />

empirica non nel senso che essa si rivolga ad oggetti empirici (le<br />

forme del pensiero, ancorché finito, non sono empiriche), ma nel<br />

senso che essa procede per enumerazione delle <strong>di</strong>verse forme senza<br />

collegarle in una struttura generale e unificante, la sola che possa<br />

far <strong>di</strong>venire la logica conoscenza. Hegel è molto esplicito al riguardo:<br />

(F) Sennonché a questo punto riappare, e in sommo grado, il <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong><br />

tutta la maniera aristotelica — nonché <strong>di</strong> tutta la logica posteriore: nel<br />

pensiero e nel movimento del pensiero come pensiero i singoli momenti<br />

( 22 ) LSF II p. 383. Cfr. VGPh 2 p. 529 (=VGPh 1 p. 411).<br />

41


42 HEGEL E ARISTOTELE<br />

cadono l’uno fuori dell’altro. Si hanno cioè innumerevoli specie <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zi<br />

e <strong>di</strong> sillogismi, ciascuna delle quali ha valore per sé, e ha verità in sé e per<br />

sé, come tale ( 23 ).<br />

La struttura unificante che Aristotele non ha descritto e a<br />

cui allude qui Hegel quando <strong>di</strong>ce che i momenti del pensiero “cadono<br />

l’uno fuori dell’altro” è quella struttura che Hegel tratteggia<br />

con sobrietà e potenza nell’Enciclope<strong>di</strong>a, e precisamente nella terza<br />

sezione della logica, quella concernente la dottrina del concetto,<br />

là dove mostra che dall’unità in<strong>di</strong>fferenziata del concetto si passa<br />

attraverso il giu<strong>di</strong>zio all’opposizione <strong>di</strong> soggetto e pre<strong>di</strong>cato, <strong>di</strong><br />

in<strong>di</strong>viduale e generale, per poi ritornare attraverso il sillogismo a<br />

recuperare l’unità del concetto e insieme la <strong>di</strong>fferenza delle determinazioni<br />

del giu<strong>di</strong>zio ( 24 ).<br />

Da questo punto <strong>di</strong> vista si capisce come Hegel possa contrapporre<br />

il sillogismo aristotelico al “vero sillogismo razionale”<br />

( 25 ). Il primo è puramente meccanico ( 26 ), nel senso che l’unità<br />

fra soggetto e pre<strong>di</strong>cato data attraverso il me<strong>di</strong>o è concepita in<br />

modo del tutto estrinseco come pura relazione fra determinazioni<br />

o concetti. Il secondo invece è parte della <strong>di</strong>namica del pensiero,<br />

nel senso che:<br />

(G) Nel sillogismo razionale il fondamento del contenuto speculativo è<br />

dato dall’identità <strong>degli</strong> estremi, che combaciano l’uno con l’altro; per cui<br />

il soggetto rappresentato nel termine me<strong>di</strong>o è un certo contenuto, che<br />

non si limita a unirsi con un altro, ma attraverso l’altro e con l’altro si<br />

conclude con se stesso ( 27 ).<br />

( 23 ) LSF II p. 385. Cfr. VGPh 2 pp. 530-531 (=VGPh 1 pp. 412-413).<br />

( 24 ) Cfr. Enz. § 129.<br />

( 25 ) LSF II p. 386. Cfr. VGPh 2 p. 531 (=VGPh 1 p. 414): “Eigentlicher<br />

Vernuftsschluss”.<br />

( 26 ) In Enz. § 34 Hegel <strong>di</strong>ce che la ricerca relativa alle figure sillogistiche è<br />

una ricerca meccanica (eine bloß mechanische Untersuchung).<br />

( 27 ) LSF II p. 233. Cfr. VGPh 2 pp. 523-524 (=VGPh 1 p. 253).


M. MIGNUCCI - L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele<br />

Insomma il “vero” sillogismo è quel raziocinio che pone<br />

un’imme<strong>di</strong>atezza non più ingenua e data, ma che è il risultato del<br />

superamento della me<strong>di</strong>azione.<br />

Non posso <strong>di</strong>re che tutto quello che Hegel <strong>di</strong>ce qui e che ho<br />

cercato <strong>di</strong> riportare fedelmente mi sia perspicuo. Intravvedo però<br />

come due osservazioni che Hegel fa a proposito <strong>di</strong> Aristotele seguano<br />

dalla sua posizione. Da un lato egli ribalta l’usuale rimprovero<br />

che veniva fatto alla logica aristotelica <strong>di</strong> essere formalistica<br />

e astratta, e quin<strong>di</strong> tale da essere vuota e opposta ad ogni contenuto.<br />

In realtà dal suo punto <strong>di</strong> vista la logica aristotelica non è<br />

sufficientemente formale. Essa è ancora troppo legata ai contenuti,<br />

proprio perché le sue parti non sono unificate in una struttura<br />

unitaria, quella struttura che abbiamo cercato <strong>di</strong> descrivere sopra.<br />

(H) Il peggio che se ne <strong>di</strong>ca è che l’errore consista soltanto nel loro carattere<br />

formale [scil. delle forme logiche]: che tanto le leggi del pensiero<br />

come tale quanto le sue determinazioni, le categorie, siano o soltanto determinazioni<br />

nel giu<strong>di</strong>zio o soltanto forme soggettive dell’intelletto, <strong>di</strong><br />

fronte alle quali la cosa in sé è ancora qualcos’altro... Il loro <strong>di</strong>fetto non<br />

consiste nell’essere soltanto forme, ma anzi nel fatto che mancano <strong>di</strong> forma<br />

e sono troppo contenuto ( 28 ).<br />

È abbastanza chiaro che Hegel non può accettare quella<br />

contrapposizione astratto/concreto che gli veniva dalla tra<strong>di</strong>zione,<br />

quasi che le forme logiche fossero strutture che si applicano a<br />

contenuti dati. La struttura deve essere tale da fondare il contenuto<br />

e quelle messe in pie<strong>di</strong> da Aristotele non riescono a espletare<br />

questo compito, proprio perché non connesse nella <strong>di</strong>namica del<br />

pensiero.<br />

Ma c’è un secondo punto nella posizione <strong>di</strong> Hegel che è<br />

piuttosto interessante. Proprio perché non viste come parti dell’intero<br />

le forme logiche analizzate da Aristotele non possono es-<br />

( 28 ) LSF II pp. 384 e 385. Cfr. VGPh 2 pp. 530 e 531 (=VGPh 1 pp. 412 e 413).<br />

43


44 HEGEL E ARISTOTELE<br />

sere can<strong>di</strong>date ad essere giu<strong>di</strong>cate vere o false. Vero è qualcosa<br />

che spetta solo alle forme nella misura in cui sono parti dell’intero.<br />

Prese in sé e per sé cosí come fa Aristotele esse possono essere<br />

valutate solo in termini <strong>di</strong> esattezza.<br />

(I) Come tutta la filosofia <strong>di</strong> Aristotele, cosí anche la sua logica ha bisogno<br />

essenzialmente d’essere rifusa, per modo che la serie delle sue determinazioni<br />

vengano recate in un necessario complesso sistematico, non già un<br />

complesso sistematico che si limiti a ripartire or<strong>di</strong>natamente, non <strong>di</strong>mentichi<br />

alcuna parte, ed esponga ogni parte nel suo or<strong>di</strong>ne esatto; ma un sistema<br />

che ne faccia un tutto vivo e organico, in cui ogni parte valga come parte,<br />

e soltanto il tutto come tutto abbia verità ( 29 ).<br />

In questo senso i sillogismi aristotelici sono esatti, ma a rigor<br />

<strong>di</strong> termini non possono essere detti veri, perché attraverso <strong>di</strong> essi<br />

non si attinge la realtà ( 30 ). Certo per capire queste parole e<br />

quest’impostazione non si può certo ricorrere alla definizione <strong>di</strong><br />

verità in termini <strong>di</strong> adaequatio intellectus et rei, che Hegel considera<br />

“la consueta definizione <strong>di</strong> verità’’ ( 31 ). Bisogna piuttosto pensare<br />

ad una concezione olistica della verità, quella concezione che<br />

Hegel espone con tanta forza quando <strong>di</strong>ce che le forme logiche,<br />

prese separatamente, non hanno verità, dato che solo la loro totalità<br />

costituisce la verità, essendo questa nient’altro che la realtà ( 32 ).<br />

Se mi sono <strong>di</strong>lungato tanto a tratteggiare la valutazione<br />

<strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> Aristotele, benché essa sia largamente nota, è perché<br />

vorrei sottolineare che, nonostante le sue profonde <strong>di</strong>fferenze dalla<br />

posizione aristotelica, essa mi pare sostanzialmente legittima, al-<br />

( 29 ) LSF II p. 387. Cfr. VGPh 2 p. 532 (=VGPh 1 p. 415).<br />

( 30 ) LSF II p. 384. Cfr. VGPh 2 p. 530 (=VGPh 1 p. 414).<br />

( 31 ) LSF II pp.. 310-311. Cfr. VGPh 2 pp. 479-480 (=VGPh 1 p. 333). V. anche<br />

Enz. § 24 Z. 2.<br />

( 32 ) LSF II p. 385. Cfr. VGPh 2 p. 531 (=VGPh 1 p. 413). Sulla nozione<br />

<strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> verità cfr. A. FERRARIN, Hegel interprete <strong>di</strong> Aristotele, Pisa: ETS E<strong>di</strong>trice,<br />

1990, pp. 201-207.


M. MIGNUCCI - L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele<br />

meno in linea <strong>di</strong> principio. Se non troviamo nulla da ri<strong>di</strong>re nell’ipotesi<br />

consistente nel supporre che la logica <strong>di</strong> Aristotele sia una teoria<br />

dell’inferenza e nel derivare da ciò che essa costituisce l’inizio<br />

della logica nel mondo occidentale, perché non dovremmo permettere<br />

una sua valutazione da un punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong>fferente? Certo la<br />

prospettiva <strong>hegel</strong>iana risulta a molti, fra i quali mi colloco, poco ortodossa<br />

e molto oscura. Tuttavia essa è una prospettiva che ha <strong>di</strong>ritto<br />

<strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza nella cultura filosofica e non si vede perché<br />

non la si debba poter usare nel leggere Aristotele.<br />

Nell’esemplificazione fatta sopra a proposito del problema<br />

del cominciamento della logica greca siamo partiti da un’assunzione,<br />

dall’idea cioè che la logica per se stessa sia la teoria dell’inferenza.<br />

Abbiamo poi cercato <strong>di</strong> mostrare, con l’aiuto <strong>di</strong> alcuni<br />

principi ausiliari, che la logica <strong>di</strong> Aristotele è la prima teoria dell’inferenza<br />

nel mondo greco e quin<strong>di</strong> abbiamo concluso che Aristotele<br />

è il primo logico occidentale. Se volessimo schematizzare<br />

in modo analogo la strategia <strong>hegel</strong>iana potremmo procedere nel<br />

modo seguente. Hegel assume che<br />

(i*) La logica è la descrizione <strong>di</strong> forme del pensiero<br />

Da ciò egli ricava che<br />

(ii*) la logica aristotelica è la teoria <strong>di</strong> alcune forme finite del<br />

pensiero.<br />

L’assunzione (i*) corrisponde, come abbiamo detto, più o<br />

meno all’assunzione (ii) nella nostra prospettiva, nel senso che in<br />

entrambi i casi abbiamo a che fare con una presa <strong>di</strong> posizione teorica<br />

su che cosa sia la logica. E se (ii) è legittima, non si vede perché<br />

non debba esserlo anche (i*).<br />

Naturalmente sono necessarie alcune precisazioni. A prima<br />

vista la posizione teorica <strong>di</strong> Hegel corrisponde a quella della tra-<br />

45


46 HEGEL E ARISTOTELE<br />

<strong>di</strong>zione che lo precede, secondo la quale la logica consisterebbe<br />

nello stu<strong>di</strong>o delle leggi del pensiero. Questa concezione della logica,<br />

che da Frege in poi è stata battezzata come psicologistica ( 33 ),<br />

non ha niente a che vedere con quella <strong>hegel</strong>iana, anche se la formulazione<br />

è apparentemente la stessa. Infatti il pensiero <strong>di</strong> cui<br />

parla Hegel non è il pensiero umano e le leggi del pensiero <strong>di</strong><br />

Hegel non sono certo le forme secondo cui il pensiero umano<br />

pensa il mondo. Da questo punto <strong>di</strong> vista le usuali critiche che<br />

vengono rivolte allo psicologismo logico non si applicano a Hegel.<br />

Non ha senso obiettare ad Hegel che il sillogismo non descrive il<br />

modo in cui la mente umana compie deduzioni o che i principi<br />

logici non sono le forme in cui la mente umana pensa la realtà.<br />

Anche il principio <strong>di</strong> non contrad<strong>di</strong>zione, che pure secondo Aristotele<br />

non è soltanto un principio logico, ma anche epistemologico<br />

( 34 ), non svolge il ruolo <strong>di</strong> esprimere un modo <strong>di</strong> funzionamento<br />

della mente. Dal fatto che una proposizione e la sua negazione<br />

non possono essere insieme vere non segue che non si possa pensare<br />

una contrad<strong>di</strong>zione e che talvolta non si mettano in atto contrad<strong>di</strong>zioni<br />

o che le nostre credenze non possano risultare contrad<strong>di</strong>ttorie.<br />

Quello che Aristotele sostiene è soltanto che una contrad<strong>di</strong>zione<br />

riconosciuta come tale non può essere seriamente ritenuta<br />

vera.<br />

In effetti la posizione <strong>di</strong> Hegel è compatibile, almeno entro<br />

certi limiti, con l’idea che i sillogismi, per esempio, non siano altro<br />

che strutture <strong>di</strong> controllo delle deduzioni che vengono compiute<br />

in altre forme ed altri mo<strong>di</strong> all’interno delle <strong>di</strong>verse scienze.<br />

( 33 ) G. FREGE, Grundgesetze der Arithmetik, 2 voll., Darmstadt: Wissenschaftliche<br />

Buchgesellschaft, 1962 2 , I, p. XIV ss.<br />

( 34 ) Cfr. Metaph. G 3, 1005 b 19-34. Il passo contiene la ben nota prova della<br />

tesi per cui il PNC è il principio più sicuro <strong>di</strong> tutti. Per l’interpretazione <strong>di</strong> questo<br />

complicato testo v. J. BARNES, The Law of Contra<strong>di</strong>ction, “The Philosophical<br />

Quarterly”, 19 (1969), pp. 302-309 e M. MIGNUCCI, Consistency and Contra<strong>di</strong>ction in<br />

Aristotle (in corso <strong>di</strong> stampa).


M. MIGNUCCI - L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele<br />

Per <strong>di</strong>rla in un modo <strong>di</strong>verso, i sillogismi non sarebbero i mo<strong>di</strong> in<br />

cui l’effettivo procedere deduttivo delle scienze si articola, ma i<br />

mo<strong>di</strong> con cui si può controllare se il suo procedere è corretto. Questa<br />

interpretazione emerge dall’impostazione generale della teoria<br />

della deduzione <strong>di</strong> Aristotele. Egli innanzitutto pone i quattro<br />

mo<strong>di</strong> della prima figura, Barbara, Celarent, Darii, Ferio, come i<br />

sillogismi perfetti, ossia quei mo<strong>di</strong> che sono <strong>di</strong> per sé evidenti nella<br />

loro vali<strong>di</strong>tà ( 35 ). A questi quattro mo<strong>di</strong> possono essere ridotti tutti i<br />

mo<strong>di</strong> della seconda e terza figura, nel senso che questi sono<br />

derivabili da quelli. Quin<strong>di</strong> se quelli sono vali<strong>di</strong>, lo sono anche<br />

questi. Infine Aristotele cerca <strong>di</strong> provare che tutte le altre possibili<br />

deduzioni, se sono corrette, sono riducibili a sillogismi. La tesi è<br />

ben sintetizzata dal seguente passo <strong>degli</strong> Analitici Primi:<br />

(J) Che i sillogismi in queste figure siano resi perfetti grazie ai sillogismi<br />

universali della prima figura e che si riducano ad essi è chiaro dalle cose<br />

che abbiamo detto. Che in generale ogni sillogismo si comporti cosí sarà<br />

ora chiaro quando si provi che ciascuno si produce grazie a qualcuna <strong>di</strong><br />

queste figure. ( 36 ).<br />

Non ci interessa in questa sede né seguire nel dettaglio l’argomentazione<br />

<strong>di</strong> Aristotele né rilevare che la sua tesi è palesemente<br />

falsa. Già nel secolo scorso De Morgan aveva osservato che<br />

una semplice inferenza come la seguente<br />

(1) _________________________________________<br />

ogni cavallo è un animale<br />

ogni testa <strong>di</strong> cavallo è una testa <strong>di</strong> animale<br />

non ha alcuna speranza <strong>di</strong> trovare una giustificazione all’interno<br />

della sillogistica <strong>di</strong> Aristotele. Quello che conta sottolineare è che<br />

( 35 ) Per quest’interpretazione della perfezione sillogistica in termini <strong>di</strong><br />

evidenza cfr. G. PATZIG, Die Aristotelische Syllogistik. Logisch-philologische<br />

Untersuchungen über das Buch A der “Ersten Analytiken”, Göttingen: Vandenhoeck<br />

& Ruprecht, 1969 3 , pp. 51 ss.<br />

( 36 ) Cfr. APr. I, 23, 40 b 17-22.<br />

47


48 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Aristotele credeva <strong>di</strong> poter ricondurre qualunque argomentazione<br />

formalmente corretta ad uno <strong>degli</strong> schemi sillogistici. Questi quin<strong>di</strong><br />

sembrano assumere il ruolo <strong>di</strong> punto <strong>di</strong> riferimento nei confronti<br />

della correttezza <strong>degli</strong> argomenti informali: se questi sono corretti,<br />

allora sono riducibili e, naturalmente, se non sono riducibili, non<br />

sono corretti. In questo senso i sillogismi non descrivono il modo<br />

in cui <strong>di</strong> solito si argomenta, ma il modo in cui può essere controllata<br />

la correttezza <strong>di</strong> un argomento naturale.<br />

Se assumiamo che questo sia il punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Aristotele,<br />

possiamo valutare un altro aspetto dell’interpretazione <strong>hegel</strong>iana<br />

della sua logica in termini forse un po’ meno positivi <strong>di</strong> quanto non<br />

sia stato fatto per il suo approccio generale. Come si è visto, Hegel<br />

giu<strong>di</strong>ca la logica <strong>di</strong> Aristotele una teoria che descrive le forme del<br />

pensiero finito:<br />

(K) Aristotele adunque è il fondatore della logica intellettualistica, le cui<br />

forme concernono soltanto i rapporti reciproci del finito, né possono cogliere<br />

la verità. Tuttavia va osservato che la filosofia <strong>di</strong> Aristotele non si<br />

fonda minimamente su questo rapporto intellettuale; non si deve dunque<br />

credere che queste siano le forme <strong>di</strong> sillogismo me<strong>di</strong>ante le quali ha pensato.<br />

Se egli le avesse seguite, non sarebbe quel filosofo speculativo che<br />

in lui abbiamo riconosciuto; non avrebbe potuto formulare nessuna delle<br />

sue dottrine, né fare alcun progresso, se si fosse attenuto alle forme <strong>di</strong><br />

questa logica consuetu<strong>di</strong>naria ( 37 ).<br />

Dopo la lettura <strong>di</strong> questo passo qualcuno potrebbe forse pensare<br />

che la nostra interpretazione della posizione <strong>hegel</strong>iana sia<br />

troppo generosa e che quest’ultima non sia affatto compatibile con<br />

la tesi secondo cui i sillogismi hanno soltanto una funzione <strong>di</strong> controllo<br />

nei confronti delle argomentazioni informali. Ma forse qui<br />

Hegel vuole soltanto sottolineare il fatto, per altro rilevato da molti<br />

interpreti, che la filosofia aristotelica non è costruita sillogistica-<br />

( 37 ) LSF II pp. 386-387. Cfr. VGPh 2 pp. 531-532 (=VGPh 1 p. 413). Un’osservazione<br />

analoga si trova anche in Enz. § 187.


M. MIGNUCCI - L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele<br />

mente. Da questa osservazione egli ricava una conferma per la sua<br />

posizione secondo cui la logica <strong>di</strong> Aristotele non è una logica speculativa,<br />

ossia tale da fornire una giustificazione delle movenze del<br />

pensiero infinito, ma soltanto una logica empirica. Inoltre il fatto <strong>di</strong><br />

non aver messo la sua logica al servizio della filosofia proverebbe<br />

secondo Hegel che Aristotele era entro certi limiti consapevole delle<br />

inadempienze della sua teoria. Ciò è meno facile da accettare.<br />

Non è affatto detto che Aristotele ritenesse la sua teoria logica incapace<br />

<strong>di</strong> dar conto dell’andamento deduttivo della sua filosofia prima.<br />

Anzi i passi che abbiamo menzionato sembrano provare il contrario.<br />

Nella misura in cui la filosofia può essere sviluppata come<br />

una teoria deduttiva, il sillogismo dovrebbe essere in linea <strong>di</strong> principio<br />

in grado <strong>di</strong> esprimere la formalizzazione del suo procedere,<br />

appunto perché ogni argomentazione corretta deve poter essere<br />

tradotta in sillogismi. Dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Aristotele sembra dunque<br />

<strong>di</strong>pendere soltanto da una questione <strong>di</strong> fatto e non <strong>di</strong> principio<br />

l’assenza <strong>di</strong> sillogismi nella sua filosofia. Cosí come, dopo aver provato<br />

che un certo sistema logico è sufficientemente potente da<br />

esprimere la formalizzazione <strong>di</strong> una teoria matematica, non ha molto<br />

interesse procedere <strong>di</strong> fatto a tale formalizzazione, il sistema aristotelico<br />

non ha bisogno <strong>di</strong> confrontarsi in concreto con riduzioni<br />

in forma sillogistica delle argomentazioni filosofiche, dato che<br />

Aristotele ritiene <strong>di</strong> aver già provato in generale la sua adeguatezza.<br />

In questa prospettiva l’interpretazione <strong>hegel</strong>iana va troppo oltre,<br />

attribuendo ad Aristotele consapevolezze che egli non aveva.<br />

49


ANTONIO MORETTO<br />

SUL PROBLEMA DELLA CONSIDERAZIONE<br />

MATEMATICA DELL’INFINITO E DEL CONTINUO<br />

IN ARISTOTELE E HEGEL<br />

SOMMARIO: 1. Introduzione — PARTE I - LA CONCEZIONE MATEMATICA DELL’INFINITO E<br />

DEL CONTINUO NELLA “FISICA” DI ARISTOTELE — 2. Il problema dell’infinito in<br />

Aristotele — 3. La definizione dell’infinito — 3.1. Infinito in atto — 3.2.<br />

Infinito in potenza — 4. I proce<strong>di</strong>menti infiniti <strong>di</strong> calcolo con le grandezze<br />

— 5. La continuità secondo Aristotele — 6. Continuità e infinità — 7.<br />

Sulla concezione aristotelica delle grandezze geometriche — PARTE II -<br />

HEGEL “INTERPRETE” DI ARISTOTELE SULL’INFINITO E SUL CONTINUO — 8. La matematica<br />

e la quantità. La quantità pura e il rapporto “continuo - <strong>di</strong>screto”<br />

— 9. L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della seconda antinomia cosmologica <strong>di</strong><br />

Kant — 10. Il quanto e il mutamento del quanto — 10.1. Il quanto — 10.2.<br />

Grandezza estensiva ed intensiva — 11. Progresso infinito quantitativo e<br />

vera infinità del quanto — 12. Esempi matematici <strong>di</strong> cattiva e vera infinità<br />

— 13. Conclusione.<br />

1. Introduzione — Il presente saggio ( 1 ) cerca <strong>di</strong> confrontare il punto<br />

<strong>di</strong> vista sull’infinito e sul continuo <strong>di</strong> Aristotele e <strong>di</strong> Hegel, quali<br />

risultano dai libri III, V e VI della Fisica e dalle considerazioni sulla<br />

( 1 ) Il presente saggio da un lato rappresenta il momento iniziale <strong>di</strong> una<br />

ricerca sulla filosofia della matematica <strong>di</strong> Aristotele, dall’altro costituisce una<br />

elaborazione <strong>di</strong> una parte del saggio Il primato logico della matematica, in AA.VV,<br />

<strong>Filosofia</strong> e scienze filosofiche nella prima e<strong>di</strong>zione dell’”Enciclope<strong>di</strong>a” <strong>hegel</strong>iana del<br />

1817, a cura <strong>di</strong> F. Chiereghin, Trento 1995, 63-146. Ringrazio il prof. Franco<br />

Chiereghin, per avermi dato il permesso <strong>di</strong> pubblicare separatamente questo


52<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

grandezza della Scienza della logica e dell’Enciclope<strong>di</strong>a ( 2 ). Il confronto<br />

si pone in modo non accidentale, perché Hegel, che considera il pen-<br />

contributo. Ringrazio altresì il prof. Mario Mignucci per lo scambio <strong>di</strong> idee sulla<br />

matematica in Aristotele e per alcune in<strong>di</strong>cazioni bibliografiche che mi ha fornito.<br />

( 2 ) Abbreviazioni usate per le opere <strong>di</strong> G.W.F. Hegel:<br />

GuW = G.W.F. HEGEL, Glauben und Wissen oder <strong>di</strong>e Reflexionsphilosophie der<br />

Subjectivität in der Vollstän<strong>di</strong>gkeit ihrer Formen, als Kantische , Jakobische und<br />

Fichtesche Philosophie, in Gesammelte Werke, Bd. IV, Jenaer kritische Schriften, hrsg.<br />

von H. Buchner u. O. Pöggeler, Hamburg 1968, 315-414.<br />

WdL I = G.W.F. HEGEL, Wissenschaft der Logik. Erster Band. Die objektive<br />

Logik (1812/13), hrsg. v. F. Hogemann u. W. Jaeschke, Gesammelte Werke, Band 11,<br />

Düsseldorf 1978.<br />

WdL II = G.W.F. HEGEL, Wissenschaft der Logik. Zweiter Band. Die subjektive<br />

Logik (1816), hrsg. v. F. Hogemann u. W. Jaeschke, Gesammelte Werke, Band 11,<br />

Düsseldorf 1981.<br />

WdL III = G.W.F. HEGEL, Wissenschaft der Logik. Erster Teil. Die objektive<br />

Logik. Erster Band. Die Lehre vom Sein (1832), hrsg. v. F. Hogemann u. W.<br />

Jaeschke, Gesammelte Werke, Band 21, Düsseldorf 1985 (la trad. it. G.W.F. HEGEL,<br />

Scienza della logica, riv. da - e con Nota introduttiva <strong>di</strong> - C. Cesa, Introduzione <strong>di</strong><br />

L. Lugarini, Bari 1981, corrisponde alla Wissenschaft der Logik contenuta in WdL<br />

III, nel 2. Buch, Die Lehre vom Wesen, <strong>di</strong> WdL I, e in WdL II).<br />

Enz. A = G.W.F. HEGEL, Encyclopä<strong>di</strong>e der philosophischen Wissenschaften im<br />

Grundrisse, Heidelberg 1817 (G.W.F. HEGEL, Enciclope<strong>di</strong>a delle scienze filosofiche in<br />

compen<strong>di</strong>o, trad. it. a cura <strong>di</strong> F. Biasutti, L. Bignami, F. Chiereghin, G.F. Frigo, G.<br />

Granello, F. Menegoni, A. Moretto, Trento 1987).<br />

Enz. B = G.W.F. HEGEL, Enzyclopä<strong>di</strong>e der philosophischen Wissenschaften im<br />

Grundrisse (1927), hrsg. v. W. Bonsiepen u. H.-C. Lucas, Gesammelte Werke, Bd.<br />

19, Düsseldorf 1989.<br />

Enz. C = G.W.F. HEGEL, Enzyclopä<strong>di</strong>e der philosophischen Wissenschaften im<br />

Grundrisse (1830), hrsg. v. W. Bonsiepen u. H.-C. Lucas, u. Mitarbeit v. U. Rameil,<br />

Gesammelte Werke, Bd. 20, Düsseldorf 1992 (G.W.F. HEGEL, Enciclope<strong>di</strong>a delle scienze<br />

filosofiche in compen<strong>di</strong>o, Traduzione it., Prefazione e Note <strong>di</strong> B. Croce, Glossario<br />

e In<strong>di</strong>ce dei nomi <strong>di</strong> N. Merker, Introduzione <strong>di</strong> C. Cesa, Bari 1978 4 ).<br />

VGPh I-III = G.W.F. HEGEL, Vorlesungen über <strong>di</strong>e Geschichte der Philosophie,<br />

in Werke, auf der Grundlage der Werke von 1832 - 1845 neu e<strong>di</strong>erte Ausgabe,<br />

Redaktion E. Moldenhauer und K.M. Michel, Frankfurt / M., 1971, B.de 18-20.<br />

Con riferimento a I. Kant ricorriamo alla sigla:<br />

KrV = I. KANT, Kritik der reinen Vernunft (2. Aufl. 1787), in Gesammelte<br />

Schriften, hrsg. von der Königlich Preußischen [Deutschen] Akademie der<br />

Wissenschaften, Berlin [Berlin u. Leipzig] 1902 ff., IV; (trad. it. Critica della ragion<br />

pura, a cura <strong>di</strong> G. Gentile e G. Lombardo-Ra<strong>di</strong>ce, riv. da - con una Introduzione<br />

<strong>di</strong> - e un Glossario a cura <strong>di</strong> - V. Mathieu, Bari 1985 3 ).


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

siero dello stagirita uno dei vertici più alti della speculazione filosofica,<br />

si mostra particolarmente attento, come vedremo, alle considerazioni<br />

sul tema dell’infinito e del continuo esposte nella Fisica. Il<br />

confronto può inoltre rivestire un particolare interesse ai nostri giorni,<br />

dal momento che i più recenti stu<strong>di</strong> <strong>hegel</strong>iani hanno mostrato<br />

che, contrariamente a quanto si era generalmente ritenuto, le considerazioni<br />

<strong>di</strong> Hegel sulla matematica, oltre ad essere importanti nell’economia<br />

del suo sistema della filosofia, sono ra<strong>di</strong>cate nell’effettivo<br />

<strong>di</strong>battito che si svolgeva su questa scienza.<br />

Il saggio si articola in due parti: la prima cerca <strong>di</strong> evidenziare<br />

il contenuto matematico delle considerazioni <strong>di</strong> Aristotele nella Fisica<br />

sull’infinito e sul continuo ( 3 ), e la seconda si propone <strong>di</strong> esami-<br />

Nel testo l’abbreviazione è seguita dai numeri delle pagine dell’e<strong>di</strong>zione<br />

tedesca e, tra parentesi, da quelli delle pagine corrispondenti nella traduzione<br />

italiana.<br />

( 3 ) Per un inquadramento del problema della matematica, dell’infinito e<br />

del continuo in Aristotele si veda: T. HEATH, Mathematics in Aristotle, London:<br />

Oxford University Press, 1970 (first published 1949); I. MUELLER, Greek Mathematics<br />

and Greek Logic, in Ancient Logic and its modern Interpretations, e<strong>di</strong>ted by J.<br />

Corcoran,Procee<strong>di</strong>ngs of the Buffalo Symposium on Modern Interpretation of<br />

Ancient Logic, 21 and 22 April, 1972, Dordrecht - Boston, 1974, 35-70; H.J.<br />

WASCHKIES, Von Eudoxos zu Aristoteles. Das Fortwirken der Eudoxischen Proportionentheorie<br />

in der Aristotelischen Lehre vom Kontinuum, Amsterdam: Grüner, 1977;<br />

I. MUELLER, Aristotle on Geometrical Objects, in J. Barnes, M. Schofield, R. Sorabji<br />

(eds.), Articles on Aristotle. 3. Metaphysics, London: Duckworth, 1979, 96-107; J.<br />

HINTIKKA, Aristotelian Infinity, in J. Barnes, M. Schofield, R. Sorabji (eds.), Articles<br />

on Aristotle. 3. Metaphysics, cit., 125-139; I. MUELLER, Aristotle and the Quadrature of<br />

the Circle, in N. Kretzmann (ed. / Hrsg.), Infinity and Continuity in Ancient and<br />

Me<strong>di</strong>eval Thought, Ithaca and London, Cornell University Press, 1982, 146-64; R.<br />

SORABJI, Time, Creation and the Continuum: Theories in Antiquity and the Early Middle<br />

Ages, London: Duckworth, 1983; J. ANNAS, Die Gegenstände der Mathematik bei<br />

Aristoteles, in A. Graeser (ed./Hrsg). Mathematics and Metaphysics in Aristotle.<br />

Mathematik und Metaphysik bei Aristoteles, Akten des X. Symposium Aristotelicum<br />

(Sigriswil, 6.-12. September 1984), Bern-Stuttgart: Haupt, 1987, 131-148; M.<br />

MIGNUCCI, Aristotle’s Arithmetic, in A. Graeser (ed./Hrsg). Mathematics and<br />

Metaphysics in Aristotle, cit., 175-211; D.H. FOWLER, The Mathematics of Plato’s<br />

Academy. A New Reconstruction, Oxford: Clarendon Press, 1987; L.M. NAPOLITANO<br />

VALDITARA, Le idee, i numeri, l’or<strong>di</strong>ne. La dottrina della mathesis universalis dall’Acca-<br />

53


54<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

nare la rilevanza matematica dello stesso argomento nella Logica<br />

<strong>di</strong> Hegel confrontando il punto <strong>di</strong> vista <strong>hegel</strong>iano con quello aristotelico<br />

( 4 ).<br />

demia antica al neoplatonismo, Napoli: Bibliopolis, 1988; R. SORABJI, Matter, Space and<br />

Motion: Theories in Antiquity and their Sequel, Itacha, New York: Cornell University<br />

Press, 1988; W. CHARLTON, Aristotle’s Potential Infinites, in L. Judson (ed.), Aristotle’s<br />

Physics: A Collection of Essays, Oxford: Clarendon Press, 1991, 129-150; D. BOSTOCK,<br />

Aristotle on Continuity in Physics VI, in L. Judson (ed.), Aristotle’s Physics, cit., 179-<br />

212; E. HUSSEY, Aristotle’s Mathematical Physics: A Reconstruction, in L. Judson (ed.),<br />

Aristotle’s Physics, cit., 213-242; M.J. WHITE, The Continuous and the Discrete. Ancient<br />

Physical Theories from a Contemporary Perspective, Oxford: Clarendon Press, 1992.<br />

( 4 ) Sulla bibliografia su Hegel e la matematica, si veda W. NEUSER, Sekundärliteratur<br />

zu Hegels Naturphilosophie (1802-1985), in Hegel und <strong>di</strong>e Naturwissenschaften,<br />

hrsg. M.J. Petry, Stuttgart - Bad Cannstatt 1987, 501-542.<br />

Per ulteriori in<strong>di</strong>cazioni bibliografiche e per una introduzione — anche se<br />

incompleta — ai <strong>di</strong>versi aspetti del tema «Hegel e la matematica» si veda nella<br />

recente letteratura: L.E. FLEISCHHACKER, Over de grenzen van de kwantiteit, Diss.,<br />

Amsterdam 1982; A. MORETTO, Hegel e la “matematica dell’infinito”, Trento 1984; W.<br />

BONSIEPEN, Hegels Raum-Zeit-Lehre. Dargestellt anhand zweier Vorlesungsnachschriften,<br />

in «Hegel-Stu<strong>di</strong>en» 20 (1985), 9-78; A. MORETTO, L’influence de la “mathématique de<br />

l’infini” dans la formation de la <strong>di</strong>alectique hégélienne, in Hegels Philosophie der Natur,<br />

hrsg. v. R.-P. Horstmann u. M.J. Petry, Stuttgart 1986, 175-196; M. WOLFF, Hegel und<br />

Cauchy. Eine Untersuchung zur Philosophie und Geschichte der Mathematik, in Hegels<br />

Philosophie der Natur, cit., 197-263; I. TOTH, Mathematische Philosophie und <strong>hegel</strong>sche<br />

Dialektik, in Hegel und <strong>di</strong>e Naturwissenschaften, cit., 89-182; L.E. FLEISCHHACKER,<br />

Quantität, Mathematik, Naturphilosophie, cit., 183-203; P. VARDY, Zur Dialektik der<br />

Metamathematik, in Hegel und <strong>di</strong>e Naturwissenschaften, cit., 205-243; V. HÖSLE, Raum,<br />

Zeit, Bewegung, in Hegel und <strong>di</strong>e Naturwissenschaften, cit., 247-292; A. MORETTO, Questioni<br />

<strong>di</strong> filosofia della matematica nella “Scienza della logica” <strong>di</strong> Hegel. “Die Lehre vom<br />

Sein” del 1831, Trento 1988; A. MORETTO, Hegels Auseinandersetzung mit Cavalieri und<br />

ihre Bedeutung für seine Philosophie der Mathematik, in Konzepte des mathematisch<br />

Unendlichen im 19. Jahrhundert, hrsg. v. G. König, Göttingen 1990, 64-99; W.<br />

BONSIEPEN, Hegels Theorie des qualitativen Quantitätsverhältnisses, in Konzepte des<br />

mathematisch Unendlichen im 19. Jahrhundert, cit., 100-129; A. KLAUCKE, Hegel’s<br />

Lagrange-Rezeption, in Konzepte des mathematisch Unendlichen im 19. Jahrhundert, cit.,<br />

130-151.<br />

Sul problema dell’infinito in Hegel si veda G. MOVIA, Finito e infinito e<br />

l’idealismo della filosofia. La logica <strong>hegel</strong>iana dell’Essere determinato, «Rivista <strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong><br />

neo-scolastica», 86 (1994), 110-33, 323-57, 623-64. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana della<br />

quantità cfr. ID, Scetticismo antico e antinomica kantiana. La logica <strong>hegel</strong>iana della<br />

quantità, ibidem, 87 (1995), 551-95.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

PARTE I<br />

LA CONCEZIONE MATEMATICA DELL’INFINITO E DEL CONTINUO<br />

NELLA “FISICA” DI ARISTOTELE<br />

2. Il problema dell’infinito in Aristotele — La problematica dell’infinito<br />

e del continuo viene esaminata da Aristotele soprattutto nella Fisica<br />

( 5 ), dove si trova inserita nel quadro <strong>di</strong> una esposizione dei<br />

princìpi della filosofia naturale, in funzione propedeutica alla<br />

trattazione del movimento ( 6 ). Infatti, osserva Aristotele, poiché la<br />

scienza della natura deve prendere in esame il movimento ( 7 ), è necessario<br />

<strong>di</strong>re in precedenza che cosa sono, oltre al luogo, al vuoto e<br />

al tempo, l’infinito e il continuo, dal momento che il movimento<br />

viene inteso come continuo, e al concetto <strong>di</strong> continuo è necessario<br />

premettere quello <strong>di</strong> infinito ( 8 ).<br />

Aristotele si mostra consapevole dell’aporeticità dell’infinito,<br />

poiché seguono conclusioni assurde sia dalla sua negazione,<br />

( 5 ) La Fisica tratta dell’infinito nel libro III, del luogo, del vuoto e del tempo<br />

nel IV, del continuo nel V e nel VI. In questa sede prenderò in considerazione<br />

l’infinito ed il continuo.<br />

( 6 ) L’analisi dell’infinito viene condotta da Aristotele anche in Metaph., XI<br />

10, riassumendo quanto detto in Phys., III 4 - 7. L’analisi del continuo viene svolta<br />

anche in Cat., 6, 4 b 20 - 5 a 14; Top., IV.2; Metaph., V.6; De gener. et corr., I.2, I.6.<br />

Si veda anche De lin. insec.<br />

( 7 ) Secondo Aristotele «la natura è principio del movimento» (Phys., III,<br />

200 b 12), e il movimento si spiega come una transizione dalla potenza all’atto :<br />

«movimento è l’atto <strong>di</strong> ciò che è in potenza, in quanto tale» (Phys., III, 201 a 10-<br />

11). Salvo <strong>di</strong>verso avviso per la Fisica ricorro alla traduzione italiana <strong>di</strong> A. Russo<br />

in ARISTOTELE, Opere, III, Roma-Bari 1973. Ma si consulti anche: ARISTOTELE, Fisica,<br />

Saggio introduttivo, trad., note e apparati <strong>di</strong> L. Ruggiu, testo greco a fronte, Milano<br />

1995.<br />

( 8 ) Phys., III, 200 b 12-25; cfr. anche Phys., III, 202 b 30-36: «poiché la scienza<br />

della natura stu<strong>di</strong>a le grandezze, il movimento e il tempo, ciascuno dei quali<br />

necessariamente è infinito o finito ... converrà a chi si occupa della natura me<strong>di</strong>tare<br />

sull’infinito, se esso è o non è; e se è, che cosa mai esso è».<br />

55


56<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

sia dalla sua ammissione. D’altra parte egli ritiene inaccettabili sia<br />

per la fisica, sia per la matematica, le conseguenze che derivano<br />

dalla sua negazione. Infatti negando l’infinito il tempo sarebbe limitato,<br />

non si potrebbe <strong>di</strong>videre la grandezza a piacere e non si<br />

<strong>di</strong>sporrebbe della possibilità <strong>di</strong> contare indefinitamente: «del<br />

tempo, infatti, vi sarà un principio e una fine, e le grandezze non<br />

saranno <strong>di</strong>visibili in grandezze, e il numero non sarà infinito»<br />

(Phys., III, 206 a 10-12). La valutazione delle conseguenze della<br />

negazione dell’infinito, severamente limitatrici delle scienze fisiche<br />

e matematiche, lo inducono così ad accettare la nozione <strong>di</strong> infinito<br />

non incon<strong>di</strong>zionatamente, ma in riferimento ad alcune specifiche<br />

modalità ( 9 ).<br />

Aristotele precisa che l’indagine sull’infinito condotta nella<br />

Fisica ha un carattere prevalentemente fisico. Infatti egli oltre ad<br />

affermare che «è ... dovere fondamentale del fisico esaminare se<br />

vi sia una grandezza sensibile infinita» ( 10 ), osserva che «questa<br />

ricerca si estende a questioni generali se ci mettiamo a <strong>di</strong>scutere<br />

sull’esistenza dell’infinito anche negli enti matematici e in quelli<br />

che sono intelligibili e non hanno grandezza», e riba<strong>di</strong>sce <strong>di</strong> stare<br />

«conducendo un esame sulle cose sensibili», e <strong>di</strong> indagare se tra<br />

( 9 ) Secondo Aristotele l’infinito si pre<strong>di</strong>ca secondo queste accezioni: l’infinito<br />

è: ciò che non si può percorrere per sua stessa natura (come la voce da parte<br />

della visibilità); in altro senso ciò che presenta un percorso senza fine, o che a<br />

malapena si può percorrere, oppure ciò che per sua natura presenta un percorso<br />

e un limite che però è irraggiungibile (Phys., III, 204 a 3-8).<br />

( 10 ) (Phys., III, 204 a 1-2). Aristotele osserva che tutti i filosofi degni <strong>di</strong> tal<br />

nome hanno posto l’infinito come principio, e che questo fatto (credenza nell’infinito)<br />

potrebbe aver origine 1) dal tempo; 2) dalla <strong>di</strong>visione delle grandezze<br />

(come accade in matematica); 3) dalla necessità <strong>di</strong> spiegare la generazione e la<br />

corruzione; 4) dalla trasformazione incessante delle cose che tendono sempre ad<br />

un nuovo termine; 5) dalle <strong>di</strong>fficoltà che esso suscita nel pensiero; esso non si<br />

può sopprimere, e così siamo portati a ritenere che siano infiniti il numero, la<br />

grandezza matematica e ciò che è fuori dal cielo (Phys., III, 203 b 15-25). Aristotele<br />

segnala l’aporeticità dell’infinito, sia che lo si assuma, sia che lo si neghi<br />

(Phys., 203 b 30-32)


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

queste ci sia «un corpo infinito per accrescimento» (Phys., III, 204<br />

a 34 - b 4). Siamo pertanto in presenza <strong>di</strong> una <strong>di</strong>stinzione tra enti<br />

sensibili ed enti intelligibili, indagati secondo la categoria della<br />

quantità. Vi sono così, accanto ad enti intelligibili che non hanno<br />

grandezza, enti intelligibili considerati secondo la quantità, dei<br />

quali si occupa la matematica, ed enti sensibili considerati secondo<br />

la quantità, dei quali si occupa la fisica.<br />

Ma anche se le considerazioni della Fisica riguardano la ricerca<br />

sulla natura, ciò non significa che il testo tratti esclusivamente<br />

la problematica fisica. Infatti la problematica matematica è<br />

presente con grande rilievo, anche se il fine è l’indagine fisica, e la<br />

stessa considerazione dell’infinito e del continuo si svolge prevalentemente<br />

in ambito matematico. È pertanto opportuno tener<br />

presente che il testo aristotelico contiene entrambi questi aspetti,<br />

matematico e fisico, e che le considerazioni matematiche sono <strong>di</strong><br />

notevole rilievo, anche se non sono condotte in modo sistematico<br />

e non hanno pretese <strong>di</strong> completezza. In ogni caso sono in grado <strong>di</strong><br />

fornire importanti in<strong>di</strong>cazioni sulla concezione aristotelica della<br />

matematica.<br />

3. La definizione dell’infinito — La definizione più ampia proposta<br />

da Aristotele per l’infinito è: «infinito è ciò che è esteso senza limiti»<br />

(Phys., III, 204 b 20-21), ed è applicabile non solo alla fisica,<br />

ma anche alla matematica. Su questa definizione si innesta, come<br />

si vedrà, la <strong>di</strong>stinzione fondamentale tra un infinito in potenza<br />

(dunavmei a[peiron), ed un infinito in atto (ejnergeiva/ a[peiron,<br />

ejnteleceiva/ a[peiron) ( 11 ). In base a questa <strong>di</strong>stinzione l’infinito viene<br />

definito,<br />

( 11 ) Sulla <strong>di</strong>stinzione tra potenza e atto in Aristotele si veda E. BERTI, Genesi<br />

e sviluppo della dottrina della potenza e dell’atto in Aristotele, «Stu<strong>di</strong>a Patavina», V<br />

(1958), 477-505.<br />

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58<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

a) da un punto <strong>di</strong> vista potenziale, come un processo che<br />

può andare oltre ogni limite;<br />

b) da un punto <strong>di</strong> vista attuale, invece, come ciò <strong>di</strong> cui non<br />

vi è niente <strong>di</strong> più grande (altrimenti vi sarebbe un limite),<br />

quin<strong>di</strong> come estremo superiore della classe delle<br />

grandezze (in particolare come grandezza massima).<br />

Questo infinito viene considerato pertanto come un infinito<br />

compiuto, l’infinito determinato (to; a[peiron wJı<br />

ajjϕwrismevnon).<br />

A questa <strong>di</strong>stinzione fondamentale tra infinito in potenza ed<br />

infinito in atto si aggiungono le specificazioni tra un infinito per <strong>di</strong>visione<br />

(<strong>di</strong>airevsei), per sottrazione o <strong>di</strong>minuzione (ajϕairevsei,<br />

kaqairevsei), e per accrescimento (aujxhvsei, prosϑevsei), legate alle<br />

operazioni che vengono effettuate con le grandezze.<br />

3.1. Infinito in atto — L’indagine preliminare sull’infinito riguarda<br />

la possibilità dell’esistenza dell’infinità in atto, ossia considerata<br />

nella sua compiutezza, sia per le grandezze in generale, sia per il<br />

numero.<br />

Nel caso del corpo (sw`ma) infinito non siamo <strong>di</strong> fronte ad un<br />

processo inesauribile, ma ad una determinata grandezza: si tratta<br />

pertanto <strong>di</strong> pronunciarsi sull’esistenza o meno del corpo infinito<br />

in atto. A questo proposito Aristotele osserva che il corpo, non<br />

solo fisico, ma anche geometrico, non può essere infinito in atto,<br />

essendo limitato per definizione ( 12 ): se «si chiama corpo ciò che è<br />

( 12 ) Nella geometria classica greca gli enti geometrici fondamentali, linea,<br />

superficie e solido, sono concepiti come limitati: si vedano le definizioni<br />

euclidee negli Elementi, «estremi <strong>di</strong> una linea sono punti» (EUCLIDES, Elementa,<br />

post I.L. Heiberg e<strong>di</strong><strong>di</strong>t E.S. Stamatis, 4 voll., Leipzig: Teubner, 1969-73, Libro I,<br />

Def. III; in italiano EUCLIDE, Gli Elementi, a cura <strong>di</strong> A. Frajese e L. Maccioni, Torino:<br />

UTET, 1970); «estremi <strong>di</strong> una superficie sono linee» (ivi, Libro I, Def. VI), «limite<br />

<strong>di</strong> un solido è una superficie» (ivi, Libro XI, Def. II). Così la linea retta è


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

limitato da una superficie, non potrebbe esserci un corpo infinito<br />

né come intelligibile, né come sensibile»(Phys., III, 204 b 5-7). L’osservazione<br />

è corretta dal momento che, secondo la definizione<br />

aristotelica, i corpi sono i soli<strong>di</strong> limitati da superfici e linee. Infatti<br />

in questo modo essi non possono essere infiniti (e <strong>di</strong> conseguenza<br />

anche le linee e le superfici limitanti) perché ciò contrasta la definizione<br />

<strong>di</strong> infinito come ciò che non ha limiti. Va però rilevato che<br />

con una <strong>di</strong>versa definizione <strong>di</strong> corpo potrebbe venir preso in considerazione<br />

anche il corpo infinito.<br />

Per ciò che riguarda l’ammissibilità del numero infinito in<br />

atto Aristotele osserva che il numero infinito, in quanto separato,<br />

non esiste: se infatti esistesse, sarebbe possibile contare l’infinito,<br />

dal momento che il numero è numerabile (Phys., III, 204 b 7-10).<br />

Va rilevato che questo fatto è effettivamente possibile se si <strong>di</strong>spone<br />

<strong>di</strong> un numero infinito; esso viene però escluso da Aristotele<br />

sulla base del comune consenso (oJmologoumevnwı) ( 13 ).<br />

Più significativa è l’altra osservazione, alla base della quale<br />

stanno le <strong>di</strong>fficoltà che sorgono estendendo le grandezze con le<br />

grandezze infinite: se esiste l’infinito in atto, l’infinito nella somma<br />

o nella <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong>struggerebbe il finito. Così nei contrari, non<br />

può essere uno <strong>di</strong> essi infinito e l’altro finito, ad esempio l’aria rispetto<br />

al fuoco, altrimenti l’aria prevarrebbe su <strong>di</strong> esso (Phys., III,<br />

204 b 13-19). In altri termini, fermandoci al contenuto matematico,<br />

∞ + a = ∞ - a = ∞. Questo fatto in realtà può accadere con le definizioni<br />

<strong>di</strong> somma e <strong>di</strong>fferenza che hanno luogo nelle estensioni del<br />

corpo dei numeri con il numero infinito. Queste ed analoghe situa-<br />

definita come segmento (linea retta terminata), e l’infinità della linea si ottiene a<br />

partire da questa definizione col Postulato II del Libro I: «[Risulti postulato] che<br />

una retta terminata si possa prolungare continuamente in linea retta».<br />

( 13 ) Phys., VIII, 8, 263 a 4-11. Georg Cantor ritiene questa <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong><br />

Aristotele una “petitio principii”: cfr. G. CANTOR, Gesammelte Abhandlungen<br />

mathematischen und philosophischen Inhalts, hrsg. v. E. Zermelo, nebst einem<br />

Lebenslauf Cantors von A. Fränkel, Hildesheim: Olms, 1966, 174.<br />

59


60<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

zioni che hanno luogo con le altre operazioni hanno lo svantaggio <strong>di</strong><br />

far perdere alcune proprietà dei numeri. Va però notato che con gli<br />

or<strong>di</strong>nali transfiniti, mentre da un lato si ha a + ω = w (l’infinito “<strong>di</strong>strugge”<br />

il finito), dall’altro vale ω + a ≠ ω . In questo modo si ha una<br />

estensione dei numeri con i numeri infiniti in cui l’infinito “non <strong>di</strong>strugge”<br />

il finito, poiché l’infinito viene mo<strong>di</strong>ficato dal finito ( 14 ).<br />

La considerazione dei corpi infiniti in atto dà luogo anche<br />

ad altre <strong>di</strong>fficoltà, sia <strong>di</strong> carattere fisico, sia <strong>di</strong> carattere matematico.<br />

In questo senso Aristotele non ammette il corpo sensibile infinito<br />

in atto in quanto incompatibile con il concetto <strong>di</strong> luogo naturale<br />

per i corpi. Infatti in quale luogo andrà l’infinito? In quello<br />

superiore o in quello inferiore? Oppure metà da una parte e metà<br />

dall’altra? E come <strong>di</strong>videre il corpo infinito a metà? Sulla base <strong>di</strong><br />

considerazioni <strong>di</strong> questo genere egli conclude che non può esserci<br />

il corpo infinito in atto (Phys., III, 205 a 7 - 206 a 8).<br />

3.2. Infinito in potenza — Aristotele afferma sinteticamente che,<br />

mentre l’essere è in potenza (dunavmei) o in entelechia (ejnteleceiva/),<br />

l’infinito è per aggiunzione (prosϑεvsei) o per detrazione (ajϕairevsei).<br />

Inoltre la grandezza (mevgeϑoı) in quanto in atto (kat’ejnevrgeian)<br />

non è infinita, ma è infinita per <strong>di</strong>visione (<strong>di</strong>airevsei), poiché non<br />

possono sussistere le linee in<strong>di</strong>visibili (Phys., III, 206 a 14-18) ( 15 ).<br />

La <strong>di</strong>stinzione tra l’infinito per aggiunzione e per detrazione<br />

e l’infinito per <strong>di</strong>visione viene illustrata da Aristotele in un secondo<br />

momento, poiché egli è interessato per prima cosa a mo-<br />

( 14 ) Cfr. CANTOR, Gesammelte Abhandlungen, cit., 174.<br />

( 15 ) La dottrina delle linee in<strong>di</strong>visibili viene attribuita da Aristotele a Platone.<br />

Su ciò si veda il trattato De lineis insecabilibus, da attribuire alla scuola<br />

aristotelica. Per una introduzione all’argomento si veda M. TIMPANARO CARDINI,<br />

Introduzione, in PSEUDO-ARISTOTELE, De lineis insecabilibus, Introduzione, traduzione<br />

e commento a cura <strong>di</strong> M. Timpanaro Car<strong>di</strong>ni, Milano - Varese: Istituto E<strong>di</strong>toriale<br />

Cisalpino: 1970 (data <strong>di</strong> stampa), 9-39.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

strare che dall’esclusione dell’infinito in atto e dall’ipotesi della<br />

<strong>di</strong>visibilità della grandezza (che come si vedrà permette l’infinito<br />

per aggiunzione e per detrazione) segue che l’infinito per le grandezze<br />

è solo in potenza, a patto che si precisi che non è in potenza<br />

nel senso che poi sarà un altro, come ciò che è in potenza una statua<br />

<strong>di</strong>verrà poi una statua, ma è in potenza nel senso che esprime<br />

un processo che sempre <strong>di</strong>viene, rappresentando sempre qualcosa<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>verso: «si deve intendere che l’infinito ‘è’ nel senso in cui si<br />

<strong>di</strong>ce: ‘il giorno è, la gara è, perché questi <strong>di</strong>ventano sempre qualcosa<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>verso». (Phys., III, 206 a 18-23). Commenta W.D. Ross:<br />

«l’infinito, come il giorno o una battaglia, esiste me<strong>di</strong>ante il generarsi<br />

successivo delle sue parti; esiste, per usare il linguaggio <strong>di</strong><br />

san Tommaso, non in actu permanente, in facto, ma successive, in fieri»<br />

( 16 ). E poco dopo Aristotele osserva che «così è, infatti, l’infinito<br />

in universale, perché si pone come sempre <strong>di</strong>verso, mentre ciò che<br />

si assume da esso è sempre finito, benché ci sia sempre, poi, altro<br />

ed ancora altro» (Phys., III, 206 a 27-29).<br />

In altri termini nell’infinito in potenza si ha un continuo<br />

passaggio dalla potenza all’atto: «negli esempi ora riferiti l’essere<br />

è in potenza ed anche in atto, perché i giochi olimpici sono sia in<br />

quanto possono <strong>di</strong>ventar gara sia in quanto sono in atto» (Phys.,<br />

III, 206 a 23-25) ( 17 ).<br />

Processi <strong>di</strong> questo tipo (“un processo che sempre <strong>di</strong>viene,<br />

rappresentando sempre qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso”) vengono descritti in<br />

aritmetica, ad esempio, con le funzioni generatrici <strong>di</strong> sempre nuovi<br />

elementi, come succ(x) = x* nell’insieme N dei numeri naturali, ed<br />

( 16 ) W.D. ROSS, Aristotle, London: Methuen, 1923; in italiano Aristotele,<br />

trad. <strong>di</strong> A. Spinelli rivista sulla 5 ª ed. da C. Martelli, Milano: Feltrinelli, 1976 2 ; 86.<br />

( 17 ) Il fatto che nell’infinito potenziale si configuri un passaggio dalla potenza<br />

all’atto per gli enti coinvolti nel processo viene riba<strong>di</strong>to da Aristotele: l’infinito<br />

«è pur anche in entelechia, ma nel senso in cui <strong>di</strong>ciamo: ‘il giorno è’, o ‘la<br />

gara è’», ed è anche «in potenza, come la materia, e non è mai <strong>di</strong> per sé, come è<br />

invece il finito» (Phys., III, 206 a 13-16).<br />

61


62<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

in geometria, con il postulato <strong>di</strong> densità dei punti della retta, per cui<br />

dati due punti A e B esiste sempre un terzo punto C compreso in<br />

senso stretto tra A e B. In effetti Aristotele si muove in questa <strong>di</strong>rezione<br />

quando afferma che il numero (naturale) «è infinito in potenza,<br />

ma non in atto; epperò sempre il numero assunto supera qualsiasi<br />

pluralità determinata. Tuttavia questo numero non è separabile<br />

dalla <strong>di</strong>cotomia, e l’infinità non permane, ma si genera, come anche<br />

si generano il tempo e il numero del tempo» (Phys., III, 207 b 11-15).<br />

Si noti che con questa caratterizzazione potenziale l’infinito<br />

è ciò al <strong>di</strong> fuori del quale c’è sempre qualcosa. Perciò questo infinito,<br />

che viene concepito come un processo inesauribile, è l’incompleto,<br />

e non è il perfetto: il perfetto è ciò che è completo<br />

(Phys., III, 207 a 7 - 10).<br />

4. I proce<strong>di</strong>menti infiniti <strong>di</strong> calcolo con le grandezze — Per ciò che riguarda<br />

la teoria generale delle grandezze, Aristotele presenta sinteticamente<br />

le seguenti <strong>di</strong>stinzioni sull’infinito: premesso che l’infinito,<br />

non potendo essere in atto, può essere solo in potenza,<br />

questo infinito in potenza viene esplicitato con il proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>visione all’infinito della grandezza; a questo proce<strong>di</strong>mento si<br />

allacciano l’infinito per aggiunzione e quello per detrazione<br />

(Phys., III, 206 a 14 - 206 b 20) ( 18 ).<br />

Viene pertanto presupposta la proprieta <strong>di</strong> <strong>di</strong>visibilità delle<br />

grandezze, nel senso che ogni grandezza si può ripartire in due parti<br />

( 18 ) Aristotele ritiene sussista l’alternativa tra due teorie, una delle quali<br />

considera appunto le grandezze indefinitamente <strong>di</strong>visibili, e l’altra che considera<br />

le grandezze or<strong>di</strong>narie composte <strong>di</strong> grandezze (in questo caso linee) in<strong>di</strong>visibili. Dal<br />

momento che egli ritiene <strong>di</strong> poter contrastare l’ipotesi dell’esistenza delle linee<br />

in<strong>di</strong>visibili (cfr. infra), si dovrà assumere la <strong>di</strong>visibilità indefinita delle grandezze.<br />

Su questo argomento egli si sofferma nella Metafisica, attribuendo la dottrina<br />

delle linee in<strong>di</strong>visibili a Platone. Cfr. Metaph. I 992 a 20 sgg. L’importanza de<strong>di</strong>cata<br />

in ambiente aristotelico alla confutazione <strong>di</strong> questa dottrina è documentata anche<br />

dallo scritto, <strong>di</strong> incerta attribuzione, Sulle linee in<strong>di</strong>visibili.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

che sommate danno la grandezza precedente, e a questa proprietà<br />

può corrispondere il citato postulato <strong>di</strong> densità della retta. Due<br />

esempi <strong>di</strong> questa proprietà si hanno nelle proposizioni geometriche<br />

che stabiliscono la <strong>di</strong>visibilità <strong>di</strong> un angolo o <strong>di</strong> un segmento in due<br />

parti congruenti (<strong>di</strong>visione mesotomica): negli Elementi <strong>di</strong> Euclide<br />

queste proposizioni sono le proposizioni IX e X del I libro ( 19 ).<br />

La proprietà <strong>di</strong> <strong>di</strong>visibilità delle grandezze conduce a <strong>di</strong>versi<br />

proce<strong>di</strong>menti infiniti, dal momento che l’operazione è iterabile a<br />

piacere. Infatti se dopo ogni <strong>di</strong>visione scegliamo una delle due<br />

grandezze risultanti e ripetiamo l’operazione, otteniamo una successione<br />

<strong>di</strong> infiniti punti <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione e <strong>di</strong> infinite grandezze. Sommandole<br />

successivamente si è <strong>di</strong> fronte ad un particolare processo<br />

infinito per aggiunzione; togliendole da quella iniziale si è <strong>di</strong> fronte<br />

ad un particolare processo infinito per detrazione. Come si vede<br />

questi proce<strong>di</strong>menti infiniti hanno uno schema analogo a quello<br />

che viene utilizzato nel logos zenoniano della <strong>di</strong>cotomia: il mobile<br />

non giungerà mai al telos perché prima deve giungere alla metà<br />

(Phys., VI, 239 b 11-14); tutte queste argomentazioni si basano infatti<br />

sulla circostanza che la proprietà assunta <strong>di</strong> <strong>di</strong>visibilità della<br />

grandezza dà luogo ad un processo iterabile.<br />

Alcune <strong>di</strong>fficoltà matematiche <strong>di</strong> calcolo con l’infinito coinvolte<br />

dal logos zenoniano della <strong>di</strong>cotomia cominciavano ad essere risolte<br />

dalla matematica greca preeuclidea. Anche Aristotele è particolarmente<br />

attento ad alcune circostanze connesse con i proce<strong>di</strong>menti<br />

infiniti per <strong>di</strong>visione, ad<strong>di</strong>zione e detrazione delle grandezze<br />

assolute, e rileva che:<br />

a1) nel proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> indefinita <strong>di</strong>visione <strong>di</strong> una grandezza<br />

si possono ottenere grandezze assolute piccole a piacere (infinito<br />

per <strong>di</strong>visione), come risulta dall’osservazione che la<br />

grandezza variabile nell’infinito per <strong>di</strong>visione «supera [nel<br />

senso <strong>di</strong> “è inferiore a”] ogni grandezza finita e rimane sem-<br />

( 19 ) EUCLIDES, Elementa cit., Libro I, Propp. IX, X.<br />

63


64<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

pre minore» (Phys., III, 6, 206 b 19-20). Sono in considerazione<br />

le successioni infinitesime, ossia convergenti verso la<br />

grandezza nulla;<br />

a2) vi sono somme infinite <strong>di</strong> grandezze assolute crescenti e<br />

convergenti, nel senso che approssimano per <strong>di</strong>fetto una<br />

determinata grandezza con precisione grande a piacere<br />

(infinito per ad<strong>di</strong>zione): «l’infinito per aggiunzione è, poi,<br />

quasi la medesima cosa che l’infinito per <strong>di</strong>visione, giacché<br />

esso si produce nel finito per aggiunta, in modo contrario<br />

all’altro. Invero, nella misura che una grandezza<br />

viene <strong>di</strong>visa all’infinito, nella stessa misura la somma delle<br />

parti successivamente ottenute risulta tendere ad una<br />

grandezza determinata» (Phys., III, 206 b 3 - 6) ( 20 ). In questo<br />

caso egli sta considerando le serie convergenti verso una<br />

determinata grandezza non nulla. Somme infinite <strong>di</strong> questo<br />

tipo, sottratte dalla grandezza iniziale, determinano<br />

un resto piccolo a piacere (adopero un linguaggio non rigoroso<br />

ma intuitivo). Le considerazioni sull’infinito per detrazione<br />

corrispondono al seguente passo: «se noi da una<br />

grandezza finita desumiamo una determinata grandezza e<br />

poi ne desumiamo ancora un’altra nel medesimo rapporto,<br />

senza però portar via la grandezza stessa dell’intero,<br />

non riusciremo a percorrere il finito» (Phys., III, 6, 206 b 5 -<br />

( 20 ) Mo<strong>di</strong>fico la traduzione italiana <strong>di</strong> A Russo, «l’infinito per aggiunzione<br />

è, poi, quasi la medesima cosa che l’infinito per <strong>di</strong>visione, giacché esso si produce<br />

nel finito per aggiunta, in modo contrario all’altro. Invero, nella misura che<br />

una grandezza viene <strong>di</strong>visa all’infinito, nella stessa misura essa risulta aggiunta<br />

a quella finita», tenendo conto dell’in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Heath, il quale propone per la<br />

parte finale della citazione la traduzione: «... so, in the same way, the sum of the<br />

successive fractions when added to one another (continually) will be found to<br />

tend toward a determinate limit»: cfr. HEATH, Mathematics in Aristotle, cit., 106,<br />

108. Va rilevato che, anche se si seguono le traduzioni che concordano con quella<br />

<strong>di</strong> Russo, l’infinito per ad<strong>di</strong>zione risulterebbe contenuto nel passo successivo<br />

Phys., III, 6, 206 b 5 - 9.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

9). Va notato che a questo infinito per detrazione è congiunto<br />

l’infinito per ad<strong>di</strong>zione della somma delle infinite<br />

grandezze che vengono tolte. In altri termini l’esempio riguarda<br />

sia le serie infinitesime, sia le serie convergenti<br />

verso una grandezza non nulla. A proposito <strong>di</strong> questo infinito<br />

(per aggiunzione (kata; provsqesin) e per detrazione<br />

(ajϕairevsei, kaqairevsei)) Aristotele specifica ancora che<br />

esso è in potenza e che con esso non solo non si può raggiungere<br />

la grandezza infinita, ma anche che le grandezze<br />

così ottenute portando avanti la somma ammettono un<br />

estremo superiore: «sempre, infatti, si potrà assumere<br />

qualcosa al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> esso, ma, non <strong>di</strong> meno, esso non supererà<br />

ogni grandezza finita» (Phys., III, 6, 206 b 16-19);<br />

b) vi sono somme infinite <strong>di</strong> grandezze assolute che possono<br />

superare ogni grandezza prefissata per quanto grande. Infatti<br />

egli osserva che «se ... accresceremo il rapporto in<br />

modo da portar via progressivamente la grandezza stessa,<br />

allora riusciremo a percorrerla, perché tutto ciò che è finito<br />

si toglie via me<strong>di</strong>ante la sottrazione <strong>di</strong> un qualsivoglia finito»<br />

(Phys., III, 6, 206 b 9-12). In questo caso egli sta considerando<br />

le serie <strong>di</strong>vergenti.<br />

Oltre a questo la proposizione corrispondente ad a1) ha una<br />

portata sia matematica, sia fisica, <strong>di</strong> estremo rilievo per la matematica<br />

e per la fisica aristotelica, poiché, mutatis mutan<strong>di</strong>s, essa afferma<br />

che tra le grandezze considerate in questa teoria delle grandezze<br />

non esistono grandezze minime, ossia non esistono in<strong>di</strong>visibili<br />

estesi, poiché la proprietà <strong>di</strong> <strong>di</strong>visibilità può condurre a grandezze<br />

piccole a piacere.<br />

Queste osservazioni <strong>di</strong> Aristotele hanno a mio avviso un<br />

notevole rilievo per la matematica ( 21 ), dal momento che, conside-<br />

( 21 ) Cfr. A. MORETTO, Sul concetto matematico dell’infinito e del continuo nella<br />

“Fisica” <strong>di</strong> Aristotele, «Verifiche» 24 (1995), 20 sgg.<br />

65


66<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

rando le grandezze assolute, esse attestano, con a1) l’esistenza <strong>di</strong><br />

successioni <strong>di</strong> grandezze che possono <strong>di</strong>ventare minori <strong>di</strong> una<br />

grandezza prefissata, per quanto piccola; con a2) l’esistenza <strong>di</strong> serie<br />

convergenti, ossia <strong>di</strong> “somme” <strong>di</strong> grandezze che possono approssimare<br />

per <strong>di</strong>fetto una data grandezza con precisione grande quanto<br />

si desidera; e con b) l’esistenza <strong>di</strong> serie <strong>di</strong>vergenti, ossia <strong>di</strong> “somme”<br />

<strong>di</strong> grandezze che possono superare qualsiasi grandezza<br />

prefissata, per quanto grande essa sia.<br />

5. La continuità secondo Aristotele — Nel V libro della Fisica Aristotele<br />

presenta una interessante teoria topologica, che culmina con una<br />

definizione <strong>di</strong> continuo in base alla quale c’è continuità tra due<br />

cose quando i limiti con cui esse si toccano coincidono. Più precisamente,<br />

questa topologia si articola con le definizioni <strong>di</strong> sette concetti:<br />

Def. 1) - l’assieme (to; a{ma): assieme nel luogo si <strong>di</strong>ce per cose<br />

che stanno nello stesso posto [=luogo]; Def. 2) - il separato (cwrivı):<br />

l’esser separato si <strong>di</strong>ce per cose che non stanno nello stesso posto;<br />

Def. 3) - l’essere in contatto (to; a{ptesqai): si <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> cose le cui estremità<br />

(ta; a[kra) sono assieme; Def. 4) - l’interme<strong>di</strong>o (to; metaxuv): è ciò<br />

che viene raggiunto dal moto continuo tra due contrari (i due estremi<br />

del movimento: la partenza e l’arrivo); Def. 5) - il consecutivo (to;<br />

ejϕexhì): un termine è il consecutivo <strong>di</strong> un altro quando non c’è interme<strong>di</strong>o<br />

dello stesso genere tra i due; due termini possono essere<br />

consecutivi e separati, oppure consecutivi e non separati; Def. 6) - il<br />

contiguo (to; ejcovmenon): è ciò che è consecutivo e in contatto; Def. 7) -<br />

il continuo (to; sunecevı): è ciò che è contiguo quando i limiti (to;<br />

eJkatevrou pevraı) delle cose che si toccano <strong>di</strong>ventano un’unica cosa<br />

(Phys., V, 3, 226 b 18 - 227 a 17) ( 22 ).<br />

Come si vede la definizione del continuo (Def. 7) presume le<br />

precedenti, dal momento che il continuo è contiguo (Def. 6) e pre-<br />

( 22 ) Si veda WASCHKIES, Von Eudoxos zu Aristoteles, cit., 158 sgg.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

suppone il contatto (Def. 3); il contiguo è consecutivo (Def. 5); il<br />

consecutivo rinvia all’interme<strong>di</strong>o (Def. 4) e al separato (Def. 2); il<br />

contatto rinvia all’assieme (Def. 1).<br />

Lasciando da parte la problematica connessa con l’interpretazione<br />

delle altre definizioni, converrà limitarci alla definizione del<br />

continuo, osservando che la definizione esposta supra (Def. 7) non<br />

è l’unica che troviamo nella Fisica.<br />

Si hanno infatti tre definizioni <strong>di</strong> continuità:<br />

A) una prima definizione è <strong>di</strong> tipo globale e fisico (Def. A):<br />

movimento continuo è quello che non ha interruzioni nel tempo;<br />

moto continuo è quello che non ha interruzione nel tempo, pur potendola<br />

avere nell’oggetto del moto; ad esempio due corde <strong>di</strong> uno<br />

strumento musicale, una delle quali si mette in vibrazione subito<br />

dopo che si è fermata la prima. Questa definizione viene esposta<br />

come un inciso nella definizione <strong>di</strong> interme<strong>di</strong>o (Phys., V, 3, 226 b 27-<br />

30). Da questa sarebbe possibile estrapolare una definizione globale<br />

più ampia (Def. A *): continuo è ciò che non ha interruzioni. Ma<br />

mentre l’interruzione doveva sembrare <strong>di</strong> agevole definizione nel<br />

riferimento <strong>di</strong> una grandezza ad una altra grandezza supposta<br />

continua (il tempo), non lo era altrettanto con riferimento ad un<br />

unico tipo <strong>di</strong> grandezza.<br />

B) La seconda definizione, Def. B, coincide con la Def. 7, sopra<br />

riportata. In sostanza si ha continuità tra due cose quando i limiti<br />

con cui si toccano coincidono.<br />

Questa definizione riprende la <strong>di</strong>scussione generale sulla categoria<br />

della quantità esposta nelle Categorie (Cat., 6). Aristotele <strong>di</strong>stingue<br />

la quantità (posovn) tra <strong>di</strong>screta (<strong>di</strong>wrismevnon), ad esempio il<br />

numero (ajriqmovı) e il <strong>di</strong>scorso (lovgoı), e continua (sunecevı), ad<br />

esempio la linea (grammhv), la superficie (ejpifavneia), il corpo (sw`ma),<br />

il tempo (crovnoı) e il luogo (tovpoı). Le quantità <strong>di</strong>screte sono costituite,<br />

a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quelle continue, <strong>di</strong> parti (morivwn) dotate reci-<br />

67


68<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

procamente <strong>di</strong> una posizione (qevsin); l’elemento <strong>di</strong>scriminante per<br />

la proprietà della continuità sembra consistere nell’esistenza <strong>di</strong> un<br />

limite comune (koino;ı o{roı) alle parti, in cui esse si “fondono”<br />

(sunavptei). In questo senso la linea (segmento) è continua, perché<br />

esiste un limite comune, il punto (stigmhv), in cui le parti si congiungono<br />

(due segmenti a<strong>di</strong>acenti si saldano in un segmento somma:<br />

AD = AB + CD, con B = C). Allo stesso modo è continua la superficie,<br />

assumendo come limite la linea; ed è continuo il corpo solido,<br />

assumendo come limite la linea o la superficie (Cat., 6, 4 b 20 - 5 a 6).<br />

Questa nozione sembrerebbe orientata verso una definizione<br />

locale della continuità (continuità in un punto, B o C): ma appare<br />

subito un lato problematico della questione. In questa “definizione”<br />

<strong>di</strong> continuo si presuppone già che siano continui gli enti<br />

che entrano in contatto. Quin<strong>di</strong> in realtà si dà la con<strong>di</strong>zione perché,<br />

partendo da due continui, si origini con l’operazione <strong>di</strong> somma<br />

un terzo pure continuo. In quest’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> idee alcuni autori<br />

interpretano la continuità della definizione Def. 7) come una relazione<br />

binaria K 2 ( 23 ). In realtà, a mio avviso, siamo invece in presenza<br />

<strong>di</strong> una operazione SC con due argomenti; quin<strong>di</strong>, semmai,<br />

ad una relazione C 3 , che a due grandezze continue associa ancora<br />

un continuo, sotto la con<strong>di</strong>zione della coincidenza dei limiti. Sotto<br />

certi aspetti la definizione ha anche un carattere globale: continuo<br />

è il composto ottenuto da n parti continue semplici, saldate<br />

per gli estremi. Essa però presuppone che esistano grandezze<br />

continue, come accade in geometria euclidea, dove gli enti fondamentali<br />

della geometria sono i segmenti, grandezze continue.<br />

C) Aristotele non riteneva sufficiente questa ricognizione del<br />

continuo, appunto perché, mentre da un lato essa dava in<strong>di</strong>cazioni<br />

sulla operazione della connessione dei continui tra loro, non dava<br />

informazioni sulla struttura del continuo, corrispondenti alla con-<br />

( 23 ) Cfr. WASCHKIES, Von Eudoxos zu Aristoteles, cit., 158 sgg.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

cezione intuitiva <strong>di</strong> Def. A*: il continuo è ciò che non ha interruzioni.<br />

Egli ritiene però possibile un proce<strong>di</strong>mento regressivo, che<br />

partendo dalla Def. 7) possa caratterizzare la struttura fine del continuo.<br />

La linea argomentativa <strong>di</strong> Aristotele sembrerebbe essere la<br />

seguente: 1) la somma <strong>di</strong> due grandezze dà un continuo se i loro<br />

estremi coincidono. Quin<strong>di</strong>, banalmente, la somma <strong>di</strong> due continui<br />

dà sotto certe con<strong>di</strong>zioni un continuo; 2) le grandezze sono<br />

<strong>di</strong>visibili o in<strong>di</strong>visibili; 3) il continuo non può risultare composto<br />

da in<strong>di</strong>visibili; 4) il continuo risulta pertanto composto da <strong>di</strong>visibili<br />

in parti sempre <strong>di</strong>visibili (altrimenti si arriverebbe all’in<strong>di</strong>visibile<br />

come componente del continuo). Per far questo egli si serve delle<br />

considerazione che il continuo non può essere composto da<br />

in<strong>di</strong>visibili. In<strong>di</strong>visibile è ciò che non può essere <strong>di</strong>viso, e può presentarsi<br />

sotto <strong>di</strong>verse modalità: esso può essere della stessa <strong>di</strong>mensione<br />

del continuo, ed essere <strong>di</strong> estensione finita, com’è il caso delle<br />

linee in<strong>di</strong>visibili rispetto alla linea; oppure possedere una <strong>di</strong>mensione<br />

minore <strong>di</strong> quella del continuo, com’è il caso del punto rispetto<br />

alla linea, della linea rispetto alla superficie, e della superficie rispetto<br />

al solido.<br />

Ora l’ipotesi che il continuo sia composto da in<strong>di</strong>visibili ad<br />

esso omogenei per <strong>di</strong>mensione (com’è il caso delle lineee in<strong>di</strong>visibili<br />

rispetto alla linea) non è sostenibile nella teoria aristotelica delle<br />

grandezze, poiché in essa, come si è detto, <strong>di</strong>videndo una grandezza<br />

A, è possibile ottenere una grandezza B minore <strong>di</strong> una prefissata<br />

grandezza e, per quanto piccola ( 24 ).<br />

Rimane così da considerare l’ipotesi che continuo sia composto<br />

da in<strong>di</strong>visibili <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione inferiore, com’è il caso del punto<br />

nei confronti della linea. In questo caso Aristotele conduce una <strong>di</strong>versa<br />

argomentazione contro la possibilità che il continuo sia composto<br />

da in<strong>di</strong>visibili. Infatti, se per assurdo fosse <strong>di</strong>visibile in parti<br />

( 24 ) Cfr. supra.<br />

69


70<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

in<strong>di</strong>visibili (nel caso della linea i punti), ci sarebbe contatto tra<br />

in<strong>di</strong>visibile e in<strong>di</strong>visibile (Phys., VI, 1, 231 b 15 - 18). Pertanto nemmeno<br />

in questo caso il continuo è <strong>di</strong>visibile in parti sempre <strong>di</strong>visibili.<br />

Segue una nuova definizione (Def. C ) <strong>di</strong> continuo: continuo<br />

è ciò che è <strong>di</strong>visibile in parti sempre <strong>di</strong>visibili (Phys., VI, 2, 232 b<br />

25).<br />

In questa definizione la proprietà della continuità risulta dalla<br />

congiunzione della proprietà <strong>di</strong> <strong>di</strong>visibilità (densità) e <strong>di</strong> quella <strong>di</strong><br />

convergenza <strong>di</strong> una successione <strong>di</strong> grandezze verso la grandezza<br />

nulla, come risulta sottolineato dall’uso <strong>di</strong> “sempre (ajeiv)”.<br />

6. Continuità e infinità — Poiché il continuo è <strong>di</strong>visibile all’infinito,<br />

in esso ci sono infiniti punti <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione (metà), ma non in atto,<br />

bensì in potenza. Se fossero in atto il moto non sarebbe più continuo,<br />

ma ci sarebbero delle interruzioni del medesimo (Phys., VIII,<br />

8, 263 a 27-30) ( 25 ). Nel caso della <strong>di</strong>visione in atto, la spiegazione<br />

aristotelica consiste nel considerare effettivamente <strong>di</strong>visa in due<br />

parti la grandezza, ad esempio il segmento AB in corrispondenza<br />

del punto M (shmei`on) ( 26 ), in due segmenti che richiedono <strong>di</strong> essere<br />

entrambi completati con un estremo (segmento inteso come<br />

un intervallo chiuso); pertanto, se M = M1 è l’estremo destro del<br />

primo segmento, M2 ≠ M1 sarà l’estremo sinistro del secondo, in<br />

modo che sono dati i due segmenti AM1 e M2B,. Ogni punto M<br />

viene così contato due volte, la prima con M1 = M, e la seconda<br />

con M2 ≠ M1 e ciò creerebbe una interruzione <strong>di</strong> continuità ( 27 ).<br />

( 25 ) Cfr. Metaph., II 2. 994 b 23-25.<br />

( 26 ) Si noti la duplice denotazione del punto da parte <strong>di</strong> Aristotele, come<br />

stigmhv e come shmei`on. La seconda denotazione è quella cui ricorrerà Euclide.<br />

( 27 ) Attesa la definizione “Def. B” del continuo, affinché ci sia continuità, i<br />

due punti non possono essere <strong>di</strong>versi.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

Si hanno così <strong>di</strong>fferenti <strong>di</strong>visioni del continuo: a) una <strong>di</strong>visione<br />

in potenza, che non altera la sua continuità e che permette la<br />

successione potenziale <strong>di</strong> infiniti punti me<strong>di</strong> (più in generale interme<strong>di</strong>);<br />

b) una <strong>di</strong>visione in atto, che trasforma il continuo in una<br />

<strong>di</strong>scontinua composizione <strong>di</strong> continui.<br />

Si noti che Aristotele concorda con l’ipotesi matematica del<br />

logos <strong>di</strong> Zenone sulla <strong>di</strong>cotomia: l’intero (il continuo) sia <strong>di</strong>visibile<br />

me<strong>di</strong>ante un punto interno. Con questa premessa il continuo è<br />

<strong>di</strong>visibile in parti sempre <strong>di</strong>visibili, che possono <strong>di</strong>ventare piccole a<br />

piacere, senza che si giunga mai al punto; nel continuo la <strong>di</strong>visione<br />

genera infiniti punti <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>visione. La tesi <strong>di</strong> Zenone ha però un<br />

contenuto fisico paradossale, poiché su queste basi si nega che il<br />

movimento possa portare ad un qualsiasi telos, o abbia avuto inizio<br />

da qualche arché. Essendo infinite le metà, la completezza del movimento<br />

richiederebbe che fosse numerato un numero infinito, la<br />

qual cosa è impossibile per comune consenso, (Phys., VIII, 8, 263 a<br />

4-11). La soluzione aristotelica consiste nel <strong>di</strong>re che queste <strong>di</strong>fficoltà<br />

sarebbero reali se la <strong>di</strong>visione fosse in atto, poiché in tal modo riguarderebbe<br />

la sostanza (hJ oujsiva) e l’essere (to; ei\nai) del continuo;<br />

ma la <strong>di</strong>visione è in potenza, ed in tal modo il mobile percorre solo<br />

accidentalmente (kata; sumbebhkovı) gli infiniti (Phys., VIII, 8, 263 b<br />

3-9).<br />

7. Sulla concezione aristotelica delle grandezze geometriche — Riassumendo<br />

ora in sintesi la posizione <strong>di</strong> Aristotele sulle grandezze geometriche,<br />

ci sembra si possa <strong>di</strong>re che secondo Aristotele<br />

1) la matematica <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> classi <strong>di</strong> grandezze omogenee,<br />

ad esempio la classe delle lunghezze dei segmenti, nel<br />

senso che 1.1) esse si possono sommare e confrontare tra<br />

loro secondo particolari assiomi (cfr. le nozioni comuni<br />

<strong>di</strong> Euclide). A questo punto è possibile definire il multiplo<br />

della grandezza a secondo un numero naturale n, os-<br />

71


72<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

sia na. ( 28 ) 1.2) La classe <strong>di</strong> grandezze omogenee è archimedea,<br />

ossia, date due grandezze a e b, esiste un numero naturale<br />

n tale che na > b (si noti che secondo la concezione euclidea<br />

l’omogeneità contiene l’archimedeicità) ( 29 ).<br />

2) Le grandezze <strong>di</strong> queste classi sono grandezze <strong>di</strong>visibili.<br />

Nel caso delle lunghezze dei segmenti, dato il segmento<br />

AB esiste quin<strong>di</strong> un punto C interno ad AB, che <strong>di</strong>vide AB<br />

in AC e CB. Il rapporto <strong>di</strong> queste due parti può essere razionale<br />

o anche irrazionale. Questa proprietà <strong>di</strong> <strong>di</strong>visibilità<br />

corrisponde alla proprietà <strong>di</strong> densità <strong>di</strong> un insieme.<br />

3) Aristotele, come i matematici della sua epoca, si rende<br />

conto del fatto che la congiunzione dei postulati <strong>di</strong> archimedeicità<br />

e <strong>di</strong> <strong>di</strong>visibilità conduce ad una proprietà <strong>di</strong><br />

estremo interesse per le applicazioni al calcolo con l’infinito,<br />

che consiste in sostanza nella possibilità <strong>di</strong> ottenere<br />

classi <strong>di</strong> segmenti le cui lunghezze tendono a zero (approssimazione<br />

infinita allo zero), dal momento che si tratta<br />

anche il caso in cui questa <strong>di</strong>visibilità conduca ad una<br />

grandezza minore <strong>di</strong> una prefissata grandezza. In sostanza<br />

è questa la concezione della continuità <strong>di</strong> Aristotele, allorché<br />

chiama continue le grandezze <strong>di</strong>visibili in grandezze<br />

sempre <strong>di</strong>visibili (concezione che denoto come continuità<br />

“debole”, rapportandola alla concezione “forte” della<br />

continuità secondo Dedekind e Cantor).<br />

Questa proprietà sembra essere formulata con estrema sintesi<br />

con l’espressione: continuo è ciò che è <strong>di</strong>visibile in parti sempre<br />

<strong>di</strong>visibili. Con la parola sempre ritengo egli intenda in<strong>di</strong>care sia<br />

l’iterabilità indefinita del proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione, sia il fatto che<br />

( 28 ) Inversamente, se è dato il multiplo, b = na , è definito il sottomultiplo<br />

<strong>di</strong> b secondo n, ossia (1/n)b = a. L’esistenza del multiplo è garantita dalle proprietà<br />

precedenti.<br />

( 29 ) Se l’insieme delle grandezze oltre ad essere archimedeo è <strong>di</strong>visibile<br />

(cfr. infra), vale anche (1/n)b < a.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

con esso si può ottenere una grandezza minore <strong>di</strong> una qualsiasi<br />

grandezza prefissata. In questo modo Aristotele mostra <strong>di</strong> essere<br />

consapevole dell’importanza della rappresentazione <strong>di</strong> una successione<br />

infinitesima <strong>di</strong> grandezze.<br />

Peraltro il concetto <strong>di</strong> continuità delle grandezze secondo<br />

Aristotele è più debole <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Cantor e <strong>di</strong> Dedekind. Infatti<br />

possiamo <strong>di</strong>re che, <strong>di</strong>sponendo del concetto aristotelico <strong>di</strong> continuità,<br />

è conseguito il fatto che se due grandezze hanno un rapporto<br />

(razionale o irrazionale), si possono porre in corrispondenza<br />

biunivoca le misure razionali per <strong>di</strong>fetto e per eccesso <strong>di</strong> questo<br />

rapporto in modo tale che le loro <strong>di</strong>fferenze tendano a zero. Quello<br />

che manca è il passaggio inverso: se vi sono due classi siffatte <strong>di</strong><br />

numeri razionali che realizzano l’“avvicinamento infinito”, vi sono<br />

due grandezze, razionali o irrazionali, che stanno nel rapporto che<br />

genera quelle due classi <strong>di</strong> razionali. In quest’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> idee<br />

Dedekind e Cantor definiranno la continuità (continuità in senso<br />

forte) con contributi pubblicati nel 1872 ( 30 ).<br />

Aristotele (in Phys., III, 6, 206 b 3 - 20) mostra, a mio avviso,<br />

una notevole familiarità con proce<strong>di</strong>menti infiniti <strong>di</strong> calcolo con le<br />

grandezze, che nel presente saggio sono stati esposti con il linguaggio<br />

della teoria delle successioni e delle serie. Infatti il testo<br />

della Fisica ci illustra che è agevole costruire serie <strong>di</strong>vergenti, e che<br />

la <strong>di</strong>cotomia genera successioni infinitesime <strong>di</strong> grandezze, con le<br />

quali è possibile costruire serie convergenti verso una grandezza A.<br />

Emerge altresì il ruolo importante della <strong>di</strong>cotomia, la quale è<br />

uno strumento essenziale 1) per garantire un riferimento geometrico<br />

alla successione dei numeri naturali: il numero è il “contatore”<br />

<strong>di</strong> un processo <strong>di</strong>cotomico; 2) per indagare sull’esistenza <strong>di</strong> serie<br />

convergenti verso una grandezza data.<br />

( 30 ) Si veda A. FRAJESE, Attraverso la storia della matematica, Firenze: Le<br />

Monnier, 1973, 353-59.<br />

73


74<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

Queste preoccupazioni per la convergenza delle serie potrebbero<br />

essere connesse con lo scopo <strong>di</strong> <strong>di</strong>sporre in fisica <strong>di</strong> grandezze<br />

superiormente limitate (dal “<strong>di</strong>ametro” del cielo, considerando, ad<br />

esempio, le grandezze lineari); esistono altresì serie infinitesime,<br />

ossia aventi la grandezza nulla come estremo inferiore. In altri termini<br />

le serie <strong>di</strong>vergenti dovrebbero avere per Aristotele un interesse<br />

soprattutto matematico, e quelle convergenti sarebbero le più<br />

appropriate per l’indagine <strong>di</strong> un universo finito. Nella fisica<br />

aristotelica verrebbe così escluso non solo l’infinito attuale delle<br />

grandezze, ma anche, in alcuni casi, l’infinito potenziale, qualora la<br />

somma della serie dei segmenti potesse oltrepassare la misura del<br />

<strong>di</strong>ametro del cielo.<br />

PARTE II<br />

HEGEL “INTERPRETE” DI ARISTOTELE<br />

SULL’INFINITO E SUL CONTINUO<br />

8. La matematica e la quantità. La quantità pura e il rapporto “continuo -<br />

<strong>di</strong>screto” — Le precedenti considerazioni sul pensiero <strong>di</strong> Aristotele<br />

nei riguar<strong>di</strong> del concetto matematico dell’ infinito e del continuo<br />

permettono un interessante confronto con il pensiero <strong>hegel</strong>iano<br />

sulla stessa questione.<br />

L’esposizione più completa del punto <strong>di</strong> vista <strong>hegel</strong>iano sull’infinito<br />

e sul continuo si trova nella Scienza della logica e nella<br />

prima parte dell’Enciclope<strong>di</strong>a, che ha per titolo La scienza della logica<br />

( 31 ). Alla base delle considerazioni <strong>hegel</strong>iane sta il concetto della<br />

quantità pura, che si può definire come un “mare <strong>di</strong> oggetti”, le unità,<br />

tra cui sussistono due relazioni, una <strong>di</strong> “repulsione” e l’altra <strong>di</strong><br />

“attrazione”. Alla repulsione e all’attrazione sono dovuti, rispetti-<br />

( 31 ) WdL I, WdL II, WdL III, Enz. A, Enz. B, Enz. C.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

vamente, due aspetti della quantità, la <strong>di</strong>scretezza e la continuità.<br />

Secondo Hegel la quantità consiste nella compresenza <strong>di</strong> questi<br />

momenti, e non viene descritta in modo adeguato da nessuno <strong>di</strong><br />

questi, considerato isolatamente.<br />

Hegel considera la quantità pura come la determinatezza<br />

qualitativa tolta: «la determinatezza qualitativa, che ha raggiunto<br />

nell’uno il suo essere determinato in sé e per sé, è perciò trapassata<br />

nella determinatezza come tolta, cioè nell’essere come quantità» ( 32 ).<br />

La sua definizione è «il puro essere nel quale la determinatezza<br />

non è più posta come tutt’uno con esso stesso, ma come tolta o in<strong>di</strong>fferente»<br />

( 33 ). La quantità pura viene <strong>di</strong>stinta dal quanto, ossia<br />

dalla quantità limitata, esemplificato dalla grandezza matematica.<br />

Gli esempi della quantità pura addotti da Hegel sono lo spazio, il<br />

tempo, la luce, la materia e l’io ( 34 ).<br />

Egli afferma che due sono i momenti della quantità: la <strong>di</strong>screzione<br />

e la continuità ( 35 ). Questi due momenti appartengono alla<br />

( 32 ) Enz. A, § 51.<br />

( 33 ) Enz. A, § 52.<br />

( 34 ) WdL I, 113; WdL III, 178 (200). Cfr. Enz. B, § 99 A; Enz. C, § 99 A (con<br />

riferimento allo spazio, al tempo e alla materia). Hegel segue il primo Leibniz<br />

nel considerare la materia come quantità. Infatti nella Scienza della logica Hegel si<br />

riferisce alla tesi esposta nella Dissertazione <strong>di</strong> Leibniz: Propositiones ex<br />

<strong>di</strong>sputatione metaphysica de principio in<strong>di</strong>vidui, «Non omnino improbabile est,<br />

materiam et quantitatem esse realiter idem»: cfr. G.W. LEIBNIZ, Die philosophischen<br />

Schriften, hrsg. C. I. Gerhardt, Hildesheim 1961, Bd. IV, 26. Di <strong>di</strong>verso avviso è<br />

Leibniz nei Nouveaux essais, libro II, cap. XIII, § 21 (Die philosophischen Schriften,<br />

Bd. V; trad. it. Nuovi saggi sull’intelletto umano, in G.W. LEIBNIZ, Scritti filosofici, a<br />

cura <strong>di</strong> D.O. Bianca, II, Torino 1979, 275): «sebbene non ammetta il vuoto, <strong>di</strong>stinguo<br />

la materia dall’estensione». Nell’Enciclope<strong>di</strong>a del 1817 anche l’assoluto è un<br />

esempio <strong>di</strong> pura quantità: «l’assoluto è pura quantità ... il puro spazio, la luce,<br />

ecc. possono esser presi come esempi della quantità» (Enz. A, § 52 An.).<br />

( 35 ) Va ricordato che momento è termine tecnico in Hegel: i momenti non<br />

hanno una determinazione assoluta, ma solo relativa, uno in relazione all’altro,<br />

e solo la loro relazione può essere una determinazione per la cosa, com’è il caso<br />

del numeratore e del denominatore <strong>di</strong> una frazione (a / b = c ), oppure del braccio<br />

e della intensità <strong>di</strong> una forza, la cui “efficacia” è misurata dal loro prodotto<br />

75


76<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

genesi stessa della quantità a partire dalla moltitu<strong>di</strong>ne <strong>degli</strong> uno:<br />

il rapporto <strong>di</strong> repulsione corrisponde al momento della <strong>di</strong>screzione,<br />

e quello <strong>di</strong> attrazione al momento della continuità: «I momenti<br />

della quantità sono tolti in essa, quin<strong>di</strong> essi sono come sue determinazioni,<br />

ma soltanto come determinazioni della sua unità;<br />

nella determinazione dell’eguaglianza con se stessa posta me<strong>di</strong>ante<br />

l’attrazione essa è grandezza continua, nella determinazione<br />

dell’uno essa è grandezza <strong>di</strong>screta»( 36 ).<br />

È opportuno ricordare a questo proposito che Spinoza nell’Ethica<br />

(pars I, prop. XV, schol.) ammette che vi siano due maniere<br />

<strong>di</strong> considerare la quantità: essa è finita, <strong>di</strong>visibile e composta <strong>di</strong><br />

parti secondo l’immaginazione, e infinita, unica ed in<strong>di</strong>visibile secondo<br />

l’intelletto. La quantità pura <strong>di</strong> Hegel corrisponde alla<br />

coesistenza come momenti <strong>di</strong> entrambi i mo<strong>di</strong> spinoziani <strong>di</strong> intendere<br />

la quantità ( 37 ).<br />

Hegel tiene conto in maniera particolare <strong>di</strong> Kant, il cui punto<br />

<strong>di</strong> vista è alquanto complesso. Nell’Estetica trascendentale della<br />

Critica della ragion pura Kant considera lo spazio ed il tempo<br />

come forme pure dell’intuizione sensibile (in quanto tali spazio e<br />

tempo non sono pertanto dei quanti). Kant afferma che, come intuizione<br />

pura, lo spazio è «unico, in esso la molteplicità, quin<strong>di</strong><br />

anche il concetto universale <strong>di</strong> spazio in generale, si forma esclusivamente<br />

su limitazioni»; oltre a ciò «lo spazio vien rappresentato<br />

come una grandezza infinita data» ( 38 ). Considerazioni analo-<br />

(F b = M). Si noti che la terminologia cui Hegel ricorre - per cui F e b sono momenti<br />

- è <strong>di</strong>versa da quella contemporanea, in cui il momento è M.<br />

( 36 ) Enz. A, § 53.<br />

( 37 ) La quantità continua, secondo Spinoza, è concepita dall’intelletto<br />

come in<strong>di</strong>visibile; quella <strong>di</strong>screta è invece rappresentata dall’immaginazione come<br />

<strong>di</strong>visibile. Questo punto <strong>di</strong> vista non è con<strong>di</strong>viso da altri filosofi (Descartes,<br />

Leibniz, Kant, Hegel), che considerano la quantità continua <strong>di</strong>visibile all’infinito.<br />

( 38 ) KrV, 53 (69-70).


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

ghe valgono per il tempo. Viene così riba<strong>di</strong>to il carattere <strong>di</strong> unicità,<br />

infinità ed in<strong>di</strong>visibilità dello spazio e del tempo. Quin<strong>di</strong> per<br />

Kant lo spazio ed il tempo come intuizioni pure sono caratterizzate<br />

da “compattezza” nel senso <strong>di</strong> essere uniche ed infinite in<br />

atto. Dallo spazio e dal tempo intesi in questo modo si ottengono<br />

poi i quanti (le parti) me<strong>di</strong>ante limitazioni. In questo senso si parla<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>visibilità dello spazio e del tempo.<br />

Come si afferma nell’Analitica trascendentale della Critica<br />

della ragion pura, la proprietà <strong>di</strong> continuità per le grandezze<br />

spaziali e temporali consiste nel fatto che in esse non esiste parte<br />

che sia la più piccola possibile, cioè una parte semplice: «la proprietà<br />

delle quantità, per la quale in esse non c’è parte che sia la<br />

più piccola possibile (cioè una parte semplice), <strong>di</strong>cesi la continuità<br />

<strong>di</strong> esse». In questo modo Kant assume il concetto aristotelico della<br />

proprietà <strong>di</strong> continuità, intesa come l’infinita <strong>di</strong>visibilità delle<br />

grandezze. Kant precisa che spazio e tempo (da intendere in questo<br />

caso come grandezze spaziali o temporali limitate, quanti)<br />

«sono quanta continua, perché non si può darne una parte senza<br />

chiuderla fra limiti (punti e istanti), e perciò solo in guisa che la<br />

parte data sia a sua volta uno spazio o un tempo. Lo spazio dunque<br />

consta soltanto <strong>di</strong> spazi, il tempo <strong>di</strong> tempi. Punti e istanti<br />

sono soltanto limiti, cioè semplici termini della delimitazione <strong>di</strong><br />

quelli; ma i termini presuppongono sempre quelle intuizioni che<br />

essi debbono limitare o determinare, e coi semplici termini, quasi<br />

elementi costitutivi, che fossero pur dati innanzi allo spazio o al<br />

tempo, non può formarsi lo spazio, né il tempo. Quantità <strong>di</strong> questo<br />

genere si possono chiamare anche fluenti [fließende], poiché la<br />

sintesi (dell’immaginazione produttiva) è nella loro formazione<br />

un processo nel tempo, la cui continuità si suole in<strong>di</strong>care coll’espressione<br />

fluire (scorrere) [Fließens (Verfließens)]» ( 39 ).<br />

( 39 ) KrV, 154 (186). È opportuno segnalare l’uso non univoco in Kant dei<br />

termini spazio e tempo: infatti spazio e tempo sono intesi a) come forme pure<br />

dell’intuizione; b) come spazi e tempi concepiti me<strong>di</strong>ante le categorie e i princìpi<br />

77


78<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

Lo spazio ed il tempo sono pertanto intesi in questo modo<br />

come dei continui, e la continuità si presenta come la proprietà fondamentale.<br />

La <strong>di</strong>screzione consiste nella aggregazione <strong>di</strong> quanti<br />

continui. Il numero consiste nella produzione successiva <strong>di</strong> unità<br />

nel tempo. Ogni numero (<strong>di</strong>verso dall’unità) è pertanto <strong>di</strong>screto in<br />

quanto aggregato <strong>di</strong> unità, le quali per conto loro sono continue.<br />

Le grandezze estensive ed intensive sono continue (cfr. infra).<br />

La continuità è la con<strong>di</strong>zione prima riguardante la generazione della<br />

grandezza, la <strong>di</strong>scretezza si ottiene me<strong>di</strong>ante aggregazioni <strong>di</strong> grandezze<br />

continue <strong>di</strong> cui già si <strong>di</strong>spone, con una «sintesi interrotta» del<br />

molteplice del fenomeno ( 40 ). La <strong>di</strong>scretezza può venire intesa pertanto<br />

come “interruzione” della continuità. Più in generale i fenomeni<br />

sono rappresentati da grandezze continue, estensive o intensive.<br />

Il punto come limite del segmento presuppone il segmento,<br />

così pure l’istante presuppone l’intervallo temporale, ma punti ed<br />

istanti non sono elementi costitutivi dello spazio e del tempo: una<br />

moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> punti o <strong>di</strong> istanti non può costituire un continuo<br />

temporale. Tuttavia la considerazione delle grandezze fluenti fa vedere<br />

che Kant non solo prestava attenzione alla concezione fluentista<br />

delle grandezze, ma che ad<strong>di</strong>rittura la faceva propria ( 41 ).<br />

9. L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della seconda antinomia cosmologica <strong>di</strong><br />

Kant — Secondo Hegel la quantità pura contiene in sé entrambi i<br />

matematici. Per inciso osservo che anche Leibniz considera i punti come limiti.<br />

Cfr. Nouveaux essais, cit., Libro II, cap. XIV, § 23 (Nuovi saggi, 276): «a rigore, il<br />

punto e l’istante non sono parti dello spazio, e neppure essi hanno parti. Sono<br />

soltanto estremità».<br />

( 40 ) KrV, 154 (187).<br />

( 41 ) Sulla concezione fluentista delle grandezze in Kant cfr. A. MORETTO,<br />

Sul concetto <strong>di</strong> ‘grandezza’ secondo Kant. L’’analitica del sublime’ della ‘Critica del Giu<strong>di</strong>zio’<br />

e la grandezza infinita, «Verifiche» 19 (1990), 72-73.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

momenti, della continuità (<strong>di</strong>visibilità) e della <strong>di</strong>scretezza (in<strong>di</strong>visibilità).<br />

In questo modo si dà una nuova chiave <strong>di</strong> lettura della<br />

seconda antinomia cosmologica kantiana, che mostra la coimplicazione<br />

della continuità e della in<strong>di</strong>visibilità, e si prospetta anche la<br />

sua soluzione nella presenza <strong>di</strong> entrambi questi aspetti, come momenti,<br />

nella quantità ( 42 ).<br />

Hegel ritiene che appartenga al punto <strong>di</strong> vista dogmatico l’affermazione<br />

della legittimità <strong>di</strong> uno solo <strong>di</strong> questi due momenti<br />

negando la vali<strong>di</strong>tà dell’altro ( 43 ). Così, se viene fatta valere unilateralmente<br />

la <strong>di</strong>screzione si ha «l’infinito o assoluto esser <strong>di</strong>viso,<br />

epperò per principio un in<strong>di</strong>visibile; all’incontro l’affermazione<br />

unilaterale della continuità, dà l’infinita <strong>di</strong>visibilità» ( 44 ). In questa<br />

affermazione risulta implicito il richiamo alla lezione della Fisica<br />

<strong>di</strong> Aristotele, nella quale si esaminano le due ipotesi <strong>di</strong> costituzione<br />

dell’intero, una delle quali sostiene la sua costituzione me<strong>di</strong>ante<br />

gli in<strong>di</strong>visibili (ipotesi che verrà trovata inconsistente), e l’altra<br />

la sua infinita <strong>di</strong>visibilità.<br />

Hegel con<strong>di</strong>vide pertanto il punto <strong>di</strong> vista secondo il quale<br />

alla continuità corrisponde la proprietà <strong>di</strong> infinita <strong>di</strong>visibilità <strong>di</strong><br />

un intero, e l’analisi della seconda antinomia cosmologica kantiana<br />

( 42 ) I concetti <strong>di</strong> continuità e <strong>di</strong> <strong>di</strong>screzione appaiono così ancorati alla<br />

stessa definizione <strong>di</strong> quantità pura, <strong>di</strong> cui costituiscono uno dei momenti. Il<br />

quanto risulta da una limitazione della quantità pura, pertanto anche in esso<br />

sono presenti i due momenti della continuità e della <strong>di</strong>screzione.<br />

( 43 ) Questo è il senso che Hegel attribuisce al termine “dogmatismo”: cfr.<br />

Enz. A, § 21; Enz. B, § 32; Enz. C, § 32 . Si noti che Kant definisce dogmatismo «il<br />

proce<strong>di</strong>mento dommatico della ragion pura, senza una critica preliminare del suo<br />

proprio potere» (KrV, 21 ( 32)); nelle antinomie le tesi rappresentano «il dommatismo<br />

della ragion pura», e le antitesi «il suo empirismo» (KrV, 324 (384)).<br />

( 44 ) WdL III,179 (202); cfr. WdL I, 114. Queste considerazioni si trovano<br />

nelle osservazioni preliminari alla “Nota” sull’antinomia kantiana dell’infinita<br />

<strong>di</strong>visibilità della materia.<br />

In realtà manca una definizione esplicita <strong>di</strong> <strong>di</strong>visibilità. Implicitamente<br />

però la <strong>di</strong>visibilità consiste nel fatto che è possibile che dall’intero si formino<br />

delle parti con il prevalere “locale” della repulsione.<br />

79


80<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

costituisce l’occasione per questa affermazione. Però, se da un<br />

lato è vero che alla continuità corrisponde la proprietà <strong>di</strong> infinita<br />

<strong>di</strong>visibilità, dall’altro secondo Hegel non è vero che la continuità<br />

si esaurisca con essa. Già nella complessità dell’argomentazione<br />

kantiana si rivela la presenza <strong>di</strong> un altra componente, laddove si<br />

ricorre alla concezione “fluentista” della generazione delle grandezze<br />

per caratterizzare ulteriormente la continuità.<br />

L’atomistica, sia nella fisica, sia nella metafisica, rimane ancorata<br />

alla relazione estrinseca <strong>degli</strong> uno, pertanto non riesce a superare<br />

quella che Hegel chiama l’«estrinsecità della continuità» ( 45 ).<br />

Molto più profonda, secondo Hegel, la posizione della matematica,<br />

che «rigetta una metafisica che pretenderebbe far consistere il tempo<br />

in punti temporali (o istanti), lo spazio in generale, oppur<br />

primieramente la linea, in punti spaziali, e così la superficie in linee<br />

e l’intero spazio in superficie; essa non lascia valere simili uno<br />

<strong>di</strong>scontinui» ( 46 ). Anticipando quanto <strong>di</strong>rà più avanti nella III Nota<br />

sull’infinito della matematica ( 47 ) Hegel si oppone alla metafisica<br />

atomistica del ricorso agli in<strong>di</strong>visibili in matematica, a meno che<br />

essa non superi questa rappresentazione della <strong>di</strong>screzione considerando<br />

determinante il concetto che si instaura con l’infinita moltitu<strong>di</strong>ne<br />

<strong>degli</strong> in<strong>di</strong>visibili <strong>di</strong> una figura limitata: «anche quando la<br />

matematica determina per es. la grandezza <strong>di</strong> una superficie così<br />

da rappresentarla come la somma <strong>di</strong> un infinito numero delle linee,<br />

pure questa <strong>di</strong>screzione non vale che come una rappresentazione<br />

momentanea, e nell’infinita pluralità delle linee, mentre lo spazio,<br />

che debbon costituire, è non<strong>di</strong>meno uno spazio limitato, sta già<br />

l’esser tolta la loro <strong>di</strong>screzione» ( 48 ). In questo modo Hegel lascia<br />

aperta una valutazione positiva sia per l’esempio <strong>di</strong> vero infinito <strong>di</strong><br />

( 45 ) WdL III,178 (199). Cfr. WdL I,112.<br />

( 46 ) WdL III,178 (199).<br />

( 47 ) WdL III, 299-309 (337-349).<br />

( 48 ) WdL III,178 (199).


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

Spinoza (cfr. infra), ottenuto a partire da una infinità <strong>di</strong> in<strong>di</strong>visibili<br />

contenuti in uno spazio limitato, sia per il metodo <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>visibili<br />

<strong>di</strong> Cavalieri, che presta attenzione al rapporto tra gli in<strong>di</strong>visibili<br />

corrispondenti <strong>di</strong> due figure per determinare il rapporto tra i corrispondenti<br />

continui ( 49 ).<br />

Al dogmatismo si deve pertanto l’affermazione <strong>di</strong> uno solo <strong>di</strong><br />

questi due momenti della grandezza, continuità e <strong>di</strong>scretezza, con<br />

l’esclusione dell’altro. Però Kant, che pure è sostenitore della<br />

<strong>di</strong>visibilità all’infinito della grandezza matematica, con riferimento<br />

alla categoria della sostanza trova antinomiche le proprietà <strong>di</strong> continuità<br />

e <strong>di</strong> in<strong>di</strong>visibilità, come viene sostenuto nella seconda<br />

antinomia cosmologica che mostra la coimplicazione delle due proposizioni:<br />

a) ogni sostanza composta consta <strong>di</strong> parti semplici; b)<br />

nessuna sostanza composta consta <strong>di</strong> parti semplici. Di qui<br />

l’antinomia, che si presenta pertanto a livello <strong>di</strong> sostanza, e non a<br />

livello <strong>di</strong> quantità, dove, secondo Kant, le grandezze geometriche<br />

sono continue. A Kant si deve il merito <strong>di</strong> aver mostrato la<br />

coimplicazione <strong>di</strong> questi due concetti opposti, quin<strong>di</strong> la posizione<br />

della contrad<strong>di</strong>zione.<br />

Invece secondo Hegel questa è proprio la con<strong>di</strong>zione definitoria<br />

della stessa quantità: essa si può presentare sotto le forme della<br />

grandezza continua - se la pura quantità è vista nella determinazione<br />

dell’uguaglianza con sé dei molti uno (attrazione) -, oppure<br />

della grandezza <strong>di</strong>screta, - se la pura quantità è vista nella determinazione<br />

dell’uno, come posizione dei molti uno (repulsione). Grandezza<br />

continua e <strong>di</strong>screta sono considerate come momenti della<br />

grandezza necessariamente congiunti. Quin<strong>di</strong> non solo ogni sostanza<br />

composta nel mondo, come affermava Kant, ma la quantità<br />

in generale, lo stesso spazio e lo stesso tempo, la materia, la luce,<br />

( 49 ) Cfr. MORETTO, Hegels Auseinandersetzung mit Cavalieri cit.<br />

81


82<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

l’Io, in quanto pura quantità, sono sia continui sia <strong>di</strong>screti. Hegel<br />

sviluppa pertanto a livello <strong>di</strong> quantità pura le considerazioni kantiane<br />

sulla continuità e sulla <strong>di</strong>screzione.<br />

Secondo Kant l’antinomia riguarda la sostanza composta nel<br />

mondo, poiché «la totalità assoluta della <strong>di</strong>visione <strong>di</strong> un tutto dato nel<br />

fenomeno» ( 50 ) è un’idea, «un concetto necessario della ragione», al<br />

quale però «non è dato trovare un oggetto adeguato nei sensi» ( 51 ).<br />

L’antinomia non riguarda pertanto l’intuizione pura, ma ha la sua<br />

origine nel fatto che l’oggetto è separato dall’intuizione sensibile.<br />

Invece Hegel fa cadere come inessenziale la separazione tra intuizione<br />

e concetto: per Hegel anche spazio e tempo sono soggetti a<br />

questa antinomia, poiché anch’essi devono venire concepiti ( 52 ).<br />

Pertanto, se sotto il punto <strong>di</strong> vista della intuizione essi sono continui,<br />

dal punto <strong>di</strong> vista del concetto essi possono venire intesi come<br />

composti <strong>di</strong> in<strong>di</strong>visibili.<br />

La soluzione kantiana fa consistere la ra<strong>di</strong>ce dell’antinomia<br />

nell’uso dell’intelletto in modo in<strong>di</strong>pendente dall’intuizione. Hegel<br />

trova molto più interessante la soluzione data da Aristotele ai problemi<br />

posti dagli esempi <strong>di</strong>alettici della scuola eleatica, in particolare<br />

dai logoi zenoniani sul moto, che si ra<strong>di</strong>cano sul concetto <strong>di</strong><br />

quantità. La soluzione <strong>di</strong> Aristotele si basa sul concetto <strong>di</strong> continuità<br />

come <strong>di</strong>visibilità in potenza (cfr. supra), senza che si giunga mai in<br />

atto all’atomo. Quin<strong>di</strong> se è data la continuità è data anche la possibilità<br />

<strong>di</strong> avere una moltitu<strong>di</strong>ne potenzialmente infinita <strong>di</strong> “sud<strong>di</strong>visioni”<br />

(limiti) del continuo. Ad esempio, dato un segmento orientato,<br />

si può considerare il suo punto me<strong>di</strong>o, poi il punto me<strong>di</strong>o della<br />

( 50 ) KrV, 287 (346); in questo modo Kant definisce la seconda idea<br />

cosmologica.<br />

( 51 ) KrV, 254 (308).<br />

( 52 ) «Qui non v’è altro da <strong>di</strong>re, se non che lo spazio, come anche l’intuizione<br />

stessa, debbon essere in pari tempo concepiti, se cioè in generale si vuol concepire»:<br />

WdL III, 185-6 (209). Cfr. WdL I, 119.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

seconda delle due parti ottenute, e così via. Siamo <strong>di</strong> fronte ad una<br />

esemplificazione del logos zenoniano della <strong>di</strong>cotomia, ed in questo<br />

modo si è generata una infinità potenziale <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>visione.<br />

L’in<strong>di</strong>visibile, l’atomo è un ens rationis, una astrazione. Era quin<strong>di</strong><br />

in errore Bayle, che criticando la soluzione <strong>di</strong> Aristotele come<br />

“pitoyable”, affermava che se qualcosa è infinitamente <strong>di</strong>visibile<br />

“en puissance”, allora deve essere anche realmente e attualmente<br />

<strong>di</strong>viso ( 53 ).<br />

La soluzione <strong>di</strong> Aristotele però va dal continuo verso il <strong>di</strong>screto:<br />

se è dato il continuo, allora in potenza è data anche l’infinità<br />

dei <strong>di</strong>screti. Hegel fa anche il passaggio opposto: se è dato il <strong>di</strong>screto,<br />

allora è dato in potenza anche il continuo: la linea è data come<br />

rapporto <strong>di</strong> punti: «la grandezza spaziale ha bensì nel punto la<br />

determinatezza corrispondente all’uno; ma il punto, in quanto vien<br />

fuori <strong>di</strong> sé, <strong>di</strong>venta una altro, <strong>di</strong>venta linea. Poiché essenzialmente<br />

esso è soltanto come uno dello spazio, il punto <strong>di</strong>venta nella relazione<br />

[Beziehung] una continuità, nella quale la puntualità, l’essere<br />

determinato per sé, l’uno, son tolti» ( 54 ). Questo punto <strong>di</strong> vista risale<br />

alle Geometrische Stu<strong>di</strong>en, in cui si sostiene che la linea “toglie<br />

[aufhebt]” il rapporto [Beziehung] spaziale dei punti - dove “togliere”<br />

ha in questo caso la valenza <strong>di</strong> “elevare” ( 55 ).<br />

10. Il quanto e il mutamento del quanto.<br />

10.1. Il quanto — Secondo Hegel il quanto è la quantità limitata. Alla<br />

definizione del quanto è pertanto necessario il concetto <strong>di</strong> limite<br />

( 53 ) WdL III, 188 (212).<br />

( 54 ) WdL I, 128, WdL III, 196 (220).<br />

( 55 ) «In ogni oggetto matematico si deve precisare<br />

a) il suo aspetto positivo, in quanto esso toglie una limitazione (la linea<br />

[toglie] il rapporto spaziale dei punti); come tolto propriamente rimane solo la<br />

moltitu<strong>di</strong>ne [Menge] (dei punti)»: Geometrische Stu<strong>di</strong>en, in Dokumente zu Hegels<br />

Entwicklung, hrsg. von J. Hoffmeister, Stuttgart 1936, 293-94.<br />

83


84<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

applicato alla quantità pura. Il quanto corrisponde in generale alla<br />

grandezza matematica, ossia a «ciò che può essere aumentato o <strong>di</strong>minuito»<br />

( 56 ). Hegel si riferisce alle or<strong>di</strong>narie definizioni <strong>di</strong> grandezza<br />

dei manuali <strong>di</strong> matematica, rilevando la circolarità della definizione,<br />

poiché essa contiene ancora il definito (la grandezza è ciò <strong>di</strong><br />

cui può aumentare o <strong>di</strong>minuire la grandezza). È così proponibile<br />

una teoria generale delle grandezze, come oggetti per cui è possibile<br />

stabilire una relazione d’or<strong>di</strong>ne ed una fondamentale operazione<br />

<strong>di</strong> ad<strong>di</strong>zione. Il quanto, che ha la sua esemplificazione nella grandezza<br />

matematica, ha la sua compiuta determinatezza nel numero,<br />

che consiste nella coppia dei suoi momenti: l’unità [Einheit] e le volte<br />

[Anzahl] ( 57 ). Stando alle precisazioni <strong>di</strong> Wissenschaft der Logik del<br />

1832, le fondamentali classi <strong>di</strong> grandezze considerate dalla matematica<br />

sono le grandezze spaziali e le grandezze numeriche. La<br />

grandezza numerica (numeri naturali) è <strong>di</strong>screta, mentre quella<br />

spaziale è continua.<br />

10.2. Grandezza estensiva ed intensiva — Una ulteriore <strong>di</strong>stinzione<br />

tra grandezza estensiva ed intensiva viene derivata imme<strong>di</strong>atamente<br />

da Kant e sottoposta a critica. La <strong>di</strong>stinzione kantiana è la seguente:<br />

la quantità estensiva è «quella quantità, nella quale la rappresentazione<br />

delle parti rende possibile la rappresentazione del<br />

tutto (e perciò necessariamente la precede)» ( 58 ), com’è il caso dei<br />

segmenti in un monoide <strong>di</strong> grandezze. Diverso è il caso della<br />

grandezza intensiva, o grado, che è quella quantità «che è appresa<br />

soltanto come unità, e in cui la molteplicità può essere rappresentata<br />

solo per approssimazione alla negazione = 0» ( 59 ).<br />

( 56 ) Enz. A, § 52 A.<br />

( 57 ) WdL III, 194 (218). Cfr. WdL I, 126.<br />

( 58 ) KrV, 149 (180).<br />

( 59 ) KrV, 153 (185-6).


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

In Kant questa <strong>di</strong>stinzione viene esposta in pagine alquanto<br />

<strong>di</strong>fficili ( 60 ), pertanto converrà illustrare la questione in termini<br />

generali, facendo ricorso ad una descrizione matematica dell’argomento<br />

in questione me<strong>di</strong>ante la nozione <strong>di</strong> funzione. In una<br />

corrispondenza y = f(x), dove x e f(x) sono grandezze assolute, e<br />

continue in senso kantiano, se x è variabile su <strong>di</strong> un intervallo<br />

(grandezza estensiva), l’or<strong>di</strong>nata f(x) è la corrispondente grandezza<br />

intensiva. Nella rappresentazione in questione <strong>di</strong> un grafico<br />

estensione (x) - intensione (f(x)), in cui sono in gioco i concetti <strong>di</strong> variabile<br />

(la x, variabile in<strong>di</strong>pendente e la f(x), variabile <strong>di</strong>pendente),<br />

e <strong>di</strong> infinità <strong>di</strong> valori assunti dalle variabili, la superficie descritta<br />

dal segmento <strong>di</strong> or<strong>di</strong>nata variabile f(x) al variare <strong>di</strong> x nell’intervallo<br />

è ancora un’estensione S.<br />

Con questa premessa le considerazioni <strong>di</strong> Kant si possono<br />

capire meglio se ci si riferisce in concreto all’esempio cinematico v<br />

= v(t), della velocità espressa come funzione del tempo in un<br />

moto anche vario. L’or<strong>di</strong>nata alla fine ha descritto una superficie<br />

la cui misura è pari allo spazio percorso. Mentre lo spazio percorso,<br />

grandezza estensiva, richiede per essere determinato il decor-<br />

( 60 ) Kant, confrontando il concetto <strong>di</strong> grandezza estensiva con quello <strong>di</strong><br />

grandezza intensiva, segnalava la necessità <strong>di</strong> considerare accanto alle classi <strong>di</strong><br />

grandezze omogenee e continue anche le corrispondenze tra due o più classi <strong>di</strong><br />

grandezze (omogenee e continue), in poche parole, <strong>di</strong> elevarsi ad una matematica<br />

relazionale, in cui entrano in gioco i concetti matematici <strong>di</strong> funzione e <strong>di</strong> relazione.<br />

La <strong>di</strong>fficoltà del testo kantiano è dovuta al fatto che Kant si serve per questo aspetto<br />

non tanto delle nozioni matematiche <strong>di</strong> Leibniz, Bernoulli, Eulero, e delle loro<br />

esemplificazioni, ma delle considerazioni (e del vocabolario) della scolastica, sulla<br />

intensione e remissione delle qualità. Questo vocabolario è sì adoperato nella tarda<br />

scolastica me<strong>di</strong>evale (Bradwar<strong>di</strong>ne, Oresme) in questioni fisico-matematiche, e<br />

così pure in Galilei (intensione del moto); ma nella recezione <strong>di</strong> Leibniz e della<br />

scolastica wolffiana (Wolff, Baumgarten) la terminologia entrava a far parte del<br />

vocabolario della metafisica, e l’astrattezza <strong>di</strong> questa riflessione allontana dall’esemplificazione<br />

matematica. Tuttavia gli esempi con cui Kant illustra questo<br />

concetto (vale a <strong>di</strong>re la densità <strong>di</strong> massa, il grado <strong>di</strong> illuminazione) sono chiaramente<br />

ispirati alle problematiche fisico-matematiche sulle relazioni tra grandezze.<br />

Cfr. MORETTO, Sul concetto matematico <strong>di</strong> ‘grandezza’ secondo Kant cit., 68-71.<br />

85


86<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

so del tempo, la velocità, grandezza intensiva, deve essere definita<br />

istante per istante. In un intervallo <strong>di</strong> tempo Dt piccolo, ma non<br />

nullo, lo spazio percorso è f(t) Dt, e nell’istante t , essendo Dt = 0,<br />

lo spazio percorso è nullo.<br />

Abbiamo visto che Hegel definisce il quanto come la quantità<br />

limitata. Egli precisa in questo modo la <strong>di</strong>stinzione tra il quanto<br />

estensivo e quello intensivo: «questo limite come determinatezza<br />

in sé molteplice è la grandezza estensiva, mentre come determinatezza<br />

in sé semplice, è la grandezza intensiva ovvero il grado» ( 61 ).<br />

Hegel tiene pertanto conto in sede definitoria del punto <strong>di</strong> vista<br />

kantiano delle grandezze estensive e intensive.<br />

Ciò non vuol però <strong>di</strong>re che egli sia incon<strong>di</strong>zionatamente<br />

d’accordo con Kant su questo punto. Infatti, <strong>di</strong>fferenziandosi da<br />

Kant, Hegel osserva che la <strong>di</strong>stinzione tra quanto estensivo ed intensivo<br />

non è assoluta, ma relativa: la grandezza estensiva in una<br />

rappresentazione può <strong>di</strong>ventare intensiva in un altra ( 62 ). Banalmente,<br />

nella funzione y = f(x), in ipotesi <strong>di</strong> biiettività e continuità,<br />

il segmento lungo x è un quanto estensivo, ed il segmento lungo y<br />

è un quanto intensivo. Ma la situazione si inverte nella corrispondenza<br />

x = f -1 (y).<br />

11. Progresso infinito quantitativo e vera infinità del quanto — Come si<br />

è visto, il quanto è la quantità limitata, un limite in<strong>di</strong>fferente, una<br />

determinatezza che è in<strong>di</strong>fferente alla cosa, conformemente all’or<strong>di</strong>naria<br />

definizione <strong>di</strong> grandezza, come ciò che è suscettibile <strong>di</strong> aumento<br />

o <strong>di</strong> <strong>di</strong>minuzione. Nella definizione del quanto sta anche<br />

l’origine della sua infinità. Ciò vale sia per il numero, sia per le<br />

grandezze in generale. Infatti, a partire dall’unità 1, si ottengono gli<br />

infiniti numeri, 1+1, (1+1)+1, ..., e a partire dalla grandezza<br />

( 61 ) Enz. A, § 56.<br />

( 62 ) WdL I, 134-137; WdL III, 212- 216 (238-243).


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

estensiva A si ottengono le infinite grandezze A+A, (A+A)+A, ...;<br />

ogni volta viene posto un limite, che poi viene superato. Il progresso<br />

infinito quantitativo è appunto la ripetizione della contrad<strong>di</strong>zione<br />

contenuta nel quanto, in modo particolare nel grado, che ha la sua<br />

determinatezza in altre grandezze: «il progresso quantitativo infinito<br />

è parimenti <strong>di</strong> nuovo nient’altro che la ripetizione priva <strong>di</strong><br />

pensiero <strong>di</strong> un’unica e medesima contrad<strong>di</strong>zione, che è il quanto in<br />

generale e, posto nella sua determinatezza, il grado» ( 63 ).<br />

Questo iterarsi della «unica e medesima contrad<strong>di</strong>zione» è<br />

mirabilmente esemplificato dalla perentoria affermazione <strong>di</strong><br />

Zenone, che ciò che si verifica una volta si verificherà sempre:<br />

«<strong>di</strong>ce giustamente Zenone in Aristotele: è lo stesso <strong>di</strong>re una cosa<br />

una volta e <strong>di</strong>rla sempre» ( 64 ). Hegel cita Aristotele inesattamente,<br />

poiché si tratta del commento <strong>di</strong> Simplicio alla Fisica <strong>di</strong> Aristotele.<br />

Ma il riferimento a Zenone è illuminante: questa proprietà viene<br />

infatti applicata da Zenone ad es. nel logos della <strong>di</strong>cotomia, che può<br />

corrispondere alle proposizioni, <strong>di</strong> tipo esistenziale, <strong>di</strong> densità o <strong>di</strong><br />

illimitatezza (infinità) della retta: dati due punti A, B <strong>di</strong> una retta<br />

orientata, con A < B (ossia A precede B) esiste un punto C, tale che A<br />

< C < B , ed esistono punti D, E, tali che D < A e B < E . Il proce<strong>di</strong>mento<br />

è iterabile: se si può effettuare una volta, si può effettuare<br />

sempre, e questo garantisce l’infinità dei punti della retta, sia <strong>di</strong><br />

quelli compresi nel segmento AB, sia <strong>di</strong> quelli esterni.<br />

In generale l’infinità del quanto deriva dal fatto che «il<br />

quanto è un limite che <strong>di</strong>viene» [eine werdende Grenze] ( 65 ). Si vede<br />

( 63 ) Enz. A, § 57 A.<br />

( 64 ) Enz. A, § 57 A.<br />

( 65 ) WdL I, 138;WdL III, 217 (245). Si può rilevare che la prima antinomia<br />

cosmologica <strong>di</strong> Kant mostra appunto l’opposizione tra il limite (il mondo è limitato<br />

rispetto al tempo passato o allo spazio) e il superamento del limite. La soluzione<br />

kantiana sembra rifugiarsi in una concezione potenziale dell’infinito, o ancora<br />

più debole, nell’indefinito; cfr. MORETTO, Sul concetto <strong>di</strong> ‘grandezza’ secondo<br />

Kant cit., 97-98.<br />

87


88<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

così che quando Hegel parla <strong>di</strong> progresso infinito quantitativo (cattiva<br />

infinità), ha ben presente la connotazione aristotelica dell’infinito<br />

potenziale, espresso da ciò che sempre <strong>di</strong>viene. Quest’infinito<br />

potenziale non intende la potenza come lo stato “precedente”<br />

l’atto, per cui ciò che è infinito in potenza sarà poi infinito anche<br />

in atto (così come ciò che in potenza è una statua, il blocco <strong>di</strong><br />

marmo, poi sarà una statua); ma nel senso in cui si enuncia una<br />

forma aperta, suscettibile <strong>di</strong> determinazioni sempre <strong>di</strong>verse,<br />

come la forma enunciativa “il giorno è x”, in cui al posto <strong>di</strong> x è<br />

possibile porre sempre <strong>di</strong>verse determinazioni, con x = a1, a2, a3,<br />

... (Phys., III 206 a 18-29).<br />

L’infinità del progresso è rappresentata da qualcosa <strong>di</strong> incompleto,<br />

ed è una continua riproposizione del finito, l’espressione<br />

della contrad<strong>di</strong>zione del quanto, per cui dapprima il limite<br />

viene posto, e poi questo limite viene tolto. Riferendosi al cattivo<br />

infinito Hegel concorda con Aristotele, il quale osservava che,<br />

mentre il finito è ciò che è completo, l’infinito è l’incompleto: «infinito<br />

è, dunque, ciò al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> cui, se si assume come quantità,<br />

è sempre possibile assumere qualche altra cosa. Ciò, invece, al <strong>di</strong><br />

fuori <strong>di</strong> cui non c’è nulla, è perfetto ed intero ... L’intero è ciò al <strong>di</strong><br />

fuori del quale non c’è nulla; ma ciò al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> cui c’è qualcosa<br />

che ad esso manca, non è il tutto, qualunque cosa gli manchi»<br />

(Phys., 207 a 7-15). Secondo Hegel è del tutto fuori luogo l’entusiasmo<br />

<strong>di</strong> filosofi e scienziati per il progresso infinito, poiché questa<br />

infinità è affetta sempre da un “al <strong>di</strong> là”, e rimane sempre<br />

alcunché <strong>di</strong> incompleto ( 66 ).<br />

Il punto <strong>di</strong> vista <strong>hegel</strong>iano sul passaggio dalla cattiva infinità<br />

del progresso infinito del quanto al vero infinito quantitativo viene<br />

delineato da Hegel in questo modo. Il quanto è un limite in<strong>di</strong>fferente;<br />

in particolare come quanto intensivo ha la sua determinatez-<br />

( 66 ) Cfr. WdL I, 142-147;WdL III, 222-228 (250-256)


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

za in altro, in altri quanti: <strong>di</strong> qui la cattiva infinità. Però questo non<br />

essere del quanto è esso stesso limitato, dal momento che pur essendo<br />

variabile, non è arbitrario, ed è soggetto a limitazione, come<br />

si comprende in modo particolarmente chiaro con le considerazioni<br />

relazionali legate al quanto intensivo. La vera infinità del quanto<br />

si ha in questa unità <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong> opposti, che sono come momenti:<br />

il togliere del quanto e dell’al <strong>di</strong> là del quanto. In altri termini la<br />

variabilità del quanto conduce all’al <strong>di</strong> là [Jenseits] ( 67 ) del quanto<br />

come alcunché <strong>di</strong> determinato; ma questa variabilità è a sua volta<br />

limitata, com’è il caso della legge con cui è assegnata una funzione<br />

con dominio infinito, e questa doppia negazione del quanto e del<br />

suo al <strong>di</strong> là, la variazione del quanto, conduce alla vera infinità del<br />

quanto ( 68 ).<br />

Nell’Enciclope<strong>di</strong>a del 1817 si precisa che nella relazione<br />

quantitativa si supera la contrad<strong>di</strong>zione del progresso infinito del<br />

quanto: nella relazione (funzione) y = f(x) definita su <strong>di</strong> un intervallo<br />

e continua, si comprende unitariamente la variabilità del quanto<br />

intensivo, ed il risultato è un quanto determinato qualitativamente:<br />

«si sono unificati appunto l’esteriorità, cioè il quantitativo, e l’essere<br />

per sé, il qualitativo» ( 69 ).<br />

( 67 ) WdL I, 151;WdL III, 234 (261).<br />

( 68 ) A questo proposito si possono fare alcune considerazioni:<br />

1) Con il concetto <strong>di</strong> quanto intensivo Hegel, seguendo Kant, si riferisce<br />

alla matematica relazionale, in cui si considerano <strong>di</strong>pendenze funzionali<br />

tra grandezze. D’altra parte Hegel considera coimplicantisi i concetti<br />

<strong>di</strong> quanto intensivo ed estensivo, per cui il problema dell’infinito è<br />

posto con generalità per ciò che riguarda il quanto.<br />

2) È essenziale il concetto <strong>di</strong> “limitazione” per i quanti <strong>di</strong> un progresso infinito<br />

affinché si possa parlare <strong>di</strong> vera infinità. In questo senso per<br />

Hegel i punti <strong>di</strong> un segmento costituiscono un esempio <strong>di</strong> vera infinità<br />

(cfr. VGPh III, 171-72), mentre non lo costituiscono i punti <strong>di</strong> una retta,<br />

che per Hegel sono invece un’esemplificazione della cattiva infinità.<br />

( 69 ) Enz. A, § 58.<br />

89


90<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

Anche nelle altre redazioni dell’Enciclope<strong>di</strong>a le caratteristiche<br />

del superamento del progresso infinito quantitativo me<strong>di</strong>ante<br />

la relazione quantitativa vengono esposte in modo estremamente<br />

scarno. Però le considerazioni dell’Enciclope<strong>di</strong>a del 1827 e <strong>di</strong> quella<br />

del 1830 concordano con il punto <strong>di</strong> vista già presente nella Logica<br />

<strong>di</strong> Jena e nella Scienza della logica del 1812, e che verranno riba<strong>di</strong>ti<br />

nella “dottrina dell’essere” della Scienza della logica del 1832,<br />

in base al quale la soluzione della contrad<strong>di</strong>zione del progresso<br />

infinito del quanto viene fatta consistere nel concetto <strong>di</strong> relazione<br />

quantitativa [quantitative Verhältniß], corrispondente al concetto <strong>di</strong><br />

relazione/funzione della matematica moderna (si tengano presenti<br />

in particolar modo le delucidazioni <strong>di</strong> Euler e <strong>di</strong> Lagrange ( 70 ) sul<br />

concetto <strong>di</strong> funzione). La Scienza della logica del 1812 (e poi quella<br />

del 1832) connettono il concetto <strong>di</strong> funzione con quello <strong>di</strong> vero infinito<br />

quantitativo, corrispondente all’infinitum actu <strong>di</strong> cui parla<br />

Spinoza nell’Epistola XII ( 71 ).<br />

L’opinione comune, rileva Spinoza, sostiene che «infinitum<br />

actu non datur». In questo modo essa non può spiegare come trascorra<br />

un’ora, poiché non riesce a superare le <strong>di</strong>fficoltà poste dal<br />

logos zenoniano della <strong>di</strong>cotomia. Infatti - secondo una delle due interpretazioni<br />

standard ( 72 ) della <strong>di</strong>cotomia - prima che sia trascorsa<br />

l’ora bisogna che sia trascorsa una sua parte (come caso particolare<br />

la sua metà), e perché sia trascorsa questa deve essere pure trascorsa<br />

una sua parte, ecc. In questo modo l’intervallo temporale non<br />

può mai aver avuto inizio. Secondo l’altra interpretazione standard,<br />

prima <strong>di</strong> giungere alla fine deve essere trascorsa una parte, ma per<br />

la parte restante vale lo stesso <strong>di</strong>scorso, ecc. In questo caso l’inter-<br />

( 70 ) Cfr. L. EULER, Institutiones calculi <strong>di</strong>fferentialis, e<strong>di</strong><strong>di</strong>t G. Kowalewski, in<br />

Opera Omnia, edenda curaverunt F. Ru<strong>di</strong>o, A. Krazer, P. Staeckel, ser. I, vol. X,<br />

Lipsiae et Berolini 1813, 4; J.L. LAGRANGE, Théorie des fonctions analytiques, in<br />

Oeuvres, publiées par les soins de J.-A. Serret, tome IX, Paris 1881, 15.<br />

( 71 ) SPINOZA, Epistola XII, in Opera, hrsg. von C. Gebhardt, 4 voll.,<br />

Heidelberg s.d. (1924), qui vol. IV, 59-60.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

vallo temporale non può mai aver fine ( 73 ). L’esito paradossale consegue<br />

dal fatto che valgono le assunzioni del logos della <strong>di</strong>cotomia,<br />

senza che si accetti l’infinito attuale.<br />

Spinoza osserva che inconvenienti <strong>di</strong> questo tipo capitano a<br />

chi si affida solo all’infinito dell’immaginazione (infinito potenziale)<br />

( 74 ). Ma i matematici non si curano delle obiezioni <strong>di</strong> coloro<br />

che si affidano al solo infinito dell’immaginazione, all’infinito della<br />

successione dei naturali che ad ogni n numero naturale associa<br />

n + 1: l’infinito potenziale. Essi hanno infatti <strong>di</strong>mestichezza con<br />

concetti <strong>di</strong> moltitu<strong>di</strong>ni che non sono numerate da nessun numero.<br />

E, tuttavia, questi concetti sono ben definiti, sicché si può parlare<br />

<strong>di</strong> un infinitum actu e non solo <strong>di</strong> un infinitum potentia. L’esempio<br />

addotto da Spinoza è il seguente: dati due cerchi non concentrici e<br />

contenuti l’uno nell’altro, si considerano le intersezioni tra le<br />

semirette aventi origine nel centro del cerchio minore e lo spazio<br />

compreso tra i due cerchi (si veda la figura in nota) ( 75 ). In altri ter-<br />

( 72 ) Assumo la terminologia <strong>di</strong> I. TOTH, I Paradossi <strong>di</strong> Zenone nel Parmenide<br />

<strong>di</strong> Platone, trad. dal tedesco <strong>di</strong> A. Moretto, Napoli: Istituto Italiano per gli Stu<strong>di</strong><br />

Filosofici, 1994.<br />

( 73 ) Cfr. I. TOTH, Le problème de la mesure dans la perspective de l’être et du non<br />

être. in Mathématique et philosophie de l’antiquité à l’âge classique. Hommage à Jules<br />

Vuillemin, sous la <strong>di</strong>rection de R. Rashed, Paris 1991.<br />

( 74 ) SPINOZA, Epistola XII cit., 58-59<br />

( 75 )<br />

M<br />

f(x)<br />

B<br />

x<br />

A m<br />

91


92<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

mini si considera l’insieme dei segmenti del piano che godono della<br />

proprietà descritta, concetto duale nel piano <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> “luogo<br />

geometrico” dei punti che godono <strong>di</strong> una certa proprietà. Questi<br />

segmenti sono infiniti <strong>di</strong> numero, nel senso che ogni numero è insufficiente<br />

a numerarli, eppure costituiscono una moltitu<strong>di</strong>ne infinita<br />

in atto, ben definita per legge <strong>di</strong> costruzione, in questo caso<br />

anche superiormente ed inferiormente limitata, nel senso che questi<br />

segmenti ammettono sia un massimo, sia un minimo. Il concetto<br />

è quin<strong>di</strong> accettabile sul piano della logica tra<strong>di</strong>zionale, godendo<br />

dei requisiti <strong>di</strong> avere un corrispondente oggetto, e <strong>di</strong> essere definito<br />

con cura me<strong>di</strong>ante una proprietà caratteristica. Con questo concetto<br />

<strong>di</strong> infinito è anche possibile <strong>di</strong>re che un infinito è maggiore <strong>di</strong><br />

un altro (me<strong>di</strong>ante un or<strong>di</strong>namento per inclusione).<br />

Hegel fa proprio il punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Spinoza: il cattivo infinito<br />

secondo Hegel, l’infinito dell’intelletto, corrisponde all’infinito<br />

dell’immaginazione in Spinoza, ed il vero infinito della ragione all’infinito<br />

dell’intelletto, all’infinitum actu spinoziano. Egli sviluppa<br />

le in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> Spinoza sull’infinitum actu, e sulla possibilità <strong>di</strong><br />

stabilire una relazione d’or<strong>di</strong>ne tra infiniti, raccordandole con alcuni<br />

concetti della analisi matematica. In particolare è degno <strong>di</strong> nota<br />

il riconoscimento dell’analogia tra il concetto <strong>di</strong> funzione e l’esempio<br />

<strong>di</strong> Spinoza ( 76 ) Osserva infatti Hegel che «l’incommensurabilità,<br />

che sta nell’esempio <strong>di</strong> Spinoza, racchiude in generale in sé le<br />

funzioni delle linee curve, e conduce più precisamente a quell’infinito<br />

che la matematica ha introdotto in tali funzioni, e in generale<br />

nelle funzioni delle grandezze variabili, e che è il vero infinito matematico,<br />

l’infinito quantitativo, al quale pensava anche Spinoza» ( 77 ).<br />

In effetti l’esempio <strong>di</strong> Spinoza è agevolmente suscettibile <strong>di</strong> una interpretazione<br />

con una funzione. Si stabilisca, ad esempio, un sistema<br />

<strong>di</strong> ascisse curvilinee sulla circonferenza interna, e si faccia cor-<br />

( 76 ) Si veda la figura precedente.<br />

( 77 ) WdL III, 248-49 (277); cfr. WdL I, 163.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

rispondere ad ogni ascissa x un’or<strong>di</strong>nata y uguale alla misura del<br />

segmento compreso tra i due cerchi, passante per l’estremità dell’arco<br />

<strong>di</strong> ascissa x. Si ottiene allora una funzione y = f(x), i cui valori<br />

sono compresi tra un minimo assoluto m ed un massimo assoluto<br />

M, conformemente alle in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> Spinoza ( 78 ).<br />

Per ciò che riguarda le funzioni e le relazioni, Hegel stabilisce<br />

una classificazione delle funzioni a seconda della forma as-<br />

y<br />

sunta dal rapporto — esponente del rapporto secondo la termi-<br />

x<br />

nologia adottata da Hegel —, che è in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> una scala <strong>di</strong> purezza<br />

dell’infinità che tanto più cresce qunto più il rapporto si allontana<br />

dall’espressione rappresentata me<strong>di</strong>ante un quanto costante; in<br />

y<br />

questo senso al grado più basso stanno le funzioni della forma<br />

y<br />

x<br />

= k, k costante; seguono le funzioni del tipo = f(x) ≠ k, k co-<br />

x<br />

dy<br />

stante; infine al grado più alto le funzioni del tipo = f(x), poi-<br />

dx<br />

ché nel rapporto <strong>di</strong>fferenziale <strong>di</strong> sinistra i <strong>di</strong>fferenziali rappresentano<br />

il togliersi del quanto in una determinatezza <strong>di</strong> grandezza<br />

puramente qualitativa ( 79 ).<br />

12. Esempi matematici <strong>di</strong> cattiva e vera infinità — La cattiva infinità e<br />

la vera infinità sono illustrate da Hegel con esempi tratti dalla<br />

matematica. In questo senso egli osserva che, prendendo in considerazione<br />

la frazione 2/7 (frazione non decimale), dalla <strong>di</strong>visione<br />

<strong>di</strong> 2 con 7 si ottiene lo sviluppo decimale infinito 0,285714... = 0/1<br />

+ 2/10 + 8/10 2 + 5/10 3 + 7/10 4 + 1/10 5 + 4/10 6 + ...; questo per-<br />

( 78 ) Si veda la precedente figura. Il concetto <strong>di</strong> vero infinito quantitativo con<br />

riferimento alla dottrina spinoziana dell’infinitum actu viene trattato da Hegel in<br />

Fede e sapere, nella Scienza della logica, e nelle Lezioni sulla storia della filosofia (cfr.<br />

GuW, 354-358 (175-179); VGPh III, 170-172 ; WdL I, 162-163; WdL III, 247-249 (275-<br />

277)). In questo caso sono in particolar modo importanti le considerazioni della<br />

Scienza della logica che permettono <strong>di</strong> comprendere la rilevanza <strong>di</strong> questo concetto<br />

nella speculazione <strong>hegel</strong>iana sulla natura della quantità.<br />

( 79 ) In queste considerazioni Hegel negli esempi ricorre a funzioni algebriche<br />

per esprimere f(x).<br />

93


94<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

mette le successive determinazioni approssimate <strong>di</strong> 2/7 con le<br />

frazioni decimali 0/1, 2/10, 28/102 , 285/103 , 2857/104 , 28571/<br />

105 , 285714/106 , ..., che sono approssimazioni per <strong>di</strong>fetto rispettivamente<br />

a meno <strong>di</strong> 1/1, 1/10, 1/102 , 1/103 , 1/104 , 1/105 , 1/106 , ...<br />

In questo modo si origina la cattiva infinità. La relazione esatta è<br />

2/7 = D + R , dove D è la frazione decimale usata per l’approssimazione<br />

ed R è il resto. La vera infinità si ha quando si considera<br />

tutto lo sviluppo 2/7 = 0/1 + 2/10 + 8/102 + 5/103 + 7/104 + 1/<br />

105 + 4/106 + ..., anche se la matematica della fine del Settecento e<br />

dell’inizio dell’Ottocento è in <strong>di</strong>fficoltà nella giustificazione <strong>di</strong> simili<br />

espressioni. In effetti in quell’epoca non si <strong>di</strong>sponeva ancora<br />

della teoria e - d del limite, teoria che verrà elaborata più tar<strong>di</strong><br />

dall’analisi classica. Per questo motivo secondo Hegel l’infinità si<br />

trova piuttosto nell’espressione finita 2/7 che nella serie infinita,<br />

la cui somma deve essere sempre approssimata con una somma<br />

infinita.<br />

Considerando la questione con maggiore generalità, l’espressione<br />

1/(1-a) ottiene lo sviluppo in serie <strong>di</strong> potenze 1 + a + a2 + a3 +<br />

... (sotto la con<strong>di</strong>zione |a| < 1). Anche in questo caso Hegel considera<br />

l’espressione completa 1/(1-a) = 1 + a + a2 + a3 + ... come<br />

espressione della vera infinità, e la successione <strong>di</strong> polinomi 1, 1 + a,<br />

1 + a + a2 , 1 + a + a2 + a3 , ..., come espressione della cattiva infinità.<br />

Sicché, paradossalmente, la vera infinità si ha nell’espressione finita<br />

1/(1-a) piuttosto che in quella 1 + a + a2 + a3 + ... Si noti che<br />

Hegel nella Scienza della logica sta ricorrendo allo stesso esempio<br />

usato da Aristotele nella Fisica.<br />

a<br />

In modo analogo, considerando la frazione si hanno esem-<br />

b<br />

plificazioni sia <strong>di</strong> cattiva, sia <strong>di</strong> vera infinità. Infatti, ad esempio,<br />

2<br />

7 =<br />

4<br />

14 =<br />

6<br />

= ..., ed ogni sequenza finita <strong>di</strong> eguaglianze dà origine<br />

21<br />

2<br />

alla cattiva infinità:<br />

7 =<br />

4<br />

14 ,<br />

2<br />

7 =<br />

4<br />

14 =<br />

6<br />

21 ,<br />

2<br />

7 =<br />

4<br />

14 =<br />

6<br />

21 =<br />

8<br />

, ...;<br />

56<br />

2<br />

se invece consideriamo la totalità delle frazioni equivalenti a<br />

7 ,<br />

concetto corrispondente a quello del numero razionale [ ] =<br />

2<br />

7


{<br />

A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

p<br />

q | 7p = 2q , p ∈ Z, q ∈ Zo} , abbiamo nuovamente un esempio <strong>di</strong><br />

vera infinità.<br />

Di grande interesse poi è l’osservazione delle Lezioni sulla<br />

storia della filosofia, che anche i punti <strong>di</strong> un segmento costituiscono<br />

una totalità infinita in atto ( 80 ). Si <strong>di</strong>spone così <strong>di</strong> un punto <strong>di</strong> vista<br />

che unifica <strong>di</strong>versi aspetti della matematica: concetti geometrici<br />

quali i luoghi geometrici, algebrici, quali il concetto <strong>di</strong> numero<br />

razionale come collezione <strong>di</strong> infinite frazioni equivalenti, analitici,<br />

quali il concetto <strong>di</strong> funzione/relazione continua, esteso anche<br />

alle grandezze infinitesime (evanescenti).<br />

In questo modo Hegel si spinge molto più in là <strong>di</strong> quanto non<br />

avessero fatto altri filosofi e matematici nel riconoscere il ruolo<br />

svolto dall’infinito in atto in matematica. Resta però sempre ancorato<br />

alla convinzione che il concetto <strong>di</strong> vero infinito non sia suscettibile<br />

<strong>di</strong> formalizzazione. Questo fatto è dovuto probabilmente alla<br />

constatazione fatta da parte dei matematici, e con<strong>di</strong>visa da parte <strong>di</strong><br />

Hegel, che ampliando l’ambiente numerico con i “numeri infiniti”,<br />

ammissibili in una concezione attuale dell’infinito, si perdevano alcune<br />

proprietà delle operazioni con le grandezze numeriche, la<br />

qual cosa risultava <strong>di</strong>fficilmente comprensibile al mondo scientifico<br />

<strong>di</strong> quell’epoca. Hegel è portato a estendere la portata <strong>di</strong> questa<br />

circostanza legata alle <strong>di</strong>fficoltà algebriche del calcolo con i numeri<br />

infiniti, affermando che in generale il vero infinito non è formalizzabile;<br />

in questo modo però si presenta un momento aporetico della<br />

riflessione <strong>hegel</strong>iana sulla matematica, dal momento che egli<br />

stesso rappresenta l’infinito in atto con l’esempio geometrico spinoziano<br />

o con il concetto <strong>di</strong> funzione, quin<strong>di</strong> ricorrendo alla rappresentazione<br />

anche formale dell’infinito attuale.<br />

Risulta chiaro che, se da un lato è vero che Hegel tiene presente<br />

il pensiero <strong>di</strong> Aristotele nella sua concezione della cattiva<br />

( 80 ) VGPh III, 171-172.<br />

95


96<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

infinità modellata sullo schema della concezione potenziale dell’infinito,<br />

è però anche vero che egli va oltre Aristotele accettando<br />

anche una concezione attuale dell’infinito, per la quale aveva nell’età<br />

moderna gli esempi <strong>di</strong> Cavalieri, Spinoza, <strong>di</strong> Kant (tutto infinito),<br />

ed il concetto <strong>di</strong> funzione adoperato dai matematici (in<br />

modo particolare le definizioni <strong>di</strong> funzione proposte da Euler e<br />

da Lagrange). Una delle fonti della riflessione <strong>hegel</strong>iana sul vero<br />

infinito va però ricercata, a mio avviso, nella filosofia classica greca,<br />

nel Filebo platonico, in cui viene data una soluzione positiva<br />

all’opposizione tra i molti (gli infiniti molti) e l’uno.<br />

L’Enciclope<strong>di</strong>a del 1827 e quella del 1830 sviluppano nella<br />

Anmerkung al § 95 la riflessione sulla vera infinità con l’importantissimo<br />

riferimento al Filebo platonico. Hegel si sofferma sulla<br />

«nullità dell’antitesi intellettualistica <strong>di</strong> finito ed infinito» e osserva<br />

che a questo proposito «è da consultare utilmente il Filebo platonico»<br />

( 81 ). Il tema si trova trattato anche nelle Lezioni sulla storia<br />

della filosofia, nelle pagine de<strong>di</strong>cate appunto al Filebo ( 82 ). Platone<br />

aveva considerato in questo <strong>di</strong>alogo i quattro sommi generi dell’essere:<br />

l’in(de)finito, il limite, il genere misto e la causa (a[peiron, pevraı,<br />

miktovn, aijtiva). Con riferimento ai primi tre generi, il terzo genere, il<br />

misto, deriva dalla commistione <strong>di</strong> infinito e limite, ed è il genere<br />

che rende conto della possibilità <strong>degli</strong> esseri determinati ( 83 ). L’interpretazione<br />

<strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> questo passo del Filebo avviene nella<br />

sfera qualitativa, ma lo schema dei primi tre generi del Filebo verrà<br />

applicato anche a quella quantitativa (com’è del resto il caso<br />

del <strong>di</strong>alogo platonico). Osserviamo che l’a[peiron corrisponde all’essere<br />

della logica <strong>hegel</strong>iana nella sua indeterminatezza qualitativa,<br />

( 81 ) Enz. B, § 95 An.; Enz. C, § 95 An. A questo riguardo mi sia concesso <strong>di</strong><br />

rinviare a MORETTO, Questioni <strong>di</strong> filosofia della matematica nella “Scienza della logica”<br />

<strong>di</strong> Hegel, cit., 23-29.<br />

( 82 ) VGPh II, 77-79.<br />

( 83 ) Phileb. 23 c -27 d.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

quin<strong>di</strong> alla “infinità negativa”, il pevraı alla categoria del limite,<br />

quin<strong>di</strong> alla finitezza. Il genere misto (miktovn) alla vera infinità, intesa<br />

come un’unione <strong>di</strong> finitezza ed infinitezza. Hegel fa suo il punto<br />

<strong>di</strong> vista platonico ( 84 ); trova però terminologicamente inadeguato il<br />

termine greco miktovn per in<strong>di</strong>care la vera unione <strong>di</strong> finito ed infinito,<br />

poiché esso non rende conto della “<strong>di</strong>aletticità” con cui si configura<br />

tale unione. Si deve infatti esser cauti nel parlare <strong>di</strong> unità <strong>di</strong> finito<br />

ed infinito, osserva Hegel, poiché non si tratta né <strong>di</strong> un’unione<br />

estrinseca dei due, né <strong>di</strong> una finitizzazione dell’infinito. La vera infinità<br />

consiste invece, per ognuno dei due, il finito e l’infinito, nel<br />

«riferimento a se stesso, nel trapasso e nell’altro» ( 85 ).<br />

Per ciò che riguarda poi il rapporto tra continuo e <strong>di</strong>screto -<br />

vero e proprio Leitmotiv della quantità, del quanto e della misura<br />

- Hegel pensava verosimilmente che con la vera infinità del quanto<br />

si realizzasse a livello del quanto la sintesi <strong>di</strong> continuità e <strong>di</strong>screzione,<br />

come si può evincere dalle considerazioni della Scienza<br />

della logica sull’esempio <strong>di</strong> Spinoza, le quali riguardano la nozione<br />

<strong>di</strong> uno spazio finito, “esaurito” dalla totalità attualmente infinita<br />

dei segmenti che sod<strong>di</strong>sfano alla con<strong>di</strong>zione richiesta: «nello spazio<br />

dell’esempio l’infinito non sta al <strong>di</strong> là, ma è presente e compiuto;<br />

questo spazio è uno spazio limitato ma infinito ‘perché la<br />

natura della cosa supera ogni determinatezza’» ( 86 ). Anche se è<br />

vero che la strada percorsa dall’analisi matematica classica per la<br />

definizione della continuità numerica ricorre all’infinito in atto,<br />

non è vero che una totalità infinita in atto densa, continua in senso<br />

aristotelico-kantiano, sia per ciò stesso una totalità continua,<br />

( 84 ) Sull’importanza del Filebo per la proposta <strong>hegel</strong>iana delle categorie<br />

dell’essere nella Logica <strong>di</strong> Jena, cfr. ROSENKRANZ, Georg Wilhelm Friedrich Hegels<br />

Leben, Darmstadt 1972 (rist. anast. dell’ed. Berlin 1844), 105; trad. it. Vita <strong>di</strong> Hegel,<br />

introd., trad. e note a cura <strong>di</strong> R. Bodei, Milano 1974, 125.<br />

( 85 ) Cfr. Enz. B, § 95; Enz. C, § 95.<br />

( 86 ) WdL III, 248 (276); cfr. WdL I, 162.<br />

97


98<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

vale a <strong>di</strong>re priva <strong>di</strong> lacune ( 87 ). In effetti se si considerano i punti <strong>di</strong><br />

un intervallo [a,b] con ascissa razionale, essi costituiscono una totalità<br />

infinita in atto densa, ma non continua. Per avere la continuità<br />

in un insieme or<strong>di</strong>nato e denso è necessario formulare anche un<br />

assioma specifico <strong>di</strong> continuità (ad es. nella forma <strong>di</strong> Dedekind o <strong>di</strong><br />

Cantor).<br />

13. Conclusione — Da quanto è stato esposto emerge, a mio<br />

avviso, il fatto che Hegel de<strong>di</strong>ca grande attenzione al punto <strong>di</strong> vista<br />

<strong>di</strong> Aristotele sull’infinito e sul continuo, e in questo senso sono<br />

già stati segnalati alcuni aspetti <strong>di</strong> tale attenzione. Passando ad una<br />

considerazione più ampia, mi pare si possa affermare che le concezioni<br />

dell’infinito e del continuo <strong>di</strong> Aristotele sono per Hegel adeguate<br />

al modo <strong>di</strong> procedere della matematica come scienza rigorosa<br />

dell’intelletto.<br />

In effetti la concezione <strong>hegel</strong>iana della cattiva infinità corrisponde<br />

alla concezione aristotelica dell’infinito in potenza. La negazione<br />

della possibilità dell’infinito attuale («infinitum actu non<br />

datur») e la corrispondente scelta dell’infinito potenziale caratterizzano<br />

gran parte della matematica non solo antica, ma anche moderna<br />

e contemporanea. Le concezioni del calcolo infinitesimale<br />

nell’era moderna che venivano considerate rigorose adottavano<br />

questo punto <strong>di</strong> vista sull’infinito, e la stessa Théorie des fonctions<br />

analytiques <strong>di</strong> Lagrange volendo proporre un livello <strong>di</strong> rigore pari a<br />

quello <strong>degli</strong> antichi si ispirava nei problemi <strong>di</strong> integrazione al metodo<br />

<strong>di</strong> esaustione <strong>degli</strong> antichi, che esclude l’infinito attuale. Di<br />

questo fatto tiene conto lo stesso Hegel, che ritiene che in questo<br />

( 87 ) Sugli insiemi continui si veda, ad es., I. BARSOTTI, Appunti <strong>di</strong> algebra,<br />

Bologna 1968, 15-18. Naturalmente Hegel non conosce la <strong>di</strong>stinzione tra numeri<br />

infiniti car<strong>di</strong>nali ed or<strong>di</strong>nali, né conosce la <strong>di</strong>stinzione tra le car<strong>di</strong>nalità numerabili<br />

e quelle continue, concetti per i quali siamo debitori all’opera <strong>di</strong> Georg Cantor.


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

modo si possa fondare una matematica del calcolo infinitesimale<br />

rigorosa, adeguata al suo standard <strong>di</strong> scienza dell’intelletto ( 88 ): una<br />

scienza delle determinazioni finite, che accoglie l’infinito solo sotto<br />

l’aspetto potenziale, conformemente alla lezione <strong>di</strong> Aristotele.<br />

Ma proprio la matematica dell’era moderna aveva riabilitato<br />

il concetto <strong>di</strong> infinito attuale con la speculazione <strong>di</strong> Galilei e <strong>di</strong> Cavalieri<br />

sugli in<strong>di</strong>visibili come componenti del continuo, in cui si<br />

considera il continuo come composto dai suoi infiniti in<strong>di</strong>visibili<br />

(Galilei) e si stabiliscono confronti tra i continui ponendo in corrispondenza<br />

biunivoca i loro in<strong>di</strong>visibili (Galilei, Cavalieri). Oltre a<br />

questo la matematica moderna aveva elaborato il concetto <strong>di</strong> funzione<br />

- relazione, in cui si ricorre a domini infiniti <strong>di</strong> enti che possono<br />

essere considerati anche da un punto <strong>di</strong> vista attuale.<br />

Hegel trova che con queste proposte i matematici abbiano intuito<br />

la possibilità <strong>di</strong> un concetto <strong>di</strong> vera infinità, che assorbe in sé<br />

la coppia <strong>di</strong> concetti dell’infinito potenziale e del limite. In questo<br />

modo egli stabilisce una corrispondenza tra l’esempio <strong>di</strong> infinitum<br />

actu proposto da Spinoza nell’Epistola XII e il concetto <strong>di</strong> funzione.<br />

Hegel aveva trovato un esempio <strong>di</strong> questo superamento della<br />

<strong>di</strong>cotomia finito-infinito nella concezione del genere misto del<br />

Filebo platonico, e il fatto che questa considerazione della Logica<br />

<strong>hegel</strong>iana si svolga nell’ambito della qualità e non della quantità,<br />

non inficia a mio avviso la portata della considerazione <strong>di</strong> Hegel,<br />

sia perché la matematica abbisogna <strong>di</strong> entrambe queste categorie,<br />

sia perché le considerazioni relazionali coinvolte dagli esempi matematici<br />

appartengono più a una matematica qualitativa che ad<br />

una quantitativa.<br />

Per ciò che riguarda il problema del continuo, Hegel annette<br />

grande importanza alla caratterizzazione aristotelica della conti-<br />

( 88 ) A questo proposito mi sia concesso rinviare a A. MORETTO, Hegel on<br />

Greek Mathematics and Modern Calculus, in Hegel and Newtonianism, ed. by M.J.<br />

Petry, Dordrecht 1993, 149-165.<br />

99


100<br />

HEGEL E ARISTOTELE<br />

nuità come <strong>di</strong>visibilità all’infinito <strong>di</strong> ciò che è esteso, in modo <strong>di</strong> ottenere<br />

grandezze piccole a piacere. La concezione aristotelica origina<br />

una situazione asimmetrica nel rapporto tra i continui e gli in<strong>di</strong>visibili<br />

inestesi <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensione imme<strong>di</strong>atamente inferiore che sono<br />

contenuti in essi (ad esempio, nel caso del segmento, i suoi estremi<br />

e l’infinità <strong>di</strong> punti che possono essere generati me<strong>di</strong>ante <strong>di</strong>visioni<br />

del segmento). Infatti, mentre è vero che se è dato il continuo, allora<br />

si possono ottenere in potenza gli infiniti punti <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>visione<br />

del continuo, a partire da una concezione potenziale dell’infinità<br />

dei punti non si può comporre il continuo.<br />

Stando alle in<strong>di</strong>cazioni della Scienza della logica sembra che<br />

Hegel ritenesse che con il concetto <strong>di</strong> vera infinità della moltitu<strong>di</strong>ne<br />

si potesse superare questa asimmetria e ricomporre il continuo<br />

come una infinità attuale <strong>di</strong> in<strong>di</strong>visibili, che sod<strong>di</strong>sfano alla concezione<br />

aristotelica della continuità. Pertanto anche in questo caso il<br />

superamento della concezione aristotelica comporta il passaggio<br />

dalla sfera dell’intelletto a quella della ragione. La considerazione<br />

che si evince dal testo <strong>hegel</strong>iano è interessante: nell’intero (continuo)<br />

sono contenuti in potenza infiniti elementi (punti). Se li consideriamo<br />

tutti in tutti i mo<strong>di</strong> che si possono dare, secondo un punto<br />

<strong>di</strong> vista attuale (secondo il vero infinito) si riottiene il continuo. Il<br />

logos zenoniano della <strong>di</strong>cotomia rivela però una conseguenza inattesa<br />

dopo tanti successi della matematica antica e moderna: dal <strong>di</strong>screto<br />

non si può ottenere il continuo privo <strong>di</strong> lacune, se si <strong>di</strong>spone<br />

<strong>di</strong> moltitu<strong>di</strong>ni infinite in cui valga la con<strong>di</strong>zione aristotelicokantiana<br />

<strong>di</strong> continuità “debole”.<br />

In effetti una soluzione al problema del conseguimento del<br />

continuo a partire dal <strong>di</strong>screto viene trovata solo nella seconda<br />

metà dell’Ottocento, in modo particolare con i contributi <strong>di</strong> R.<br />

Dedekind e G. Cantor. Dedekind propone il seguente principio<br />

(Stetigkeit und irrationale Zahlen (1872): se si <strong>di</strong>vidono i punti della<br />

retta in due classi, tali che ciascun punto della prima classe sia alla<br />

sinistra <strong>di</strong> ciascun punto della seconda classe, esiste uno ed un solo


A. MORETTO - Sul problema della considerazione matematica ...<br />

101<br />

punto che produce questo taglio (sezione, Schnitt) della retta in due<br />

parti. Nella formulazione <strong>di</strong> G. Cantor (1872) il principio <strong>di</strong> continuità<br />

stabilisce che non solo ad ogni punto P <strong>di</strong> una retta orientata<br />

r corrisponda uno ed un sol numero a, l’ascissa <strong>di</strong> P, uguale al rapporto<br />

con segno del segmento orientato OP con un segmento u<br />

unità <strong>di</strong> misura (numero razionale o irrazionale a seconda che i<br />

segmenti siano commensurabili o incommensurabili), ma che anche,<br />

viceversa, ad ogni numero a, razionale o irrazionale, corrisponda<br />

uno ed un sol punto P sulla retta ( 89 ). In questo modo si ottiene<br />

un concetto <strong>di</strong> continuità più “forte” <strong>di</strong> quello aristotelicokantiano,<br />

che non è in grado <strong>di</strong> assicurare l’assenza <strong>di</strong> lacune.<br />

Ma sia per Aristotele, sia per Hegel non è possibile con<strong>di</strong>zionare<br />

i giu<strong>di</strong>zi sulla loro ricerca con i risultati che sono venuti in<br />

séguito. Piuttosto è il caso <strong>di</strong> riconoscere la grandezza della speculazione<br />

aristotelica sull’infinito e sul continuo, in cui si affrontano<br />

problemi <strong>di</strong> convergenza e <strong>di</strong> <strong>di</strong>vergenza delle serie <strong>di</strong> grandezze,<br />

e si raccorda il concetto <strong>di</strong> continuo con quello <strong>di</strong> successione<br />

infinitesima, e <strong>di</strong> quella <strong>hegel</strong>iana che, tenendo conto <strong>di</strong> alcuni<br />

nuovi punti <strong>di</strong> vista della matematica moderna, rivaluta il concetto<br />

<strong>di</strong> infinito attuale.<br />

( 89 ) Si veda J.W.R. DEDEKIND, Stetigkeit und irrationalen Zahlen, in Gesammelte<br />

mathematische Werke, III, Braunschweig: Vieweg & Sohn, 1932, § 3; G.<br />

CANTOR, Über <strong>di</strong>e Ausdehnung eines Satzes aus der Theorie der trigonometrischen<br />

Reihen, in Gesammelte Abhandlungen, cit., 96-97.


PAOLO ZIZI<br />

IL CONCETTO METAFISICO DI “INTERO”<br />

IN ARISTOTELE E IN HEGEL<br />

Hegel ha ravvisato nella metafisica <strong>di</strong> Aristotele lo stesso tipo<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso che egli stesso aveva sviluppato nella propria logica<br />

non formale, ma materiale, cioè esprimente la struttura stessa della<br />

realtà. Nella sua interpretazione <strong>di</strong> Aristotele proposta nelle Lezioni<br />

sulla storia della filosofia ( 1 ), Hegel collocò la metafisica prima della<br />

fisica. Ma per Aristotele è fuori dubbio che la fisica deve precedere<br />

la metafisica, perché la fisica è la conoscenza dei principi e delle<br />

cause prime (cioè epistéme) della natura, vale a <strong>di</strong>re <strong>di</strong> quella realtà<br />

che per prima si presenta alla nostra indagine e che è più nota “per<br />

noi”. Solo dopo aver portato a termine la fisica e aver scoperto, attraverso<br />

la fisica stessa, l’esistenza <strong>di</strong> una realtà <strong>di</strong>versa dalla natura,<br />

Aristotele ha ammesso una scienza de<strong>di</strong>cata allo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> questa<br />

nuova realtà, cioè la metafisica ( 2 ).<br />

«Nelle tranquille regioni del pensiero che è giunto a se stesso,<br />

ed è soltanto in sé, tacciono gli interessi che muovono la vita dei<br />

popoli e <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui. “Da tanti lati — <strong>di</strong>ce Aristotele [in Metaph.,<br />

I 2, 982 b 19 ss.]... — la natura dell’uomo è <strong>di</strong>pendente; ma<br />

questa scienza che non viene cercata per un vantaggio, è, sola, la<br />

( 1 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, tr. <strong>di</strong> E. Co<strong>di</strong>gnola e G.<br />

Sanna, II, La Nuova Italia, Firenze 1967, pp. 296 ss.<br />

( 2 ) E. BERTI, Le ragioni <strong>di</strong> Aristotele, Laterza, Roma-Bari 1989, pp. 44 s.


104 HEGEL E ARISTOTELE<br />

scienza libera in sé e per sé, che perciò non sembra essere un possesso<br />

umano”» ( 3 ). Metafisica è quin<strong>di</strong> ‘filosofia’ in quanto in<strong>di</strong>viduazione<br />

delle proprietà e dei significati <strong>di</strong> ciò che costituisce l’oggetto<br />

<strong>di</strong> tale <strong>di</strong>sciplina, cioè to on he on; «c’è una scienza che considera<br />

l’essere in quanto essere e le proprietà che gli competono in<br />

quanto tale» ( 4 ). L’“essere in quanto essere” richiama uno <strong>degli</strong> assiomi<br />

che Hegel riprende proprio dallo Stagirita: «l’intero è per natura<br />

prima delle parti» ( 5 ). Non solo, ma questo passo della Metafisica<br />

evidenzia la considerazione dell’ente in quanto tale, ponendo<br />

la <strong>di</strong>fferenza tra questa scienza e le altre; questa scienza non si limita<br />

ad una o più determinazioni dell’ente considerato, ma assume<br />

quell’ente nella sua interezza, cioè in quanto esso “è”: appunto l’intero<br />

( 6 ). Aristotele si riferisce anche alla sapienza (sophìa), la quale è<br />

detta dallo Stagirita anche theorìa perì tes alethéias, scienza della verità<br />

dell’intero. Anche per Hegel non vi è esperienza fuori dell’universale,<br />

ovvero dell’intero: «la filosofia è essenzialmente nell’elemento<br />

dell’universalità, la quale include in sé il particolare» ( 7 ). La<br />

filosofia tematizza ciò che è primo e originario; l’intero è il tema<br />

per eccellenza della filosofia ( 8 ).<br />

( 3 ) G.W.F. HEGEL, Scienza della logica, tr. <strong>di</strong> A. Moni, Laterza, Roma-Bari<br />

1981, pp. 13 s.<br />

( 4 ) ARISTOTELE, Metaph., IV 1, 1003 a 20 s.; tr. <strong>di</strong> G. Reale, Vita e Pensiero,<br />

Milano 1993, II, p. 131.<br />

( 5 ) G.W.F. HEGEL, <strong>Filosofia</strong> dello spirito jenese, tr. <strong>di</strong> G. Cantillo, Laterza,<br />

Roma-Bari 1984, p. 144 e n. 187. Nella <strong>di</strong>scussione sulla mia relazione, Renato<br />

Milan ha opportunamente ricordato che l’ispirazione aristotelica della nozione<br />

<strong>hegel</strong>iana dell’intero risulta già dal francofortese Frammento <strong>di</strong> sistema, me<strong>di</strong>ante il<br />

concetto <strong>di</strong> ‘vivente’.<br />

( 6 ) G. R. BACCHIN, Originarietà e me<strong>di</strong>azione nel <strong>di</strong>scorso metafisico, Jan<strong>di</strong><br />

Sapi, Perugia 1963, pp. 40 ss.<br />

( 7 ) G.W.F. HEGEL, Fenomenologia dello spirito, tr. <strong>di</strong> E. De Negri, La Nuova<br />

Italia, Firenze 1979, I, p. 1.<br />

( 8 ) Ve<strong>di</strong> la n. 5.


P. ZIZI - Il concetto metafisico <strong>di</strong> “intero” in Aristotele e in Hegel<br />

105<br />

Inoltre Hegel, restaurando il concetto classico <strong>di</strong> filosofia, inizialmente<br />

si rifà al concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>alettica ‘negativa’ <strong>di</strong> Platone e <strong>di</strong><br />

Aristotele (presente soprattutto nei Topici). La <strong>di</strong>alettica viene impiegata<br />

nell’Introduzione alla Fenomenologia per designare il processo<br />

del sorgere <strong>di</strong> nuovi oggetti alla coscienza, il fare esperienza che<br />

è oggetto della scienza fenomenologica. Dall’inizio della sezione<br />

intitolata Ragione non si parla più (se non spora<strong>di</strong>camente) <strong>di</strong> <strong>di</strong>alettica,<br />

perché la coscienza ha cessato <strong>di</strong> esperire nuovi oggetti, ma<br />

è a se stessa il proprio contenuto ( 9 ). Com’è noto, l’accezione ‘positiva’<br />

della <strong>di</strong>alettica come automovimento dei concetti verrà sviluppata<br />

da Hegel nella Prefazione alla Fenomenologia e, poi, soprattutto<br />

nella Scienza della logica e nel sistema dell’Enciclope<strong>di</strong>a.<br />

Per Aristotele la <strong>di</strong>alettica è da un lato un’arte tesa al produrre<br />

(pòiesis), facoltà <strong>di</strong> argomentare, in grado <strong>di</strong> confutare katà to<br />

pragma, secondo la realtà, e cioè <strong>di</strong> smascherare, me<strong>di</strong>ante la critica,<br />

l’inconsistenza <strong>di</strong> ogni presunto sapere, ovvero <strong>di</strong> “annientare<br />

per uno scopo” non immanente, ma esterno. Si <strong>di</strong>fferenzia inoltre,<br />

sul piano dell’arte, dalla saggezza che, come praxis, ha il fine in se<br />

stessa, e, sul piano conoscitivo, dalla scienza, che è ghnoristiké, conoscitiva,<br />

e non semplicemente peirastiké, esaminativa, come la <strong>di</strong>alettica,<br />

che saggia la vali<strong>di</strong>tà delle argomentazioni ( 10 ).<br />

Un punto che accomuna la concezione <strong>hegel</strong>iana della <strong>di</strong>alettica<br />

(negativa) e quella <strong>di</strong> Aristotele riguarda precisamente gli<br />

éndoxa (ovvero gli argomenti o le premesse che sono in fama) ( 11 );<br />

la <strong>di</strong>alettica argomenta partendo non da qualsivoglia opinione, ma<br />

dalle opinioni più accre<strong>di</strong>tate, da quelle concrezioni storiche in cui<br />

si se<strong>di</strong>mentano le convinzioni <strong>degli</strong> uomini più sapienti e famosi o<br />

che raccolgono il consenso <strong>di</strong> larghi strati <strong>di</strong> opinione pubblica.<br />

( 9 ) F. CHIEREGHIN, Dialettica dell’assoluto e ontologia della soggettività in Hegel,<br />

Pubblicazioni <strong>di</strong> Verifiche, Trento 1980, p. 204.<br />

( 10 ) Ivi, pp. 204 s. Cfr. anche BERTI, Le ragioni <strong>di</strong> Aristotele, pp. 18 ss., 31 ss.<br />

( 11 ) ARISTOTELE, Top., I 1, 100 a 18-21; 100 b 21-23.


106 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Anche la <strong>di</strong>alettica (ovvero la logica) jenese ha i propri éndoxa cui<br />

applicarsi ( 12 ).<br />

Vi è però un elemento, nonostante le <strong>di</strong>fferenze, che collega<br />

fra loro <strong>di</strong>alettica e filosofia: «i <strong>di</strong>alettici <strong>di</strong>scutono <strong>di</strong> tutte le cose, e<br />

a tutte le cose è comune l’essere..., e <strong>di</strong>scutono <strong>di</strong> queste nozioni,<br />

evidentemente, perché esse sono effettivamente oggetto proprio<br />

della filosofia» ( 13 ). È chiaro come Hegel intenda quest’affermazione,<br />

quando sostiene che la logica espone «come un riflesso l’immagine<br />

dell’Assoluto» ( 14 ).<br />

In effetti, c’è una perfetta coincidenza, secondo Aristotele, tra<br />

la metafisica come scienza della totalità del reale, cioè dell’on he on<br />

(ontologia), e la metafisica come scienza delle cause e dei principi<br />

dell’essere (aitiologia) ( 15 ); e, si potrebbe <strong>di</strong>re, c’è coincidenza anche<br />

tra ontologia e teologia, o, meglio, l’ontologia è in funzione della<br />

teologia ( 16 ); l’intero viene spiegato dallo Stagirita me<strong>di</strong>ante una<br />

causa trascendente, l’Atto puro. All’inizio <strong>di</strong> Metaph., XII 1, egli afferma,<br />

infatti, che l’oggetto della sua indagine è la sostanza e che è<br />

delle sostanze che sta ricercando i principi e le cause ( 17 ). L’impiego<br />

<strong>hegel</strong>iano dell’affermazione <strong>di</strong> Metaph., IV 2, 1004 b 19-22 determina<br />

che la vera conoscenza, per lo Hegel jenese, si realizza nella metafisica,<br />

la quale espone la vera conoscenza dell’Assoluto. Ciò che è<br />

( 12 ) CHIEREGHIN, Dialettica dell’assoluto, pp. 205 s.<br />

( 13 ) ARISTOTELE, Metaph., IV 2, 1004 b 19-22; tr. Reale, II, p. 139.<br />

( 14 ) K. ROSENKRANZ, Vita <strong>di</strong> Hegel, tr. <strong>di</strong> R. Bodei, Vallecchi, Firenze 1966,<br />

p. 207. Cfr. CHIEREGHIN, Dialettica dell’assoluto, p. 206.<br />

( 15 ) ARISTOTELE, Metaph., IV 1 per totum. Cfr. REALE, in ARISTOTELE, Metafisica,<br />

cit., I, pp. 53 ss.<br />

( 16 ) Ivi, I, pp. 60 ss. Per una <strong>di</strong>versa presa <strong>di</strong> posizione al riguardo, che<br />

interpreta la lezione aristotelica come una “metafisica dell’incompiutezza”, cfr. P.<br />

AUBENQUE, Le problème de l’être chez Aristote, Presses Universitaires de France,<br />

Paris 1962, pp. 193 ss., e A. FERRARIN, Hegel interprete <strong>di</strong> Aristotele, ETS E<strong>di</strong>trice,<br />

Fisa 1990, p. 50.<br />

( 17 ) ARISTOTELE, Metaph., XII 1, 1069 a 18 s.


P. ZIZI - Il concetto metafisico <strong>di</strong> “intero” in Aristotele e in Hegel<br />

107<br />

comune ad entrambe, alla logica e alla metafisica jenesi, è l’orizzonte<br />

della totalità come possesso dell’intero ( 18 ), un orizzonte che<br />

ci circonda e si sposta sempre con noi, <strong>di</strong> modo che non riusciamo<br />

mai ad andare fuori, perché esso non è ‘definito’ (horizòmenon), ma,<br />

appunto, definiente, circoscrivente (horìzon).<br />

Sapere il tutto, ovvero l’intero, significa conoscere la ragione,<br />

il perché, la causa per cui il tutto è in un certo modo piuttosto che<br />

in un altro. Sapere il tutto è riconoscere <strong>di</strong> non conoscere ancora<br />

questa ragione e dunque non scambiare nessuna certezza particolare,<br />

nessuna conoscenza che già abbiamo, con quel sapere che cerchiamo.<br />

È necessario riconoscere che se la filosofia mette in questione<br />

tutto, essa non accetta nessuna stipulazione preliminare e<br />

quin<strong>di</strong>, come <strong>di</strong>chiara Hegel ( 19 ), non ha il vantaggio, <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>spongono<br />

le altre scienze, <strong>di</strong> poter presupporre qualcosa, come avviene<br />

per il proce<strong>di</strong>mento deduttivo della matematica. L’intero è regolato<br />

non da principi propri delle scienze, ma — sostiene Aristotele<br />

— da principi comuni a tutte; ovvero i principi devono riferirsi<br />

al tutto, cioè devono essere i principi comuni (trascendentali) a tutte<br />

le scienze: il principio <strong>di</strong> non contrad<strong>di</strong>zione e il principio del<br />

terzo escluso; essi non si riferiscono a, e da essi non si può dedurre<br />

alcunché <strong>di</strong> determinato, perché valgono per tutto e contengono<br />

tutto, o, meglio, sono coestensivi all’essere in quanto essere.<br />

Nello Hegel jenese la <strong>di</strong>alettica è in grado <strong>di</strong> me<strong>di</strong>are il passaggio<br />

dalla logica alla metafisica proprio perché ha la capacità<br />

peirastica <strong>di</strong> annientare tutti i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>fettivi <strong>di</strong> possedere la totalità<br />

( 20 ). Analogamente la <strong>di</strong>alettica aristotelica annienta tutti i tentativi<br />

<strong>di</strong> mettere in <strong>di</strong>scussione il principio essenziale dell’intero: il<br />

principio <strong>di</strong> non contrad<strong>di</strong>zione, giacché chi nega questo principio<br />

( 18 ) CHIEREGHIN, Dialettica dell’assoluto, p. 206.<br />

( 19 ) G.W.F. HEGEL, Enciclope<strong>di</strong>a delle scienze filosofiche in compen<strong>di</strong>o, tr. <strong>di</strong> V.<br />

Verra, I, Utet, Torino 1981, § 1, p.123.<br />

( 20 ) CHIEREGHIN, Dialettica dell’assoluto, p. 206.


108 HEGEL E ARISTOTELE<br />

deve negare anche l’ousìa, cioè, ad es., deve confutare che ci sia<br />

qualcosa come “l’essenza dell’uomo” ( 21 ). L’inizio o cominciamento<br />

del sapere coincide con l’esperienza filosofica che è il sapere <strong>di</strong> non<br />

sapere. Dire questo è <strong>di</strong>re che non vi è esperienza fuori dell’intero,<br />

ovvero dell’essere, che in Hegel è l’universale ( 22 ).<br />

La logica <strong>di</strong> Jena mostra come Hegel si collochi sulla linea<br />

della concezione strumentalistica della logica, che ha il suo capostipite<br />

in Aristotele stesso: nei Topici (I, 11) lo Stagirita <strong>di</strong>chiara che i<br />

problemi logici non sono <strong>di</strong>scussi per se stessi, ma in ragione della<br />

loro utilità in vista della conoscenza morale e speculativa; sono<br />

quin<strong>di</strong> strumenti grazie ai quali si opera mirando a realtà <strong>di</strong>verse e<br />

superiori ( 23 ). Ora per Aristotele conoscere la realtà tutta quanta<br />

vuol <strong>di</strong>re conoscerla alla luce dell’universale, e le cause e i principi<br />

sono gli universali supremi (ta màlista kathòlou) ( 24 ). La dottrina delle<br />

cause e dei principi primi ha per fondamento lo stu<strong>di</strong>o dell’essere<br />

in quanto essere, e questo stu<strong>di</strong>o ha per oggetto sia l’unità che<br />

sussiste quando i <strong>di</strong>versi significati <strong>di</strong> un termine si <strong>di</strong>cono tutti in<br />

riferimento ad un’unica natura, sia l’unità <strong>di</strong> consecuzione, quando<br />

i <strong>di</strong>versi termini costituiscono una serie in cui i termini anteriori<br />

sono la con<strong>di</strong>zione dei termini posteriori. La <strong>di</strong>fferenza essenziale<br />

tra Hegel e Aristotele è che, per quest’ultimo, il tutto è spiegato me<strong>di</strong>ante<br />

una causa che trascende l’intera serie dei particolari finiti.<br />

Per Hegel la vera forma della verità è il concetto; riguardo all’intero<br />

egli lo usa in due sensi: 1) il concetto come nozione iniziale<br />

dell’intero; 2) il concetto come sistema o compiutezza cui l’intero,<br />

<strong>di</strong>venendo, perviene; si ha così la scienza, ovvero il pensare l’intero<br />

o l’universale. L’incontrad<strong>di</strong>ttorietà dell’intero si afferma come non<br />

( 21 ) ARISTOTELE, Metaph., IV 4, 1007 a 20 ss.; 1006 a 31-34.<br />

( 22 ) HEGEL, Fenomenologia dello spirito, I, pp. 1 e 15.<br />

( 23 ) CHIEREGHIN, Dialettica dell’assoluto, p. 188.<br />

( 24 ) ARISTOTELE, Metaph., I 2, 982 a 24-25.


P. ZIZI - Il concetto metafisico <strong>di</strong> “intero” in Aristotele e in Hegel<br />

109<br />

identità con gli enti. Il concetto metafisico è la teoresi della non<br />

identità fra essere ed ente, tra intero e molteplice.<br />

Nella determinazione dell’intero è contenuta anche la <strong>di</strong>stinzione<br />

fra doxa e scienza. Aristotele, in An. post., I 33, 88 b 30-32, può<br />

<strong>di</strong>re che la scienza è <strong>di</strong> ciò che è secondo il tutto e in forza del necessario,<br />

e che ciò che può essere anche altrimenti non si costituisce<br />

come oggetto <strong>di</strong> scienza. Ora l’opinione potrebbe affermare che<br />

l’intero può non essere, intendendo <strong>di</strong>re che esso non esiste necessariamente.<br />

Aristotele potrebbe confutare l’obiezione in questi termini:<br />

l’affermazione che qualcosa non è necessario ha senso solo<br />

come affermazione che qualcosa è a certe con<strong>di</strong>zioni. Allora essere<br />

a certe con<strong>di</strong>zioni vuol <strong>di</strong>re non cogliere l’intero. In definitiva, la<br />

posizione genuinamente aristotelica, che, sino a un certo tratto,<br />

coincide con quella <strong>hegel</strong>iana, sembra essere la seguente: porre la<br />

domanda intorno all’intero, ovvero all’on, è domandare tutto, ma<br />

quel tutto <strong>di</strong> cui si domanda è il ‘problematizzare il tutto’ che è ‘un<br />

tutto domandare’. Ma domandare tutto è ammettere <strong>di</strong> sapere il<br />

tutto, ovvero — ripetiamolo — non scambiare nessuna certezza<br />

particolare, nessuna conoscenza che già abbiamo con quel sapere<br />

che cerchiamo ( 25 ).<br />

( 25 ) Sul concetto <strong>di</strong> filosofia (metafisica) classica come problematicità<br />

pura cfr. M. GENTILE, <strong>Filosofia</strong> e umanesimo, La Scuola, Brescia 1947.


RAIMONDO PORCHEDDU<br />

L’IDEA ARISTOTELICA DI NATURA<br />

NELL’INTERPRETAZIONE DI HEGEL<br />

L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> Aristotele ha la grandezza e la<br />

ruvidezza propria <strong>di</strong> una ricostruzione “<strong>di</strong>alettica” in cui la logica<br />

si coniuga con la cronologia e la speculazione con la filologia. Ispirandosi<br />

a una concezione che teorizza la coincidenza tra sviluppo<br />

storico e pensiero teoretico la storiografia <strong>hegel</strong>iana fa apparire tutto<br />

irresistibilmente orientato verso una meta finale. Hegel sa <strong>di</strong> essere<br />

il punto <strong>di</strong> arrivo e la recapitulatio <strong>di</strong> tutto lo sviluppo filosofico<br />

e può dal suo punto <strong>di</strong> osservazione rivolgere uno sguardo retrospettivo<br />

alle singole tappe per misurarne le vicinanze e le lontananze.<br />

Non c’è dubbio che questa ricognizione riesce a conferire un<br />

senso unitario al passato filosofico e una percezione che i conti tornino.<br />

La filosofia <strong>hegel</strong>iana appare la realizzazione <strong>di</strong> un finalismo,<br />

<strong>di</strong> un telos, presente nella filosofia fin dalle sue origini.<br />

È sempre importante <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> un preciso punto <strong>di</strong> vista<br />

con cui guardare le cose. Chi non <strong>di</strong>spone <strong>di</strong> un proprio contenuto<br />

spirituale denso e vivo non può vedere al <strong>di</strong> là della quoti<strong>di</strong>anità.<br />

Dalla grandezza del proprio sentire <strong>di</strong>pende anche la capacità<br />

<strong>di</strong> percepire le cose in modo non convenzionale, innovativo e<br />

originale.


112 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Perché questo avvenga la mente deve essere capace <strong>di</strong> riorganizzare<br />

tutto il suo campo percettivo e cognitivo secondo una totalità<br />

anticipatrice.<br />

Anche quando ci confrontiamo con gli antichi il metodo non<br />

è detto che possa bastare. Nella prospettiva classicistica e in quella<br />

storicistica con cui or<strong>di</strong>nariamente si guarda al pensiero antico,<br />

quando ci si affida unicamente al metodo si ottiene un approccio<br />

sterile. È quanto denuncia Enrico Berti in un suo intervento del<br />

1965 ( 1 ). Gli esiti possono essere o ripetizione pe<strong>di</strong>ssequa, o eru<strong>di</strong>zione<br />

archeologica, o ricostruzione <strong>di</strong> una filosofia che non ha nulla<br />

da <strong>di</strong>re all’uomo d’oggi.<br />

A superamento della prospettiva storicistica Berti suggerisce<br />

una prospettiva terminologicamente non nuova, ma rinnovabile<br />

nel concetto: quella umanistica. Secondo Berti può essere in<strong>di</strong>cativo<br />

in questa <strong>di</strong>rezione l’umanesimo <strong>di</strong> Jaeger e Stenzel, ma con la<br />

riserva che «è stato troppo filologico e poco filosofico» ( 2 ). Berti<br />

pensa ad un umanesimo che sappia «trarre dalla filosofia antica,<br />

pur nella persuasione della sua classicità, precise in<strong>di</strong>cazioni teoretiche»<br />

( 3 ).<br />

Come si colloca Hegel rispetto a questa prospettiva? Per Berti<br />

non può essere un modello da seguire ( 4 ), ed è un punto <strong>di</strong> vista<br />

che merita <strong>di</strong> essere <strong>di</strong>scusso. In prima approssimazione mi sembra<br />

<strong>di</strong> poter affermare che l’unico approccio creativamente umanistico<br />

al pensiero antico poteva essere per Hegel quello che effettivamente<br />

ha realizzato.<br />

Per quanto riguarda Aristotele è sotto gli occhi <strong>di</strong> tutti che è<br />

stato un approccio fecondo e innovativo come solo un vero umane-<br />

( 1 ) Ristampato in E. BERTI, Stu<strong>di</strong> aristotelici, L’Aquila 1975, p. 30.<br />

( 2 ) Ivi, p. 31.<br />

( 3 ) Ivi.<br />

( 4 ) Ivi, p. 29.


R. PORCHEDDU - L’ idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

113<br />

simo poteva render possibile, Quello <strong>di</strong> Hegel è stato un ricongiungersi<br />

con la filosofia <strong>di</strong> Aristotele come se fosse il passato ontologico<br />

della propria filosofia. È vero, come rileva Berti, che Hegel guarda<br />

in generale al pensiero antico come ad una metafisica ingenua<br />

priva <strong>di</strong> quella che costituisce la superiorità del pensiero moderno:<br />

la coscienza della <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> soggettivo ed oggettivo ( 5 ). Questo<br />

non impe<strong>di</strong>sce però ad Hegel <strong>di</strong> vedere nella filosofia aristotelica<br />

una sorta <strong>di</strong> prefigurazione della propria filosofia. La filosofia aristotelica<br />

che Hegel ricostruisce è tutt’altro che povera e astratta.<br />

Quello che emerge è un Aristotele nuovo e ine<strong>di</strong>to, non più quello<br />

empirista della tra<strong>di</strong>zione. L’Aristotele <strong>di</strong> Hegel non è più l’anti-<br />

Platone; al contrario è quello che «esprime la filosofia nel senso <strong>di</strong><br />

Platone, ma approfondendola e ampliandola e quin<strong>di</strong> facendola<br />

progre<strong>di</strong>re» ( 6 ). «Di fatto» — aggiunge — «Aristotele ha superato<br />

per profon<strong>di</strong>tà speculativa Platone, giacché conobbe la più profonda<br />

delle speculazioni, l’idealismo, e vi si attenne, nonostante la<br />

parte amplissima concessa all’empirismo» ( 7 ).<br />

Pur avendo riconosciuto altrove ampi meriti a Platone, Hegel<br />

sembra identificarsi meglio in Aristotele, tanto da considerarlo<br />

traducibile nei termini della propria filosofia ( 8 ).<br />

Non è chiaro in che misura questo genere <strong>di</strong> umanesimo abbia<br />

potuto far emergere l’elemento originario del pensiero antico.<br />

Per la prospettiva stessa in cui Hegel si collocava, <strong>di</strong> sentirsi il frutto<br />

maturo <strong>di</strong> tutto lo sviluppo filosofico, era inevitabile che il “rico-<br />

278.<br />

( 5 ) Ivi.<br />

( 6 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni <strong>di</strong> storia della filosofia, trad. it., Firenze 1973, II, p.<br />

( 7 ) Ivi, p. 277.<br />

( 8 ) Sul confronto Platone-Aristotele però Gadamer avverte: «Non ci si deve<br />

lasciare trarre in inganno dal fatto che Hegel riconosce in Aristotele più profonde<br />

verità speculative... In ogni caso Hegel non ha visto il vero e proprio prototipo del<br />

concetto della <strong>di</strong>mostrazione filosofica in Aristotele, ma nella <strong>di</strong>alettica eleatica e<br />

platonica» (H.G. GADAMER, La <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong> Hegel, trad. it., Torino 1973, p. 11).


114 HEGEL E ARISTOTELE<br />

noscere” prevalesse sul semplice “conoscere” ( 9 ). Ma era questo<br />

l’unico possibile umanesimo per Hegel. La riscoperta del pensiero<br />

antico poteva avvenire per Hegel a con<strong>di</strong>zione che muovesse dal<br />

proprio mondo e dal proprio orizzonte romantico-idealistico.<br />

Per noi la prospettiva umanistica deve per la stessa ragione<br />

cambiare. Il nostro mondo e il nostro orizzonte culturale è profondamente<br />

mutato rispetto a quello <strong>di</strong> Hegel. Già l’idea <strong>di</strong> poter trarre<br />

in<strong>di</strong>cazioni teoretiche profonde anche per i nostri giorni è<br />

pensabile solo a partire da questo contesto.<br />

Considerato tutto ciò, che significa ritornare ad Aristotele<br />

dopo Hegel? Dopo Hegel il nostro sentimento delle cose è mutato.<br />

Non possiamo più riconoscerci nel suo idealismo, anche se non<br />

può non essere nelle aspirazioni <strong>di</strong> tutti ristabilire la totalità del sapere<br />

su nuove basi, posto che sia ancora possibile. Non sarebbero<br />

sufficienti peraltro dei piccoli aggiustamenti. Dopo Schopenhauer<br />

e Kierkegaard, Marx e Freud, Nietzsche ed Heidegger, per citare<br />

solo alcuni gran<strong>di</strong>, la filosofia è profondamente cambiata. Sono<br />

istanze a cui il sistema <strong>hegel</strong>iano <strong>di</strong>fficilmente può ancora rispondere.<br />

La filosofia <strong>di</strong> Hegel può però costituire un or<strong>di</strong>to razionale<br />

che possa dare coerenza a quelle istanze. Questa possibilità esiste<br />

se si considera che un po’ tutti i filosofi contemporanei in una forma<br />

o nell’altra si preoccupano <strong>di</strong> fare i loro conti con Hegel ( 10 ).<br />

Tutto questo fa pensare che al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> una produzione filosofica fatta<br />

in larga misura <strong>di</strong> aforismi, <strong>di</strong> metafore e <strong>di</strong> un linguaggio poeticamente<br />

allusivo, tanto da farla apparire più una letteratura che<br />

una scienza, si senta ancora l’esigenza <strong>di</strong> ripristinare una coerenza<br />

razionale che metta fine alla confusione delle lingue e ristabilisca la<br />

comunicazione filosofica.<br />

( 9 ) Questo può chiarire la particolarità <strong>di</strong> una interpretazione (come quella<br />

<strong>hegel</strong>iana) «oltre Aristotele» (ve<strong>di</strong> L. SAMONÀ, Dialettica e metafisica. Prospettiva su<br />

Hegel e Aristotele, Palermo 1988, p. 18), dove le analisi non sono immuni da<br />

«forzature» e da «violenze interpretative» nonostante il proposito <strong>di</strong> «rispettare le<br />

<strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> tempi, <strong>di</strong> cultura, <strong>di</strong> filosofia» (ivi).<br />

( 10 ) Su questo tema ve<strong>di</strong> A. NEGRI, Hegel nel Novecento, Roma-Bari 1987.


R. PORCHEDDU - L’ idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

115<br />

Se la filosofia attualmente si trova in questo estremo stato <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>spersione e <strong>di</strong> frammentazione, quale è stata la sua colpa <strong>di</strong> origine?<br />

Ritornare ad Aristotele dopo Hegel può avere il significato <strong>di</strong><br />

un “ricominciare da capo”, <strong>di</strong> un ritorno alle origini. Un ritorno ad<br />

Aristotele non può avvenire senza che si passi attraverso il suo rapporto<br />

con Hegel. Umanesimo per noi ora significa ristabilire tra i<br />

due l’alterità ripristinando la giusta prospettiva storico-filologica.<br />

Può Aristotele sopravvivere al destino della filosofia <strong>hegel</strong>iana?<br />

Credo che un confronto sul concetto <strong>di</strong> natura possa essere particolarmente<br />

significativo per ristabilire le <strong>di</strong>fferenze e per consentire<br />

una nuova riappropriazione <strong>di</strong> Aristotele.<br />

Nel secondo libro della Fisica Aristotele chiarisce in una fitta<br />

sequenza <strong>di</strong> concetti che cosa intende per natura. Leggiamo così<br />

che «sono per natura» tutte quelle cose che hanno in se stesse il<br />

principio del movimento e della quiete ( 11 ). Ne consegue che «la<br />

natura è principio e causa <strong>di</strong> movimento e <strong>di</strong> quiete» ( 12 ). E poiché<br />

vi è un fine del movimento stesso, la natura è fine e causa finale<br />

( 13 ). «Sono secondo natura», pertanto, «tutte quelle cose che,<br />

mosse continuamente da un principio a loro immanente, giungono<br />

ad un fine» ( 14 ).<br />

Hegel sottolinea soprattutto questo agire proprio della natura<br />

in vista <strong>di</strong> un fine rilevando che per Aristotele «ciò che più importa<br />

è determinare il fine come interiore determinazione della<br />

stessa cosa naturale» ( 15 ). Questo, secondo Hegel, l’aspetto che <strong>di</strong>vide<br />

Aristotele dai moderni per i quali la fisica è <strong>di</strong>venuta una semplice<br />

scienza descrittiva da cui è esclusa ogni considerazione meta-<br />

( 11 ) Phys., 192 B 13-14.<br />

( 12 ) Ivi, 192 B 20-22.<br />

( 13 ) Ivi, 194 A 28-30.<br />

( 14 ) Ivi, 199 B 15-17. Cfr. la trad. <strong>di</strong> A. Russo, Roma-Bari 1983.<br />

( 15 ) Lezioni <strong>di</strong> storia della filosofia, cit., p. 318.


116 HEGEL E ARISTOTELE<br />

fisica ( 16 ). Le pagine <strong>di</strong> Hegel qui sembrano fare da contrappunto<br />

alla polemica antimeccanicistica e antievoluzionistica che leggiamo<br />

nella Fisica ( 17 ). «Nella natura» — scrive Hegel — «or<strong>di</strong>nariamente<br />

si pensa alla necessità e si considera essenzialmente come naturale<br />

ciò che non è determinato dal fine. Da molto tempo si è creduto <strong>di</strong><br />

avere così determinato la natura filosoficamente e veracemente limitandola<br />

alla necessità» ( 18 ). Non meno chiara è la presa <strong>di</strong> posizione<br />

contro l’in<strong>di</strong>rizzo evoluzionistico della scienza e della filosofia<br />

moderna. Hegel registra quasi con sorpresa che nella contemporanea<br />

filosofia della natura» abbia fatto la sua comparsa «l’espressione<br />

sorgere (uno svolgersi scevro <strong>di</strong> pensiero)» secondo «una rappresentazione<br />

... della natura» che procede per «tentativi», tra i quali<br />

sopravvivono quelli che si mostrano rispondenti a un fine ( 19 ).<br />

La sua replica suona come una parafrasi al testo <strong>di</strong> Aristotele:<br />

«la natura, in quanto entelechìa, è ciò che genera se stessa» ( 20 ). «Natura<br />

significa appunto che una cosa <strong>di</strong>viene ciò che era già in lei sin<br />

da principio. È questa interna universalità e finalità che si realizza;<br />

sicché causa ed effetto sono identici, in quanto tutti i singoli membri<br />

sono relativi all’unità del fine» ( 21 ).<br />

La concezione «della finalità interna e immanente» propria<br />

della natura aristotelica non ha avuto una importanza qualsiasi<br />

nello sviluppo della filosofia <strong>hegel</strong>iana, ma è stata <strong>di</strong> grande<br />

rilevanza, se non proprio determinante ( 22 ). La sua portata può es-<br />

( 16 ) Ivi, p. 317. Hegel qui non tiene conto del punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Leibniz sul<br />

finalismo (cfr. G. W. LEIBNIZ, Discorso <strong>di</strong> Metafisica, in Scritti filosofici, trad. it., Torino<br />

1988, pp. 73, 74, 86).<br />

( 17 ) Phys., 195 B 35 ss. con probabile riferimento all’atomismo; 196 A 24 ss.<br />

( 18 ) Lezioni, cit., p. 319.<br />

( 19 ) Ivi, p. 320.<br />

( 20 ) Ivi.<br />

( 21 ) Ivi, p. 321.<br />

( 22 ) Cfr. Fenomenologia dello spirito, trad. it., Firenze l970, I, p. 17.


R. PORCHEDDU - L’ idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

117<br />

sere misurata in riferimento allo spinozismo vissuto da Hegel inizialmente<br />

e con<strong>di</strong>viso con altri esponenti della cultura romantica.<br />

La successiva presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza da Spinoza dovette passare attraverso<br />

la riscoperta della teleologia aristotelica. Fu questo elemento<br />

che dovette decidere in ultima istanza tra Spinoza e Aristotele, e<br />

non solo per Hegel ( 23 ). Hegel sembra alludere a questa svolta sua<br />

e dei suoi contemporanei in un breve passaggio: «che i tempi più<br />

recenti» — scrive — «siano <strong>di</strong> nuovo ricorsi al razionale su questo<br />

punto, è puramente una conferma della fondatezza dell’idea<br />

aristotelica» ( 24 ). Hegel <strong>di</strong>ce: «<strong>di</strong> nuovo», dopo aver riconosciuto<br />

che già prima il solo Kant, tra i moderni, aveva colto il finalismo<br />

limitatamente al mondo organico ( 25 ).<br />

Per la finalità interna Hegel intende la natura aristotelica<br />

«come vita, cioè come tale che è scopo in sé e unità con sé, non trapassa<br />

in altro, ma grazie a questo principio dell’attività determina i<br />

mutamenti conforme al suo particolare contenuto e così si conserva<br />

in essi» ( 26 ).<br />

La vita si estende per Hegel quanto la natura, giacché tutta la<br />

natura gli appare dominata da una stessa finalità interna. Ma ora<br />

Hegel reinterpreta questa finalità secondo l’apparato <strong>di</strong>alettico della<br />

sua filosofia. La natura, come il vivente, è per Hegel «l’idea che<br />

realizza se stessa» ( 27 ). Fin dalle prime battute si avverte questo<br />

tentativo <strong>hegel</strong>iano <strong>di</strong> tradurre la fisica aristotelica nei termini della<br />

propria filosofia attraverso l’identificazione successiva <strong>di</strong> Natura-<br />

Vita-Idea.<br />

( 23 ) Sul rapporto Hegel-Spinoza cfr. A. FERRARIN, Hegel interprete <strong>di</strong> Aristotele,<br />

Pisa 1990, p. 219. Sull’antifinalismo <strong>di</strong> Spinoza cfr. M. MESSERI, L’Epistemologia<br />

<strong>di</strong> Spinoza, Milano 1990, pp. 171 ss. Sul rapporto Kant-Goethe-Spinoza cfr. G.<br />

DE FLAVIIS, Kant e Spinoza, Firenze 1986, pp. 197 ss.<br />

( 24 ) Lezioni, cit., p. 322.<br />

( 25 ) Ivi.<br />

( 26 ) Ivi, p. 319.<br />

( 27 ) Ivi, p. 321.


118 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Per Aristotele queste relazioni non sono così lineari, giacché<br />

la comprensione della natura deve passare attraverso la comprensione<br />

della sostanza. La natura si realizza nella sostanza e la finalità<br />

esprime il <strong>di</strong>namismo proprio della sostanza ( 28 ). La sostanza<br />

presuppone un sostrato, e la natura è sempre in un sostrato ( 29 ). La<br />

forma è più natura che la materia ( 30 ), ma è sempre in un sostrato<br />

materiale. La sostanza è il luogo dove la natura si me<strong>di</strong>a con la materia<br />

e con la forma fissandosi in un composto o sinolo.<br />

Se i contrari si generassero l’uno dall’altro, come ad esempio<br />

il caldo dal freddo, si andrebbe incontro, per Aristotele, ad una contrad<strong>di</strong>zione.<br />

Il principio del caldo non può essere il principio del<br />

freddo. Tutte le forme si identificherebbero in un’unica forma. È<br />

questa la contrad<strong>di</strong>zione che Aristotele poteva rilevare anche nei<br />

Fisici antichi. Non essendoci <strong>di</strong>stinzione tra sostrato materiale e forma<br />

si presupponeva che la forma dell’acqua potesse <strong>di</strong>ventare forma<br />

<strong>di</strong> tutto o che la forma <strong>degli</strong> atomi (come in Democrito) potesse<br />

dare origine a tutte le altre forme, o che dalla semplice quantità derivasse<br />

l’infinita varietà delle qualità. Non era un modo adeguato<br />

per spiegare il molteplice, e Parmenide poteva avere più <strong>di</strong> una ragione<br />

per ricondurre tutte le <strong>di</strong>fferenze ad un unico Essere ( 31 ).<br />

Essendo i contrari inderivabili reciprocamente ( 32 ), si deve<br />

ammettere che si alternano in un terzo principio: il sostrato ( 33 ). Il<br />

sostrato permette la pensabilità del non essere e del molteplice.<br />

Senza il sostrato tutti i contrari, tutte le forme e le <strong>di</strong>fferenze si<br />

identificherebbero nell’Uno <strong>di</strong> Parmenide.<br />

( 28 ) Phys., 192 B 32-33.<br />

( 29 )Ivi, 192 B 34.<br />

( 30 )Ivi, 193 B 6-7.<br />

( 31 ) Aristotele non considera valida neppure la soluzione <strong>di</strong> Anassagora (il<br />

principio che “tutto è in tutto”). Cfr. Met., 1069 B 20-2; Phys., 187 A 26 ss.<br />

( 32 ) Phys., 188 A 28-30<br />

( 33 ) Phys., 189 A 35 ss.


R. PORCHEDDU - L’ idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

119<br />

È nel composto che la natura <strong>di</strong>viene identificabile e pensabile.<br />

«La natura» — scrive Aristotele — «intesa come generazione, è<br />

una via verso la natura vera e propria» ( 34 ). La natura, da questo<br />

punto <strong>di</strong> vista, è un principio <strong>di</strong> movimento che mira a un risultato<br />

proiettandosi fuori <strong>di</strong> sé in un mondo or<strong>di</strong>nato <strong>di</strong> forme. Ma al <strong>di</strong><br />

fuori del composto le forme sarebbero pura tautologia che gira a<br />

vuoto. La natura vera e propria è quin<strong>di</strong> la forma, e la forma, come<br />

la natura, è fine e causa finale ( 35 ). Ma è la materia che scan<strong>di</strong>sce il<br />

prima e il dopo trasformando un puro principio <strong>di</strong> movimento in<br />

movimento effettivo e nel tempo che lo misura. La natura <strong>di</strong>viene<br />

cosi successione, or<strong>di</strong>ne, regolarità.<br />

La evidente circolarità della natura con materia e forma può<br />

suggerire qualche altra considerazione. Materia e forma sono natura,<br />

ma non si identificano con la natura. Una è più natura dell’altra.<br />

La natura è il più o il meno della loro relazione. La natura si interpone<br />

come elemento me<strong>di</strong>atore tra le due. La forma è il termine verso<br />

cui la natura si muove a partire da quella materia che essa è già<br />

sempre ( 36 ).<br />

La natura per Aristotele opera come l’arte utilizzando dei<br />

materiali per realizzare i suoi prodotti. C’è da chiedersi se tutto<br />

questo implica una previsione, una intelligenza capace <strong>di</strong> progettare<br />

i suoi risultati. Per Aristotele non ci sono dubbi che la natura<br />

opera in vista <strong>di</strong> fini. Non potrebbe essere da meno rispetto all’artista.<br />

Dopo tutto l’artista non è un prodotto della natura? Ciò implica<br />

che l’intenzionalità dell’artista non è che una delle possibili modalità<br />

in cui si esprime l’intenzionalità della natura ( 37 ). Essendo la natura<br />

portatrice della forma propria dell’uomo, è anche portatrice<br />

( 34 ) Ivi, 193 B 12-13.<br />

( 35 ) Ivi, 199 A 32-33; 194 A 28-29.<br />

( 36 ) Ivi, 193 B 5-18<br />

( 37 ) Ivi. Su questo cfr. Phys. II, 4, 196 A 25-196B 5; II, 8, 199 A 8-29; Met.,<br />

1065 A 27-28, 1065 B 1-5.


120 HEGEL E ARISTOTELE<br />

del suo modo particolare <strong>di</strong> operare. Non è possibile che la natura<br />

abbia meno dell’uomo, che è pur sempre un suo prodotto. Se l’intelligenza<br />

e il suo operare in vista <strong>di</strong> un fine non fosse già presente<br />

nella natura, in che modo avrebbe potuto venire al mondo?<br />

Per Aristotele le alternative a sua conoscenza potevano essere<br />

riconducibili al meccanicismo democriteo o all’evoluzionismo<br />

empedocleo. Aristotele rivolge a Democrito e ad Empedocle lo<br />

stesso rilievo che avrebbe potuto muovere Parmenide: in che modo<br />

la qualità si sarebbe potuta realizzare dall’incontro fortuito <strong>di</strong> atomi<br />

o <strong>di</strong> elementi, se non fosse stata già nelle previsioni della natura?<br />

Mai l’essere avrebbe potuto nascere dal non-essere.<br />

Questa ipotesi potrebbe suggerire l’idea che le forme siano in<br />

qualche modo separabili dalla materia. Aristotele ammette che siano<br />

separabili per noi «per logica astrazione» ( 38 ), ma ora la domanda<br />

è se sono separabili anche nelle cose e quin<strong>di</strong> anche nell’or<strong>di</strong>ne<br />

ontologico, preesistendo per così <strong>di</strong>re al <strong>di</strong>venire. Proprio perché le<br />

forme si riproducono con regolarità nonostante gli infiniti processi<br />

<strong>di</strong> mutamento occorre un principio che ne garantisca la persistenza<br />

e la continuità. Esclusi il caso e la necessità come principi <strong>di</strong> spiegazione<br />

della realtà e attenendoci alla causa finale siamo ricondotti in<br />

ultima istanza al concetto ( 39 ). Concetto è tutto ciò che è pensabile.<br />

Dobbiamo considerare le forme come dei pensabili senza che una<br />

mente li pensi? È vero che sono pensabili dall’intelletto umano e<br />

che solo delle forme si può avere scienza. Ma si può ottenere una<br />

scienza solo a cose fatte? Sarebbe come <strong>di</strong>re che la scienza si costituisce<br />

per caso.<br />

Si potrebbe forse render meglio l’idea ricorrendo alla terminologia<br />

<strong>degli</strong> Scolastici me<strong>di</strong>oevali, i quali <strong>di</strong>stinguevano le essenze<br />

universali ante rem, in re, post rem. Dobbiamo pensare che le essenze<br />

siano presenti nelle cose, successivamente astraibili dall’in-<br />

( 38 ) Phys., 193 B 5-18; 193 B 3-5.<br />

( 39 ) Ivi; Phys., 200 A 14-15; 22-24.


R. PORCHEDDU - L’ idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

121<br />

telletto umano, senza che la natura ne abbia pensiero alcuno “ante<br />

rem”?<br />

Dove sta allora la causa finale in natura?<br />

Si potrebbero trovare risposte in alcune espressioni in cui<br />

Aristotele <strong>di</strong>ce che né Dio né la natura fanno niente invano ( 40 ) o<br />

che la natura agisce in vista del fine come il pensiero ( 41 ). Può esser<br />

significativo anche il rilievo mosso ad Anassagora in modo molto<br />

simile a quello del Fedone, <strong>di</strong> fare intervenire Dio nella natura come<br />

un deus ex machina ( 42 ).<br />

Il senso <strong>di</strong> questa critica sembrerebbe essere che, posto che ci<br />

sia un or<strong>di</strong>ne nell’universo, e che tra le cose che sono c’è da includere<br />

anche l’intelletto, le due cose non possono considerarsi estranee.<br />

Una risposta più esplicita potrebbe essere reperibile nelle<br />

stesse pagine della Fisica, in cui Aristotele definisce «l’assolutamente<br />

immobile» «concetto e forma <strong>di</strong> tutto» ( 43 ). Come è da intendere<br />

tutto questo? Le forme in continuo scambio con la materia sono<br />

orientate a realizzare un loro modello separato nell’Atto puro? Tutto<br />

questo richiederebbe una <strong>di</strong>scussione sul complesso rapporto tra<br />

il Motore immobile e la natura.<br />

Non manca qualche passaggio in cui Aristotele sembrerebbe<br />

postulare un rapporto ontologico <strong>di</strong> modello e copia, <strong>di</strong> tipo platonico,<br />

anche per il Motore immobile e la natura.<br />

Una delle principali ragioni per cui Aristotele respinge la<br />

dottrina platonica delle idee è che non spiega il movimento. Quale<br />

sia per Aristotele l’importanza del principio del movimento ce lo fa<br />

capire questo passaggio:<br />

( 40 ) Cfr. De gener. anim., 744 B 16, A 36; De coelo, 291 B 13, A 24; De part.<br />

anim., 686 A 22.<br />

( 41 ) Phys., 196 B 21-22.<br />

( 42 ) Met., I, 4, 985 A 18-21. Cfr. la trad. <strong>di</strong> G. Reale, Milano 1993, II, p. 23.<br />

( 43 ) Phys., 198 B 1-3.


122 HEGEL E ARISTOTELE<br />

«Appunto questo si afferma nel Fedone, che cioè le forme ideali sono causa<br />

tanto dell’essere quanto del <strong>di</strong>venire; eppure anche a voler ammettere l’esistenza<br />

delle forme ideali, le cose che <strong>di</strong> queste partecipano non vengono<br />

tuttavia alla luce, qualora non intervenga una causa motrice, mentre, al<br />

contrario, sono prodotte molte altre cose, quali, ad esempio, una casa o un<br />

anello, <strong>di</strong> cui neghiamo che esistano e vengano alla luce me<strong>di</strong>ante cause<br />

simili a quelle <strong>degli</strong> oggetti sopra accennati» ( 44 ).<br />

Aristotele qui rende appieno la misura del problema. Egli osserva<br />

come determinati prodotti dell’arte (artefacta), <strong>di</strong> cui nell’Accademia<br />

si <strong>di</strong>scuteva se si dessero delle forme, presuppongono da<br />

parte nostra una causa motrice o qualcosa, qualche forza, che abbia<br />

messo in moto la materia. Altrettanto dovremmo esigere per le<br />

cose naturali. Il fatto che le cose naturali siano dotate <strong>di</strong> movimento<br />

non ci deve far pensare che un’altra causa motrice sia superflua,<br />

come se il movimento che è in natura potesse essersi generato da sé<br />

o avesse in sé la sua spiegazione. La stessa forma che spiega l’essere<br />

delle cose naturali, deve spiegare e deve contenere nel suo progetto<br />

<strong>di</strong> essere anche il movimento interno alle cose stesse. Ora, il<br />

movimento interno <strong>di</strong> cui la natura nella sua totalità è portatrice, in<br />

quale forma può avere la sua ragion d’essere? Può esserci una forma<br />

“ante rem” della natura, a cui sia inerente il principio esterno <strong>di</strong><br />

movimento? È in questo senso che Aristotele definisce il Motore<br />

immobile «forma <strong>di</strong> tutte le forme»?<br />

Nelle trattazioni che si leggono nel libro XII della Metafisica e<br />

nel libro VIII della Fisica il Motore immobile viene descritto come<br />

principio del movimento che muove in quanto oggetto <strong>di</strong> desiderio<br />

( 45 ). Il movimento della natura è determinato dalla sua aspirazione<br />

a realizzarsi. Il Motore immobile è il fine, la forma, l’entelechìa<br />

verso cui la natura si muove. In queste in<strong>di</strong>cazioni è <strong>di</strong>fficile stabilire<br />

i confini netti tra la metafora e il <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong>alettico. La natura<br />

( 44 ) Met., I, 8, 991 B 3-9; trad. <strong>di</strong> A. Russo, Roma-Bari 1982.<br />

( 45 ) Met., XII, 7, 1072 A 26 ss.


R. PORCHEDDU - L’ idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

123<br />

però non sembra essere oggetto dei pensieri <strong>di</strong> Dio. Dio ha come<br />

oggetto <strong>di</strong> pensiero se stesso. Rimane dunque senza risposta l’interrogativo<br />

se una scienza delle forme (ante rem) preceda la realizzazione<br />

delle forme stesse in natura: se la natura stessa, nella sua totalità,<br />

sia realizzazione a sua volta <strong>di</strong> una forma oggetto <strong>di</strong> un pensiero<br />

esterno, che ne spieghi il finalismo; oppure se siamo ancora<br />

sul terreno delle analogie o <strong>di</strong> una mitologia antropomorfica ( 46 ).<br />

Ritengo che questa problematica sia imputabile e debba farsi<br />

risalire alla coesistenza in Aristotele <strong>di</strong> due <strong>di</strong>versi concetti <strong>di</strong> perfezione<br />

e <strong>di</strong> eccellenza.<br />

Tutto avviene come se la perfezione della natura sia tenuta<br />

<strong>di</strong>stinta dalla perfezione dell’Atto puro: nel loro or<strong>di</strong>ne sono perfetti<br />

sia la natura sia il Motore immobile. La separazione della fisica<br />

dalla filosofia prima non sembra essere solo una questione<br />

metodologica. Aristotele tende a descrivere la natura come se fosse<br />

autosufficiente anche sul piano ontologico. La natura è già in sé<br />

principio <strong>di</strong> movimento, e il movimento da questo punto <strong>di</strong> vista<br />

non appare affatto segno <strong>di</strong> imperfezione o <strong>di</strong> irrazionalità come<br />

nel ricettacolo platonico ( 47 ). Questo concetto <strong>di</strong> natura deve essere<br />

messo in relazione con il rifiuto della teoria platonica delle idee. Le<br />

cose della natura non sono affatto copie imperfette <strong>di</strong> un modello<br />

eterno. La natura è compiuta in se stessa e non ha bisogno <strong>di</strong> un<br />

mondo invisibile che la spieghi. L’eidos è interno alle cose e le cose<br />

hanno in se stesse la loro spiegazione ( 48 ).<br />

( 46 ) Una <strong>di</strong>scussione su questo tema si può trovare in D. ROSS, Aristotele,<br />

trad. it., Milano 1976, pp. 80 ss.; I. DÜRING, Aristotele, trad. it., Milano 1976, pp.<br />

241 ss.; W.K.C. GUTHRIE, A History of Greek Phylosophy, VI, Aristotle an Encounter,<br />

Cambridge 1981, pp. 106 ss.<br />

( 47 ) Tim., 51 A-B.<br />

( 48 ) Credo che Heidegger abbia colto questo modo originario aristotelico <strong>di</strong><br />

pensare la natura e il movimento (ve<strong>di</strong> M. HEIDEGGER, Sull’essenza e sul concetto della<br />

Physis. Aristotele, Fisica, B, 1, in Segnavia, trad. it., Milano 1987, pp. 198 ss.): certo


124 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Con questa perfezione della natura Aristotele lascia coesistere<br />

quella del Motore immobile. La sua perfezione sta nel muovere<br />

tutte le cose, come oggetto <strong>di</strong> desiderio, senza esser mosso. La sua<br />

attività è una pura attività <strong>di</strong> pensiero, e l’oggetto <strong>di</strong> questo pensiero<br />

è se stesso.<br />

Dio è la cosa più eccellente, ed Egli non può pensare se non<br />

ciò che è più eccellente ( 49 ). Dai pensieri <strong>di</strong> Dio è esclusa pertanto la<br />

natura, in quanto ciò che ha materia e potenza è meno perfetto <strong>di</strong><br />

ciò che è immateriale e in atto ( 50 ). La natura <strong>di</strong>pende da Dio perché<br />

il passaggio dalla potenza all’atto avviene ad opera <strong>di</strong> un motore<br />

esterno già in atto ( 51 ). Per il resto la natura costituisce da sé un<br />

mondo autosufficiente <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong> essere. Questa impenetrabilità<br />

tra la perfezione <strong>di</strong>vina e quella della natura Aristotele sembra<br />

esprimerla in questi termini: «il Motore immobile è un principio <strong>di</strong><br />

movimento naturale che non rientra nell’ambito della fisica» ( 52 ).<br />

Non è detto però che la presenza del Motore immobile sia risolutiva<br />

col garantire il passaggio dalla potenza all’atto in tutti i<br />

per Heidegger è molto più congeniale l’idea <strong>di</strong> una natura autosufficiente e principio<br />

autonomo <strong>di</strong> movimento, ma Aristotele in realtà non ritiene che la forma possa<br />

essere principio <strong>di</strong> movimento per se stesso: è questa l’accusa che rivolge a Platone.<br />

Il movimento rimane pertanto un postulato, un dato <strong>di</strong> fatto, una realtà da<br />

spiegare. Il movimento interno alla natura infatti trova la sua spiegazione in un<br />

principio esterno <strong>di</strong> movimento: il Motore immobile. Heidegger condannerebbe<br />

tutto questo come pensiero metafisico, come oblio dell’essere. Ma senza il pensiero<br />

metafisico, come ci si potrebbe porre la domanda sul senso dell’essere?<br />

Heidegger, in realtà, può dare il bando alla metafisica solo perché dà una<br />

interpretazione restrittiva dell’Esserci e della sua costituzione <strong>di</strong> essere già in partenza,<br />

pensando l’Esserci come essere nel mondo, e definendo il “mondo” dell’essere<br />

nel mondo come la totalità <strong>degli</strong> utilizzabili. Dovrebbe far parte invece del<br />

“mondo” dell’esser nel mondo anche la trascendenza, la stessa domanda della metafisica.<br />

È un bisogno <strong>di</strong> cui l’uomo non può fare a meno. La precomprensione è<br />

anche precomprensione della metafisica.<br />

( 49 ) Met., XII, 6, 1072 B 19.<br />

( 50 ) Ivi, XII, 6, 1071 B 12-22.<br />

( 51 ) Phys., VIII, 5 ss.; Met., IX, 8.<br />

( 52 ) Ivi, 198 A 35 - 198 B 2.


R. PORCHEDDU - L’ idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

125<br />

settori della natura. Non sempre la generazione è trasmissione <strong>di</strong><br />

una forma da un in<strong>di</strong>viduo all’altro ( 53 ). Che <strong>di</strong>re <strong>di</strong> quel <strong>di</strong>venire<br />

incessante in cui tutto sembra trasformarsi in tutto ( 54 )? In questo<br />

caso che cosa può far sì che una determinata materia assuma una<br />

determinata forma dopo aver ceduto quella <strong>di</strong> prima? E come è<br />

possibile che in questo <strong>di</strong>venire incessante ricompaiano con regolarità<br />

le stesse forme? Si deve postulare quantomeno una regola <strong>di</strong><br />

tutti questi scambi, un programma paragonabile al modello<br />

informatico, per cui a certe con<strong>di</strong>zioni della materia corrispondano<br />

determinate forme. Ma una regola e un programma non possono<br />

non essere pensiero <strong>di</strong> una mente o comunque attività <strong>di</strong> pensiero.<br />

Aristotele può pensare <strong>di</strong> aver garantito l’or<strong>di</strong>ne della natura<br />

semplicemente garantendo la regolarità del movimento. Le essenze<br />

sono già nelle cose e perché i cicli naturali si rinnovino secondo un<br />

regolare ricambio è sufficiente la regolarità e la continuità del movimento.<br />

Rimane la <strong>di</strong>scontinuità tra il principio da cui ha origine il<br />

movimento e la causa formale. Tra le due causalità non sembra esserci<br />

connessione. Mentre c’è un rapporto <strong>di</strong> dominio tra causa formale<br />

e causa materiale, e un rapporto <strong>di</strong> quasi identità tra causa<br />

formale e causa finale, non si vede una precisa connessione, se non<br />

<strong>di</strong> carattere congetturale, tra causa formale e causa motrice e non si<br />

vede il rapporto tra il pensiero interno alla natura attraverso l’articolazione<br />

delle sue forme e il Pensiero <strong>di</strong> pensiero proprio del Motore<br />

immobile.<br />

Non può sorprendere allora che Hegel propenda a identificare<br />

il Motore immobile con la natura stessa e a fondere le due perfezioni<br />

in una.<br />

Ad Hegel il Motore immobile appare una sovrapposizione<br />

o uno sdoppiamento rispetto alla natura; perciò scrive che «in<br />

( 53 ) Met., XII, 1069 B 28-29; 1070 A 27-28.<br />

( 54 ) I termini della questione si possono leggere in I. DÜRING, cit., pp. 422-453.


126 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Aristotele lo stesso uno assoluto, l’idea <strong>di</strong> Dio, appare come un<br />

che <strong>di</strong> particolare nel suo posto accanto agli altri particolari, sebbene<br />

essa sia tutta la verità. È quasi come se uno <strong>di</strong>cesse: ci sono<br />

piante, animali, uomini e poi anche Dio, il più eccellente» ( 55 ). Essendo<br />

Dio tutta la verità, il pensiero in Dio è connesso in una<br />

compiuta totalità e secondo una rigorosa necessità. La natura aristotelica,<br />

in virtù della sua teleologia, non può essere, per Hegel,<br />

cosa <strong>di</strong>versa da Dio, a meno <strong>di</strong> mantenere le sue contrad<strong>di</strong>zioni<br />

irrisolte. Posto che la natura è principio <strong>di</strong> movimento dotato<br />

<strong>di</strong> un fine, e che, portate da questo movimento, le forme scompaiono<br />

e riappaiono, non si vede nessuna necessità interna perché<br />

le cose siano così piuttosto che in un altro modo. Eppure c’è<br />

una necessità dominata dal fine e il fine, afferma Hegel, è nella<br />

ragione ( 56 ). Si profila quin<strong>di</strong> per Hegel la necessità <strong>di</strong>aletticamente<br />

fondata <strong>di</strong> far cessare lo sdoppiamento tra il Motore immobile<br />

e la natura e <strong>di</strong> farne una unità. L’esposizione della Fisica segue<br />

pertanto nelle Lezioni a quella della Metafisica che per Hegel è la<br />

Logica ( 57 ). A questo <strong>di</strong>o visibile <strong>di</strong> Aristotele Hegel sembra ricondurre<br />

la sua Idea nel suo essere altro come natura. Nel riservare<br />

ampio spazio alla dottrina della sostanza Hegel richiama l’attenzione<br />

sull’elemento della forma sottolineandone la determinazione<br />

<strong>di</strong> atto (enérgheia, entelécheia) ( 58 ). «Soltanto l’“energia”» — <strong>di</strong>chiara<br />

Hegel — «o più concretamente la soggettività, è la forma<br />

attuante, la negatività che si riferisce a sé» ( 59 ): «l’enérgheia è il<br />

puro operare che si riferisce a sé» ( 60 ).<br />

( 55 ) Lezioni, cit., p. 295.<br />

( 56 ) Ivi, p. 324.<br />

( 57 ) Ivi, p. 296.<br />

( 58 ) Ivi, p. 297.<br />

( 59 ) Ivi.<br />

( 60 ) Ivi, p. 298.


R. PORCHEDDU - L’ idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

127<br />

È questa soggettività che per Hegel costituisce l’elemento<br />

comune a tutte le sostanze sia sensibili sia immateriali. Ma c’è una<br />

sostanza che è più sostanza, e pertanto più soggettività delle altre:<br />

«Il punto più alto è quello in cui sono congiunte potenza, attività e<br />

entelechìa, la sostanza assoluta, che Aristotele determina in generale<br />

come l’in sé e per sé (aí<strong>di</strong>on) che è immobile ma a un tempo muove<br />

e la cui essenza è pura attività senza materia» ( 61 ). Hegel riconosce<br />

che per Aristotele il pensiero non è tutta la verità, ma solo il più<br />

potente e il più onorato, ma puntualizza che «tuttavia in fondo il<br />

modo <strong>di</strong> vedere fondamentale è il medesimo: egli non parla <strong>di</strong> una<br />

speciale natura della ragione, ma della ragione universale» ( 62 ). Infine<br />

conclude che la stessa «idea speculativa» osservata nella «ragione<br />

pensante» si dovrebbe vedere anche nella natura ( 63 ). È stabilita<br />

pertanto l’identità <strong>di</strong> idea <strong>hegel</strong>iana e natura aristotelica.<br />

Per Aristotele, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Hegel, la natura non è interamente<br />

risolvibile in termini <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong> idea, e il pensiero non è<br />

tutta la verità. Tutto questo è implicito nell’enunciato che la fisica<br />

assume come presupposto il movimento e che prescinde dalla esistenza<br />

<strong>di</strong> un essere uno e immobile ( 64 ). È per induzione che la fisica<br />

ammette che le cose della natura siano mosse ( 65 ). Sarebbe peraltro<br />

necessaria una fondazione rispetto a quanto semplicemente<br />

presupposto ( 66 ).<br />

Aristotele parte da un dato inargomentabile e in<strong>di</strong>mostrabile<br />

( 67 ). La sostanza non è il farsi concreto dell’universale, del con-<br />

( 61 ) Ivi, p. 302.<br />

( 62 ) Ivi, p. 310.<br />

( 63 ) Ivi, p. 313.<br />

( 64 ) Phys., 184 B 2-185 A 5.<br />

( 65 ) Ivi, 185 A 13-15.<br />

( 66 ) Ivi, 185 A 18-21.<br />

( 67 ) Ivi, 193 A 1-5.


128 HEGEL E ARISTOTELE<br />

cetto o dell’enérgheia: che questo avvenga è per natura, ed è natura<br />

anche la materia o il sostrato. La natura è per così <strong>di</strong>re il pensiero<br />

che è nelle cose stesse, ma è un pensiero che si lega alla materia. È<br />

un legame che si costituisce per natura e tutto ciò che avviene per<br />

natura non avviene a caso o per necessità esteriore, ma secondo un<br />

fine. Potrebbe essere un fine anche che ora si realizzi una forma e<br />

fra un istante un’altra, in modo che la prima non ricompaia e che<br />

tra l’una e l’altra non ci sia relazione. Ma allora si avrebbe l’abbozzo<br />

<strong>di</strong> un mondo, non un mondo dotato <strong>di</strong> significato, or<strong>di</strong>nabile secondo<br />

concetti, classificabile secondo un linguaggio e quin<strong>di</strong> determinabile<br />

e pensabile. Se quello della natura fosse un fine qualsiasi,<br />

sarebbe destinato ad ignorarsi e l’essere sarebbe pensabile quanto il<br />

nulla. Sarebbe un passare da forma a forma destinate a rimanere<br />

irrelazionabili.<br />

Il fine <strong>di</strong> cui Aristotele parla è <strong>di</strong> contro il bene o l’ottimo ( 68 ).<br />

Il bene è il fine che realizza un universo <strong>di</strong> essere e <strong>di</strong> pensiero in<br />

cui ogni cosa abbia il suo preciso posto e la sua precisa destinazione.<br />

Una natura così or<strong>di</strong>nata ha nel bene il suo fondamento e il<br />

pensabile ha il suo fondamento nell’esser pensato. Ci deve essere<br />

un fondamento perché ci sia l’or<strong>di</strong>ne piuttosto che il caos, il pensiero<br />

piuttosto che il non pensiero e, in generale, perché ci sia l’essere,<br />

o perché qualcosa esista piuttosto che il nulla.<br />

Che ci sia il movimento e che ci siano le cose <strong>di</strong> natura è oggetto<br />

<strong>di</strong> constatazione perché la natura non ha il fondamento in se<br />

stessa. Il fondamento è da cercare al <strong>di</strong> fuori: nel Motore immobile<br />

e nel Pensiero <strong>di</strong> pensiero. Quel che poteva apparire sovrapposizione<br />

<strong>di</strong> due perfezioni reciprocamente non comunicanti, può acquistare<br />

nuova luce e nuova possibilità <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azione se ci collochiamo,<br />

almeno sul piano delle ipotesi, in questa prospettiva. L’Atto<br />

puro non può essere per Aristotele identificabile con la natura stessa.<br />

È natura anche il sostrato materiale, e il sostrato non è pura idea-<br />

( 68 ) Ivi, 194 A 30-35; 195 A 20-25 ss.; 198 B 5-10; 198 B 15-20.


R. PORCHEDDU - L’ idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

129<br />

lità o momento interamente me<strong>di</strong>ato dal concetto. La presenza del<br />

sostrato fa sì che l’essere non sia l’omologazione tautologica dei<br />

contrari tanto da coincidere con il nulla ( 69 ). Il sostrato attiva lo<br />

scambio tra una forma e l’altra stabilendo la determinazione in<br />

modo che l’essere non sia un puro nulla. Senza determinazione non<br />

se ne avrebbe alcuna nozione ( 70 ): sarebbe impensabile come se le<br />

cose venissero meno al principio <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zione. È a partire dal<br />

sostrato che l’essere può <strong>di</strong>stinguersi dal nulla ed è il sostrato che<br />

rende pensabile la contrad<strong>di</strong>zione. Hegel tende a minimizzare il<br />

ruolo del sostrato materiale identificando la sostanza con l’enérgheia,<br />

tanto da affermare, con evidente allusione a Kant, che «con<br />

una vuota astrazione come la cosa in sé Aristotele non ha nulla che<br />

fare» ( 71 ).<br />

Può intanto essere istruttivo quanto Hegel afferma della cosa<br />

in sé kantiana nell’Enciclope<strong>di</strong>a: «La cosa in sé (e sotto la parola cosa<br />

in sé è compreso anche lo spirito, Dio) esprime l’oggetto in quanto<br />

si astrae da tutto ciò che esso è per la coscienza, da ogni determinazione<br />

del sentimento come da ogni pensiero determinato. È facile<br />

vedere cosa resta: il pienamente astratto, l’interamente vuoto, determinato<br />

solo come un <strong>di</strong> là ...» ( 72 ). «Le categorie sono perciò incapaci<br />

<strong>di</strong> essere determinazione dell’assoluto» ( 73 ). «Per conseguenza<br />

la conoscenza per mezzo <strong>di</strong> esse non contiene in fatto niente <strong>di</strong><br />

oggettivo, e l’oggettività ad esse attribuita è solo qualcosa <strong>di</strong> soggettivo»<br />

( 74 ).<br />

Quel vuoto che è la cosa in sé viene riempito, in altri termini,<br />

con la soggettività rappresentata dall’Io penso. La soggettività <strong>di</strong>-<br />

( 69 ) Ivi, 185 B 23-24; cfr. 186 B 5-10.<br />

( 70 ) Ivi, 187 A 8-10.<br />

( 71 ) Lezioni, cit., p. 297.<br />

( 72 ) Enciclope<strong>di</strong>a, § 44, annot. Cfr. la trad. <strong>di</strong> B. Croce, Roma-Bari 1989.<br />

( 73 ) Ivi.<br />

( 74 ) Ivi, § 46, annot.


130 HEGEL E ARISTOTELE<br />

viene la vera cosa in sé dell’oggetto. Quel che manca nella cosa in<br />

sé kantiana è il finalismo della sostanza aristotelica, in cui il fine è il<br />

bene e il bene è il fondamento. Sull’Io penso Kant ritiene <strong>di</strong> fondare,<br />

più che sulla cosa in sé, la regolarità dell’esperienza ( 75 ). Più che<br />

fondarla però ne prende atto: la regolarità è semplicemente presupposta.<br />

Ad una cosa in sé si è sostituita così un’altra cosa in sé. Dell’Io<br />

penso si sa quanto si sa della cosa in sé e comunque non è un<br />

fondamento molto <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> quanto poteva esserlo la cosa in sé.<br />

Fondamento è ciò che fa sì che in natura tutto proceda con<br />

regolarità piuttosto che a caso. Per Aristotele la regolarità è impressa<br />

in una materia, per natura, secondo una fattualità in<strong>di</strong>mostrabile<br />

( 76 ). Tutto in natura si muove verso un fine che è l’ottimo, e il fine<br />

stabilisce la regolarità per cui tutte le cose sono oggetti pensabili.<br />

Ciò che è pensabile non può avere il suo fondamento che nell’esser<br />

pensato e l’essere pensato rinvia alla trascendenza del Pensiero <strong>di</strong><br />

pensiero ( 77 ).<br />

Hegel ritiene <strong>di</strong> ristabilire il finalismo della sostanza aristotelica<br />

interpretandola come soggettività, «puro operare da se stessa»<br />

e «negatività che si riferisce a sé» ( 78 ). Nella sostanza aristotelica<br />

egli vede circolare la soggettività assoluta che nella sua filosofia<br />

prende anche il nome <strong>di</strong> Idea o Spirito. Ma neanche Hegel, per<br />

quanto mi è dato giu<strong>di</strong>care, intende il finalismo della sostanza nel<br />

( 75 ) L’Io penso si colloca al culmine <strong>di</strong> un processo che caratterizza la filosofia<br />

moderna, e che potrebbe definirsi come processo <strong>di</strong> «secolarizzazione della<br />

trascendenza». È in questa logica che Kant sostituisce al “trascendente” il “trascendentale”;<br />

e all’anamnesi platonica, come all’intelletto agente aristotelico, sostituisce<br />

una versione secolarizzata, quella dell’Io penso.<br />

( 76 ) È questa fattualità che la filosofia moderna non vuole accettare. Dappertutto<br />

vede possibilità d’illusione e d’inganno. Ma già la ragione naturale è<br />

perfettamente equipaggiata per riconoscere l’errore e l’inganno. Ci può essere un<br />

inganno anche in questo?<br />

( 77 ) Ciò che fa orrore al pensiero moderno è proprio questa affermazione<br />

<strong>di</strong> trascendenza: il trascendentale rappresenta le sue “colonne <strong>di</strong> Ercole”.<br />

( 78 ) Lezioni, cit., pp. 297-298.


R. PORCHEDDU - L’ idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

131<br />

senso <strong>di</strong> Aristotele. Anche Hegel sembra cercare la spiegazione all’interno<br />

<strong>di</strong> ciò che è da spiegare, nel chiuso mondo <strong>degli</strong> enti. Da<br />

questo punto <strong>di</strong> vista mi sembra che, meglio <strong>di</strong> Hegel, colga la natura<br />

della sostanza aristotelica e del suo finalismo, Leibniz, come<br />

anche mi sembra più rispondente al senso generale della filosofia<br />

aristotelica la sua determinazione del fondamento ( 79 ).<br />

L’impressione è che anche Hegel alla cosa in sé kantiana abbia<br />

sostituito un’altra cosa in sè. In Aristotele la linea <strong>di</strong> pensiero,<br />

per quanto inconfessata, è <strong>di</strong> tipo platonico: trovare il fondamento<br />

in una pienezza <strong>di</strong> pensiero e <strong>di</strong> essere, un fondamento che è al <strong>di</strong><br />

là e al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> ciò che è da fondare ( 80 ).<br />

Rispetto a Kant, Hegel estende la regolarità dell’esperienza<br />

fenomenica al mondo umano: alla morale, al <strong>di</strong>ritto, alla storia. Lo<br />

spirito è il risultato <strong>di</strong> un faticoso processo <strong>di</strong>alettico <strong>di</strong> tutto l’essere.<br />

Se guarda al suo passato si riscopre raccolto nell’idea, fuori <strong>di</strong> sé<br />

nella natura, per ritrovarsi infine come spirito a pensare se stesso<br />

( 79 ) Cfr. G.W. LEIBNIZ, Discorso <strong>di</strong> Metafisica, in Scritti filosofici, cit., pp. 73,<br />

74, 86; G.W. LEIBNIZ, Principi della natura e della grazia fondati sulla ragione, ivi, pp.<br />

278 ss.; M. HEIDEGGER, Dell’essenza del fondamento, in Segnavia, cit., pp. 84 ss., 125;<br />

G.W.F. HEGEL, Scienza della Logica, II, sez. I, cap. III.<br />

( 80 ) C’è da chiedersi quanto ci sia <strong>di</strong> veramente immanente nella forma<br />

aristotelica. Per quanto Aristotele insista a considerare le forme presenti nelle cose<br />

e in perfetta identità con le cose stesse, sono in realtà altrettanto poco conoscibili<br />

che le forme platoniche. Se se ne ha conoscenza, non è meno inspiegabile. Posto<br />

che siano l’intelligibile e il soprasensibile, fa poca <strong>di</strong>fferenza che siano separate o<br />

interne alle cose. Si tratta sempre <strong>di</strong> una realtà <strong>di</strong>versa da quella che noi ve<strong>di</strong>amo<br />

o sperimentiamo con i sensi. Come tali sono sempre da considerarsi un “al <strong>di</strong> là”.<br />

La controversia me<strong>di</strong>evale sugli universali ante rem, in re, post rem sono da ricondurre<br />

a questa <strong>di</strong>fficoltà, donde il nominalismo. Le idee vengono interpretate da<br />

Aristotele come semplici definizioni. Per Platone al contrario l’idea è principio che<br />

rende possibile la definizione. Analogamente, non è l’unità del molteplice, ma<br />

principio che rende pensabile l’unità <strong>di</strong> un molteplice: è principio <strong>di</strong> unificazione,<br />

<strong>di</strong> conoscibilità, <strong>di</strong> essere delle cose. Se gli universali fossero mescolati alle cose,<br />

come se ne potrebbero <strong>di</strong>stinguere? In base a quale termine <strong>di</strong> confronto? Dove<br />

starebbe la specificità della conoscenza intellettiva? E perchè Aristotele avrebbe richiesto<br />

un intelletto agente oltre quello passivo?


132 HEGEL E ARISTOTELE<br />

come l’Atto puro aristotelico. La natura in questo processo è un<br />

semplice momento.<br />

Dal punto <strong>di</strong> vista aristotelico non la natura è spirito, ma lo<br />

spirito è per natura. La natura è il veicolo per cui il fondamento<br />

fonda qualcosa: è interme<strong>di</strong>a tra pensiero e non pensiero, tra vita e<br />

non vita, tra essere e nulla. È per natura che ci sia l’essere piuttosto<br />

che il nulla, che ci sia il pensiero piuttosto che il non pensiero, che<br />

ci sia la vita piuttosto che la non vita. La natura è acca<strong>di</strong>mento, storia,<br />

evento. La natura è il luogo <strong>di</strong> tutto ciò che è stato fatto, ma il<br />

cui fondamento sta al <strong>di</strong> fuori. Tutto avrebbe potuto essere <strong>di</strong>verso<br />

da come è stato. La vita avrebbe potuto mai sorgere. Quale <strong>di</strong>alettica<br />

può spiegare perché proprio la vita o perché proprio il pensiero?<br />

Su tutto ciò che è per natura la <strong>di</strong>alettica può solo produrre ragionamenti<br />

verosimili, non più che nel Timeo platonico. Perchè proprio<br />

la civiltà occidentale, con la sua cultura e la sua filosofia, e non<br />

piuttosto società umane che si riproducessero sempre identiche a<br />

se stesse come arnie o formicai?<br />

Forse può tornare a proposito il giu<strong>di</strong>zio <strong>di</strong> Marcuse: «La vita<br />

supera, per così <strong>di</strong>re, la sua propria storicità, innalzandosi alla forma<br />

essenzialmente non storica del ‘sapere assoluto’: essa trascende<br />

la sua propria storia» ( 81 ).<br />

Non la <strong>di</strong>alettica quin<strong>di</strong> può spiegare la natura, ma è essa<br />

stessa da spiegare perché è natura. Anch’essa rientra nella storicità<br />

della natura.<br />

Nella storicità della natura è da includere anche il pensiero<br />

finito dell’uomo. Neanche la conoscenza umana può spiegarsi da<br />

sé. La spiegazione è per Aristotele nell’intelletto attivo, a partire dal<br />

quale tutto è pensabile ma che non può essere pensato a sua volta.<br />

La conoscenza non può guardare <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> sé così come non<br />

può autocostituirsi da sé. Può essere tanto più conoscenza, <strong>di</strong> con-<br />

( 81 ) H. MARCUSE, L’Ontologia <strong>di</strong> Hegel e la fondazione <strong>di</strong> una teoria della<br />

storicità, trad. it., Firenze 1969, p. 8.


R. PORCHEDDU - L’ idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

tro, se si riconosce come natura, <strong>di</strong>venendo il luogo in cui la stessa<br />

natura prende coscienza <strong>di</strong> sé nell’apertura alla trascendenza.<br />

133


( 1 ) Cf. VERRA (1993).<br />

( 2 ) Cf. KERN (1971); DÜSING (1976): pp. 305-312; FERRARIN (1990): pp. 132-137.<br />

( 3 ) Cf. MARX (1961).<br />

CINZIA FERRINI<br />

TRA ETICA E FILOSOFIA DELLA NATURA: IL<br />

SIGNIFICATO DELLA METAFISICA ARISTOTELICA<br />

PER IL PROBLEMA DELLE GRANDEZZE DEL<br />

SISTEMA SOLARE NEL PRIMO HEGEL<br />

Sommario: 1. Questioni <strong>di</strong> metodo — 2. Quale Metafisica per il primo Hegel? —<br />

3. Aristotele e la prima Naturphilosophie <strong>hegel</strong>iana: la letteratura critica —<br />

4. Terminus a quo e ad quem — 5. I lineamenti della prima filosofia della<br />

natura <strong>di</strong> Hegel: la Dissertatio — 6. Etica e filosofia della natura: una “via<br />

verso” la Metafisica aristotelica — 7. L’ipotesi <strong>di</strong> una influenza della Metafisica<br />

sull’uso dei numeri del Timeo nella Dissertatio — 8. Quid ...<br />

philosophia valeat.<br />

1. Questioni <strong>di</strong> metodo — Scopo <strong>di</strong> questo contributo è <strong>di</strong> raccogliere<br />

elementi per una proposta interpretativa: rinvenire le tracce della<br />

possibile influenza <strong>di</strong> una lettura della Metafisica aristotelica sulla<br />

matematica della natura nei primi scritti <strong>di</strong> Hegel. Vale a <strong>di</strong>re <strong>di</strong> un<br />

testo per il quale, in generale, l’interpretazione <strong>hegel</strong>iana è stata<br />

prevalentemente esaminata in chiave logico-speculativa ( 1 ), con<br />

particolare attenzione alla corrispondenza tra attività autoponente<br />

del nous e autocoscienza dell’assoluto ( 2 ), nonché secondo un significato<br />

soggettivo-spirituale notoriamente problematizzato dalla<br />

prospettiva heideggeriana ( 3 ). Ed a proposito <strong>di</strong> un argomento,


136 HEGEL E ARISTOTELE<br />

quello dello stu<strong>di</strong>o del sistema solare, che la letteratura critica concordemente<br />

interpreta alla luce della tra<strong>di</strong>zione pitagorica e platonica,<br />

in genere senza ulteriori me<strong>di</strong>azioni, ed in qualche caso escludendo<br />

esplicitamente ogni richiamo <strong>di</strong> Hegel ad Aristotele. È noto<br />

infatti che gli interpreti parlano <strong>di</strong> una influenza <strong>di</strong>retta della Fisica<br />

<strong>di</strong> Aristotele solo a partire dalla Naturphilosophie del 1804-05 ( 4 ),<br />

mentre per il periodo precedente si è prestata soprattutto attenzione<br />

al documentato interesse <strong>di</strong> Hegel per le opere aristoteliche <strong>di</strong><br />

carattere etico-politico ( 5 ) e retorico-poetico ( 6 ).<br />

Quando invece siamo noi a parlare <strong>di</strong> “influsso” della Metafisica,<br />

non inten<strong>di</strong>amo sostenere, occorre precisarlo, che tale influenza<br />

sia stata necessariamente esercitata dal testo aristotelico nella<br />

sua mera letteralità, o che sia la causa, piuttosto che invece un effetto,<br />

<strong>di</strong> certe opzioni <strong>hegel</strong>iane, magari originatesi altrove. Per la<br />

sua recezione <strong>di</strong> Aristotele, lo stesso Hegel ammetterà, d’altronde,<br />

almeno una volta, la correttezza, dal proprio punto <strong>di</strong> vista, della<br />

lettura della Scolastica ( 7 ). Ma ipotizziamo pure il caso per noi più<br />

( 4 ) Per reminiscenze della Fisica e Metafisica aristotelica a partire dai manoscritti<br />

sulla filosofia della natura del 1804, cf. KIMMERLE (1970): pp. 157-160.<br />

( 5 ) Ve<strong>di</strong> JANICAUD (1976): p. 104. Il <strong>di</strong>ario tenuto da Hegel ai tempi <strong>di</strong> Stoccarda<br />

registra, il 5 luglio 1785, tra i libri acquistati dalla vedova del professore <strong>di</strong> ginnasio<br />

Löffler, un’e<strong>di</strong>zione latina dell’Etica Nicomachea, verosimilmente da identificare con<br />

quella <strong>di</strong> Basilea del 1582 che faceva parte della biblioteca privata <strong>di</strong> Hegel a Berlino<br />

(cf. NICOLIN (1970): pp. 35 e 112; Verzeichnis, n. 385, p. 18).<br />

( 6 ) Da segnalare che, nella biblioteca <strong>di</strong> Tschugg, dove Hegel aveva avuto la<br />

possibilità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>are durante il suo soggiorno in Svizzera, si trovava una rie<strong>di</strong>zione<br />

(stampata all’Aja nel 1718) della traduzione francese <strong>di</strong> François Cassandre della<br />

Retorica, (Paris, L. Chamhoudry, 1654): cf. Catalogue de la Bibliothèque de Tschugg<br />

(Burgerbibliothek Bern, coll. L 97), p. 1, n. 13.<br />

( 7 ) Cf. HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 326, 11-12, dove troviamo scritto che «l’unione <strong>di</strong><br />

dunamis, energeia e entelecheia nella sostanza assoluta», determinata come eterno Motore<br />

Immobile da Aristotele (ve<strong>di</strong> anche più avanti nel testo, il passo <strong>di</strong> cui alla nota 82), «è<br />

stata presa giustamente dagli Scolastici per la definizione <strong>di</strong> Dio». Nella seconda e<strong>di</strong>zione<br />

curata da Michelet delle Lezioni, viene chiarito che per energeia, l’attualizzazione<br />

della forma, Hegel intende «il puro operare da se stesso» (cf. LSF, II, p. 298). L’entelecheia,<br />

la realizzazione del fine, è definita come «l’attività libera, che ha in sé il fine ed è la


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

137<br />

sfavorevole, che per Hegel la Metafisica non sia mai stata fonte (almeno<br />

in senso stretto), bensì solo campo <strong>di</strong> conferme e <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong><br />

nobili antenati. Ebbene, qualora nella sua prima filosofia della natura<br />

riuscissimo a rintracciare, in modo convincente, un richiamo<br />

implicito al pensiero aristotelico, e proprio per l’aspetto che ne<br />

marca la <strong>di</strong>fferenza dalle dottrine pitagoriche e platoniche sul numero,<br />

e ne mostrassimo la funzione non subor<strong>di</strong>nata, ma prioritaria<br />

rispetto a queste, in quanto capace <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficarle, ciò comunque<br />

parlerebbe per noi a favore della presenza <strong>di</strong> un influsso, non<br />

generico, ma determinato, non superficiale, ma con<strong>di</strong>zionante, dello<br />

Stagirita, per quanto in<strong>di</strong>retto esso possa risultare.<br />

realizzazione <strong>di</strong> esso» (LSF, II, p. 297). Quando infine attribuisce dunamis al Motore<br />

Immobile, Hegel potrebbe aver trovato dei supporti in<strong>di</strong>retti a questa interpretazione<br />

nell’ accezione aristotelica <strong>di</strong> “potenza” non come “possibilità <strong>di</strong> non essere” (impensabile<br />

in Dio come atto puro) ma come “potere” (<strong>di</strong> far passare all’atto), e quin<strong>di</strong> non<br />

come “una possibiltà indeterminata” (LSF, II, p. 298). Un esempio <strong>di</strong> uso, in senso<br />

generale, <strong>di</strong> dunamis, come potenza dell’atto, si trova in Met., IX 1, 1046 a 14-20 (cf.<br />

ROSS (1924), II, commento a 1045 b 25-1046 a 4: pp. 240-241, e a 1046 a 19-20: p. 241, che<br />

sottolinea come potenzialità <strong>di</strong> agire e <strong>di</strong> essere agiti siano aspetti complementari <strong>di</strong><br />

un singolo fatto). Un passo successivo, in Met., IX 5, 1048 a 1-8 (cf. Bonitz, p. 207 a 44-<br />

45) sostiene, relativamente a ciò che procede razionalmente ed è dotato <strong>di</strong> potenze<br />

razionali, che quando ciò che agisce e ciò che patisce si incontrano secondo tale tipo <strong>di</strong><br />

dunamis conforme al logos, il primo “deve” agire (passando così necessariamente alla<br />

realtà effettuale, all’energeia) e l’altro essere agito. Può infine essere utile ricordare, alla<br />

luce <strong>di</strong> questi riferimenti alla Metafisica, un passo in De An., III 5, 430 a 15 sg., dove il<br />

tema sembra tornare a proposito del nous (umano), secondo il suo senso attivo e positivo,<br />

analogo alla causa agente perché produce tutte le cose, «nello stesso modo in cui<br />

la luce ha il potere <strong>di</strong> far passare all’atto i colori che sono in potenza»: una transizione<br />

necessaria all’energeia, avendo la luce, evidentemente, quella determinata potenzialità<br />

<strong>di</strong> agire, ed i colori <strong>di</strong> essere agiti. Per quanto invece riguarda il riferimento <strong>di</strong> Hegel<br />

alla Scolastica, per il significato generale <strong>di</strong> tale tra<strong>di</strong>zione, ve<strong>di</strong> LOHR (1988), che così<br />

<strong>di</strong>stingue l’interpretazione secolare (Pomponazzi) <strong>di</strong> Aristotele (finitezza <strong>di</strong> Dio, eternità<br />

del mondo, mortalità dell’anima umana) da quella <strong>degli</strong> Scolastici: «Col definire<br />

l’oggetto della metafisica come l’essere in quanto <strong>di</strong>viso in essere finito e infinito [Duns<br />

Scoto, Nicholas Bonet] o in essere creato e increato [S. Tommaso], o finanche come<br />

l’essere comune a Dio e alle creature, gli Scolastici avevano tacitamente introdotto<br />

nella scienza aristotelica le nozioni, proprie della Scrittura, dell’infinità <strong>di</strong> Dio e della<br />

creazione del mondo, insieme alla loro propria concezione della realtà come gerarchicamente<br />

graduata, come una catena dell’essere ascendente dalla materia a Dio» (p.<br />

98).


138 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Non è pertanto né come testimone né come storico della filosofia<br />

antica che vogliamo qui interrogare Hegel, ma come interprete,<br />

appunto, inserito in una consolidata, e imprescin<strong>di</strong>bile, tra<strong>di</strong>zione<br />

<strong>di</strong> stu<strong>di</strong> aristotelici sulla Metafisica ( 8 ). Certo, ci saremmo<br />

anche potuti limitare a mettere più semplicemente a confronto i<br />

due para<strong>di</strong>gmi, le due costruzioni concettuali, ma ci sarebbe parso<br />

<strong>di</strong> non tenere nel debito conto il fatto che le tesi <strong>di</strong> Hegel, nella<br />

loro stessa originalità, si sono definite anche attraverso l’esposizione<br />

storico-sistematica <strong>di</strong> Aristotele, in una sorta <strong>di</strong> ‘contaminazione’,<br />

non sterile, ma feconda, che «produce sempre qualcosa <strong>di</strong> nuovo»<br />

( 9 ).<br />

2. Quale Metafisica per il primo Hegel? — Secondo la testimonianza<br />

<strong>di</strong> Schwegler, pubblicata in un articolo del 1839, un compagno <strong>di</strong><br />

stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Hegel a Tubinga (in ogni caso non Leutwein) gli avrebbe<br />

raccontato che durante gli anni allo Stift questi avrebbe «<strong>di</strong> preferenza<br />

stu<strong>di</strong>ato Aristotele in una vecchia e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Basilea rosa dai<br />

tarli» ( 10 ). Così Pozzo commenta tale in<strong>di</strong>cazione: «Viene da chiedersi:<br />

quale parte del Corpus può avere allora tanto affascinato<br />

( 8 ) Scrive DIJKSTERHUIS (tr. it.): «Una <strong>di</strong>scussione delle opinioni <strong>di</strong> Aristotele in<br />

materia <strong>di</strong> filosofia naturale o in materia scientifica comporta la <strong>di</strong>fficoltà<br />

metodologica fondamentale che il suo sistema non può più venir <strong>di</strong>stricato dalle<br />

esposizioni e dalle aggiunte dovute ai suoi commentatori antichi e alla Scolastica.<br />

Nelle sue formulazioni è sempre estremamente conciso, e spesso oscuro; non <strong>di</strong><br />

rado lo stesso termine viene usato per significare idee <strong>di</strong>fferenti. Le sue opere, pertanto,<br />

avevano un grande bisogno <strong>di</strong> venire commentate, ma ciò portò a costanti<br />

<strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> opinione circa il suo vero significato, col risultato che spesso questo<br />

significato non può più essere <strong>di</strong>ssociato dall’interpretazione» (p. 28). Per alcune<br />

valenze interpretative della lettura <strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> Aristotele, in certa misura autorizzate<br />

dalla lezione erasmiana, ve<strong>di</strong> infra, nota 64.<br />

( 9 ) Così Aristotele ricorda un vecchio detto, in Hist. An., VIII 28, 606 b 20.<br />

( 10 ) Cf. HENRICH (1965): p. 58. A p. 74, viene sottolineata l’ importanza e novità<br />

<strong>di</strong> questa testimonianza.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

139<br />

Hegel da spingerlo ad includere Aristotele tra le sue letture private?<br />

Si trattava dell’Organon, della Metafisica o del De anima? Non<br />

abbiamo informazioni precise. Sappiamo però che <strong>di</strong>verse dottrine<br />

aristoteliche erano riportate con precisione nel Compen<strong>di</strong>um logicae<br />

del 1751 ed in quelli <strong>di</strong> Feder, Ploucquet e <strong>di</strong> Ulrich (tanto nelle sezioni<br />

della logica, quanto nell’ontologia, nella cosmologia e nella<br />

psicologia)» ( 11 ). È da ricordare inoltre che, secondo Kern, sulla<br />

base <strong>di</strong> un paio <strong>di</strong> riscontri testuali, la terza e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Basilea del<br />

1550 avrebbe verosimilmente fornito ad Hegel il testo per la sua<br />

traduzione <strong>di</strong> un passo del De anima ( 12 ).<br />

Per quanto riguarda invece il soggiorno a Francoforte (1797-<br />

1800), <strong>di</strong> particolare importanza per il nostro tema, dato che precede<br />

imme<strong>di</strong>atamente la stesura dei primi lavori <strong>di</strong> filosofla della<br />

natura, troviamo scritto nella Vita <strong>di</strong> Hegel: «Dai conti dei librai che<br />

Hegel pagava a Francoforte, e che casualmente posse<strong>di</strong>amo tuttora,<br />

risulta che egli comprava opere <strong>di</strong> Schelling e classici greci<br />

nelle e<strong>di</strong>zioni migliori e più recenti». E anche se Rosenkranz sottolinea<br />

in particolare l’interesse per Platone e Sesto Empirico ( 13 ), è<br />

interessante notare che il catalogo d’asta della biblioteca privata<br />

<strong>di</strong> Hegel ( 14 ), ai numeri 402 e 403 registra due esemplari della<br />

Sylburgiana pubblicata in 11 volumi in -4° a Francoforte (e trattandosi<br />

<strong>di</strong> pezzi sciolti <strong>di</strong> un’opera completa, non sarebbe improbabile<br />

( 11 ) Cf. POZZO (1989): pp. 116-117; sull’aristotelismo come corrente dominante<br />

allo Stift <strong>di</strong> Tubinga, cf. pp. 50-51.<br />

( 12 ) Cf. KERN (1961): p. 60. Nel catalogo d’asta della biblioteca privata <strong>di</strong> Hegel<br />

troviamo anche, al n. 377 (pp. 17-18), l’e<strong>di</strong>zione del 1590 dell’opera omnia <strong>di</strong> Aristotele<br />

curata da Casaubon (II Tomi in I Volume in folio); al n. 378 (p. 18), quella curata<br />

da Erasmo e pubblicata a Basilea nel 1531 (apud Io. Beb [elium]: II Tomi in I Vol. in<br />

folio); al n. 432 (p. 21), un’e<strong>di</strong>zione dell’Organon (Basilea, 1583) con la versione latina<br />

<strong>di</strong> Spondano.<br />

( 13 ) ROSENKRANZ (tr. it.): p. 120.<br />

( 14 ) Cf. Verzeichnis, p. 19. Per varie testimonianze sulla continuità dello stu<strong>di</strong>o<br />

dei classici greci da parte <strong>di</strong> Hegel (Norimberga, Heidelberg), e sulla sua preparazione<br />

filologica, cf. KERN (1961): p. 80.


140 HEGEL E ARISTOTELE<br />

che Hegel li avesse reperiti proprio sul mercato antiquario <strong>di</strong> quella<br />

città, piuttosto che altrove), rispettivamente Aristotelis et Theophrasti<br />

metaphysica et alii libri Arist. lat. et graec., 1585 ( 15 ) e Aristotelis<br />

Physicae auscultationes, de coelo, de mundo, de anima & c., 1584 ( 16 ).<br />

Oltre ai cinque volumi (contenenti solo l’Organon, la Retorica e la<br />

Poetica) dell’e<strong>di</strong>zione Bipontina del 1791-anno VIII (1800: il<br />

Verzeichnis, in realtà riporta, ai nn. 426-30: “781. An. 8”, ma si tratta<br />

evidentemente <strong>di</strong> un errore <strong>di</strong> stampa per “791”), con traduzione<br />

latina e annotazioni <strong>di</strong> Johann Gottlieb [Theophilus] Buhle ( 17 ).<br />

Un’e<strong>di</strong>zione ‘migliore e più recente’, il cui acquisto potrebbe ben<br />

collocarsi alla fine <strong>di</strong> quel periodo ( 18 ).<br />

3. Aristotele e la prima Naturphilosophie <strong>hegel</strong>iana: la letteratura critica<br />

— A proposito della prima filosofia della natura <strong>hegel</strong>iana nel<br />

suo complesso, che Rosenkranz erroneamente attribuiva al periodo<br />

<strong>di</strong> Francoforte ( 19 ), troviamo scritto nella Vita <strong>di</strong> Hegel: «Punti <strong>di</strong> vi-<br />

( 15 ) Aristotelis et Theophrasti Metaphysica ... E<strong>di</strong><strong>di</strong>t Frid. Sylburgius. Francofur<strong>di</strong><br />

apud heredes A. Wecheli, 1585; si tratta del nono volume <strong>di</strong> Aristotelis Opera quae extant<br />

ad<strong>di</strong>ta nonnusquam, ob argumenti similitu<strong>di</strong>nem, quaedam Theophrasti, Alexandri, Cassii,<br />

Sotionis, Athenaei, Polemonis, Adamantii, Melampo<strong>di</strong>s... Opera et stu<strong>di</strong>o Friderici<br />

Sylburgii... Francofur<strong>di</strong>, apud A. Wecheli heredes, J. Aubrium et C. Marnium, 1584-1587.<br />

( 16 ) Si tratta del secondo volume dell’e<strong>di</strong>zione Sylburgiana <strong>di</strong> cui alla nota<br />

precedente. Il titolo completo è il seguente: Aristotelis Physicae auscultationes lib. VIII;<br />

de Caelo IV; de Generatione et corruptione II; Meteorologicum IV; de Mundo I; De Anima<br />

lll; de Sensu et sensibilibus lib. I; de Memoria et reminiscentia I; de Somno et vigilia I; de<br />

Insomniis I; de Divinatione per somnum I; de Juventute, senectute, Vita et morte I; de<br />

Respiratione I; de Longitu<strong>di</strong>ne et brevitate vitae I ... E<strong>di</strong><strong>di</strong>t Fridericus Sylburgius.<br />

( 17 ) Cf. MENSE (1993): pp. 687-688.<br />

( 18 ) Aristotelis Opera omnia Graece, ad optimorum exemplarium fidem recensuit,<br />

annotationem criticam, librorum argumenta et novam versionem latinam adjecit Jo.<br />

Theophilus Buhle. Biponti: ex typographia societatis, 1791 (secondo e terzo volume: 1792;<br />

quarto: 1793; quinto: Argentorati (Strasburgo): ex typographia societatis Bipontinae,<br />

an. VIII (1799-1800)).<br />

( 19 ) Cf. ROSENKRANZ (tr. it.): nota 134, p. 122.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

141<br />

sta ed espressioni platoniche si riscontrano dappertutto, mentre non<br />

si può ancora parlare <strong>di</strong> un particolare influsso <strong>di</strong> Aristotele» ( 20 ).<br />

Questo giu<strong>di</strong>zio non ha ancora oggi perduto <strong>di</strong> valore. Per fare un<br />

esempio para<strong>di</strong>gmatico dello status quaestionis, in un suo noto articolo<br />

del 1984, Vittorio Hösle sosteneva la convergenza, a livello <strong>di</strong><br />

or<strong>di</strong>ne interno e struttura, tra il Timeo platonico e la Naturphilosophie<br />

<strong>hegel</strong>iana, in<strong>di</strong>cando tra l’altro entrambe le concezioni come<br />

esempi <strong>di</strong> una filosofla della natura aprioristica, derivata dal concetto.<br />

E per questo aspetto, da tenere ben <strong>di</strong>stinta dalla «descrizione<br />

fenomenologica e dalla messa in evidenza delle caratteristiche essenziali<br />

delle categorie fondamentali della natura nella fisica aristotelica»<br />

( 21 ). In particolare, per il significato ascritto al moto dei<br />

pianeti nel progetto complessivo <strong>di</strong> una teoria razionale del movimento,<br />

Hösle scriveva allora che Hegel «si colloca univocamente<br />

tra i seguaci <strong>di</strong> Platone e <strong>di</strong> una determinata tra<strong>di</strong>zione pitagorizzante»<br />

( 22 ); e ancora, che egli non viene influenzato “così fortemente”<br />

da nessun’altra tra<strong>di</strong>zione. In questo quadro, Hösle si limitava a<br />

ricordare che la concezione dei corpi celesti come “esseri animati”, ripresa<br />

da Hegel, non era solo platonica, bensì anche aristotelica ( 23 ).<br />

( 20 ) Ib., p. 124.<br />

( 21 ) Cf. HÖSLE (1984): pp. 74-75 e pp. 81-82.<br />

( 22 ) Ib., p. 86.<br />

( 23 ) Cf. ad es. De Caelo, II 12, 292 b 1-3: «Si deve perciò ritenere che anche<br />

l’azione che compiono gli astri sia suppergiù come quella <strong>degli</strong> animali e delle piante».<br />

Per la problematica questione dell’analogia aristotelica tra movimenti eterni e<br />

auto-cambiamento <strong>di</strong>retto dall’animo negli organismi viventi cf. WATERLOW (1988):<br />

cap. 5; GILL (1991): nota 44, p. 260. Per una <strong>di</strong>scussione dei luoghi nel De Caelo in cui<br />

Aristotele paragona i moti <strong>di</strong> alcune delle parti del cielo a quelle <strong>di</strong> animali, cf. GILL<br />

(1991): nota 40, p. 259. Da notare ancora che, nel De orbitis, i corpi celesti «Deorum<br />

more per levem aera incedant» (p. 3, 6-7): gli interpreti concordano nel vedere in<br />

questa espressione un riferimento al Fedro, 246 e -247 b , dove una schiera armata <strong>di</strong><br />

Dei e Demoni avanza, capofila Zeus, offrendo nel cielo lo spettacolo delle proprie<br />

evoluzioni circolari. Tuttavia l’assimilazione <strong>degli</strong> astri a corpi <strong>di</strong>vini che «si muovono<br />

eternamente in una solenne danza corale» si ritrova nel De mundo, 2, 391 b 17-<br />

19, mentre il riferimento all’“aria leggera” richiama l’etere aristotelico (ve<strong>di</strong> De Caelo,


142 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Da parte sua, uno stu<strong>di</strong>oso come H.S. Harris così valuta una<br />

possibile <strong>di</strong>pendenza della prima filosofia della natura <strong>hegel</strong>iana<br />

dalla fisica celeste <strong>di</strong> Aristotele, a proposito della flui<strong>di</strong>tà della materia<br />

terrestre e dei suoi processi: «Hegel sembra proprio mostrare<br />

talvolta uno scomodo atteggiamento aristotelico verso i Cieli — come<br />

se nessun cambiamento significativo vi avesse luogo [...]. L’apparenza<br />

è ingannevole. Nessun atteggiamento simile è richiesto<br />

dalla sua teoria della natura in generale» ( 24 ).<br />

Ancora, nella prospettiva storica <strong>di</strong> Manfred Baum, il “monismo<br />

speculativo” che caratterizzerebbe la visione <strong>hegel</strong>iana (e<br />

schellingiana) sia della natura in generale, sia del sistema solare in<br />

particolare, come essere vivente e animato, ha la sua “origine ultima”<br />

nella metafisica platonica ( 25 ). Questo stesso monismo starebbe<br />

alla base del richiamo <strong>di</strong> Hegel alla matematica della natura del<br />

Timeo <strong>di</strong> Locri. Diversamente che nel caso dell’esplicito pluralismo<br />

platonico delle Idee, in questo testo pseudopitagorico e me<strong>di</strong>oplatonico<br />

(composto forse nel 100 d. C.) l’universo visibile è infatti<br />

conformato da un’unica, singola Idea. In questo modo verrebbe<br />

sod<strong>di</strong>sfatto «il bisogno <strong>hegel</strong>iano <strong>di</strong> ritrovare la propria filosofia<br />

dell’Assoluto in quella che si supponeva fosse la più antica speculazione<br />

dei greci» ( 26 ).<br />

E neppure ci aiuta la recente ricostruzione, ad opera <strong>di</strong> Riccardo<br />

Pozzo, del curriculum stu<strong>di</strong>orum <strong>di</strong> Hegel allo Stift <strong>di</strong> Tubinga.<br />

Dopo aver ricordato l’inquadramento <strong>di</strong> Platone (considerato<br />

soprattutto come autore del Timeo) nella tra<strong>di</strong>zione pitagorica, pro-<br />

I 3, 270 b 21-25, citato anche in LSF, II, p. 339). In Met., XII 8, 1074 b 1-14 Aristotele<br />

mostra <strong>di</strong> apprezzare come una “reliquia” l’antichissima credenza secondo cui i corpi<br />

celesti, come prime sostanze, sono <strong>di</strong>vinità (cf. anche De Philosophia, fr. 12). Sulla<br />

relazione tra stelle e religione in Aristotele, ve<strong>di</strong> SCOTT (1994): pp. 36-37.<br />

( 24 ) Cf. HARRIS (II): nota 1, p. 252.<br />

( 25 ) BAUM (1990): p. 195.<br />

( 26 ) Ib., nota 23, p. 138.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

143<br />

posto da Bar<strong>di</strong>li in un suo corso del 1789-90, Pozzo così riassume<br />

gli stu<strong>di</strong> <strong>hegel</strong>iani <strong>di</strong> storia della filosofia: «pur a fronte <strong>di</strong> un costante<br />

interesse per i presocratici e per il pitagorismo, il riferimento<br />

alla metafisica <strong>di</strong> Platone resta centrale [...] pertanto la valutazione<br />

della logica e della filosofia <strong>di</strong> Aristotele resta pregiu<strong>di</strong>cata dalla<br />

preferenza accordata a Platone» ( 27 ).<br />

Quanto al riconoscimento <strong>di</strong> eventuali debiti contratti con<br />

Aristotele, il caso della meccanica celeste si presenta quin<strong>di</strong> ben <strong>di</strong>verso<br />

da quello <strong>di</strong> altri aspetti della Naturphilosophie <strong>hegel</strong>iana,<br />

quali la fisica terrestre o la biologia, per non parlare, a livello <strong>di</strong> sistema,<br />

della transizione della filosofia della natura nella filosofia<br />

dello spirito. Per fare qualche esempio, il nesso aristotelico tra principio<br />

del “continuum” e or<strong>di</strong>ne gerarchico della natura, è stato stu<strong>di</strong>ato<br />

alla luce dell’atteggiamento <strong>hegel</strong>iano rispetto alle teorie evoluzioniste;<br />

così come l’influsso delle posizioni dell’aristotelismo del<br />

XVII secolo (“minima naturalia” e “mixtio”) è stato esaminato alla<br />

luce del concetto <strong>hegel</strong>iano <strong>di</strong> misura e della sua teoria della<br />

“generatio aequivoca” ( 28 ). Lo stesso vale per la corrispondenza tra<br />

concezione <strong>hegel</strong>iana della natura come sistema <strong>di</strong> gra<strong>di</strong> e ilomorfismo<br />

aristotelico ( 29 ), teoria della sensazione nel De anima e stato<br />

dell’organismo animale nell’Enciclope<strong>di</strong>a ( 30 ), per la convergenza<br />

nell’approccio al problema della vita ( 31 ), per la concezione generale<br />

della realtà in quanto regolata da un processo teleologico tendente<br />

alla ragione che pensa se stessa, all’autocoscienza dell’assoluto<br />

( 32 ).<br />

( 27 ) POZZO (1988): pp. 88-89.<br />

( 28 ) Cf. BONSIEPEN (1989).<br />

( 29 ) Cf. DE VRIES (1988): pp. 44-46.<br />

( 30 ) Cf. FERRARIN (1990): pp. 79-147; DE VRIES (1988): pp. 64-67.<br />

( 31 ) Cf. FRANK (1927); LUGARINI (1992): pp. 99-101.<br />

( 32 ) Cf. HARTMANN (1957): pp. 251-252; DE VRIES (1980). Per una rassegna <strong>di</strong><br />

tutte queste (ed altre ancora) linee interpretative, cf. LONGATO (1989): pp. 124-131.


144 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Nel tentativo <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare una relazione significativa tra<br />

Hegel ed Aristotele in un campo per il quale finora non è stato posto<br />

il problema della priorità <strong>di</strong> un simile influsso, cercheremo innanzitutto<br />

<strong>di</strong> trovare dei termini me<strong>di</strong> che colleghino la prima Naturphilosophie<br />

<strong>hegel</strong>iana alla Metafisica aristotelica. La linea<br />

argomentativa che seguiremo consisterà nell’ in<strong>di</strong>viduare e raccogliere<br />

le fila dell’intreccio che lega l’origine della riflessione <strong>di</strong><br />

Hegel sul mondo fisico in generale, e sui moti e la <strong>di</strong>sposizione del<br />

sistema solare in particolare, a una prospettiva etico-religiosa, che<br />

si riflette anche sul suo approccio anti-kantiano (e anti-fichtiano)<br />

alla moralità. Aspetti questi che risulteranno pienamente comprensibili<br />

solo alla luce <strong>di</strong> alcuni concetti aristotelici, evidenziati a posteriori<br />

in passi delle Lezioni sulla storia della filosofia de<strong>di</strong>cati alla<br />

Metafisica. Ipotizzeremo infine che nell’uso effettivo, da parte <strong>di</strong><br />

Hegel, della tra<strong>di</strong>zione pitagorico-platonica nella sua prima filosofia<br />

della natura, vengano introdotti dei correttivi che risentono <strong>di</strong><br />

quegli stessi concetti, frutto delle critiche aristoteliche a tale tra<strong>di</strong>zione.<br />

4. Terminus a quo e ad quem — Gli scritti che prenderemo in esame si<br />

collocano tutti tra il 1796 e il 1803. Più precisamente, il nostro punto<br />

<strong>di</strong> partenza può essere rappresentato dalla questione: «Come<br />

deve essere costituito un mondo per un ente morale? Vorrei dare<br />

ancora una volta ali alla nostra fisica, che lentamente avanza a fatica<br />

negli esperimenti» ( 33 ). Hegel (come è ritenuto dalla maggioranza<br />

<strong>degli</strong> interpreti ( 34 )) si pone questa domanda nel primo programma<br />

<strong>di</strong> sistema dell’idealismo tedesco, redatto sul finire del periodo<br />

bernese (1796). Si è a lungo <strong>di</strong>scusso se l’autore effettivo del<br />

testo, che ruota intorno al progetto <strong>di</strong> dare espressione estetica, mi-<br />

( 33 ) HEGEL, Werke 1, p. 234: cf. la traduzione italiana in MASSOLO (1967): p. 249.<br />

( 34 ) Ve<strong>di</strong> HARRIS (I): pp. 249-257; cf. anche HANSEN (1989).


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

145<br />

tologica, alle Idee della Ragione (perché solo nel bello si avrebbe<br />

l’affratellamento <strong>di</strong> vero e bene) non fosse piuttosto Hölderlin o<br />

Schelling. Vale comunque la pena <strong>di</strong> ricordare che negli anni 1792-<br />

93 Schelling si era impegnato ad elaborare una mitologia filosofica,<br />

che fosse in grado <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfare tanto le pretese filosofico-razionali<br />

quanto quelle teologiche, stu<strong>di</strong>ando sia la filosofia pratica kantiana<br />

che i <strong>di</strong>aloghi platonici, e interessandosi in particolare al mito della<br />

creazione del mondo nel Timeo. Schelling arriverà perfino a scrivere<br />

(nel 1794) un vero e proprio commento a questo <strong>di</strong>alogo ( 35 ).<br />

Il nostro ideale punto <strong>di</strong> arrivo sarà invece l’articolo sul “Diritto<br />

naturale”, pubblicato a Jena sul Giornale critico della filosofia nel<br />

1802-1803, dove troviamo scritto: «Così, nel sistema della vita etica<br />

si rinserra il fiore, <strong>di</strong>schiuso, del sistema celeste» ( 36 ). Va detto che il<br />

( 35 ) Pubblicato, <strong>di</strong> recente, anche in traduzione italiana; sul suo significato<br />

per la concezione schellingiana della natura, in quanto la lettura del Timeo avrebbe<br />

offerto una alternativa ‘scientifica’ alla Natura formaliter spectata <strong>di</strong> Kant, esprimendo<br />

la conformità a leggi <strong>di</strong> specifici prodotti naturali, cf. F. MOISO, “Lo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

Platone agli inizi del pensiero <strong>di</strong> Schelling”, in SCHELLING (1794): p. 49 s. Per l’influenza<br />

<strong>di</strong> Hölderlin e <strong>di</strong> Schelling sulla lettura <strong>hegel</strong>iana del <strong>di</strong>aloghi platonici cf.<br />

VIEILLARD-BARON (1976): pp. 24-26 e 29-30.<br />

( 36 ) KJP, II, 2, 1802, p. 88: «so ist in dem Systeme der Sittlichkeit <strong>di</strong>e<br />

aussereinandergefaltete Blume des himmlischen Systems zusammengeschlagen».<br />

Sul significato <strong>di</strong> tale immagine cf. KIMMERLE (1970): pp. 144-145. E soprattutto ve<strong>di</strong><br />

BOURGEOIS (1986): pp. 515-516, che la interpreta alla luce della filosofia della natura<br />

schellingiana in particolare, e in generale, della visione comune anche ad un Herder,<br />

un Goethe e un Baader, per cui l’etere, come materia spirituale, anima dell’universo,<br />

è insieme semenza universale, sempre riconducente le cose che vi nascono alla<br />

sua identità, e principio della loro <strong>di</strong>fferenziazione formale. A nostra conoscenza<br />

(Buchner e Pöggeler, curatori dell’e<strong>di</strong>zione critica dell’articolo sul “Diritto naturale”<br />

in GW IV, Jenaer Kritische Schriften, non appongono alcuna nota in proposito) non è<br />

stata finora rilevata la concordanza tra questa espressione e un passo delle Lezioni<br />

sulla storia della filosofia su Giordano Bruno, riguardo alla costituzione dell’universo<br />

e alla sostanziale congruenza tra intelletto formale e causa finale (intesa come il<br />

Motore Immobile aristotelico (ve<strong>di</strong> infra, nota 80)): «[Bruno] adunque determina<br />

l’unità della vita come intelligenza (nous) universale, attiva, che si manifesta come<br />

forma universale del cosmo, e comprende in se stessa tutte le forme. Essa nel produrre<br />

le cose della natura si comporta come l’intelligenza dell’uomo, e le forma e


146 HEGEL E ARISTOTELE<br />

motivo <strong>degli</strong> elementi <strong>di</strong> un sistema naturale, <strong>di</strong> per sé <strong>di</strong>spiegati<br />

nella molteplicità, che solo nella <strong>di</strong>mensione spirituale ritornano<br />

alla propria unità e totalità interna, venendo quin<strong>di</strong> posti secondo<br />

essa, non si esaurisce certo qui. Nello Hegel maturo, la integrazione<br />

della filosofia della natura nell’etica è visibile nella riproposta<br />

(criticata e <strong>di</strong>battuta dagli interpreti ( 37 )), in sede <strong>di</strong> Logica soggettiva,<br />

<strong>di</strong> forme concettuali particolarmente significative per lo stu<strong>di</strong>o<br />

della natura, e già trattate, come nel caso del Meccanismo e del<br />

Chimismo, a livello <strong>di</strong> Logica oggettiva. Insieme alla Teleologia e al<br />

gruppo delle modalità soggettive del pensiero (Concetto, Giu<strong>di</strong>zio<br />

e Sillogismo), questi elementi confluiscono infatti nell’Idea della<br />

Vita. Un’Idea che raccogliendo e integrando in sé soggettività e oggettività,<br />

si compirà, attraverso l’Idea del Conoscere, in quella del<br />

Bene, per realizzarsi così nell’Idea assoluta ( 38 ).<br />

5. I lineamenti della prima filosofia della natura <strong>di</strong> Hegel: la Dissertatio<br />

— Per quanto riguarda invece il periodo che abbiamo scelto qui <strong>di</strong><br />

riduce a sistema allo stesso modo che l’intelligenza umana forma una moltitu<strong>di</strong>ne<br />

<strong>di</strong> concetti. Essa è l’artista interiore, che dall’interno foggia e informa la materia.<br />

Dall’interno delle ra<strong>di</strong>ci del seme essa manda fuori i germogli, da questi i tronchi,<br />

da questi i rami, dall’interno dei rami le gemme, le foglie, i fiori ecc. Tutto è <strong>di</strong>sposto,<br />

preparato e confezionato interiormente. Così pure quest’intelligenza universale<br />

richiama anche dall’interno le sue linfe dai frutti e dai fiori ai rami e così via»<br />

(Hegel, SW, Bd. 19,3, p. 228; LSF, III,1, pp. 216-217. Cf. anche Vorlesungen, Bd. 9, Teil<br />

4, p. 52, 613-618). Hegel cita dal De la causa, principio et uno (ed. Aquilecchia: pp. 68,<br />

13-69,4) a lui noto anche attraverso la seconda e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Jacobi, Ueber <strong>di</strong>e Lehre des<br />

Spinoza in Briefen an den Herrn Moses Mendelssohn (Breslau, Löwe, 1789), che aveva<br />

tradotto alcune parti (tra cui questa) dello scritto bruniano (cf. a questo proposito<br />

Hegel, Vorlesungen, cit., la nota dei curatori a p. 241). Da ricordare che Hegel mostra<br />

<strong>di</strong> aver ben presenti le Briefe, in una comunicazione a Mehmel, a proposito della<br />

nuova e<strong>di</strong>zione del Gott <strong>di</strong> Herder, del 26 agosto 1801 (il giorno prima <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere<br />

le Tesi premesse alla Dissertatio: ve<strong>di</strong> anche infra, nota 47).<br />

( 37 ) Cf. HÖSLE (1987): pp. 239-250.<br />

( 38 ) Cf. VERRA (1992): pp. 14-15.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

147<br />

trattare, frammenti non pubblicati, <strong>di</strong>ssertazione pro venia legen<strong>di</strong>,<br />

articoli e note <strong>di</strong> au<strong>di</strong>tori, testimoniano come, tra il 1796 e il 1803,<br />

Hegel formi e progressivamente elabori un suo personale approccio<br />

a quella che già l’idealismo post-kantiano e post-fichtiano aveva<br />

reso nota come la nuova “filosofia della natura”. Una “Naturphilosophie”<br />

che, pur nella <strong>di</strong>versità delle prospettive, presentava come<br />

tratto comune la volontà <strong>di</strong> conoscere in modo oggettivo, universale<br />

e necessario le leggi specifiche della natura (e non la natura<br />

“formaliter spectata”) basandosi sulle Idee della Ragione (e non sulle<br />

categorie dell’Intelletto). In particolare, se pren<strong>di</strong>amo un testo<br />

centrale per il nostro argomento come la Dissertatio philosophica de<br />

orbitis planetarum del 1801, un oggetto della riflessione <strong>hegel</strong>iana risulta<br />

essere il rapporto tra la fisica meccanica (Newton e i newtoniani)<br />

— dove si evidenzia l’uso <strong>di</strong> un metodo analitico, induttivo e<br />

sperimentale, che però viene criticato come dogmatico —, e la geometria,<br />

per il suo metodo sintetico e deduttivo, <strong>di</strong> cui viene sottolineato<br />

l’aspetto euristico, secondo la lezione <strong>di</strong> Clairaut.<br />

Per inciso, è stato <strong>di</strong> recente mostrato che la posizione <strong>hegel</strong>iana<br />

su questo punto ha sicuramente avuto l’opportunità <strong>di</strong> maturarsi<br />

durante un periodo più lungo <strong>di</strong> quello finora in<strong>di</strong>cato dagli<br />

interpreti, che fanno risalire il lavoro preparatorio per il De orbitis<br />

al soggiorno a Francoforte ( 39 ). È stato rinvenuto infatti, nel Catalogo,<br />

compilato nel 1802, della biblioteca <strong>di</strong> Tschugg, la residenza <strong>di</strong><br />

campagna della famiglia von Steiger, presso cui Hegel lavorò dal<br />

1793 al 1796 come precettore, tutto un fondo scientifico <strong>di</strong> manuali<br />

<strong>di</strong> geometria e <strong>di</strong> fisica (redatti da fautori sia dello sperimentalismo<br />

newtoniano che del razionalismo cartesiano) che permettono <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>re<br />

e arricchire <strong>di</strong> me<strong>di</strong>azioni la valutazione <strong>hegel</strong>iana del<br />

rapporto tra geometria e fisica ( 40 ). Tutti questi elementi hanno conosciuto<br />

una prima elaborazione e stesura coerente proprio nella<br />

( 39 ) Cf. HARRIS (II): p. 77; BONSIEPEN (1985): pp. 10-11; ib. (1991): pp. 40-41.<br />

( 40 ) Cf. FERRINI (1993).


148 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Dissertatio, dove Hegel presenta per la prima volta i lineamenti <strong>di</strong><br />

un approccio speculativo allo stu<strong>di</strong>o della natura sotto una costellazione<br />

molto peculiare, tanto de<strong>di</strong>cando tre delle do<strong>di</strong>ci Praemissae<br />

Theses solo al rapporto tra morale e virtù, quanto mostrando <strong>di</strong><br />

propugnare il valore della matematica della natura dei Pitagorici e<br />

<strong>di</strong> Platone rispetto a una presunta <strong>di</strong>screpanza tra legge scientifica<br />

(la serie aritmetica <strong>di</strong> Bode per le <strong>di</strong>stanze dei pianeti) e osservabile<br />

realtà fisica (gli intervalli effettivamente esistenti).<br />

Vale dunque la pena <strong>di</strong> soffermarsi sul rapporto tra realtà<br />

matematica e realtà fisica, che rimane costantemente sullo sfondo<br />

dei vari contenuti <strong>di</strong> questo scritto, per la cui interpretazione la letteratura<br />

si è ultimamente dotata <strong>di</strong> nuovi elementi e strumenti critici<br />

( 41 ). Il contesto generale del lavoro è dato dalla polemica<br />

rivalutazione dell’atteggiamento scientifico <strong>di</strong> Keplero contro quello<br />

<strong>di</strong> Newton; in questo quadro, Newton viene accusato sostanzialmente<br />

<strong>di</strong> aver “confuso” de facto i “puri” rapporti matematici con<br />

quelli fisici (ad esempio attribuendo troppo facilmente valore “vero e<br />

fisico” <strong>di</strong> forze a linee geometriche o a punti matematici). La maggiore<br />

‘purezza’ <strong>di</strong> Keplero consisterebbe nell’aver ricavato le sue<br />

leggi dalla semplice osservazione empirica e nell’averle formulate<br />

nella forma “più chiara” e “più semplice”, vale a <strong>di</strong>re facendo unicamente<br />

uso dei concetti propriamente implicati nella nozione <strong>di</strong> movimento,<br />

spazio e tempo, senza ricorrere ad ipotesi aggiuntive ( 42 ). Si<br />

( 41 ) Tanto che è da considerarsi definitivamente superata la prospettiva <strong>di</strong><br />

DE GANDT (1979): p. 28: «La Dissertazione è <strong>di</strong>fficile da giustificare allorché si conoscono<br />

gli scritti giovanili <strong>di</strong> Hegel. Perché aver scelto questo soggetto, quando<br />

le sue me<strong>di</strong>tazioni a Berna (1793-1796), poi a Francoforte (1797-1800) sembrano<br />

essersi esclusivamente appuntate su temi religiosi e politici?».<br />

( 42 ) Per fare un esempio che può meglio chiarire lo spirito della contrapposizione<br />

Keplero-Newton nella Dissertatio: come Newton “prova” l’ellitticità<br />

delle orbite, vale a <strong>di</strong>re la prima legge <strong>di</strong> Keplero? Con l’introduzione della forza<br />

gravitazionale viene <strong>di</strong>mostrato matematicamente che le orbite sono delle sezioni<br />

coniche (iperboli, parabole, ellissi con eccentricità nulla, vale a <strong>di</strong>re cerchi)<br />

ma così non si arriva mai al dato effettivamente osservabile. Per ottenere la spe-


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

149<br />

rimandava tra l’altro così ad un problema, quello del carattere ipotetico<br />

della geometria e della problematicità della applicazione <strong>di</strong><br />

“puri enti <strong>di</strong> ragione” alla fisica, già sollevato dalla scepsi antica, e<br />

ripreso e <strong>di</strong>battuto dagli storici della matematica del tempo ( 43 ).<br />

A un livello più sottile <strong>di</strong> analisi, possiamo <strong>di</strong>re che nel De<br />

orbitis, lungi dall’attribuire portata solo ideale e formale alla matematica,<br />

si <strong>di</strong>stingue piuttosto tra tipi <strong>di</strong> leggi fisiche. Viene esplicitamente<br />

detto, ad esempio, che i rapporti esibiti dalla matematica<br />

(in latino rationes) proprio perché razionali (in latino, sempre:<br />

rationes, Hegel gioca consapevolmente con il duplice significato <strong>di</strong><br />

ratio) sono inerenti alla natura, reali e fisici, e se compresi, sono<br />

dunque delle leggi <strong>di</strong> natura (De orbitis, p. 5, 1-6: come nel caso della<br />

terza legge <strong>di</strong> Keplero, formulata come costanza del rapporto tra<br />

il cubo dello spazio e il quadrato del tempo).<br />

Ma si danno anche espressioni matematiche delle stesse regolarità<br />

fisiche (ad esempio la “<strong>di</strong>mostrazione” matematica fornita<br />

da Newton della seconda legge <strong>di</strong> Keplero utilizzando il metodo<br />

delle grandezze evanescenti, o delle cosiddette “ultime ragioni”),<br />

in cui tanto la generalità del risultato (valido per qualsiasi sezione<br />

conica, non solo per l’ellisse effettivamente percorsa dal pianeta nel<br />

suo moto orbitale), quanto l’assur<strong>di</strong>tà delle conseguenze che si derivano<br />

se si assume che tale <strong>di</strong>mostrazione sia effettivamente corretta,<br />

o assicurano solo una realtà ipotetica a tale legge, o semplicemente<br />

non sono valide. In questo caso ci troviamo per Hegel <strong>di</strong><br />

fronte a formulazioni il cui valore scientifico è usurpato, o la cui realtà<br />

è al massimo quella della astratta determinabilità della matematica.<br />

cificità dell’orbita planetaria, nei Principia Newton deve in effetti introdurre<br />

un’ipotesi aggiuntiva, <strong>di</strong> carattere contingente, sulle con<strong>di</strong>zioni iniziali del sistema:<br />

quella sulla velocità iniziale dei pianeti (lo spostamento corrispondente, in<br />

una data approssimazione, essendo rappresentato dal primo lato della poligonale<br />

della <strong>di</strong>mostrazione newtoniana della legge delle aree).<br />

( 43 ) MONTUCLA, 1758: p. 25 e p. 28; 1799: p. 21 e p. 22.


150 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Va osservato che Hegel non formulava qui delle critiche personali,<br />

ma faceva propria sia, notoriamente, un’osservazione <strong>di</strong><br />

Laplace, sia, meno notoriamente, la posizione anti-newtoniana <strong>di</strong><br />

uno scienziato gesuita francese della prima metà del Settecento,<br />

Padre Castel, come è stato mostrato in recenti lavori sull’argomento<br />

( 44 ).<br />

È dunque in un contesto molto più sofisticato e strutturato <strong>di</strong><br />

quello che si è finora creduto, in un contesto formato da una conoscenza<br />

ampia, <strong>di</strong>retta e approfon<strong>di</strong>ta <strong>degli</strong> effettivi problemi<br />

metodologici <strong>di</strong>battuti dagli scienziati del tempo, e da una fine percezione<br />

delle relative implicazioni epistemologiche, che viene ritagliato<br />

lo spazio per una ‘filosofia speculativa’ della natura.<br />

Ma qui si situa anche il richiamo <strong>di</strong> Hegel alla filosofia <strong>degli</strong><br />

antichi, così annunciato all’inizio della Dissertatio: «infine <strong>di</strong>mostrerò<br />

anche, con un illustre esempio tratto dalla filosofia antica, cosa<br />

valga (quid...valeat) la filosofia nei casi <strong>di</strong> determinazione delle<br />

quantità per i rapporti (rationibus) matematici» (De orbitis, p. 4, 4-<br />

7), con successivo riferimento ai numeri pitagorici-platonici del<br />

Timeo <strong>di</strong> Locri (che Hegel rifiuta <strong>di</strong> considerare apocrifo, e accetta<br />

come fonte autentica <strong>di</strong> Platone ( 45 )) e del Timeo, per una legge delle<br />

<strong>di</strong>stanze dei pianeti più rispettosa dei fenomeni ad Hegel noti, <strong>di</strong><br />

quanto per lui non fosse la serie aritmetica fornita dalla legge <strong>di</strong><br />

Bode. E un’altra delle affermazioni-chiave del De orbitis non lascia<br />

dubbi sul contesto in cui situare un tale riferimento: «In verità la<br />

misura e il numero della natura non possono (nequeunt ( 46 )) essere<br />

94-99.<br />

( 44 ) Cf. FERRINI (1994). Ve<strong>di</strong> anche la nota NASTI, 7, 19-22 in FERRINI (1995): pp.<br />

( 45 ) Cf. VEILLARD-BARON (1973): pp. 518-519.<br />

( 46 ) Sottolineiamo l’uso <strong>di</strong> nequeo : misura e numero non possono essere estranei<br />

alla ragione per come si mostra conformata, all’osservazione, la natura stessa; in<br />

latino, nequeo viene infatti usato in riferimento ad una impossibilità dovuta a circostanze<br />

oggettive (Hegel non sembra quin<strong>di</strong> pensare nell’ottica soggettiva <strong>di</strong> una<br />

benevola azione del Demiurgo: cf. infra, nota 87).


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

151<br />

estranei alla ragione: e (suggeriamo <strong>di</strong> tradurre secondo<br />

un attestato uso ciceroniano <strong>di</strong> “neque”) lo stu<strong>di</strong>o e la<br />

conoscenza delle leggi della natura non si fondano su niente <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso<br />

dal nostro credere che la natura sia conformata dalla ragione<br />

e dall’essere persuasi della identità <strong>di</strong> tutte le leggi della natura»<br />

(De orbitis, p. 31, 21-26).<br />

Questo elemento della presenza della ragione nella natura,<br />

dello speculativo nel concreto, Hegel lo trovava, certo, sia in pensatori<br />

più vicini a lui, quali Bruno e Spinoza (non mancando, tuttavia,<br />

<strong>di</strong> rintracciare in quel tipo <strong>di</strong> filosofia la presenza <strong>di</strong> forme e nozioni<br />

aristoteliche ( 47 )) sia <strong>di</strong>rettamente nello stesso Aristotele ( 48 ) in<br />

( 47 ) Cf. HEGEL, SW, Bd. 19,3, pp. 227-228 (invariato in LSF, III,1 p. 216): «I suoi<br />

[<strong>di</strong> Bruno] pensieri filosofici, sono in parte concetti aristotelici, che egli usa [...]. Il contenuto<br />

dei suoi pensieri generali è il suo gran<strong>di</strong>ssimo entusiasmo per la già menzionata<br />

animazione della natura, per la <strong>di</strong>vinità, per la presenza della ragione nella natura: <strong>di</strong><br />

modo che la sua filosofia è indubbiamente in generale spinozismo, panteismo». I due<br />

motivi della identificazione, in generale, della filosofia <strong>di</strong> Bruno con lo spinozismo, e<br />

<strong>di</strong> un suo uso <strong>di</strong> forme aristoteliche (dunamis, potenza, realtà effettuale) si ritrovano<br />

nelle Vorlesungen, Bd. 9, Teil 4, p. 52, 606-608 e p. 53, 643-644 (cf. inoltre, per il secondo<br />

tema, l’opinione dei curatori a p. 243, 1 nonché VERRA (1993), nota 7, p. 607 per l’identica<br />

posizione <strong>di</strong> Michelet a p. 739 della sua Geschichte der letzten Systeme der Philosophie<br />

in Deutschland von Kant bis Hegel). Sul possibile richiamo <strong>di</strong> Hegel al Della causa, principio<br />

ed uno <strong>di</strong> Giordano Bruno per la pagina d’apertura stessa del De orbitis, dove i<br />

pianeti sono paragonati a Dei, e chiamati animalia, cf. FERRINI (1991): p. 473, nota 46. In<br />

un altro passo delle Lezioni, Hegel parrebbe interpretare il <strong>di</strong>o aristotelico nei termini<br />

spinoziani della “causa sui” (ve<strong>di</strong> SW, Bd. 18,2, p. 326), quando parla <strong>di</strong> sostanza che<br />

«produce il proprio contenuto, le sue stesse determinazioni, se stessa». Quanto questo<br />

sia dovuto al lavoro e<strong>di</strong>toriale <strong>di</strong> Michelet, o rispecchi un’ autentica lettura<br />

<strong>hegel</strong>iana, non ci è stato possibile verificare, in quanto il vol. 8 dell’e<strong>di</strong>zione Garniron<br />

e Jaeschke delle Lezioni sulla storia della filosofia, comprendente anche Aristotele, al<br />

momento in cui scriviamo risulta ancora in preparazione presso l’e<strong>di</strong>tore Meiner.<br />

( 48 ) HEGEL, SW, Bd. 19,3, p. 204; LSF, III,1 p. 191: «Lo speculativo è presente in<br />

Aristotele, in quanto tale pensiero non si abbandona al riflettere per sé, ma ha sempre<br />

<strong>di</strong>nanzi a sé la natura concreta dell’oggetto; questa natura è il concetto della cosa<br />

(Sache), e quest’essenza (Wesen) speculativa della cosa (Sache) è lo spirito <strong>di</strong>rettivo<br />

che non lascia libere per sé le determinazioni della riflessione». Che anche nel 1801<br />

Hegel la pensasse nello stesso modo, ce lo mostra un passo del De orbitis (p. 21,5 sgg.),<br />

dove Hegel ripropone la contrapposizione tra speculativo e riflessivo per la vera comprensione<br />

della natura concreta dell’oggetto nei termini <strong>di</strong> una contrapposizione tra


152 HEGEL E ARISTOTELE<br />

contrapposizione a Platone ( 49 ). Per quest’ultimo infatti, com’è noto,<br />

la verità (in quanto <strong>di</strong>mensione ontologica che coincide con gli enti<br />

eidetici) non è imme<strong>di</strong>atamente e pienamente riscontrabile nella<br />

natura fenomenica, in cui rimane piuttosto latente e velata ( 50 ).<br />

filosofi quali Aristotele e Newton. Hegel cita liberamente dai Principia, Prop.VI, Cor. I<br />

( su cui cf. DE GANDT (1979): p. 150, nota 46) dove si intende refutare «un teorema <strong>di</strong><br />

Cartesio, Aristotele ed altri» (per il significato dato a questo esperimento in accre<strong>di</strong>tati<br />

manuali <strong>di</strong> fisica che Hegel aveva avuto la possibilità <strong>di</strong> consultare nella biblioteca<br />

<strong>di</strong> Tschugg, cf. FERRINI (1993): pp. 748-751). Per quanto riguarda Aristotele, il riferimento<br />

è evidentemente a Fisica, IV 8, 215a 25-215b 12. L’ esperimento newtoniano dei<br />

due pendoli, identici per lunghezza e resistenza dell’aria, costruiti con coppie <strong>di</strong> materie<br />

<strong>di</strong>verse (oro, sabbia etc.) ma dello stesso peso, racchiuse in due sfere uguali, è<br />

eletto da Hegel a para<strong>di</strong>gma del modo <strong>di</strong> procedere puramente riflessivo-intellettuale<br />

della filosofia sperimentale (vale a <strong>di</strong>re, tale da ignorare completamente ciò che<br />

vuole la “philosophia vera”: De orbitis, p. 21, 25-28; da restare “estraneo alla vita della<br />

natura”: ib., riga 30; in quanto interessato alle cause esterne ed estranee alla stessa<br />

materia: ib., pp. 22,19-23,6. Sulla fortuna e il significato <strong>degli</strong> esperimenti con il pendolo<br />

nella meccanica newtoniana, cf. SARLEIJMIN (1993). Questi gli argomenti <strong>hegel</strong>iani:<br />

1) l’esperimento pretende <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare che la pesantezza dei corpi è in ragione della<br />

quantità <strong>di</strong> materia, ma in realtà non prova affatto la tesi, in quanto, con una simile<br />

preparazione ad hoc, non si poteva trovare, sperimentalmente, altro risultato che quello<br />

voluto sin dall’inizio; 2) la filosofia sperimentale presume inoltre (falsamente) <strong>di</strong> sconfessare<br />

definitivamente in tale modo “oggettivo”, tutti quei filosofi (Aristotele compreso)<br />

«qui unius ejusdemque materiae <strong>di</strong>versas tantum formas statuunt» (cf. Met.,<br />

VIII 4, 1044a 15-18). A questo proposito è possibile documentare la perfetta continuità<br />

tra il De orbitis e le Lezioni sulla storia della filosofia de<strong>di</strong>cate alla filosofia della natura <strong>di</strong><br />

Aristotele: «Per quanto riguarda invece l’altro caso, la <strong>di</strong>fferenza tra pesante e leggero,<br />

che va considerata nei corpi stessi, il più pesante si muove più rapidamente del<br />

più leggero nello stesso spazio; “ma questa <strong>di</strong>fferenza si ha soltanto nel pieno, perché<br />

il corpo pesante con la sua stessa forza separa più rapidamente il pieno”. Il rappresentarsi<br />

un identico movimento del pesante e del leggero, una gravità pura, un peso<br />

puro, una materia pura, è un’astrazione, come se tutte queste cose fossero in sé uguali,<br />

e la <strong>di</strong>fferenza derivasse soltanto dalla resistenza dell’aria, l’accidentale. Questo<br />

modo <strong>di</strong> vedere è esattissimo, e serve ottimamente a combattere un insieme <strong>di</strong> rappresentazioni,<br />

che imperversano nella nostra fisica» (HEGEL, SW, Bd. 18,2, pp. 355-<br />

356; LSF, II, p. 330).<br />

( 49 ) Cf. HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 217: «Il primo è la coscienza sensibile; questo<br />

è il conosciuto, da cui pren<strong>di</strong>amo le mosse. Che attraverso ciò venga dato il vero, è<br />

una rappresentazione cui Platone è assolutamente contrario» (cf. LSF, II, p. 199).<br />

( 50 ) Cf. LUGARINI (1961): pp. 77-81, che pensa soprattutto alla Repubblica, libri<br />

VI e VII.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

153<br />

Il passo sopra ricordato, richiamandosi al ruolo determinante<br />

della Ragione per la costituzione e la conoscenza del finito, si<br />

ricollega inoltre alle Tesi VI e VII, <strong>di</strong> tipo logico-speculativo e storico-filosofico,<br />

premesse al De orbitis: «L’Idea è la sintesi dell’infinito<br />

e del finito, e la filosofia è tutta nelle idee», «La filosofia critica è<br />

priva <strong>di</strong> Idee ed è una forma imperfetta <strong>di</strong> Scetticismo» (nel senso<br />

che assegna alla ragione solo un ruolo euristico per la conoscenza<br />

universale e necessaria dei fenomeni, mentre non dubita del valore<br />

conoscitivo delle categorie dell’intelletto, facendo della matematica<br />

e della fisica delle scienze sintetiche a priori, sottratte ad ogni ragionevole<br />

dubbio).<br />

6. Etica e filosofia della natura: una “via verso” la Metafisica aristotelica<br />

— Ora, è interessante notare che nell’articolo “Sulla relazione della<br />

filosofia della natura con la filosofia in generale” del 1802, si ritrova<br />

la citazione quasi testuale della Tesi VI, in un contesto esplicitamente<br />

etico-religioso, introdotto, tra l’altro, da un richiamo nostalgico<br />

alla gaiezza e purezza dell’intuizione greca della natura, contrapposte<br />

alla “incolta serietà” e alla “torbida sensibilità” della considerazione<br />

moderna <strong>di</strong> essa ( 51 ). Va detto che <strong>di</strong> questo articolo Hegel<br />

riven<strong>di</strong>cò la paternità, in conversazioni private con Michelet e<br />

Cousin, paternità smentita poi da Schelling ( 52 ). Ma la stessa <strong>di</strong>atri-<br />

( 51 ) KJP, I, 3, 1802, p. 21.<br />

( 52 ) Può essere interessante ricostruire brevemente questa intricata e curiosa<br />

vicenda: Michelet in un primo tempo aveva attribuito il saggio a Schelling, ma venne<br />

convinto del fatto che Hegel ne fosse l’autore da Hegel stesso, e lo inserì quin<strong>di</strong><br />

nella prima e<strong>di</strong>zione completa (postuma) delle sue opere. Tuttavia, in una lettera a<br />

Weiss del 31 ottobre 1838 (che Weiss poi inoltrò a von Henning e che Michelet riportò<br />

l’anno seguente nel suo scritto Schelling und Hegel. Oder Beweis der Aechtheit der<br />

Abhandlung: Ueber das Verhältniss der Naturphilosophie zur Philosophie <strong>di</strong><br />

überhaupt. Als Darlegung der Stellung beider Männer gegen einander, Berlin,<br />

Dümmler, 1839, p. 6), Schelling negava risolutamente ogni contributo <strong>di</strong> Hegel alla<br />

stesura dell’articolo e perfino alla visione delle bozze. Oggi la critica ritiene decisivo<br />

il fatto che nel suo curriculum vitae del 1804 Hegel non facesse menzione del saggio,


154 HEGEL E ARISTOTELE<br />

ba sull’attribuzione è segno che i contenuti erano quantomeno con<strong>di</strong>visi,<br />

se non pesantemente influenzati, da Hegel. Nella pagina che<br />

ci interessa, la (nuova) filosofia della natura viene <strong>di</strong>fesa dalle accuse<br />

<strong>di</strong> irreligiosità e amoralità/immoralità, mosse da una prospettiva<br />

moralisteggiante che concepisce solo empiricamente l’unità tra<br />

Io e natura, “come naturalismo”, ed interpreta l’idealismo “come<br />

egoismo” ( 53 ). In una nota dell’e<strong>di</strong>zione in lingua inglese <strong>di</strong> questo<br />

scritto, H.S. Harris vede qui un riferimento al revival della dottrina<br />

spinoziana dell’unità <strong>di</strong> Dio e Natura, e dell’“unità della mente con<br />

tutta la natura” come il bene dell’uomo, nella filosofia dell’Identità<br />

( 54 ). E non possiamo non ricordare a questo proposito che nella<br />

Tesi VIII Hegel aveva scritto: «la materia del postulato della ragione<br />

esibita dalla filosofia critica, <strong>di</strong>strugge questa stessa, ed è il principio<br />

dello spinozismo».<br />

Ma la corrispondenza tra la Dissertatio e questo testo del 1802<br />

va ben più oltre: <strong>di</strong> contro a chi interpreta la Naturphilosophie sulla<br />

base <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> assunzioni, l’articolo <strong>di</strong> Schelling afferma con<br />

forza che essa «<strong>di</strong>venterà una nuova fonte della intuizione e conoscenza<br />

<strong>di</strong> Dio», e che «una filosofia che deriva totalmente dalla<br />

ragion pura e consiste solo <strong>di</strong> idee (und nur in den Ideen ist: cf. la<br />

Tesi VI: “et philosophia omnis est in ideis”) deve scaturire da una<br />

energia più veramente etica». Una simile unità <strong>di</strong> etica, ragione e<br />

speculazione è ottenuta attraverso la definizione dell’etica come<br />

principio <strong>di</strong> liberazione dello spirito da tutto ciò che è estraneo, o<br />

materico, come elevazione allo stato <strong>di</strong> essere determinati soltanto<br />

attraverso la ragione pura, senza contaminazioni.<br />

È in questa prospettiva che suggeriamo <strong>di</strong> leggere il riferimento,<br />

sempre <strong>di</strong> Schelling, all’impresa <strong>di</strong> Hegel nella Dissertatio,<br />

per cui non si hanno più dubbi sulla veri<strong>di</strong>cità della versione <strong>di</strong> Schelling (cf. G. DI<br />

GIOVANNI e H.S. HARRIS (1985): pp. 365-366; ve<strong>di</strong> anche TILLIETTE (1968): p. 157, e<br />

GILSON (1986): p. 51 sgg.).<br />

( 53 ) KJP, I, 3, p. 22.<br />

( 54 ) DI GIOVANNI & HARRIS (1985): nota 16, p. 381.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

155<br />

che appare nel Bruno, <strong>di</strong>alogo sul principio <strong>di</strong>vino e naturale delle<br />

cose, pubblicato nel 1802. In una nota al testo, si rimanda alle «precedenti<br />

fatiche <strong>di</strong> un amico», che ha “liberato” le leggi <strong>di</strong> Keplero<br />

da «<strong>di</strong>fformazioni empiriche e meccaniche» e così «le ha conosciute<br />

nella loro “purezza”, restituendole al loro autentico senso speculativo»<br />

( 55 ). Nell’ottica del Bruno, Hegel avrebbe dunque preparato<br />

il terreno per la ulteriore elaborazione schellingiana dello stesso<br />

tema: le tre leggi <strong>di</strong> Keplero risultano infatti conformi allo schema<br />

della costruzione esposto nel <strong>di</strong>alogo, in quanto si rapportano tra<br />

loro come in<strong>di</strong>fferenza, <strong>di</strong>fferenza e totalità, esprimendo perfettamente<br />

l’intero “organismo della ragione” ( 56 )<br />

Se dunque per Schelling la purificazione dell’animo operata<br />

dall’etica, è “la con<strong>di</strong>zione della filosofia”, sembra che per lui la filosofia<br />

della natura sia in grado <strong>di</strong> mantenere le sue promesse solo<br />

in quanto svolge questo stesso compito <strong>di</strong> liberazione/purificazione<br />

nell’ambito delle leggi fisiche. Alius et idem è invece il giu<strong>di</strong>zio<br />

<strong>di</strong> Hegel sul proprio lavoro, nel senso che viene posto il nesso tra<br />

fisica, matematica e idealismo da un lato, e prospettiva etico-religiosa<br />

dall’altro, ma lo si coglie dal punto <strong>di</strong> vista della determinatezza<br />

della sintesi <strong>di</strong> infinito e finito compiuta dalla nuova Naturphilosophie.<br />

Nell’articolo su Krug del gennaio 1802 (la Dissertatio fu<br />

consegnata ufficialmente all’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Jena nell’ottobre 1801),<br />

Hegel controbatte alla sfida, lanciata all’idealismo, <strong>di</strong> produrre razionalmente<br />

la deduzione <strong>di</strong> una particolare rappresentazione, determinata<br />

e finita; nella sua risposta, sostiene l’infondatezza della<br />

( 55 ) SCHELLING, SW, IV, Bruno, ein Gespräch (1802), p. 330 (nota alla p. 270).<br />

( 56 ) Per completezza d’informazione, segnaliamo l’opinione <strong>di</strong> OESER (1975):<br />

p. 143, per cui questo ritorna a Keplero, per Schelling, “come per Hegel”, avrebbe<br />

significato <strong>di</strong> “un ritorno ad Aristotele”, dato che lo stesso Keplero aveva accolto la<br />

critica aristotelica alla ontologia pitagorica della matematica (cf. Harmonice mun<strong>di</strong>,<br />

Op. V, p. 221), e non aveva <strong>di</strong>feso una interpretazione puramente matematica della<br />

dottrina platonica delle Idee. Cf. anche CASSIRER (1922): p. 369. Su quel tentativo <strong>di</strong><br />

Keplero, giu<strong>di</strong>cato sostanzialmente infruttuoso, <strong>di</strong> comprendere “i famosi numeri”<br />

pitagorico-platonici, ve<strong>di</strong> HEGEL, SW, Bd. 18,2 p. 258; LSF, II, p. 237.


156 HEGEL E ARISTOTELE<br />

pretesa, che nascerebbe da una prospettiva ancorata alla coscienza<br />

empirica, e riven<strong>di</strong>ca la capacità della filosofia della natura <strong>di</strong> in<strong>di</strong>care<br />

come vada concepita, piuttosto, “l’organizzazione” del finito,<br />

sostenendo che il concetto <strong>di</strong> costruzione filosofica implica la comprensione<br />

dell’insieme sistematico <strong>di</strong> cui quel singolo elemento fa<br />

parte. L’esempio è quello della luna, che non può essere compresa<br />

senza il sistema solare. Citando quasi testualmente un’espressione<br />

del paragrafo introduttivo del De orbitis, Hegel qualifica la conoscenza<br />

<strong>di</strong> questo sistema come il compito “più sublime e più elevato”<br />

della ratio. Krug deve così rinunciare ad esigere la deduzione<br />

della sua penna, rispetto all’interesse primario della filosofia idealistica:<br />

«porre ancora una volta Dio in modo assoluto al primo posto<br />

in cima alla filosofia come il solo fondamento <strong>di</strong> tutto, come l’unico<br />

principium essen<strong>di</strong> e cognoscen<strong>di</strong>» ( 57 ).<br />

Soffermiamoci su questo “porre ancora una volta”, e cerchiamo<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare a che cosa Hegel si riferisca. A mia conoscenza,<br />

nell’intero corpus delle Lezioni sulla storia della filosofia la sola occorrenza<br />

<strong>di</strong> questa coppia <strong>di</strong> termini si registra nelle pagine de<strong>di</strong>cate<br />

alla Metafisica, e in riferimento alla visibilità, come “eterno cielo”,<br />

dell’essenza assoluta in quanto sostanza in atto ma identica a sé,<br />

Motore Immobile ( 58 ): «Secondo Aristotele [...] il concetto, principium<br />

cognoscen<strong>di</strong>, è anche ciò che muove, principium essen<strong>di</strong>; lo desi-<br />

( 57 ) KJP, GW, IV, p. 179, 13-15.<br />

( 58 ) Su questo punto, delicato e controverso per gli storici della filosofia antica,<br />

cf. OWENS (1979), che sottolinea sia come “Dio”, in Aristotele, sia una nozione pre<strong>di</strong>cativa,<br />

che può essere detta <strong>di</strong> molti in<strong>di</strong>vidui, tra cui, appunto, i corpi celesti, sia come,<br />

in quest’ultimo caso, il suo senso sia quello <strong>di</strong> un essere incorruttibile, tuttavia localmente<br />

mobile, materiale e visibile: [Dio] «può essere trovato nei cieli visibili [...]. È<br />

eterno, e deve essere annoverato tra le prime cause delle cose, finanche dei cieli visibili.<br />

In questo senso <strong>di</strong> causa prima, è separato dalla materia, interamente immobile,<br />

ed è la istanza primaria dell’essere. Ma tale requisito <strong>di</strong> immaterialità onnipervadente<br />

nella sua istanza <strong>di</strong> soggetto della metafisica, non impe<strong>di</strong>sce che lo si ritrovi come<br />

localmente mobile e materiale nella natura dei cieli visibili» (p. 209). Questa polinomia<br />

costituisce una <strong>di</strong>fficoltà, già registrata da Cicerone, in un testo ben noto ad Hegel (cf.<br />

De Nat. Deorum, I, 13, 33), così commentata da Owens: «I corpi celesti [...], per Aristotele,<br />

cadono sotto il concetto <strong>di</strong> Dio, tuttavia sono parte del mondo visibile che <strong>di</strong>pen-


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

157<br />

gna come Dio, e ne mostra la connessione con la coscienza in<strong>di</strong>viduale»<br />

( 59 ). E ancora, con un significativo richiamo ad un principio<br />

<strong>di</strong> determinazione che è in<strong>di</strong>pendente da tutto ciò che è esterno ed<br />

estraneo (materico) allo spirito: «Se nell’età moderna è sembrato<br />

una novità determinare l’essenza assoluta come attività pura, ciò è<br />

avvenuto per ignoranza del concetto aristotelico. Gli Scolastici hanno<br />

preso giustamente ciò per la definizione <strong>di</strong> Dio: Dio è l’attività<br />

pura, è ciò che è in sé e per sé; non ha bisogno <strong>di</strong> nessun materiale<br />

— non si dà idealismo più elevato» ( 60 ).<br />

Questi passi delle Lezioni ci paiono documentare una posizione<br />

precedentemente elaborata da Hegel: sono infatti evidenti gli<br />

elementi <strong>di</strong> continuità, sia con l’articolo <strong>di</strong> Schelling, sia, in particolare,<br />

con la prospettiva dell’articolo su Krug, che come abbiamo visto<br />

inquadrava a sua volta nel complesso il programma svolto dalla<br />

Dissertatio. Così come questo si trovava annunciato in un famoso<br />

passo della Premessa, datata luglio 1801, all’articolo sulla Differenza,<br />

dove Hegel vedeva maturare il progetto per una filosofia della<br />

natura nel nuovo clima culturale seguito al criticismo kantiano e<br />

all’idealismo fichtiano, con riferimento esplicito ai Discorsi <strong>di</strong><br />

Schleiermacher. Simili opere «rinviano al bisogno <strong>di</strong> una filosofia<br />

che concili e ricompensi la natura per i maltrattamenti subiti nei sistemi<br />

<strong>di</strong> Kant e <strong>di</strong> Fichte e stabilisca tra ragione e natura un accordo,<br />

in cui la ragione non rinunci a se stessa e sia costretta a <strong>di</strong>ventare<br />

un’insipida imitazione della natura, ma si configuri in essa per<br />

forza interna» ( 61 ). Ora questo stesso rapporto <strong>di</strong> “non insipida imi-<br />

de dalla sostanza separata, la quale cade a sua volta sotto il concetto <strong>di</strong> Dio. Questa è<br />

in effetti una <strong>di</strong>fficoltà; ma è una <strong>di</strong>fficoltà con la quale bisogna convivere, quando si<br />

affronta il testo aristotelico con il problema complessivo del rapporto <strong>di</strong> Dio con il<br />

mondo» (p. 215).<br />

( 59 ) HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 330; invariato in LSF, II, pp. 306-307 (tr. it. mo<strong>di</strong>ficata).<br />

( 60 ) Ib., p. 326. Testo sostanzialmente analogo in LSF, II, p. 303.<br />

( 61 ) HEGEL, Differenzschrif, GW, IV, p. 7; tr. Bodei, mo<strong>di</strong>ficata, p. 6.


158 HEGEL E ARISTOTELE<br />

tazione” della ragione verso la natura è rinvenuto da Hegel in Aristotele,<br />

come ci <strong>di</strong>cono sempre le Lezioni, a proposito del Libro XII<br />

della Metafisica, relativamente all’attività del Primo Motore Immobile,<br />

rispetto ai moti celesti. Dice infatti Hegel: «Dalla determinazione<br />

dell’essenza assoluta come attiva, consegue che essa fa entrare ( 62 ), in<br />

maniera oggettiva, nella realtà effettuale (Wirklichkeit). Quest’essenza<br />

assoluta, come ciò che è uguale a sé, e che è visibile, è “l’eterno cielo»<br />

( 63 ). Sistema dei cieli e nous sono dunque espressioni della stessa<br />

sostanza assoluta; il visibile moto circolare dei cieli e il non visi-<br />

( 62 ) “Fa entrare nella” è nostra traduzione per “treten macht in”. Per la<br />

significatività <strong>di</strong> simili interpretazioni dell’attività del primo motore immobile, cf.<br />

SKEMP (1979): «Sono certo che Cherniss ha ragione quando <strong>di</strong>ce [...] che Ross non è<br />

giustificato a trattare questa raffigurazione <strong>di</strong> un impulso quasi-meccanico dell’universo<br />

alla sua circonferenza semplicemente come una “espressione incauta” da parte<br />

<strong>di</strong> Aristotele; e quando sostiene che la controversia tra i commentatori sul problema<br />

se il Primo Motore fosse causa efficiente o finale, oppure (come affermava<br />

Simplicio) tanto efficiente quanto finale, riguardava una questione genuina che le<br />

stesse parole <strong>di</strong> Aristotele lasciano aperta al <strong>di</strong>battito. Questo sorge perché tutte le<br />

argomentazioni per fare del Primo Motore una causa finale <strong>di</strong>pendono da una concezione<br />

dell’energeia come perfetto operatore realizzato e come la vis a fronte che<br />

fornisce una meta per la attualizzazione <strong>di</strong> una potenzialità» (p. 235).<br />

( 63 ) Corsivo mio. Cf. HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 328; testo sostanzialmente analogo<br />

in LSF, II, p. 305. La visibilità <strong>di</strong> Dio dalle sue opere, come or<strong>di</strong>natore del cosmo,<br />

è un punto famoso del De mundo, 6, 399 b 22-23, su cui molto insiste Reale, chiamando<br />

a conferma dei frammenti del De Philosophia (Trattato sul cosmo, pp. 61-62) ed<br />

escludendo l’ipotesi <strong>di</strong> sostenitori dell’inautenticità del testo che vedono qui un riferimento<br />

alla Bibbia, o ad un passo <strong>di</strong> San Paolo (cf. ib., nota 72, p. 265). Notoriamente<br />

la critica, tuttavia, è in genere orientata a considerare il trattato composto in<br />

epoca ellenistica. Il curatore dell’e<strong>di</strong>zione LOEB così commenta questa affermazione<br />

del Trattato: «A prima vista, il <strong>di</strong>o del De mundo sembra ben lontano dal <strong>di</strong>o <strong>di</strong><br />

Fisica VIII e Metafisica XII, che è inferito come il risultato necessario <strong>di</strong> una teoria del<br />

movimento, la sola attività del quale è il pensiero che ha a proprio oggetto se stesso,<br />

e che muove “come oggetto <strong>di</strong> amore”. Aristotele stesso, comunque, sembra aver<br />

parlato con accenti piuttosto <strong>di</strong>versi nei suoi lavori destinati al pubblico. Nel De<br />

Philosophia <strong>di</strong>ceva che il movimento or<strong>di</strong>nato dei corpi celesti era una delle ragioni<br />

che spingevano gli uomini a credere negli dei» (On the Cosmos, pp. 335-336). Sulle<br />

<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> interpretazione (deformata lettura in chiave stoica del pensiero <strong>di</strong> Aristotele?)<br />

dei frammenti del De Philosophia relativi all’attività ‘animata’ delle stelle,<br />

cf. SCOTT (1994): pp. 26-35.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

159<br />

bile moto circolare della ragione, che pensando ritorna in se stessa,<br />

ed ha sé come proprio oggetto, sono “i due mo<strong>di</strong> della esposizione<br />

dell’assoluto” in Aristotele, una concezione che Hegel definisce con<br />

entusiasmo una “grande determinazione” ( 64 ).<br />

Ancora, un altro passo delle Lezioni mette in luce che tale<br />

connessione tra ragione e moti celesti si traduce nel sommo bene e<br />

nella suprema libertà, saldando così la logica e la fisica all’etica;<br />

dopo aver citato dalla Metafisica, XII 9, 1075 a 5-10 ( 65 ), Hegel conclude:<br />

«Così si rapporta il pensiero <strong>di</strong> se stesso per tutta quanta l’eternità”<br />

— come il bene supremo nell’universo [...]. Ma adesso questa<br />

idea speculativa è il bene supremo e la massima libertà; e ora è da<br />

vedere nella natura (come Cielo) e nella ragione pensante» ( 66 ). Da<br />

notare che Hegel, oltre a ricordare il primo movimento del cielo<br />

delle stelle fisse, accenna qui anche al movimento eterno dei pianeti<br />

( 67 ).<br />

Questa stessa unità <strong>di</strong> logica, fisica ed etica costituisce, a nostro<br />

parere, il corretto contesto storico-filosofico che permette <strong>di</strong><br />

rendere conto insieme sia della presentazione iniziale dell’oggetto<br />

della Dissertatio, dove si afferma che «non c’è altra espressione del-<br />

( 64 ) Hegel, SW, Bd. 18,2, p. 328; invariato in LSF, II, p. 305. Cf. SEIDL (1986).<br />

Ricor<strong>di</strong>amo come Düsing abbia a questo proposito rilevato l’attribuzione <strong>di</strong> Hegel<br />

ad Aristotele della propria concezione della soggettività assoluta, basandosi anche<br />

su un passo della Metafisica (XII 7, 1072 b 23) che nella e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Erasmo (Basilea,<br />

1531) autorizzava la seguente interpretazione: che «ciò che è più eccellente» non<br />

fosse «il pensato», bensì «la stessa energia del pensare» (la soggettività nell’accezione<br />

<strong>hegel</strong>iana). Al contrario, oggi nell’e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Ross si legge che Aristotele fonda<br />

la «suprema eccellenza» a partire dal «pensato» (cf. DÜSING (1982): pp. 26-27).<br />

( 65 ) Cf. Met. (tr. Reale), II, pp. 577 e 579, Met. (tr. Russo), p. 366 con Met.<br />

(Ross/Barnes), p. 1699.<br />

( 66 ) Hegel, SW, Bd. 18,2, p. 335; invariato in LSF, II, p. 313: tr. it. mo<strong>di</strong>ficata.<br />

( 67 ) Ib., p. 336; LSF, ibidem. Cf. GILL (1991): pp. 264-265, secondo cui il “bene<br />

del cosmo” risiede «sia nel Primo Motore stesso, il cui potere è espresso nella sua<br />

attività eterna, sia nel sistema funzionante, <strong>di</strong> cui egli mantiene or<strong>di</strong>ne e continuità<br />

per mezzo dei movimenti regolari <strong>di</strong> corpi che agiscono secondo le loro nature».


160 HEGEL E ARISTOTELE<br />

la ragione più sublime e più pura, né più degna della considerazione<br />

filosofica» del sistema solare ( 68 ), sia del fatto già ricordato che<br />

ben tre delle Tesi che precedono il testo sono de<strong>di</strong>cate al rapporto<br />

tra moralità e virtù. Ricor<strong>di</strong>amo che in proposito, Rosenkranz commentava:<br />

«questi paradossi erano nel complesso rivolti contro la limitatezza<br />

della morale kantiana, contro la quale Hegel cercava <strong>di</strong><br />

far valere il concetto <strong>di</strong> eticità <strong>degli</strong> antichi» ( 69 ), ma in genere gli<br />

interpreti non hanno né precisato in modo inequivoco tale vaga in<strong>di</strong>cazione,<br />

né chiarito il significato <strong>di</strong> questo preporre considerazioni<br />

etiche a dei lineamenti <strong>di</strong> filosofia della natura.<br />

In questa sede ci limiteremo ad esaminare l’ultima Tesi, la XII,<br />

che in latino suona: «Moralitas omnibus numeris absoluta virtuti<br />

repugnat». Se ne sono date due interpretazioni. La più <strong>di</strong>ffusa traduce<br />

considerando che (seguendo un uso attestato nel latino classico<br />

— Plinio il Giovane —) “numeris omnibus absolutus” vale<br />

“completo, perfetto in tutte le sue parti”. Una simile moralità “assoluta”,<br />

sosterrebbe la Tesi, ripugna alla virtù. È ormai <strong>di</strong> questo avviso<br />

lo stesso Baum, unica voce <strong>di</strong>scorde finanche nella seconda e<strong>di</strong>zione,<br />

del 1989, della sua Die Entstehung der Hegelschen Dialektik.<br />

Baum aveva infatti soprattutto considerato la possibilità <strong>di</strong> tradurre<br />

letteralmente quell’espressione con “liberata da tutti i numeri”.<br />

In questo caso la Tesi avrebbe potuto contenere un’allusione alla<br />

dottrina pitagorica, tramandata da Aristotele, secondo cui tanto la<br />

virtù, quanto la giustizia, sono definite come numeri, oltre che un<br />

riferimento al posto che numeri, proporzione e armonia hanno nella<br />

visione sociale <strong>di</strong> Shaftesbury, per quanto riguarda costumi e<br />

moralità ( 70 ).<br />

( 68 ) Motivo che ritroviamo anche nella Teoria del cielo <strong>di</strong> Kant e nelle Ideen <strong>di</strong><br />

Herder. Per tale contesto più ampio, che tocca anche la poetica <strong>di</strong> Schiller, cf. FERRINI<br />

(1993): pp. 721-723.<br />

( 69 ) ROSENKRANZ (tr. it.): p. 176.<br />

( 70 ) Cf. WASZEK (1987): p. 255; BAUM (1989): pp. 140-141.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

161<br />

In una sua comunicazione scritta, Baum mi ha tuttavia precisato<br />

<strong>di</strong> credere oggi che la Tesi non contenga richiami alla dottrina<br />

pitagorica, ma debba essere resa nel primo modo, e secondo il contesto<br />

richiamato in una nota del suo stesso libro ( 71 ), vale a <strong>di</strong>re un passo<br />

dello Spirito del Cristianesimo del periodo <strong>di</strong> Francoforte, a proposito<br />

del conflitto tra doveri, da mettere in relazione con il concetto<br />

aristotelico <strong>di</strong> “me<strong>di</strong>età”, contrapposto alla prospettiva <strong>di</strong> Kant (e <strong>di</strong><br />

Fichte): «Soltanto se nessuna virtù avanza la pretesa <strong>di</strong> persistere<br />

saldamente e assolutamente nella sua forma delimitata [...] soltanto<br />

allora rimane la multilateralità dei rapporti, ma sparisce il gran numero<br />

<strong>di</strong> virtù assolute e incompatibili [...] in una tale assolutezza<br />

dell’esistere, le virtù si <strong>di</strong>struggono, una contro l’altra» ( 72 ). Il riferimento,<br />

che qui Baum vede, alla mesote–s non sarebbe però l’unico richiamo<br />

a concetti aristotelici che troviamo nello Spirito del Cristianesimo.<br />

Poco prima del passo appena citato, criticando il costrittivo<br />

soggettivismo formale della legge morale kantiana, dall’insegnamento<br />

del Cristo Hegel aveva enucleato la nozione <strong>di</strong> amore, come<br />

«unico spirito vivente», e ne aveva fatto il solo principio della virtù,<br />

la quale, priva <strong>di</strong> esso, «sarebbe allo stesso tempo un vizio», nel<br />

senso che ogni virtù, non <strong>di</strong>pendendo da altro, si porrebbe come<br />

virtù assoluta, e «dalla pluralità <strong>degli</strong> assoluti sorgerebbero conflitti<br />

insolubili».<br />

Così Hegel conduceva la propria argomentazione: «Al completo<br />

asservimento alla legge <strong>di</strong> un signore estraneo Gesù contrappone<br />

non una parziale soggezione ad una legge propria, l’autocoercizione<br />

della virtù kantiana, ma virtù senza dominio e senza<br />

sottomissione, mo<strong>di</strong>ficazioni dell’amore». Dirette contro questioni<br />

quali quelle delle collisioni tra virtù o dei conflitti <strong>di</strong> doveri, queste<br />

righe, che abbiamo riportato nella traduzione italiana <strong>degli</strong> scritti<br />

( 71 ) Cf. BAUM (1989): nota 7, p. 140.<br />

( 72 ) NOHL: pp. 294-295, cf. STG (II): pp. 407-408.


162 HEGEL E ARISTOTELE<br />

e<strong>di</strong>ti da Nohl ( 73 ), sono però frutto <strong>di</strong> un ripensamento <strong>di</strong> Hegel.<br />

Come ha ben osservato H. S. Harris, in una prima versione, invece<br />

delle “virtù senza dominio e senza sottomissione, mo<strong>di</strong>ficazioni<br />

dell’amore”, ciò che veniva contrapposto alla virtù kantiana era “la<br />

<strong>di</strong>sposizione virtuosa”. «L’espressione “<strong>di</strong>sposizione” [aggiungeva<br />

però subito dopo Hegel] ha lo svantaggio che non include un riferimento<br />

<strong>di</strong>retto all’attività, la virtù nell’azione». Così Harris commenta<br />

la sostituzione: «Possiamo ben ricordare a questo punto che<br />

Aristotele aveva dato praticamente la stessa ragione per rifiutare<br />

l’identificazione tra “felicità” e “virtù”. L’amore <strong>di</strong> Hegel, come l’eudaimonia<br />

<strong>di</strong> Aristotele, è “attività dell’animo (il principio della vita)<br />

secondo virtù”» ( 74 ).<br />

Ricapitoliamo i vari elementi finora raccolti: l’analisi <strong>di</strong> Harris<br />

mette in luce che Hegel prese la decisione <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse<br />

attività virtuose come “mo<strong>di</strong>ficazioni dell’amore” piuttosto che come<br />

attualizzazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>sposizioni, perché il termine “<strong>di</strong>sposizione”<br />

era privo <strong>di</strong> riferimenti imme<strong>di</strong>ati ai mutamenti della realtà effettuale<br />

impliciti nel termine “mo<strong>di</strong>ficazione”: e mo<strong>di</strong>ficazione poi<br />

dell’amore, a sua volta definito “unico spirito vivente”, quin<strong>di</strong> animato,<br />

dotato internamente del principio del movimento ( 75 ). Le riflessioni<br />

<strong>di</strong> Baum, che qui facciamo confluire, ci hanno inoltre in<strong>di</strong>rizzato<br />

verso queste stesse pagine dello Spirito del cristianesimo per<br />

una corretta interpretazione della Tesi XII, il che ci permette <strong>di</strong> saldare<br />

un motivo della Dissertatio ad una tematica francofortese per<br />

( 73 ) STG (II): p. 406; NOHL: p. 293.<br />

( 74 ) HARRIS (I): p. 338. Cf. Eth. Nic., I 6, 1097 b 22-1098 a 18; il concetto è così<br />

presentato da KENNY (1991): «che cos’è allora la felicità? [...] deve essere una vita<br />

della ragione che riguarda l’azione: l’attività dell’animo secondo la ragione. Così il<br />

bene dell’uomo sarà il suo bene operare: l’attività dell’animo secondo la virtù. Se ci<br />

sono svariate virtù, sarà secondo la virtù migliore e più perfetta» (pp. 67-68).<br />

( 75 ) Sul frequente uso goethiano del neologismo “Mo<strong>di</strong>fikation” per il concetto<br />

<strong>di</strong> metamorfosi, in quanto ispirato dalla lettura dell’Etica <strong>di</strong> Spinoza, cf. DE<br />

GANDT (1979): p. 39.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

163<br />

cui è documentabile una <strong>di</strong>retta influenza aristotelica: l’attenzione a<br />

cogliere il principio del mutamento, facendo perno sulla nozione <strong>di</strong><br />

attività, nella preoccupazione costante <strong>di</strong> rimanere ancorati, in<br />

modo concretamente oggettivo, alla realtà effettuale.<br />

Un ulteriore documento <strong>di</strong> questo ra<strong>di</strong>carsi della filosofia<br />

della natura in un terreno etico, è costituito dall’interessante Frammento<br />

(databile al 1797) Positiv wird ein Glaube genannt ( 76 ). Hegel<br />

mostra qui <strong>di</strong> assimilare la critica al concetto <strong>di</strong> virtù, tanto come<br />

sottomissione al dominio <strong>di</strong> un signore “estraneo”, quanto come<br />

autocoercizione semplicemente soggettiva, al tipo <strong>di</strong> leggi con cui le<br />

scienze empiriche (ad es. la meccanica newtoniana) comprendono i fenomeni.<br />

Ad una simile nozione ‘estrinseca’ <strong>di</strong> legge viene contrapposta,<br />

come si farà anche nel De orbitis, la animazione “vivente” e “<strong>di</strong>vina”<br />

della natura (venendo ad anticipare così, per certi aspetti, il<br />

motivo del “bene supremo e della massima libertà” nelle Lezioni<br />

sulla Metafisica aristotelica): «Una religione semplicemente soggettiva<br />

e priva <strong>di</strong> immaginazione è virtuosità. Comprendere è dominare.<br />

Animare gli oggetti è farne <strong>degli</strong> Dei. Considerare che un fiume<br />

deve gettarsi nel profondo secondo le leggi della gravità [...] significa<br />

comprenderlo, dargli un’anima, prendere viva parte con lui<br />

come con un proprio uguale, significa renderlo un <strong>di</strong>o [...]. Ove<br />

soggetto e oggetto, oppure libertà e natura, sono pensati così uniti<br />

che la natura è libertà e il soggetto e l’oggetto non possono essere<br />

separati ( 77 ), ivi è il <strong>di</strong>vino». Coerentemente, nella Dissertatio, la filosofia<br />

sperimentale, che concepisce l’azione meccanica come un<br />

impulso esterno (arbitrario o fortuito), che muove una materia <strong>di</strong><br />

( 76 ) STG (II): p. 526; su cui ve<strong>di</strong> HARRIS (II): nota 1, p. 76.<br />

( 77 ) Cf. De orbitis, p. 3, 5-6: i corpi celesti si muovono come Dei perché «glebae<br />

non adscripta et centrum gravitatis perfectius in se gerentia», in altre parole, perché<br />

sono liberi da quella “oppressione” che la forza <strong>di</strong> gravità esercita sui corpi terrestri.<br />

Tale libertà ha il significato della autosufficienza e della eternità del movimento; i<br />

corpi soggetti alla gravità, infatti, «in prima naturae vi [...] sibi non sufficiant, et vi<br />

totius oppressa pereant».


164 HEGEL E ARISTOTELE<br />

per sé inerte (mentre le forze, per Hegel, costituiscono la natura<br />

stessa della materia, e sono quin<strong>di</strong> interne e necessarie ( 78 )), «ignora<br />

la natura» e quin<strong>di</strong> non conosce neppure il <strong>di</strong>vino (ve<strong>di</strong> De<br />

orbitis, pp. 22, 23 - 23, 10). Scrive anzi Hegel che la meccanica<br />

«quum igitur in causis externis versetur, neque naturam ratione<br />

concipiat, nequit pervenire ad principium identitatis quod in se<br />

ipso <strong>di</strong>fferentiam ponat». Ora è interessante notare che nelle Lezioni<br />

sulla Metafisica, Aristotele è accre<strong>di</strong>tato della stessa concezione filosofica<br />

<strong>di</strong> base. La determinazione dell’essenza assoluta, Dio, come<br />

«la sostanza attiva», identità <strong>di</strong> possibilità (non nel senso della possibilità<br />

più indeterminata e generale, ma come in<strong>di</strong>vidualità e attività)<br />

e realtà effettuale (“nous ist auch dunamis”), è proprio ciò che<br />

gli avrebbe permesso <strong>di</strong> non concepire il principio come “un’arida<br />

identità”: «La filosofia non è sistema dell’identità; questo è non filosofico.<br />

Così è anche per Aristotele, non è arida identità; essa non è<br />

il timio–taton [ciò che è più degno <strong>di</strong> onore], Dio, questo è anzi<br />

l’energia. Essa è attività, movimento, repulsione, — e così non è<br />

morta identità; nella <strong>di</strong>fferenza è parimenti identica con sé» (sie ist<br />

im Unterscheiden zugleich identisch mit sich. L’espressione ripete<br />

lo stesso concetto affermato sopra nel De orbitis con la frase:<br />

«principium [...] ponat») ( 79 ).<br />

7. L’ipotesi <strong>di</strong> una influenza della Metafisica sull’uso dei numeri del<br />

Timeo nella Dissertatio — Ricor<strong>di</strong>amo brevemente gli elementi<br />

( 78 ) De orbitis, p. 22, 27-31: «vires ergo, quas Deum materiae de<strong>di</strong>sse <strong>di</strong>cunt,<br />

materiae vere inesse statuendum est, et iis materiae naturam costitui, quae principium<br />

virium oppositarum (le forze centripeta e centrifuga) immanens et internum sit».<br />

( 79 ) HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 332; testo leggermente variato in LSF, II, p. 309.<br />

Come abbiamo già ricordato alla nota 64, Düsing ha rilevato che «per Aristotele la<br />

suprema perfezione del pensiero <strong>di</strong>vino è garantita soltanto dal fatto che il pensato<br />

è la cosa più eccellente che esso sempre pensa: questo è il pensare stesso come contenuto<br />

del pensiero. La suprema eccellenza viene dunque in lui fondata a partire<br />

dal pensato. Hegel capovolge questa fondazione» (DÜSING (1982): p. 27).


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

165<br />

principali finora raccolti: i) il complesso sistema <strong>di</strong> riferimento cui<br />

riportare la presentazione dei pianeti del sistema solare (Dei,<br />

animalia, espressione più pura e sublime della ragione etc.) nella<br />

Dissertatio; ii) Dio come unione <strong>di</strong> principium essen<strong>di</strong> e cognoscen<strong>di</strong><br />

nell’articolo su Krug e nelle Lezioni <strong>di</strong> Hegel sulla Metafisica; iii) la<br />

presenza della ragione nella natura nella Differenza; iv) la visibilità<br />

<strong>di</strong> Dio come eterno cielo e la sua definizione come ragione che pensa<br />

se stessa visti come i due mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> espressione dell’assoluto in<br />

Aristotele; v) il peso fondamentale che Hegel dà alla concezione<br />

aristotelica dell’“assolutamente immobile che è principio, concetto<br />

e forma <strong>di</strong> tutto” come attività, motore ( 80 ), insieme all’accento posto<br />

sulla definizione <strong>di</strong> esso come energeia ( 81 ), che “fa entrare”, in<br />

modo concretamente oggettivo, nella realtà effettuale; vi) il riscontro<br />

tra la nozione <strong>di</strong> identità che Hegel attribuisce ad Aristotele e<br />

quella affermata nel De orbitis per l’intelligibilità del mutamento e<br />

<strong>degli</strong> elementi del sistema solare; vii) la me<strong>di</strong>azione, sempre richiamata<br />

in relazione a questi stessi concetti chiave, della seconda Scolastica<br />

e del pensiero <strong>di</strong> Giordano Bruno, ricco <strong>di</strong> riferimenti a concetti<br />

aristotelici e presente, per nozioni e immagini, sia nel De<br />

orbitis che nell’articolo sul “Diritto Naturale”; viii) lo svilupparsi <strong>di</strong><br />

un approccio speculativo-razionale alla natura, da Francoforte a<br />

Jena, all’interno della riflessione sulla storia del cristianesimo e sui<br />

costumi (un tratto comune ad Hegel e Schelling), in cui il riferi-<br />

( 80 ) Cf. Fisica, II 7, 198 b 1-5, dove «ciò che muove senza essere mosso» è «fine<br />

e causa finale» con il seguente passo delle Lezioni <strong>di</strong> storia della filosofia su Giordano<br />

Bruno: «Ciascuna forma delle cose è il suo interno principio-ragione, la sua causa<br />

producente; però forma e causa non sono <strong>di</strong>verse, ma la forma stessa è causa, proprio<br />

attraverso la causa finale - presso Aristotele l’immoto, il principio, il concetto<br />

puro, entelecheia [...]. Il fine è l’attività, però l’attività in sé (in sich) determinata, che<br />

nel suo rapporto con l’altro non si relaziona come una semplice causa, ma ritorna in<br />

sé, contiene sé» (HEGEL, SW, Bd. 19,3, pp. 229-230; cf. anche Vorlesungen, Bd. 9, Teil<br />

4, pp. 52-53, 629-632. Corrisponde grosso modo e solo in parte a LSF, III, 1, p. 217).<br />

( 81 ) Cf. Met., IX 8, 1050 a 20-25: «In realtà è fine l’opera, e l’atto si identifica con<br />

l’opera e per ciò anche il nome stesso <strong>di</strong> atto (energeia) deriva da opera (ergon) e tende<br />

verso l’atto perfetto». Ve<strong>di</strong> supra le note 64 e 79.


166 HEGEL E ARISTOTELE<br />

mento <strong>di</strong>retto all’attività della virtù risulta svolgere una funzione<br />

critica tanto nei confronti dell’artificialità e del formalismo della<br />

morale kantiana, quanto delle leggi della meccanica, “esterne” alla<br />

materia, cosicché la saldatura tra la prospettiva etico-religiosa e la<br />

Naturphilosophie viene ad operarsi contraendo un debito anche con<br />

l’Etica Nicomachea.<br />

Ora, sempre nelle Lezioni, proprio questa concezione centrale,<br />

sul piano logico, rispetto a tutti gli altri elementi, del <strong>di</strong>o<br />

aristotelico come essenza assoluta che è actus purus, ed è, in quanto<br />

“ciò che muove”, principio del mutamento, insieme sostanza identica<br />

con sé ed energia, viene nettamente contrapposta alla visione<br />

platonica del rapporto, <strong>di</strong> separazione, tra Idee, numeri e concreta<br />

realtà fisica. Da una parte, quella <strong>di</strong> Aristotele è la sostanza «che<br />

nella sua possibilità ha anche la realtà effettuale (Wirklichkeit), la<br />

cui essenza (potentia) è l’attività stessa, dove entrambe non sono separate»<br />

( 82 ). Dall’altra, proprio a tale riguardo, «Aristotele si <strong>di</strong>fferenzia<br />

da Platone, e per questo motivo polemizza contro il numero,<br />

contro l’idea, contro l’universale, poiché, “se questo” è immoto, visto<br />

in sé e per sé, “non viene determinato come attività, efficacia,<br />

non è affatto movimento”; esso non è identico con l’attività pura,<br />

ma è colto come quiescente. Le idee e i numeri quiescenti <strong>di</strong> Platone<br />

non portano affatto alla realtà effettuale (Die ruhenden Ideen,<br />

Zahlen Plato’s bringen nichts zur Wirklichkeit)» ( 83 ) .<br />

( 82 ) HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 326; <strong>di</strong>versa la tr. it. in LSF, II, p. 303. Ve<strong>di</strong> anche<br />

nota 7.<br />

( 83 ) HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 326; testo leggermente variato in LSF, II, p. 303.<br />

Che qui Hegel si riferisca <strong>di</strong>rettamente e fedelmente ad Aristotele, ci sembra provato<br />

dal confronto tra l’espressione tedesca retta da “bringen nichts zur Wirklichkeit”<br />

(che si pone, sul piano stilistico, come lo speculare <strong>di</strong> quel “tetren macht in<br />

Wirklichkeit” che invece caratterizza, positivamente per Hegel, il Motore Immobile;<br />

cf. nota 62), e Met., XIV 3, 1090 b 24-27: «ma, tuttavia, dovremo noi reputare che<br />

queste grandezze siano idee? E quale sarà il loro modo <strong>di</strong> essere? E quale contributo<br />

esse apporteranno all’esistenza delle cose? In realtà, esse non danno alcun contributo,<br />

proprio come non lo danno gli enti matematici». Sulla mancanza <strong>di</strong> basi filosofi-


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

167<br />

È evidente che per Hegel la critica <strong>di</strong> Aristotele “ai Pitagorici,<br />

a Platone e ai numeri” è condotta dal punto <strong>di</strong> vista della, e consegue<br />

dalla, sua concezione della attività della sostanza che rimane<br />

identica con sé ( 84 ). Scrive Hegel nelle Lezioni, consapevole <strong>di</strong> fornire<br />

una interpretazione, ma anche <strong>di</strong> rimanere sostanzialmente all’interno<br />

della tra<strong>di</strong>zione aristotelica: «L’attività è anche mutamento,<br />

ma mutamento che rimane come identico con sé, — è mutamento,<br />

ma posto all’interno dell’universale come il mutamento<br />

uguale a se stesso: è un determinare, che è determinare se stesso<br />

[...]. L’universale è attivo, determina sé: e il fine è il determinare se<br />

stesso, ciò che si realizza. Questa è la principale determinazione cui si<br />

giunge con Aristotele» ( 85 ). L’idea dell’universale attivo che ha il<br />

mutamento posto al proprio interno, restituito all’identità dopo la<br />

realizzazione del fine, è espressa anche nel De orbitis: «nihil enim<br />

est mutatio aliud, quam aeterna identitas ex <strong>di</strong>fferentia restitutio et<br />

nova <strong>di</strong>fferentiae productio» (p. 27, 13-15). Inoltre, il principio dell’identità<br />

che pone in se stessa la <strong>di</strong>fferenza, era proprio ciò che<br />

permetteva <strong>di</strong> comprendere gli elementi del sistema dei pianeti, separare<br />

la meccanica dalla fisica e restituire (Hegel usa il verbo<br />

“reddo”) “la fisica alla filosofia” (nel senso della Metafisica<br />

aristotelica, proponiamo quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> leggere, non in quello della concezione<br />

<strong>di</strong>namica della materia prospettata ad es. nei kantiani Primi<br />

principi metafisici della scienza della natura: dato che la fisica «per<br />

che <strong>di</strong> questa critica <strong>di</strong> Aristotele, che attribuisce a Platone la concezione che «tutte<br />

le Forme sono numeri» cf. ANNAS (1976): pp. 62-73.<br />

( 84 ) Cf. HEGEL, SW, Bd. 18,2, p. 320; LSF, II, p. 299.<br />

( 85 ) Il testo da noi tradotto è il seguente (ib., p. 320): «Thätigkeit ist auch<br />

Veränderung, aber Veränderung als identisch mit sich bleibend, - ist Veränderung,<br />

aber innerhalb des Allgemeinen gesetzt als <strong>di</strong>e sich selbst gleiche Veränderung: ist<br />

ein Bestimmen, welches ist Sichselbstbestimmen [...] Das Allgemeine ist thätig,<br />

bestimmt sich; und der Zweck ist das Sichselbstbestimmen, was sich realisirt. Diess<br />

ist <strong>di</strong>e Hauptbestimmung, auf <strong>di</strong>e es bei Aristoteles ankommt» (<strong>di</strong>verso il senso del<br />

passo corrispondente in LSF, II, p. 300).


168 HEGEL E ARISTOTELE<br />

solum dynamicae nomen a mechanica non sejungitur»; cf. De<br />

orbitis, p. 23, 5-12) ( 86 ).<br />

Dati questi presupposti, ci pare <strong>di</strong> aver sufficientemente chiarito<br />

come e perché, dal nostro punto <strong>di</strong> vista, rappresenta una <strong>di</strong>fficoltà<br />

assumere che Hegel desse valore reale e fisico alla serie del<br />

Timeo per determinare le <strong>di</strong>stanze dei pianeti. Questo infatti implicherebbe,<br />

contrariamente alle Lezioni, e ai libri M e N della Metafisica,<br />

ritenere quei numeri capaci <strong>di</strong> costituire la determinazione essenziale<br />

<strong>di</strong> misure e rapporti effettivamente esistenti nella natura,<br />

quando abbiamo mostrato che certe posizioni fondamentali del De<br />

orbitis sono analoghe, o si riferiscono <strong>di</strong>rettamente, a concezioni<br />

aristoteliche rispetto alle quali la critica ai numeri pitagorico-platonici<br />

come incapaci <strong>di</strong> “portare” alla realtà concreta non è che un<br />

corollario ( 87 ).<br />

( 86 ) Nella Dissertatio, la gravità è «una forza comune del mondo», «una e la<br />

stessa» (una eademque: cf. p. 20, 4), così come vi sono solo forme <strong>di</strong>verse della<br />

medesima e unica materia (ex mente Aristotelis cf. nota 48), dato che la materia è<br />

«objectiva gravitas». Così il mutamento risulta posto all’interno <strong>di</strong> un tale universale<br />

attivo: «La materia è una e la stessa (una eademque), scindendosi in due poli<br />

forma una linea <strong>di</strong> coesione e, nella serie <strong>degli</strong> sviluppi dovuti al <strong>di</strong>fferente rapporto<br />

dei fattori, assume <strong>di</strong>verse figure» (De orbitis, p. 23, 13-17). In questo modo, ogni<br />

<strong>di</strong>fferenza che si produce, a sua volta comportante una serie <strong>di</strong> altri rapporti, è<br />

contenuta in un simile universale, e ricondotta «nella podestà del suo proprio principio»,<br />

«sua lege et in<strong>di</strong>vidua organisatione». Suggeriamo inoltre <strong>di</strong> leggere De orbitis,<br />

pp. 19, 30 - 20, 12 (dove della gravità «si deve affermare che è una e la stessa», ed<br />

esiste nella forma <strong>di</strong> due fattori, lo spazio e il tempo, i soli ad essere suscettibili <strong>di</strong><br />

variazione quantitativa), alla luce <strong>di</strong> Met., VIII 3, 1044 a 9-11. Il passo <strong>hegel</strong>iano inizia<br />

con «male vi gravitatis incrementum aut decrementum tribui» e si conclude con<br />

«eorum (dello spazio e del tempo) absoluta identitas variari, augeri aut <strong>di</strong>minui<br />

nequit»; un’analoga impossibilità (ancora Hegel usa nequeo, cf. supra nota 46) della<br />

forma sostanziale ad accrescere/<strong>di</strong>minuire si legge nel passo aristotelico, che riserva<br />

tale variazione al principio materiale: «E come il numero non assume in sé il più<br />

e il meno, così non li assume in sé neppure la sostanza considerata come forma, ma<br />

li assume, se mai, quella accompagnata alla materia» (ricor<strong>di</strong>amo che in De orbitis p.<br />

27, 7-9: «tempus, atque spatium elementa constituunt materiae, quae quidem non<br />

ex iis conflata, sed eorum principium est»).<br />

( 87 ) Ricor<strong>di</strong>amo per inciso che per un sostenitore della “essenziale affinità”<br />

del pensiero <strong>di</strong> Hegel con quello <strong>di</strong> Platone come Findlay, la <strong>di</strong>fferenza fra platonismo


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

169<br />

Per rendere ancora più chiaro il problema che qui inten<strong>di</strong>amo<br />

sollevare, proponiamo <strong>di</strong> confrontare la critica al sistema dei numeri<br />

sia pitagorico che platonico delle Lezioni <strong>hegel</strong>iane (1) con le<br />

interpretazioni correnti dell’uso <strong>di</strong> quegli stessi numeri nella<br />

Dissertatio (2). In (1) Hegel ripete più volte, facendo proprio il giu<strong>di</strong>zio<br />

<strong>di</strong> Aristotele, che la serie pitagorica riportata nel Timeo è sterile<br />

e arida, incapace <strong>di</strong> generare la realtà fisica e <strong>di</strong> rappresentarne<br />

quin<strong>di</strong> le leggi: «I rapporti, le leggi della natura non si lasciano formulare<br />

con questi numeri sterili. Essa [la serie] è un rapporto<br />

empirico e non costituisce la determinazione fondamentale nelle<br />

misure della natura» ( 88 ); mentre una lettura ampiamente con<strong>di</strong>visa<br />

<strong>di</strong> (2) è la seguente: «Hegel crede quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> aver trovato, in queste<br />

<strong>di</strong>stanze dei pianeti, una prova empirica per la giustezza della<br />

serie numerica che nel Timeo platonico giace a fondamento della at-<br />

e <strong>hegel</strong>ismo va colta proprio rispetto al problema dell’alienazione e specificazione<br />

dell’Universale. In una conferenza su “Hegel e la storia del filosofia’’, dopo aver<br />

ricordato l’oscurità <strong>di</strong> certi passi della Repubblica riguardo alla necessaria doverosità,<br />

per il Bene, <strong>di</strong> specificarsi nel resto delle Idee, e del Parmenide relativi alla “generazione”<br />

dell’intera varietà delle Idee dalla nozione dell’Unità Stessa, Findlay affermava:<br />

«E se la necessità della specificazione non è sottolineata [in quelle opere], ciò<br />

vale molto <strong>di</strong> più per il caso dell’instanziazione. Questa è presentata nel Timeo più<br />

come un atto benigno privo <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a che come una caso <strong>di</strong> necessità logica» (cf.<br />

FINDLAY (1974): pp. 74-75; e il commento <strong>di</strong> PALMER (1974): p. 82). E proprio il passo<br />

sulla bontà del Dio creatore che utilizza la proporzione per fabbricare i corpi e l’anima<br />

del mondo (29 e -37 d ) era tra quelli costantemente ripresi da Hegel in tutti i suoi<br />

corsi <strong>di</strong> storia della filosofia, non presentando il Timeo che come “una specie” <strong>di</strong><br />

filosofia della natura. Cf. VIEILLARD-BARON (1976): p. 42; per una lettura che sull’analisi<br />

<strong>di</strong> Hegel vede pesare piuttosto la tra<strong>di</strong>zione neoplatonica (il Commento al Timeo<br />

<strong>di</strong> Proclo), cf. ib., pp. 43-44; sull’interpretazione <strong>di</strong> Proclo delle forme matematiche<br />

come attive in se stesse, ve<strong>di</strong> DE GANDT (1979), pp. 105-108, ma cf. MORROW (1970): p.<br />

112, dove tale “potere <strong>di</strong> creare le apparenze” nel regno della natura è attribuito, sì,<br />

alle “figure” (= superfici piane o soli<strong>di</strong>, risultanti anche dall’effetto prodotto in cose<br />

<strong>di</strong>vise, come nel caso del Timeo: cf. pp. 109-110. Ve<strong>di</strong> infra, nota 102), ma in quanto<br />

“prive <strong>di</strong> conoscenza e <strong>di</strong> comprensione intelligente”, vale a <strong>di</strong>re, nei termini del De<br />

orbitis, come prive in se stesse <strong>di</strong> qualsivoglia “ratio”.<br />

( 88 ) HEGEL, SW, Bd. 18, 2, p. 260; invariato in LSF, II, p. 239 e in VIEILLARD-<br />

BARON (1976): p. 118.


170 HEGEL E ARISTOTELE<br />

tività creatrice dell’anima del mondo, e vede l’autorità dei Pitagorici<br />

attestata attraverso i dati empirici raccolti dall’astronomia»<br />

( 89 ).<br />

Ci pare evidente che tutti coloro i quali nella serie proposta<br />

nel De orbitis vedono solo una con<strong>di</strong>visione della tra<strong>di</strong>zione pitagorico-platonica,<br />

senza chiamare, o pensare <strong>di</strong> chiamare in causa, l’interferenza<br />

<strong>di</strong> un influsso aristotelico, possono affidare la loro cre<strong>di</strong>bilità<br />

solo alle ipotesi che qualche anno dopo, nelle Lezioni, o Hegel<br />

fosse inconseguente con la posizione della Dissertatio, oppure avesse<br />

totalmente cambiato idea su questo singolo punto, rendendo<br />

solo allora, tra l’altro, pienamente coerente la propria personale<br />

con<strong>di</strong>visione dei concetti chiave della Metafisica. Benché la questione<br />

non sia mai stata affrontata in questo modo, c’è da <strong>di</strong>re che un<br />

importante in<strong>di</strong>zio parlerebbe a favore <strong>di</strong> un simile mutamento <strong>di</strong><br />

prospettiva: il fatto che nel par. 224 dell’Enciclope<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Heidelberg<br />

(1817) Hegel ammetta a chiare lettere <strong>di</strong> non ritenersi più sod<strong>di</strong>sfatto<br />

<strong>di</strong> quel suo tentativo <strong>di</strong> costruire una serie filosofica al posto<br />

della progressione aritmetica rappresentata dalla legge <strong>di</strong> Titius-<br />

Bode.<br />

Si potrebbe pensare che una simile presa <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza sia stata<br />

motivata dal suo prendere atto ( 90 ), nel frattempo, della scoperta <strong>di</strong><br />

Cerere (già avvenuta nel gennaio 180l), e in seguito <strong>di</strong> altri asteroi<strong>di</strong>.<br />

Messo <strong>di</strong> fronte a una serie <strong>di</strong> verifiche empiriche della serie<br />

astronomica, Hegel avrebbe ben potuto ritenere confutata la sua<br />

controproposta. Questo almeno era quanto lo invitavano a fare gli<br />

scienziati ( 91 ). Ma questa non fu l’opinione <strong>di</strong> Hegel, che certo non<br />

( 89 ) BAUM (1989): p. 140.<br />

( 90 ) Cf. HARRIS (II), p. 96 e HÖSLE (1987), I, nota 85, pp. 95-96.<br />

( 91 ) Le reazioni del mondo scientifico (von Zach, Schleiden) al De orbitis sono<br />

ben documentate in NEUSER (1986): pp. 4-5. Cf. anche FERRINI (1991): nota 72, p. 475<br />

per il poco lusinghiero giu<strong>di</strong>zio che il Duca <strong>di</strong> Gotha e Altenburg scrisse su una<br />

copia della Dissertatio <strong>di</strong> Hegel, inviandola al suo astronomo <strong>di</strong> corte, Baron von<br />

Zach, appunto.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

171<br />

mostrò <strong>di</strong> dare valore epistemologico <strong>di</strong> experimentum crucis a tali<br />

nuovi dati sperimentali. Nella Fenomenologia ad esempio, la scoperta<br />

<strong>di</strong> un nuovo pianeta, il quale, «benché in<strong>di</strong>viduale, possiede la<br />

natura <strong>di</strong> un universale», è vista come un colpo <strong>di</strong> fortuna ( 92 ), non<br />

dunque come l’espressione della conformità ad una legge <strong>di</strong> un<br />

prodotto naturale specifico; nelle Lezioni sui Pitagorici, a proposito<br />

della verifica delle previsioni fornite dalla serie, con l’ in<strong>di</strong>viduazione<br />

<strong>di</strong> Cerere, Vesta, Pallade etc., si parla ugualmente <strong>di</strong> “Glück”,<br />

fortuna (la stessa espressione si trova nelle Vorlesungen, Bd. 7, Teil<br />

2, p. 43, 203), e nello stesso par. 224 l’autocritica nei confronti della<br />

Dissertatio è introdotta dalla affermazione che l’astronomia non ha<br />

ancora scoperto alcuna legge effettualmente reale (wirklich) circa le<br />

<strong>di</strong>stanze, anzi, si è <strong>di</strong>mostrata incapace <strong>di</strong> scoprire perfino “qualcosa<br />

<strong>di</strong> razionale”. È chiaro dunque che nell’ottica <strong>di</strong> Hegel tali “scoperte”<br />

non comportavano <strong>di</strong> per sé l’elevazione dell’insieme dei numeri<br />

<strong>di</strong> Titius-Bode a serie conseguente, e quin<strong>di</strong> non erano sufficienti<br />

ad operarne il passaggio da semplice progressione aritmetica<br />

a legge scientifica ( 93 ), venendo così a delegittimare, <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto, la<br />

sua alternativa formulazione simbolica su basi filosofiche. Per Hegel<br />

si passa infatti dal livello dell’osservazione, espressa quantitativamente,<br />

<strong>di</strong> una regolarità in natura, al livello della legge, quando si<br />

è trovata una forma universale, una formula, in virtù della quale si<br />

ricavino quelle stesse grandezze o se ne prevedano con successo delle<br />

altre: «È un gran merito, quello d’imparare a conoscere i numeri<br />

( 92 ) HEGEL, GW, Bd. 9, p. 139, 29-33. Sulla casualità della scoperta <strong>di</strong> Piazzi, cf.<br />

FERRINI (1991): nota 71, p. 475.<br />

( 93 ) Scrive Neuser: «Come dobbiamo valutare oggi lo status conoscitivo della<br />

serie <strong>di</strong> Titius-Bode? Si dà una moderna teoria astro-fisica che chiarisca in modo<br />

sod<strong>di</strong>sfacente le <strong>di</strong>stanze dei pianeti nel sistema solare sulla base <strong>di</strong> una teoria forte?<br />

La serie <strong>di</strong> Titius-Bode fino ad oggi non ha esperito alcuna fondazione fisica. La<br />

posizione <strong>degli</strong> astrofisici nei confronti <strong>di</strong> essa ondeggia tra un completo rifiuto (H.<br />

Alfvén e G. Arrhenius) e l’ipotesi che almeno i primi valori della serie in<strong>di</strong>chino i<br />

membri iniziali che potrebbero riprodurre una legge fisica (C.F. von Weizssäcker)»<br />

(NEUSER (1986): p. 57).


172 HEGEL E ARISTOTELE<br />

empirici della natura, p. es. le <strong>di</strong>stanze dei pianeti fra loro; ma un<br />

merito infinitamente più grande è <strong>di</strong> far sparire i quanti empirici,<br />

elevandoli in una forma generale <strong>di</strong> determinazioni quantitative, cosicché<br />

<strong>di</strong>ventino momenti <strong>di</strong> una legge o misura» ( 94 ).<br />

Queste considerazioni ci permettono <strong>di</strong> affermare che cade<br />

l’argomento <strong>di</strong> più vistosa imme<strong>di</strong>atezza che si potrebbe trovare a<br />

favore della tesi <strong>di</strong> uno iato tra Dissertatio e Lezioni sul valore reale<br />

e fisico da attribuire ai numeri pitagorico-platonici: dato che la scoperta<br />

<strong>di</strong> corpi celesti interme<strong>di</strong> tra Marte e Giove (non inficiando <strong>di</strong><br />

per sé il ricorso a una serie filosofica) non poteva costituire la base<br />

per passare da una (supposta) attestazione dell’autorità dei Pitagorici<br />

alla considerazione dei loro numeri come sterili e ari<strong>di</strong>. Inoltre<br />

abbiamo mostrato altrove che altre ragioni, <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne logico, ed interne<br />

ad uno sviluppo della riflessione <strong>hegel</strong>iana sul rapporto tra<br />

determinatezza quantitativa estrinseca e misura specifica (nelle<br />

due e<strong>di</strong>zioni della Dottrina dell’essere), possono giustificare sia la<br />

presenza dell’autocritica del ’17, sia la cancellazione <strong>di</strong> questa nelle<br />

successive e<strong>di</strong>zioni dell’Enciclope<strong>di</strong>a ( 95 ).<br />

( 94 ) SL, I, p. 384. Il testo è invariato nelle due e<strong>di</strong>zioni (1812: GW, Bd. 11, p. 201,<br />

7-11 e 1832: GW, Bd. 21, p. 340, 14-18) della Dottrina dell’essere. Un ulteriore livello è<br />

poi costituito dalla “<strong>di</strong>mostrazione” non più matematica, ma filosofica, <strong>di</strong> tali leggi<br />

scientifiche (il passo prosegue con l’esempio della legge <strong>di</strong> caduta dei gravi <strong>di</strong> Galileo<br />

e della terza legge <strong>di</strong> Keplero: «Si deve però esigere una <strong>di</strong>mostrazione ancora più<br />

alta <strong>di</strong> queste leggi, nient’altro, cioè, se non che le loro determinazioni quantitative si<br />

conoscano dalle qualità o concetti determinati che vengon messi in relazione (come<br />

spazio e tempo))». Torna qui il motivo della maggiore purezza della riflessione <strong>di</strong><br />

Keplero rispetto a quella <strong>di</strong> Newton (ve<strong>di</strong> supra nota 42), il cui vero merito, per Hegel<br />

va circoscritto all’introduzione <strong>di</strong> un migliore sistema notazionale e del metodo dell’<br />

analisi matematica.<br />

( 95 ) A questo problema ho de<strong>di</strong>cato il mio contributo (dal titolo: “Framing<br />

Hypoteses: Numbers in Nature and the Logic of Measure in the Development of<br />

Hegel’s System”) al 13° incontro biennale della Hegel Society of America: Hegel’s<br />

Philosophy of Nature, Washington D.C., 30 sett./2 ott. 1994 (ne è prevista la pubblicazione<br />

nei Procee<strong>di</strong>ngs del Convegno: a cura <strong>di</strong> S. Houlgate, SUNY Press, Albany N.Y.,<br />

1997). Scrive invece Neuser, motivando la sola mossa del 1817: «La serie numerica <strong>di</strong><br />

Hegel [nel 1801] era stata formulata senza alcuna comprensibile fondazione filosofica»<br />

(NEUSER (1986): p. 58).


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

173<br />

A questo punto non ci resta che verificare le due ipotesi <strong>di</strong><br />

continuità o <strong>di</strong> rottura tra Dissertatio e Lezioni, esaminando <strong>di</strong>rettamente<br />

le ultime battute del De orbitis.<br />

8. Quid ... philosophia valeat — Hegel introduce l’argomento delle <strong>di</strong>stanze<br />

tra i pianeti come un esempio che conforta la sua critica ai<br />

fautori del metodo sperimentale ed induttivo per la scoperta delle<br />

leggi della natura; in altre parole, solleva la questione della struttura<br />

concettuale che permette loro <strong>di</strong> matematizzare i dati empirici. E<br />

la solleva dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> chi crede che la «naturam a ratione<br />

conformatam esse» ed è persuaso «de identitate omnium legum<br />

naturae». Gli altri invece riconoscono quell’identità <strong>di</strong> ragione e <strong>di</strong><br />

natura, gioendone, quando «si imbattono per caso nell’aspetto<br />

(species) <strong>di</strong> una legge» (per esempio rilevando una certa regolarità,<br />

<strong>di</strong> cui si dà una formulazione matematica). Ma ecco che, <strong>di</strong> fronte<br />

al sembiante <strong>di</strong> una conformità, trovata “per combinazione”, tra fenomeni<br />

naturali e patterns razionali, l’atteggiamento dei ricercatori<br />

che si affidano totalmente al metodo empirico e induttivo si rovescia<br />

automaticamente in un approccio astratto e dogmatico, qualora<br />

vengano osservati altri fenomeni che mal si adattano al quadro<br />

stabilito: «sono in dubbio sugli esperimenti, e si sforzano in ogni<br />

modo <strong>di</strong> stabilire l’armonia tra legge e fenomeni (de experimentis<br />

subdubitent, et utriusque omni modo harmoniam constituere<br />

studeant)» (De orbitis, p. 31, 30-32) ( 96 ).<br />

( 96 ) Non cre<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> scadere nel generico se accostiamo questo passo alla critica<br />

che Aristotele muove all’astrattezza e all’approccio pitagorico quando si tratta <strong>di</strong><br />

passare al concreto, in Met., I 5, 986 a 4-11 e in De Caelo, II 13, 293 a 23-27. Non solo<br />

entrambi i luoghi sono ricordati da Hegel nelle Lezioni sulla storia della filosofia (HEGEL,<br />

SW, Bd. 17, 1, pp. 281-282; LSF, I, p. 252; ve<strong>di</strong> anche Vorlesungen, Bd. 7, Teil 2, p.42,<br />

158-159), ma a livello semantico il passo della Dissertatio presenta delle affinità con il<br />

brano del De Caelo. Scrive Aristotele: [i Pitagorici] «ricercano infatti le ragioni e le<br />

cause non riportandosi a ciò che si osserva ma piuttosto riconducendo a forza<br />

(proselkontes; Hegel: omni modo) i fenomeni a certe loro ragioni e opinioni, e tentando


174 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Un esempio, appunto, <strong>di</strong> tale attitu<strong>di</strong>ne <strong>degli</strong> scienziati, è per<br />

Hegel il caso del «rapporto (ratio) delle <strong>di</strong>stanze dei pianeti». La<br />

serie <strong>di</strong> Titius-Bode, formulata sulla base <strong>di</strong> «un certo rapporto<br />

(ratio) <strong>di</strong> progressione aritmetica» che si osserva in natura, prevede<br />

un quinto termine, da situarsi nell’intervallo tra Marte e Giove. Malgrado<br />

a ciò non corrisponda «alcun pianeta ( 97 ) nella natura» (ignorando<br />

dunque, dal punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> Hegel, l’evidenza empirica), si<br />

ritiene che esso «esista veramente, e lo si cerca con assiduità» (De<br />

orbitis, p. 31, 37-39).<br />

Riteniamo che ad Hegel questo solo argomento bastasse per<br />

escludere un simile “rapporto <strong>di</strong> progressione aritmetica” dall’ambito<br />

della filosofia della natura: proprio perché tale, essa non potrebbe<br />

mai assumere ad oggetto ciò che, non attenendosi, sul piano del<br />

contenuto, «an den Schein der Sinne”, all’empiria, non può quin<strong>di</strong><br />

pretendere <strong>di</strong> cogliere l’universale nella/della natura stessa, <strong>di</strong> rappresentarne<br />

una “legge” ( 98 ). Ma al più un tale or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> considerazioni<br />

rimane implicito in questa sede, essendo Hegel qui interessa-<br />

in questo modo <strong>di</strong> armonizzarli (peiro–menoi sunkosmein; Hegel: harmoniam constituere<br />

studeant) e condurli a un tutto or<strong>di</strong>nato».<br />

( 97 ) Vi sono due ipotesi possibili per spiegare questa frase, dato che Cerere era<br />

stata scoperta nel gennaio 1801 andando ad occupare proprio il quinto posto della<br />

progressione: o Hegel non ne era al corrente (cosa che a BUCHER (1983): p. 117 pare<br />

<strong>di</strong>fficilmente sostenibile) o non credeva che il corpo scoperto fosse un pianeta (in<br />

effetti al tempo questa era solo un’eventualità non provata, rimanendo aperta l’altra<br />

possibilità che si trattasse piuttosto <strong>di</strong> una cometa, come d’altronde Herschel ancora<br />

riteneva nel novembre 1802: ve<strong>di</strong> NEUSER (1986): pp. 53-55). Sull’apprezzamento<br />

<strong>hegel</strong>iano del valore dell’esperienza e dell’evidenza empirica, e per una lettura non<br />

“dogmatica” ma ipotetica <strong>di</strong> questa ultima pagina del De orbitis, cf. WASZEK (1988): pp.<br />

50-51.<br />

( 98 ) Cf. HEGEL, Werke, 9, II, par. 246; Enc., p. 220 (tr. it. da me rivista): «quella che<br />

ora si chiama fisica [...] è considerazione teoretica, e cioè pensante, della natura [...] è<br />

<strong>di</strong>retta alla conoscenza dell’universale <strong>di</strong> essa, in modo che questo universale sia insieme<br />

determinato in sé: alla conoscenza cioè delle forze, delle leggi, dei generi [...] Poiché<br />

la filosofia della natura è considerazione concettuale, essa ha per oggetto lo stesso universale,<br />

ma preso per sé; [...] Non solo la filosofia deve concordare con l’esperienza della<br />

natura, ma la nascita e la formazione della scienza filosofica ha per presupposto e con<strong>di</strong>zione<br />

la fisica empirica».


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

175<br />

to ad evidenziare le carenze formali della serie <strong>di</strong> Titius-Bode, portando<br />

il <strong>di</strong>scorso sul piano della determinazione dei rapporti<br />

(“rationes”) filosofici tra numeri: da un tale punto <strong>di</strong> vista, essa<br />

«non è in nessun modo <strong>di</strong> pertinenza della filosofia», in quanto la<br />

progressione è aritmetica e «ne numerorum quidem ex se ipsis<br />

procreationem i.e., potentias sequatur». Da notare che, a <strong>di</strong>fferenza<br />

<strong>di</strong> quanto farebbe supporre la traduzione italiana ( 99 ), Hegel ha evitato<br />

<strong>di</strong> scrivere «ex se ipsis generationem». In altre parole, introducendo<br />

il tema classico ( 100 ) della produzione dei numeri, non ha<br />

scelto <strong>di</strong> usare un linguaggio temporale e biologico, come aveva<br />

fatto Platone per la loro derivazione, in questo criticato da Aristotele<br />

( 101 ).<br />

È inoltre da sottolineare la frequenza con cui compare il termine<br />

ratio nei luoghi che stiamo commentando: 5 volte nel senso <strong>di</strong><br />

“rapporto” in 17 righe, da p. 31,32 a p. 32,7; e 3 volte nel senso <strong>di</strong><br />

“ragione” in 7 righe, a p. 31, 21-27. Hegel non parla mai quin<strong>di</strong> <strong>di</strong><br />

puri, semplici numeri, ma sempre dei loro rapporti. Anche quando<br />

introduce la famosa serie, precisa che Timeo non la riferiva ai pianeti,<br />

ma che riteneva che il Demiurgo avesse conformato l’Universo<br />

«ad quorum rationem», secondo il loro rapporto ( 102 ). Questo è<br />

( 99 ) NEGRI (1984): p. 61: «Ma questa progressione, poiché è aritmetica e non<br />

segue neppure la generazione dei numeri da se stessi, cioè le potenze, non è affatto<br />

<strong>di</strong> competenza della filosofia».<br />

( 100 ) Cf. ANNAS (1976): pp. 42-55.<br />

( 101 ) Scrive la ANNAS (1976): p. 43: «Platone ebbe la tentazione <strong>di</strong> usare un<br />

linguaggio temporale ed, in effetti, biologico, nella sua spiegazione del rapporto tra<br />

i numeri, l’uno e il due indefinito. Aristotele riferisce che in Platone si trova una<br />

“generazione” dei numeri, e sebbene talvolta il linguaggio sia vago (Met., XIII 6,<br />

1080a 14-16; 9, 1085b 7), ci sono molti usi espliciti del verbo per “venire all’essere” (I<br />

6, 987b 22-35; XIII 7, 1082b 30; XIV 1, 1087b 7; 3, 1091a 4-5). Una volta (I 6, 988a 1 sg.)<br />

Aristotele conta su ciò per un motto <strong>di</strong> spirito sulla parentela dei numeri. In effetti<br />

mostra che Platone, dal suo linguaggio, è portato a sostenere che la produzione dei<br />

numeri sia un processo temporale, e non meramente logico (XIV 4, 1091a 23-28)».<br />

( 102 ) Aristotele allude a questi stessi numeri del Timeo in De An., I 3, 406 b 27.<br />

Cf. RODIER (1985), pp. 91-100 per un dettagliato commento (improntato a quello <strong>di</strong>


176 HEGEL E ARISTOTELE<br />

un motivo che Aristotele (in cui si riscontra un analogo duplice impiego<br />

<strong>di</strong> logos) fa valere ( 103 ) contro ogni concezione che assuma il<br />

numero, in generale o quello che consiste <strong>di</strong> unità astratte, come<br />

causa efficiente, materia, concetto o forma delle cose, oppure come<br />

causa finale: «Evidentemente i numeri non sono né la sostanza né<br />

le cause della forma; poiché il rapporto (logos) è la sostanza, mentre<br />

il numero è la materia» ( 104 ). Questa posizione implica che il numero,<br />

qualunque esso sia, è sempre numero <strong>di</strong> certe cose, ed è quin<strong>di</strong><br />

un termine relativo, che presuppone un oggetto in<strong>di</strong>pendente cui<br />

riferirsi ( 105 ). Scrive Aristotele che se poi si sostiene che le cose <strong>di</strong><br />

questo mondo sono rapporti (logoi) numerici — come avviene, ad<br />

esempio, negli accor<strong>di</strong> musicali — non si potrà ovviamente negare<br />

almeno l’esistenza <strong>di</strong> un qualcosa (che è poi la materia) <strong>di</strong> cui esse<br />

sono rapporti (Met., I 9, 991 b 14-16). Tutti questi argomenti aristotelici<br />

sono rivolti, com’è noto, nella stessa <strong>di</strong>rezione: confutare la<br />

dottrina platonica per cui gli enti matematici esistono separatamente<br />

dagli oggetti sensibili. Più precisamente, la concezione per<br />

cui essi devono essere necessariamente anteriori alle grandezze<br />

sensibili (cf. Met., XII 2, 1077 a 16-19).<br />

Abbiamo richiamato questo specifico aspetto della critica <strong>di</strong><br />

Aristotele a Platone perché ci pare l’unico modo convincente,<br />

congruo con i presupposti e gli orientamenti storico-filosofici della<br />

Dissertatio, <strong>di</strong> spiegare il seguente passo <strong>di</strong> Hegel: «Series numero-<br />

Zeller) della <strong>di</strong>visione operata dal Demiurgo. Ro<strong>di</strong>er ripartisce i numeri della serie<br />

in due progressioni geometriche: una <strong>di</strong> ragione 2 (1; 2; 4; 8), l’altra <strong>di</strong> ragione 3 (1;<br />

3; 9; 27), in vista <strong>di</strong> sette cerchi inuguali cui corrispondono le <strong>di</strong>stanze dei pianeti,<br />

commentando: «Vale a <strong>di</strong>re che il Sole, Venere, Mercurio, Marte, Giove, Saturno<br />

sono rispettivamente 2, 3, 4, 8, 9 e 27 volte più lontani dalla terra che la luna» (ib., p.<br />

93). Per l’intero contesto cf. MOVIA (1992), pp. 248-249.<br />

( 103 ) In Met., XIV 5, 1092b 23-25.<br />

( 104 ) Met., XIV 5, 1092b 16-17; cf. ROSS (1924), II: p. 495, commento a 16-17: «se<br />

l’armonia è un logos arithmo–n, i numeri sono semplicemente la materia, l’essenza e il<br />

rapporto (ratio)».<br />

( 105 ) Cf. Met., XIV 5, 1092b 20, e ANNAS (1976): p. 35.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

177<br />

rum est 1, 2, 3, 4, 9, 16, 27: 16 enim pro 8 quem legimus ponere<br />

liceat».<br />

Perché il sesto termine originale, 8, viene sostituito con il 16?<br />

E che conseguenze ha questa operazione sulla natura della serie?<br />

Donde ricava la sua legittimità quel “ponere liceat”? I commentatori<br />

più accre<strong>di</strong>tati spaziano da un «la sostituzione è inesplicabile,<br />

tanto è <strong>di</strong>sinvolta» ( 106 ), ad un «Hegel sostituisce, senza giustificazione<br />

filosofica, il 16 all’8, per ottenere una serie ascendente» ( 107 ).<br />

Concor<strong>di</strong>amo con Neuser che la variazione introdotta è intesa a costituire<br />

una simile serie: l’8, dopo il 9, avrebbe rappresentato un<br />

passo in<strong>di</strong>etro. Ma nei confronti <strong>di</strong> cosa? Delle <strong>di</strong>stanze effettivamente<br />

esistenti, e continuamente crescenti, dei pianeti dal sole.<br />

Ora, coerentemente con la sua concezione del numero come termine<br />

relativo, Aristotele aveva sostenuto, contro Platone, che i numeri<br />

non sono in realtà anteriori, bensì posteriori alle grandezze sensibili<br />

(Met., XIII 2, 1077 a 19); in linea con tutti gli elementi precedentemente<br />

raccolti, ci pare che nel complesso giochi qui la valutazione<br />

<strong>hegel</strong>iana, già ricordata, che Aristotele avesse «sempre <strong>di</strong>nanzi a<br />

sé la natura concreta dell’oggetto», una costante preoccupazione<br />

che agiva come una sorta <strong>di</strong> “spirito <strong>di</strong>rettivo”, non lasciando libere<br />

per sé le determinazioni della riflessione.<br />

Neuser scrive che l’intervento <strong>di</strong> Hegel è privo <strong>di</strong> fondamento,<br />

per De Gandt esso rimane senza spiegazione, ma se facciamo<br />

intervenire, all’interno <strong>di</strong> questo riferimento <strong>hegel</strong>iano alla tra<strong>di</strong>zione<br />

pitagorico-platonica, l’istanza anti-platonica della priorità<br />

dell’oggetto concreto e fisico sulla riflessione, dello “Schein der<br />

Sinne” sui “Gründe”, allora la mossa <strong>di</strong> Hegel <strong>di</strong>venta comprensibile<br />

e filosoficamente motivata, nonché sottilmente ironica ( 108 ), se-<br />

( 106 ) DE GANDT (1979): p. 164, nota 68.<br />

( 107 ) NEUSER (1986): p. 51.<br />

( 108 ) Cf. FERRINI (1991): p. 467. La lettura ‘via’ Aristotele che propongo, nel<br />

presente lavoro, del significato della manipolazione <strong>hegel</strong>iana della serie in De orbitis<br />

p. 32, 7-12 integra quella allora proposta.


178 HEGEL E ARISTOTELE<br />

condo il suo tipico schema del rovesciamento: non aveva poco prima<br />

sottolineato l’errore <strong>di</strong> coloro che “omni modo” cercavano <strong>di</strong> armonizzare<br />

eventuali fenomeni <strong>di</strong>scordanti dalla regola precedentemente<br />

stabilita? Non abbiamo mostrato come anche stilisticamente<br />

questa critica riecheggiasse quella che Aristotele aveva rivolto ai<br />

Pitagorici? Ed ecco che Hegel si permette un approccio altrettanto<br />

(solo apparentemente) arbitrario e dogmatico proprio a una dottrina<br />

pitagorica, ma che arbitrario e dogmatico in realtà non è, perché<br />

non aggiusta il fenomeno empirico alla espressione quantitativa<br />

della sua regolarità (dato che «quinto autem progressionis membro<br />

in natura planeta non respondeat»), ma questa formulazione al fenomeno,<br />

la priorità del quale (e, filosoficamente, questa priorità è<br />

Aristotele che la fonda) rende “lecito porre” 16 al posto <strong>di</strong> 8.<br />

Se è sufficientemente chiaro il significato dell’intervento <strong>di</strong><br />

Hegel sui contenuti della serie: salvare i fenomeni, e non un “sembiante<br />

<strong>di</strong> legge” (come tentano <strong>di</strong> fare in “ogni modo” coloro che si<br />

affidano invece alla sola esperienza e induzione), resta da vedere<br />

cosa comporti l’introduzione del 16 (che possiamo scrivere come<br />

2 4 ) sulla forma <strong>di</strong> essa. I commentatori ci <strong>di</strong>cono che i numeri tramandati<br />

dai due Timeo non costituiscono una semplice progressione<br />

aritmetica (come quella <strong>di</strong> Titius-Bode ( 109 ), che come tale «non<br />

offre nulla al concetto, all’idea» ( 110 )), bensì sono «una serie <strong>di</strong> potenze»<br />

( 111 ) o quantomeno una serie «basata sulle potenze del due e<br />

del tre» ( 112 ). Ricor<strong>di</strong>amo che, nelle Lezioni, Hegel chiarirà che considera<br />

quella stessa serie come formata dalla giustapposizione <strong>di</strong><br />

un rapporto aritmetico (1; 2; 3) e un rapporto geometrico costante<br />

(scrivendo 4; 9; 8 e 27 come 2 2 ; 3 2 ; 2 3 ; 3 3 ) ( 113 ). Ora cosa succede se al<br />

( 109 ) Cf. BAUM (1989): p. 139.<br />

( 110 ) HEGEL, SW, Bd. 18, 2, p. 260; LSF, II, p. 239; VIEILLARD-BARON (1976): p. 118.<br />

( 111 ) DE GANDT(1979): p. 51.<br />

( 112 ) HARRIS (II): nota 1, p. 93.<br />

( 113 ) Nelle Lezioni si <strong>di</strong>ce che una simile combinazione è priva <strong>di</strong> significato<br />

speculativo (per tutto il contesto, polemico nei confronti <strong>di</strong> una applicazione <strong>di</strong>retta


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

179<br />

posto <strong>di</strong> 2 3 poniamo 2 4 ? Semplicemente, la serie non è più iterabile ( 114 ).<br />

In linea <strong>di</strong> principio, in quella originale, possiamo aggiungere un<br />

ottavo membro (sarebbe 2 4 ), un nono (3 4 ), e così via. La sostituzione<br />

dell’8 con il 16 ha per conseguenza l’interruzione della chiara<br />

legge generativa della serie. Neuser osserva che il 27 finale la concludeva<br />

«perché segue dalla serie numerica, ma rappresenta anche<br />

la somma <strong>di</strong> tutti i numeri precedenti» ( 115 ). Ora questo è evidentemente<br />

un criterio arbitrario: potrei allo stesso modo scegliere <strong>di</strong> fermarmi<br />

all’ottavo membro, 16, perché se <strong>di</strong>vido per esso la somma<br />

dei primi 7 numeri (54) ottengo il rapporto tra il settimo e il sesto<br />

termine (27/8) etc. La rottura della consequenzialità della serie, che<br />

per Hegel ne costituisce però anche la razionalità, rende logicamente<br />

necessario (e per una logica interna, dato che non posso derivare<br />

in alcun modo l’ottavo numero) che i membri siano soltanto<br />

sette, quanto i pianeti allora noti. Si viene a produrre così a livello<br />

formale quella necessità del contenuto ( 116 ) che mancava <strong>di</strong> essere<br />

immanente alla serie originale (frutto, come ricordava Findlay, dell’azione<br />

benevola, non logicamente necessaria, <strong>di</strong> un Demiurgo<br />

privo <strong>di</strong> invi<strong>di</strong>a), a spese tuttavia della sua coerenza interna. In altre<br />

parole, «con questi rapporti numerici non si fa molta strada»<br />

(corsivo mio) non solo nelle Lezioni ( 117 ), ma anche nella Dissertatio.<br />

Va da sé che l’ipotesi alternativa, che qui Hegel stia solo riferendosi<br />

alla tra<strong>di</strong>zione dei due Timeo affermandone l’autorità, e <strong>di</strong>a<br />

quin<strong>di</strong> valore reale e fisico alla serie, <strong>di</strong>versamente che nelle Lezio-<br />

dei numeri pitagorico-platonici al sistema delle sfere celesti, dato che si guarda piuttosto<br />

«al rapporto dei momenti che si <strong>di</strong>fferenziano nel movimento», cf. HEGEL, SW,<br />

Bd. 18,2, pp. 258-260; LSF, II, pp. 237-239.<br />

( 114 ) Ringrazio il Prof. M. Nasti De Vincentis per aver portato la mia attenzione<br />

su questo punto.<br />

( 115 ) NEUSER (1986): p. 51.<br />

( 116 ) Per il modo in cui il necessario si inserisce nelle cose naturale ve<strong>di</strong> ARI-<br />

STOTELE, Fisica, II, 8-9.<br />

( 117 ) HEGEL, SW, Bd. 18, 2, p. 260; LSF, II, p. 239.


180 HEGEL E ARISTOTELE<br />

ni, non fornisce alcuno strumento, come abbiamo visto dai commenti,<br />

per comprendere la sostituzione/correzione e le sue implicazioni.<br />

Tale lettura non rende inoltre conto <strong>di</strong> una peculiare movenza<br />

retorica del testo latino, che ben si inquadra invece nella nostra<br />

interpretazione, secondo cui Hegel piuttosto mostra la parzialità<br />

e l’ insufficienza <strong>di</strong> quella serie antica come tale, a meno <strong>di</strong> non<br />

sottoporla, come vedremo ancora, a certe operazioni. Al “ponere<br />

liceat”, segue infatti: «Quae series si verior naturae ordo sit, quam<br />

illa arithmetica progressio, inter quartum et quintum locum magnum<br />

esse spatium, neque ibi planetam desiderari apparet». Vale a<br />

<strong>di</strong>re che quando Hegel parla dei numeri (mo<strong>di</strong>ficati) dei due Timeo<br />

come <strong>di</strong> «un or<strong>di</strong>ne della natura più vero» <strong>di</strong> quello offerto dagli<br />

astronomi, lo fa con l’apodosi all’in<strong>di</strong>cativo (apparet) e la protasi al<br />

congiuntivo (sit); secondo un periodo ipotetico dell’oggettività che<br />

esprime un forte accento <strong>di</strong> eventualità, e che potremmo introdurre<br />

con un “nel caso che, qualora” ( 118 ).<br />

In effetti, Hegel abbandona ogni cautela solo dopo aver considerato<br />

le ra<strong>di</strong>ci cubiche <strong>di</strong> quegli stessi numeri elevati alla quarta<br />

potenza, secondo la formula (x 2 ) 2/3 , scrivendo: «rationes <strong>di</strong>stantiarum<br />

planetarum esse invenies»: «troverai che esse sono i rapporti<br />

per le <strong>di</strong>stanze tra i pianeti» (corsivo mio). In questo modo si ricava<br />

una serie numerica che, pur utilizzando un’unità <strong>di</strong> misura <strong>di</strong>versa<br />

da quella della serie <strong>di</strong> Titius-Bode, pure effettivamente si approssima<br />

considerevolmente ai valori delle tabelle astronomiche dell’epoca<br />

( 119 ). Se per Neuser una simile operazione matematica è <strong>di</strong><br />

nuovo senza fondazione filosofica, così invece la legge Harris,<br />

prendendo sul serio l’intenzione <strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> dare effettivo valore<br />

reale e fisico ai numeri antichi: «Hegel voleva generare da questa serie<br />

i rapporti <strong>di</strong> intervallo richiesti attraverso una operazione ‘po-<br />

( 118 ) Questo aspetto retorico, che in<strong>di</strong>ca il valore solo ipotetico della serie<br />

pitagorico-platonica è stato più volte rilevato dagli interpreti (HÖSLE (1987), I: nota<br />

85, pp. 95-96; NEUSER (1986): nota a p. 32, 12, p. 161; FERRINI (1991): p. 467).<br />

( 119 ) Per tutta la questione riman<strong>di</strong>amo alla documentazione e all’analisi offerte<br />

da NEUSER (1986): pp. 51-52 e p. 54.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

181<br />

tenziale’ su <strong>di</strong> essa» ( 120 ). A parte le riserve che abbiamo già espresso<br />

sull’uso del verbo “generare”, Harris giustamente ricorda a questo<br />

punto i prerequisiti che Hegel stesso aveva prima enunciato affinché<br />

una serie numerica risultasse <strong>di</strong> pertinenza della filosofia. Di<br />

fatto Hegel, elevando alla quarta potenza i numeri dei Timeo (in cui<br />

introduce un mutamento ulteriore per ottenere il primo valore: 1,4<br />

delle tabelle delle <strong>di</strong>stanze dei pianeti dal sole), ottiene una nuova<br />

serie, le cui basi sono tutte potenze (elimina quin<strong>di</strong> ogni rapporto<br />

aritmetico in essa), e che la precedente “ha procreato da se stessa”.<br />

L’estrazione poi <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ce, essendo il modo inverso <strong>di</strong> quello potenziale,<br />

non mo<strong>di</strong>fica questo aspetto, secondo cui il numero non opera<br />

come un agglomerato <strong>di</strong> unità che sottoposto a ad<strong>di</strong>zione o sottrazione<br />

perderebbe la propria identità, ma è posto come un principio<br />

che si dà la propria regola e limite <strong>di</strong> accrescimento/<strong>di</strong>minuzione<br />

(mutamento).<br />

Che valore filosofico ha questa mossa? Ed è possibile, per<br />

concludere il nostro <strong>di</strong>scorso, che anche in questa ulteriore mo<strong>di</strong>fica<br />

che Hegel apporta alla tra<strong>di</strong>zione pitagorico-platonica (l’unico<br />

riferimento esplicito <strong>di</strong> queste righe) sia presente un influsso<br />

aristotelico?<br />

La risposta alla prima domanda ci permette <strong>di</strong> allargare il<br />

contesto storico-filosofico ai Naturphilosophen dell’epoca. Nello<br />

Erster Entwurf del 1799 Schelling aveva fatto ampio uso <strong>di</strong> una dottrina<br />

del potenziamento (per in<strong>di</strong>viduare <strong>di</strong>versi livelli <strong>di</strong> produttività<br />

nella natura, e definirne le tappe <strong>di</strong> transizione verso lo spirito)<br />

nella costruzione della sua teoria <strong>di</strong>namica della materia e della<br />

sua visione della natura come <strong>di</strong>venire, processo formatore e sistema<br />

<strong>di</strong> gra<strong>di</strong>, attività infinita, in cui meccanismo e finalismo sono<br />

collocati all’interno <strong>di</strong> una prospettiva sistematica e unitaria ( 121 ). E<br />

( 120 ) HARRIS (II): p. 93.<br />

( 121 ) Cf. BLOCH (1975): pp. 294-295. Sulla dottrina delle potenze nei vari scritti<br />

<strong>di</strong> Schelling, Cf. ESPOSITO(1977): pp. 94-97 e 103-104; per l’Entwurf, in particolare, cf.<br />

TILLIETTE (1992): pp. 178-179.


182 HEGEL E ARISTOTELE<br />

nella Darstellung meines Systems der Philosophie, che precede <strong>di</strong> pochi<br />

mesi la Dissertatio, le potenze (nel senso della “Steigerung”)<br />

sono i mo<strong>di</strong> attraverso cui si esprime la determinatezza della <strong>di</strong>fferenza<br />

quantitativa <strong>di</strong> soggettività e oggettività: «le quali, facendo<br />

parte della forma dell’essere dell’identità assoluta, e per conseguenza<br />

della forma <strong>di</strong> ogni essere, non stanno forse insieme in<br />

uguale maniera, ma così, che reciprocamente potrebbero essere poste<br />

come prevalenti» (par. 23). Nel suo approccio complessivo,<br />

Schelling era stato influenzato dalla visione vivente e <strong>di</strong>namica<br />

della natura <strong>di</strong> Baader, che nei Beiträge zur Elementarphysiologie del<br />

1796 ( 122 ) aveva tra l’altro <strong>di</strong>stinto tra “aritmetica vivente” e “aritmetica<br />

morta”. La prima era lo strumento dei ricercatori “<strong>di</strong>namici”<br />

della natura, intenti alla “costruzione” dei fenomeni, i quali operavano<br />

attraverso la moltiplicazione e l’elevazione a potenza, la <strong>di</strong>visione<br />

e l’estrazione <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ce. La seconda consisteva nell’ad<strong>di</strong>zione<br />

e nella sottrazione, proprie dei fisici meccanicistici che si limitavano<br />

a “spiegare” i fenomeni naturali. Se questo tipo <strong>di</strong> riferimento fa<br />

capire quanto Hegel, utilizzando elevazione a potenza ed estrazione<br />

<strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ce, parlasse nel linguaggio abituale <strong>di</strong> una linea <strong>di</strong> stu<strong>di</strong><br />

nuova, ma dalle caratteristiche già ben definite e affermate, questo<br />

suo <strong>di</strong>alogare non deve far perdere <strong>di</strong> vista la specificità dell’uso <strong>di</strong><br />

tali operazioni, che ci riporta nuovamente alla matematica antica.<br />

Nella Tesi IV premessa al De orbitis, ad esempio, Hegel non<br />

parla <strong>di</strong> “aritmetica vivente”, bensì <strong>di</strong> “aritmetica vera”, e quello<br />

che <strong>di</strong>ce, malgrado nessun interprete finora lo abbia rilevato ( 123 ),<br />

( 122 ) Cf. BAADER, SW, III, Gesammelte Schriften zur Naturphilosophie, p. 215. Nelle<br />

Vorlesungen, Bd. 9, Teil 4, pp. 185-186, 456-461, Hegel sottolinea il debito contratto<br />

da Schelling con Eschenmayer riguardo all’uso delle potenze, e come il primo se ne<br />

servisse alla stregua <strong>di</strong> “<strong>di</strong>fferenze fisse”.<br />

( 123 ) Cf. WASZEK (1987): pp. 255-260, per una bibliografia ragionata dei commenti<br />

alle varie Tesi (le e<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> Neuser e <strong>di</strong> De Gandt si limitano ad offrire la sola<br />

traduzione del testo latino); rispetto alla Tesi IV, Waszek ricorda l’opinione <strong>di</strong> Haering,<br />

per cui insieme alla III e alla V, è «descritta seguire il vivo interesse <strong>di</strong> Schelling per<br />

la filosofia della natura» (pp. 255-256).


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

183<br />

appare meno un’ipotesi personale votata al fallimento ( 124 ) o un<br />

mettersi sulla scia della filosofia della natura schellingiana, se la<br />

leggiamo alla luce <strong>di</strong> quella pagina del Parmenide platonico (143 a -<br />

144 a ) conosciuta come “generazione dei numeri’’ ( 125 ), nonché <strong>di</strong><br />

certe osservazioni aristoteliche sulla natura e sulla produzione <strong>di</strong><br />

tutti i numeri, in Met., VIII 3, 1043 b 33-1044 a 2 e XIII 8, 1083 b 36-<br />

1084 a 7: «In Arithmetica vera nec ad<strong>di</strong>tioni nisi unitatis ad dyadem,<br />

nec subtractioni nisi dya<strong>di</strong>s a triade, neque tria<strong>di</strong> ut summae,<br />

neque unitati ut <strong>di</strong>fferentiae est locus». I punti <strong>di</strong> contatto con il<br />

<strong>di</strong>alogo platonico, sono, a nostro parere: i) che nell’aritmetica vera<br />

non ci sia posto per la triade come somma ( 126 ) (vale a <strong>di</strong>re come operazione<br />

tra adden<strong>di</strong>), bensì, si potrebbe completare, come “un tutto”,<br />

almeno secondo l’argomento del Parmenide 143 d , dove: tria<br />

gignetai ta panta.<br />

ii) Che non ci sia posto per l’unità come <strong>di</strong>fferenza. Fatta salva<br />

la me<strong>di</strong>azione della tra<strong>di</strong>zione dell’aritmetica speculativa che può<br />

rendere conto, tra l’altro, tanto della <strong>di</strong>stinzione tra lo hen del<br />

Parmenide (che corrisponde al latino unum) e la unitas <strong>hegel</strong>iana<br />

(che corrisponde al greco monas), quanto del passaggio dall’alterità<br />

indeterminata come heteron alla alterità determinata della Tesi IV<br />

(la <strong>di</strong>fferentia) ( 127 ), riteniamo che quest’ultima affermazione trovi<br />

( 124 ) Così ROSENKRANZ (tr. it.): p. 175 commenta questa Tesi: «Anche questa<br />

proposizione, che avrebbe dovuto presentare la formula più semplice per i <strong>di</strong>versi<br />

sistemi <strong>di</strong> calcolo, conteneva in embrione un’aspirazione fondamentale <strong>di</strong> Hegel,<br />

che poté essere realizzata così poco come quella sul calcolo delle orbite dei pianeti».<br />

( 125 ) Ma cf. ALLEN (1983): pp. 227-228, secondo cui è sbagliato ritenere che la<br />

classificazione dei numeri offerta in questo passo sia un dar conto della loro generazione,<br />

trattandosi piuttosto della presentazione <strong>di</strong> una prova <strong>di</strong> esistenza.<br />

( 126 ) A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto si legge nella traduzione italiana (NEGRI (1984): p.<br />

89; cf. anche nota 5, p. 94), la seconda parte della Tesi sostiene che non c’è posto,<br />

nell’aritmetica vera, per la triade come (ut) somma, e per l’unità come (ut) <strong>di</strong>fferenza.<br />

( 127 ) Ringrazio il Prof. M. Nasti De Vincentis per avermi fatto pervenire la<br />

seguente precisazione: «tesi classica dell’aritmetica speculativa <strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zione platonica<br />

(pitagoreggiante) è infatti l’inalterabilità dell’unità. Ad es., in una tarda epitome<br />

come il Suntagma <strong>di</strong> Pachimere (cf. TANNERY (1940): p. 11, 13-16) è ancora possibile


184 HEGEL E ARISTOTELE<br />

quantomeno il suo punto <strong>di</strong> partenza in quella espressione platonica<br />

secondo cui l’Uno e l’essere altro si possono con <strong>di</strong>ritto chiamare<br />

una “coppia” (ampho–), poiché: «L’essere altro non è lo stesso né dell’Uno<br />

né dell’essere» (143 b ): Ho–ste ou tauton estin oute to–i heni oute te–i<br />

ousiai to heteron.<br />

iii) Il fatto che non ci sia che ad<strong>di</strong>zione dell’unità alla <strong>di</strong>ade e<br />

sottrazione che non sia della <strong>di</strong>ade dalla triade, cioè tra quanta che<br />

‘sono’ (non ‘hanno’) un principio <strong>di</strong> unità, ci fa inoltre pensare ad<br />

una risposta all’osservazione <strong>di</strong> Aristotele (Met.,VIII 3, 1043 b 33-35)<br />

per cui se i numeri sono sostanze (ousiai), lo sono nel senso in cui<br />

l’uomo non è “animale + bipede”, vale a <strong>di</strong>re non sono un aggregato<br />

<strong>di</strong> unità (legousi monado–n), un <strong>di</strong> più e <strong>di</strong> meno, cui possono venir<br />

sottratti o aggiunti <strong>degli</strong> elementi, ma qualcosa in virtù del quale<br />

sono un tipo <strong>di</strong> unità, in atto e con una natura determinata, che<br />

tiene insieme le parti. La polemica è rivolta contro Pitagorici e Platonici<br />

( 128 ) che non sarebbero in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>re in virtù <strong>di</strong> che cosa il<br />

leggere che la monas è cosi chiamata perché i numeri (costituiti da collezioni <strong>di</strong> unità)<br />

e l’unità stessa non si alterano in alcun modo (me–damo–s alloiousthai); e, aggiunge<br />

Pachimere: all’en tauto–i <strong>di</strong>amenein: hapax gar ta pente, authis pente, kai hapax ta deka, deka).<br />

Si potrebbe quin<strong>di</strong> suggerire che la <strong>di</strong>fferentia della Tesi IV <strong>di</strong> Hegel» — termine reso<br />

da Neuser con Differenz, mentre al to heteron del Parmenide viene fatto corrispondere<br />

<strong>di</strong> solito il tedesco Verschiedenheit — «sia ricollegabile alla nozione <strong>di</strong> alterità determinata<br />

come alloio–sis. Né (prima <strong>di</strong> un esame ancora più ampio, <strong>di</strong> possibili fonti) appare<br />

lecito escludere — sempre all’interno dell’aritmetica speculativa e del platonismo<br />

pitagoreggiante — l’ulteriore me<strong>di</strong>azione offertaci dalla teoria dei numeri figurati (in<br />

special modo i lineari e triangolari), dove i contenuti salienti della Tesi IV possono<br />

trovare, in effetti, puntuale riscontro entro un arco <strong>di</strong> testi e <strong>di</strong> autori che, per ricordare<br />

solo i più antichi, spazia da Nicomaco, Boezio, Teone e Giamblico fino a Luciano e<br />

Plutarco». A conferma dell’opportunità <strong>di</strong> questa osservazione, che qui non possiamo<br />

ulteriormente sviluppare, facciamo presente che al n. 408 del Verzeichnis (p. 19)<br />

corrisponde un esemplare a fogli sciolti, e senza data, del commento <strong>di</strong> Giamblico<br />

alla Introduzione all’aritmetica <strong>di</strong> Nicomaco, con versione <strong>di</strong> Tennulio (verosimilmente<br />

l’e<strong>di</strong>zione pubblicata apud J.F. Hagium nel 1668: cf. MENSE (1993): p. 672, che però non<br />

fornisce questa descrizione dello stato dell’esemplare); e ai nn. 450-458 (pp. 21-22),<br />

l’e<strong>di</strong>zione Bipontina del 1789-1793 dell’opera <strong>di</strong> Luciano graece et latine, ad e<strong>di</strong>tionem<br />

Tiberii Hemsterhusii et Joannis Frederici Reitzii accurate expressa (assente in Mense).<br />

( 128 ) Cf. Ross (1924), II, commento a 1043a 34, p. 233.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

185<br />

numero è uno e non una sorta <strong>di</strong> mucchio, quando il numero (come<br />

la definizione) «perde la sua identità se qualcosa è sottratto da<br />

o aggiunto a esso» ( 129 ).<br />

Che il contenuto <strong>di</strong> questa Tesi IV costituisca anche lo sfondo<br />

su cui collocare l’ultima pagina del De orbitis ci sembra sostenibile<br />

per il seguente or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> considerazioni: 1) nella prima parte del<br />

passo citato dal Parmenide (a conclusione del quale abbiamo la generazione,<br />

rispettivamente, <strong>di</strong> numeri pari e numeri <strong>di</strong>spari) «abbiamo<br />

un processo <strong>di</strong> infinito raddoppiamento che ben corrisponde<br />

alla maniera in cui numeri della forma 2 n sono prodotti da 2. Il<br />

processo è così simile a quello della produzione delle potenze <strong>di</strong> 2<br />

dal due indefinito» ( 130 ). Nella prospettiva platonica, dunque, «le<br />

potenze <strong>di</strong> due sono pensate come i numeri pari par excellence» ( 131 ),<br />

anche se il <strong>di</strong>alogo non mantiene la promessa <strong>di</strong> dare conto della<br />

«generazione <strong>di</strong> tutti i numeri»: «Ma il due non ha prodotto tutti i<br />

numeri pari, solo le potenze <strong>di</strong> due. Potenze <strong>di</strong> due più numeri <strong>di</strong>spari<br />

non arrivano a “tutti i numeri”» ( 132 ). 2) Tuttavia, quando<br />

Hegel mette sotto ra<strong>di</strong>ce cubica i quadrati dei numeri platonici, al-<br />

( 129 ) Cf. ib., commento a 1043 a 36, p. 231. Nella Scienza della logica (in un passo<br />

invariato nelle due e<strong>di</strong>zioni), verrà chiarito che nell’“ex se ipsis procreationem” del<br />

rapporto potenziale, «il quantum è una totalità qualitativa che si pone come sviluppata,<br />

dove l’unità che è in se stessa (an ihr selbst) numero <strong>di</strong> volte (“numero-numerato”:<br />

Anzahl) è ugualmente il numero <strong>di</strong> volte <strong>di</strong> fronte a sé come unità». L’essere<br />

altro, il numero <strong>di</strong> volte delle unità, è l’unità stessa: GW, Bd. 21, p. 318, 13-15; SL, p.<br />

358. Commentano i traduttori francesi dell’ed. del 1812: «La formula generale <strong>di</strong><br />

questa relazione è l’uguaglianza tra un quanto semplice e un quanto elevato alla<br />

seconda potenza, - per esempio a=b 2 . Ciò che qui costituisce il fatto primario è l’ultima<br />

totalità, che si <strong>di</strong>vide negativamente all’interno <strong>di</strong> ciò che essa è. Così il “terzo<br />

termine”, l’esponente, non è più esterno agli altri due: esso è l’identità della loro<br />

identità e della loro <strong>di</strong>fferenza» (HEGEL, Science de la logique, L’être, ed. de 1812, trad.,<br />

prés., notes par P.J. Labarrière et Gwendoline Jarczyk, Paris, Aubier-Montaigne,<br />

1972, nota 39, p. 286).<br />

( 130 ) ANNAS (1976): p. 49.<br />

( 131 ) Ib.<br />

( 132 ) Ib, p. 51.


186 HEGEL E ARISTOTELE<br />

tro non fa che elevare alla quattro terzi un rapporto geometrico (gli<br />

ultimi quattro numeri) che era già esprimibile da potenze <strong>di</strong> due o<br />

<strong>di</strong> tre ( 133 ); e più avanti, delle altre quattro serie che vengono proposte<br />

(per il rapporto tra le <strong>di</strong>stanze dei satelliti <strong>di</strong> Giove e nei satelliti<br />

<strong>di</strong> Saturno), le uniche <strong>di</strong> cui scrive i termini sono quella da<br />

cui si ricavano i valori dei tempi perio<strong>di</strong>ci dei primi quattro satelliti<br />

<strong>di</strong> Saturno, e quella che esprime il rapporto tra le loro <strong>di</strong>stanze, entrambe<br />

della forma 2 n . Nel caso dei tempi, Hegel si richiama nuovamente<br />

ad alcuni numeri della serie dei due Timeo (1; 2; 4; 8) ricavandone<br />

i valori ( 134 ) dalle ra<strong>di</strong>ci quadrate <strong>di</strong> 2 9 , 2 10 , 2 11 , 2 12 ; dove i<br />

ra<strong>di</strong>can<strong>di</strong> costituiscono una successione i cui termini sono tutti potenze<br />

<strong>di</strong> due ( 135 ). Analogamente, troviamo che «la serie dei cubi<br />

dei quali le ra<strong>di</strong>ci esprimono il rapporto delle <strong>di</strong>stanze» è 1; 2; 2 2 ;<br />

2 3 ; (2 4 : 2 5 ), 2 8 ; (2 12 : 2 13 ).<br />

Ora pensiamo che la ragione per cui Hegel, quando si tratta<br />

<strong>di</strong> numeri che esprimono misure della natura, rapporti tra grandezze<br />

concrete nella realtà fisica, pre<strong>di</strong>liga serie che hanno come<br />

termini (o quadrati dei termini) potenze <strong>di</strong> 2, possa essere cercata<br />

nella lettura aristotelica delle teorie dell’Accademia sulla generazione<br />

dei numeri, in Met., XIII 8, 1083 b 36-1084 a 7. Il terzo modo <strong>di</strong><br />

( 133 ) Scrive Hegel in De Orbitis, p. 28, 20-27: «Quum lineam esse mentem se<br />

ipsam in sua ipsius forma subjectiva producentem transitumque ejus in speciem<br />

sui vere objectivam esse quadratum vi<strong>di</strong>ssemus, productum contra, quod ad<br />

naturam naturatam pertinet, est cubus; spatii enim omni mentis abstractione facta<br />

se ipsum producentis tres sunt <strong>di</strong>mensiones: corpusque quod fit, est quadratum, corpus<br />

autem quod est, cubus» (corsivo mio). La peculiarità dell’elevazione al quadrato e<br />

al cubo rispetto a successivi gra<strong>di</strong> <strong>di</strong> elevazione a potenza, continuerà ad essere<br />

affermata da Hegel: cf. HEGEL, Werke, Bd. 8, Enzyklopä<strong>di</strong>e der philosophischen<br />

Wissenschaften, I, par. 102, p. 215, Enc. (tr. it.), p. 118; e GW, Bd. 21, Wissenschaft der<br />

Logik, I (1832), pp. 201, 34-202, 1; SL, p. 227 (passo aggiunto nella seconda e<strong>di</strong>zione).<br />

( 134 ) Come si ricava facilmente, ma <strong>di</strong>versamente da quanto appare nelle<br />

varie e<strong>di</strong>zioni e traduzioni del De Orbitis, i valori <strong>di</strong> questi tempi, dati nel testo<br />

originale come il risultato dell’estrazione <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ce, sono: 22, 32, 45, 64. Cf. FERRINI<br />

(1996): p. 16.<br />

( 135 ) I risultati esatti dell’operazione sono: 22, 62; 32; 45, 25 e 64.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

187<br />

cui viene dato conto ( 136 ) tende esattamente a colmare la lacuna del<br />

Parmenide, vale a <strong>di</strong>re a derivare tutti gli altri numeri pari che non<br />

sono potenze <strong>di</strong> due. Scrive la Annas: «Questo suggerisce quanto<br />

segue: il due indefinito per proprio conto produce le potenze <strong>di</strong> due:<br />

date queste, l’uno produce i numeri <strong>di</strong>spari; ed entrambi sono anche<br />

necessari per produrre i rimanenti numeri pari (in quanto, perché<br />

essi siano ottenuti devono essere <strong>di</strong>sponibili i numeri <strong>di</strong>spari).<br />

Questo spiegherebbe perché Aristotele qualche volta parli come se<br />

il due indefinito producesse solo le potenze <strong>di</strong> due, e qualche volta<br />

come se producesse tutti i numeri pari: i numeri pari sono la provincia<br />

del due indefinito, ma per proprio conto esso può produrre<br />

solo i numeri pari <strong>di</strong> pari volte nel senso ristretto delle potenze <strong>di</strong><br />

due» ( 137 ).<br />

Il fatto che Hegel limiti l’esposizione delle serie razionali alla<br />

forma 2 n potrebbe quin<strong>di</strong> essere visto come un aggiustamento nel<br />

senso dell’ “ex se ipsis procreationem” della più generale (e<br />

lacunosa) teoria platonica. Con quel tipo <strong>di</strong> base, l’elevazione a potenza<br />

rafforzerebbe il significato <strong>di</strong> non essere un mutamento esterno<br />

cui è sottoposto il numero, poiché la <strong>di</strong>fferenza da sé cui il numero<br />

dà origine è (platonicamente) par excellence il suo proprio determinare.<br />

Hegel terrà sempre fede a questo aspetto qualitativo del<br />

rapporto potenziale ( 138 ), che apre alla matematica la via verso il<br />

corporeo ( 139 ), in quanto rappresenta un superamento dell’astrat-<br />

( 136 ) Su cui cf. ROSS (1924), II: p. 447, commento a 1084a 4-7.<br />

( 137 ) ANNAS (1976): p. 52.<br />

( 138 ) Cf. HEGEL, GW, Bd. 21, p. 319, 7-9; SL, p. 359: «Il rapporto potenziale è<br />

l’esposizione <strong>di</strong> quello che il quanto è in sé (an sich), ne esprime la determinatezza o<br />

qualità per mezzo della quale esso si <strong>di</strong>fferenzia da altro». Ve<strong>di</strong> anche ib., p. 320, 1-4;<br />

SL, p. 360: «L’esteriorità (Aeusserlichkeit) della determinatezza è la qualità del quanto;<br />

questa esteriorità è quin<strong>di</strong> posta ora conformemente al concetto del quanto come<br />

il suo proprio determinare, come il suo riferimento a se stesso, la sua qualità». Il<br />

testo è invariato rispetto all’e<strong>di</strong>zione del 1812.<br />

( 139 ) Nello Hegel della Scienza della logica, <strong>di</strong>versamente da quanto avveniva<br />

nella Logica del 1804-05, sarà la terza categoria dell’Essere, la Misura, nascendo dal-


188 HEGEL E ARISTOTELE<br />

tezza e del formalismo (morta identità) del numero (contrariamente<br />

alla Darstellung <strong>di</strong> Schelling, dove la potenza è l’espressione della<br />

<strong>di</strong>fferenza (meramente) quantitativa del soggettivo e dell’oggettivo<br />

che è al fondamento <strong>di</strong> ogni finito, posta invece la loro originaria<br />

identità assoluta come l’infinito).<br />

Questa mossa, che fa tutto sommato vincere Platone in un<br />

gioco contro se stesso, appare dunque la migliore risposta alla critica<br />

aristotelica alla concezione dei numeri come “quiescenti” («<strong>di</strong>e<br />

ruhenden... Zahlen Plato’s»), internamente privi del principio del<br />

mutamento e quin<strong>di</strong> incapaci <strong>di</strong> contribuire alla realtà. Se così fosse,<br />

il contenuto delle Lezioni, che esamina le dottrine pitagoriche e<br />

platoniche in se stesse, non esprimerebbe una valutazione antitetica<br />

all’uso dei numeri dei due Timeo nella Dissertatio. Scriverà Hegel<br />

nella Scienza della logica: «Il quanto come determinatezza in<strong>di</strong>fferente<br />

si muta; ma in quanto questo mutamento è un elevarsi a potenza,<br />

questo suo essere altro è limitato puramente da sé (cioè dal<br />

quanto) stesso» ( 140 ). Ed in una nota (aggiunta nel 1831) polemizzerà<br />

esplicitamente contro coloro che hanno usato la forma del rapporto<br />

potenziale, come forma fondamentalmente solo quantitativa,<br />

per esprimere determinazioni <strong>di</strong> pensiero, contrapponendo loro<br />

proprio il significato aristotelico <strong>di</strong> potenza come dunamis: «Il concetto<br />

nella sua imme<strong>di</strong>atezza fu chiamato la prima potenza, nel suo<br />

esser altro o nella <strong>di</strong>fferenza, nell’esserci dei suoi momenti, la seconda,<br />

e nel suo ritorno in sé o come totalità, la terza. — Contro a<br />

ciò si scorge subito che la potenza così impiegata è una categoria<br />

che appartiene essenzialmente al quanto; — in queste potenze non<br />

si pensa affatto alla potentia, alla dunamis <strong>di</strong> Aristotele» ( 141 ).<br />

la doppia transizione tra quantità e qualità, a svolgere questo ruolo, procedendo sia<br />

ad una matematica (sviluppo della determinazione del quantitativo) della natura,<br />

sia mostrando il nesso <strong>di</strong> questa determinazione della misura con le qualità delle<br />

cose naturali: cf. FERRINI (1988): pp. 22-31.<br />

( 140 ) HEGEL, GW, Bd. 21, p. 318, 16-18; SL, pp. 358-359.<br />

( 141 ) Ib., p. 321, 18-19; SL, pp. 361-362.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

189<br />

La nostra ipotesi <strong>di</strong> una concordanza, per questo aspetto, tra<br />

Dissertatio e Lezioni, potrebbe inoltre contribuire a spiegare un passo<br />

delle note redatte da Troxler, au<strong>di</strong>tore del primo corso <strong>di</strong> Logica<br />

e Metafisica tenuto da Hegel all’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Jena nel 1801-2, che<br />

ha lasciato perplesso l’e<strong>di</strong>tore e commentatore del manoscritto,<br />

Klaus Düsing. Quando Hegel introduce la categoria della quantità,<br />

essa viene pensata come priva <strong>di</strong> qualità, e posto che «un oggetto<br />

per Hegel esiste solo nelle sue qualità, in particolare nelle sue proprietà<br />

essenziali» ( 142 ), non sorprende trovare scritto che: «la quantità<br />

non è niente <strong>di</strong> oggettivo, perché la materia non viene affetta<br />

attraverso essa [...]. La Quantità sta interamente solo sotto la riflessione<br />

[= finita] e si esprime attraverso il sistema numerico, che è<br />

solo una infinita ripetibilità dell’unità (nur eine unendliche<br />

Wiederholbarkeit der Einheit)» ( 143 ).<br />

Dopo aver così impostato l’esame della quantità, viene affrontata<br />

la questione <strong>di</strong> come si rapporta il numero 10 al sistema<br />

numerico, ma la risposta rimane incerta, per il proprio “criterio <strong>di</strong><br />

misura” che vi appare contenuto; Hegel aggiunge a questo punto<br />

che i Pitagorici avevano “cercato <strong>di</strong> sottomettere” alla ragione anche<br />

questa forma ( 144 ). Alla luce della continuità tra Lezioni <strong>di</strong> storia<br />

( 142 ) DÜSING (1988): p. 166.<br />

( 143 ) Ib., pp. 68-69. Hegel usa qui lo stesso linguaggio della critica, nell’articolo<br />

sulla Differenza, alla dottrina <strong>di</strong> Reinhold sulla natura puramente quantitativa<br />

dell’applicazione del pensiero, inteso come facoltà dell’unità astratta, e quin<strong>di</strong> assolutamente<br />

opposto alla materialità, cui pertanto non può mai giungere. Il suo carattere<br />

interiore è così la pura identità, «la ripetibilità infinita dall’uno e proprio dello<br />

stesso» (GW, Bd. 4, p. 87).<br />

( 144 ) DÜSING (1988): p. 69. Ricor<strong>di</strong>amo che la decade per i Pitagorici «era la<br />

tetrade reale, che contenendo in sé la somma dei primi quattro numeri dava origine<br />

al numero più perfetto, unità <strong>di</strong> misura e logos dell’universo, dello spirituale e del<br />

corporeo» (LSF, I, p. 247). Ve<strong>di</strong> inoltre HEGEL, Vorlesungen, Bd. 7, Teil. 2, pp. 38-39,<br />

69-86: «Ma la decade è in generale la natura effettualmente reale, non pura fonte e<br />

ra<strong>di</strong>ce» (ib., p. 39, 78-79). Sull’influsso della concezione pitagorica della decade su<br />

Platone, cf. ANNAS (1976): p. 55 e 61.


190 HEGEL E ARISTOTELE<br />

della filosofia ( 145 ) e Dissertatio, il richiamo ai Pitagorici nelle note <strong>di</strong><br />

Troxler avrebbe il significato <strong>di</strong> produrre un’istanza speculativa (razionale)<br />

nella categoria della Quantità (riflessione finita), non superando<br />

tuttavia i limiti della fondamentale astrattezza della determinazione<br />

numerica (ricor<strong>di</strong>amo che Hegel usa il verbo “suchen”,<br />

cercare, per definire l’impresa dei Pitagorici). A questo proposito<br />

vale la pena ricordare che nelle Lezioni troviamo un giu<strong>di</strong>zio ugualmente<br />

ambivalente sulla completezza della tetrattide, e sulle sue<br />

pretese <strong>di</strong> realtà: da una parte, «la realtà ( da notare che qui Hegel<br />

usa il termine “Realität”, non “Wirklichkeit”) in cui le determinazioni<br />

(i primi quattro numeri) sono prese, è soltanto quella esteriore<br />

e superficiale del numero, non è affatto concetto» ( 146 ); dall’ altra,<br />

«nel Quattro ci sono soltanto quattro unità; — è un grande pensiero<br />

che non sia posta come uno» ( 147 ).<br />

Si risolverebbero così le <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> Düsing, che dopo aver<br />

ricostruito il contesto del passo attraverso i richiami della Dissertatio,<br />

scrive: «dagli appunti <strong>di</strong> Troxler però non è completamente<br />

chiaro, se tutto ciò si deve prendere per un esempio relativo alle categorie,<br />

per un problema <strong>di</strong> applicazione della logica o per una<br />

spiegazione a sé stante, a mo’ <strong>di</strong> excursus, sulla filosofia della natura,<br />

specialmente sull’astronomia speculativa» ( 148 ).<br />

Se la mia lettura risulterà convincente, allora a conclusione <strong>di</strong><br />

questo contributo alla quarta giornata dei lavori del Convegno, si<br />

( 145 ) Le Lezioni furono redatte, com’è noto, da Michelet, prendendo come<br />

base il quaderno personale <strong>di</strong> Hegel, risalente al 1805-1806, successivamente arricchito<br />

<strong>di</strong> note e fogli intercalati, oltre a tre quaderni <strong>di</strong> appunti <strong>di</strong> u<strong>di</strong>tori, dal corso<br />

del 1823-24, a quello del 1829-30: per i problemi filologici qui implicati riman<strong>di</strong>amo<br />

a VIEILLARD-BARON (1976): pp. 11-12 e pp. 50-53. Per possibili forzature (dovute a<br />

intenti polemici) della lettura <strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> Aristotele operate dal lavoro e<strong>di</strong>toriale<br />

<strong>di</strong> Michelet, cf. VERRA (1993), pp. 606-607.<br />

( 146 ) HEGEL, SW, Bd. 18, 2: p. 275; invariato in LSF, I, p. 247.<br />

( 147 ) Ib., <strong>di</strong>versamente in LSF.<br />

( 148 ) DÜSING (1988): p. 168.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

191<br />

potranno ben apporre, avendole mutate ad hoc, le seguenti parole<br />

<strong>di</strong> Giordano Bruno: «Di tre fontane che sono nell’<strong>Università</strong>: a l’una<br />

hanno imposto nome, FONS Platonis, l’altra <strong>di</strong>cono FONS Pythagorae,<br />

l’altra chiamano FONS Aristotelis. Da questi tre fonti traendosi<br />

l’acqua per far la birra e la cervosa [...] conseguentemente non<br />

è persona che con essere <strong>di</strong>morata meno che tre e quattro giorni in<br />

que’ stu<strong>di</strong>i e collegii, non venga ad esser imbibito non solamente<br />

del fonte <strong>di</strong> Platone, e Pitagora, ma et oltre d’Aristotele» ( 149 ).<br />

Ringraziamenti:<br />

La scelta dell’argomento è stata maturata nell’ambito <strong>di</strong> un progetto<br />

<strong>di</strong> ricerca del 60% dell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Salerno, intitolato “Logica,<br />

meccanica newtoniana, Naturphilosophie” <strong>di</strong>retto dal Prof. M. Nasti<br />

de Vincentis, il cui apporto specialistico è stato segnalato nelle<br />

note. Il lavoro <strong>di</strong> ricerca, e <strong>di</strong> documentazione bibliografica, è stato<br />

<strong>di</strong> fatto reso possibile dal rinnovo <strong>di</strong> una borsa <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o dell’<strong>Università</strong><br />

<strong>di</strong> Berna per l’a. a. 1993-94, sotto la <strong>di</strong>rezione del Prof. Dr. A.<br />

Graeser, che ringrazio per la cura e l’attenzione con cui ha seguito<br />

la rielaborazione finale <strong>di</strong> tutto il contributo. Il Prof. Dr. M. Baum,<br />

presso ho svolto (a. a. 1994-95) un’attività <strong>di</strong> ricerca finanziata dalla<br />

Alexander von Humboldt-Stiftung, è stato inoltre pro<strong>di</strong>go <strong>di</strong> dettagliati,<br />

spesso utili, suggerimenti: la responsabilità per ogni eventuale<br />

errore o imprecisione è pertanto esclusivamente mia. Desidero<br />

inoltre riconoscere un debito <strong>di</strong> gratitu<strong>di</strong>ne verso il Prof. M.<br />

Mignucci, per le sue molte “thought-provoking” osservazioni. Infine,<br />

devo alla cortesia del Prof. G. Movia l’aver potuto rielaborare e<br />

inserire alcune parti <strong>di</strong> questa relazione in FERRINI (1996): pp. 69-<br />

120.<br />

( 149 ) AQUILECCHIA (1973): p. 48.


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<strong>Filosofia</strong> Neoscolastica, 2-4, pp. 605-621.<br />

VIEILLARD-BARON (1973):<br />

“Le système de la philosophie platonicienne de Tennemann”, Revue de<br />

Métaphysique et de Morale, 4, pp. 513-524.<br />

(1976):<br />

Hegel, Leçons sur Platon 1825-1826, intr., trad. et notes par J.-L. Vieillard-


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

Baron, Paris, Aubier, 1976 (e<strong>di</strong>zione, con testo tedesco a fronte, delle note <strong>di</strong><br />

von Griesheim, u<strong>di</strong>tore al corso tenuto da Hegel nel 1824-1825).<br />

199<br />

N. WASZEK (1987):<br />

“Hegel’s Habilitationsthesen: A Translation with Introduction and Annotated<br />

Bibliography”, in D. Lamb (a cura <strong>di</strong>) Hegel and Modern Philosophy, New York,<br />

Croom Helm, 1987, pp. 249-260.<br />

(1988):<br />

The Scottish Enlightment and Hegel’s Account of “Civil Society”, Kluwer, Dordrecht.<br />

S. WATERLOW (1982):<br />

Nature, Change and Agency in Aristotle’s Physics. A Philosophical Study, Oxford,<br />

Clarendon Press (1982), 1988.<br />

Abbreviazioni e sigle:<br />

BAADER, SW:<br />

F. X. v. Baader, Sämmtliche Werke (a cura <strong>di</strong> F. Hoffmann, J. Hamberger et al.),<br />

Scientia Verlag Aalen (reprint dell’e<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> Leipzig del 1852).<br />

Bonitz:<br />

H. BONITZ, Index Aristotelicus, Graz, Akademische Druck-U. Verlagsanstalt,<br />

1955 (rist. fotomeccanica della ed. <strong>di</strong> Berlino del 1870).<br />

De Caelo:<br />

ARISTOTELE, De Caelo, introduzione, testo critico, traduzione e note <strong>di</strong> O.<br />

Longo, Firenze, Sansoni, 1961.<br />

Enc. (tr.it.):<br />

HEGEL, Enciclope<strong>di</strong>a delle scienze filosofiche in compen<strong>di</strong>o, vol. I, tr. it. <strong>di</strong> B. Croce,<br />

intr. <strong>di</strong> C. Cesa, Bari, Laterza, 1978.<br />

HEGEL, GW:<br />

Gesammelte Werke (in associazione con la deutschen Forschungsgemeinschaft,<br />

a cura della rheinisch-westfälischen Akademie der Wissenschaften), Hamburg,<br />

F. Meiner.<br />

SW:


200 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Sämtliche Werke, Jubiläumsausgabe (a cura <strong>di</strong> H. Glockner), Stuttgart-Bad<br />

Cannstatt, Frommann.<br />

Vorlesungen:<br />

Ausgewählte Nachschriften und Manuskripte, Band 7, Vorlesungen über <strong>di</strong>e<br />

Geschichte der Philosophie, Teil 2: Griechische Philosophie I. Thales bis Kyniker,<br />

a cura <strong>di</strong> P. Garniron e W. Jaeschke, Hamburg, Meiner, 1989;<br />

Band 9, ib., Teil 4: Philosophie des Mittelalters und der neueren Zeit, 1986.<br />

Werke:<br />

Werke in 20 Bänden, hrsg. v. E. Moldenhauer u. K.M. Michel, Frankfurt a.M.,<br />

Suhrkamp.<br />

KJP:<br />

Kritisches Journal der Philosophie, e<strong>di</strong>to da F.W.J.Schelling e G.W.F. Hegel, nella<br />

ristampa anastatica curata da H. Buchner, Hildesheim, Olms, 1967.<br />

LSF I:<br />

HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, tr. it. <strong>di</strong> E. Co<strong>di</strong>gnola e G. Sanna (sulla<br />

base della seconda e<strong>di</strong>zione delle Vorlesungen curata da Michelet e apparsa<br />

nel 1840-44), vol. I, (1930): Introduzione - La filosofia orientale - La filosofia<br />

greca dalle origini ad Anassagora, Firenze, La Nuova Italia, 1967.<br />

LSF II:<br />

Ib., vol. II (1932): Dai Sofisti agli Scettici, 1973.<br />

LSF III, 1:<br />

Ib., vol. III, 1 (1934): Dai Neoplatonici alla Riforma, 1978.<br />

Met. (Reale):<br />

ARISTOTELE, Metafisica, saggio intr., testo gr. con trad. a fronte e comm., 3 voll.,<br />

Milano, Vita e Pensiero, 1993.<br />

Met. (Ross/Barnes):<br />

Metaphysics, in The Complete Works of Aristotle, The revised Oxford Translation,<br />

a cura <strong>di</strong> J. Barnes, vol. 2, Princeton University Press, 1984.<br />

Met. (Russo):<br />

ARISTOTELE, Opere, vol. 6, Metafisica, tr. <strong>di</strong> A. Russo, Bari, Laterza, 1974.<br />

Nohl:<br />

Hegels theologische Jugendschriften nach den Handschriften der Kgl. Bibliothek in<br />

Berlin, a cura <strong>di</strong> H. Nohl, Tübingen, Mohr, 1907.


C. FERRINI - Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

201<br />

On the Cosmos:<br />

ARISTOTLE, On the Cosmos, a cura <strong>di</strong> D.J. Furley, The LOEB Classical Library,<br />

1955.<br />

SCHELLING, SW:<br />

Sämmtliche Werke, hrsg. v. K.F.A. Schelling, Stuttgart u. Augsburg, Cotta.<br />

(1794):<br />

Timaeus, tr. it. <strong>di</strong> M. D’Alfonso e F. Viganò, intr. <strong>di</strong> F. Moiso, Guerini e Ass.,<br />

Milano, 1995<br />

SL:<br />

HEGEL, Scienza della logica, vol. I, tr. it. (dell’e<strong>di</strong>zione del 1832 della Dottrina<br />

dell’essere) a cura <strong>di</strong> A. Moni, rivista da C. Cesa, Bari, Laterza, 1983.<br />

STG I e II:<br />

HEGEL, Scritti teologici giovanili, 2 voll., tr. it. a c. <strong>di</strong> N. Vaccaro ed E. Mirri, Napoli,<br />

Guida, 1977.<br />

Trattato sul cosmo (De mundo):<br />

ARISTOTELE, Trattato sul cosmo per Alessandro, trad. con testo greco a fronte, intr.,<br />

comm. e in<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> G. Reale, Napoli, Loffredo, 1974.<br />

Verzeichnis:<br />

Verzeichnis der von dem Professor Herrn Dr. Hegel und dem Dr. Herrn Seebeck<br />

hinterlassenen Buch=Sammlungen, Sectio I, Berlin, Müller, 1832.<br />

Aggiunta:<br />

J.L. ESPOSITO (1977):<br />

Schelling’s Idealism and Philosophy of Nature, Lewisburg, Bucknell University<br />

Press.<br />

C.H. LOHR (1988):<br />

“The Sixteenth-Century Transformation of the Aristotelian Natural Philosophy”<br />

in E. Kessler et al. (a cura <strong>di</strong>), Aristotelismus und Renaissance,<br />

Wiesbaden, Harrassowits, pp. 89-100.


LEONARDO SAMONÀ<br />

ATTO PURO E PENSIERO DI PENSIERO<br />

NELL’INTERPRETAZIONE DI HEGEL<br />

Hegel ha dato ad Aristotele un posto assolutamente eccezionale<br />

nella storia del pensiero, ponendolo in certo modo come un<br />

eschaton non oltrepassabile per la speculazione: «Aristotele si trova<br />

nel punto <strong>di</strong> vista più elevato: non è possibile voler conoscere nulla<br />

<strong>di</strong> più profondo» ( 1 ). E il tratto più speculativo (das Speculativste)<br />

che Hegel in<strong>di</strong>ca nel pensiero dello Stagirita è proprio il “pensiero<br />

<strong>di</strong> pensiero”. In questa formula, che egli traduce nel concetto del<br />

vero come “unità <strong>di</strong> soggettivo e oggettivo”, è racchiuso l’intero<br />

sviluppo del pensiero filosofico: essa è secondo il filosofo tedesco il<br />

punto <strong>di</strong> inizio ma anche il compimento del pensiero. Contiene<br />

cioè il cammino circolare che la filosofia compie verso se stessa.<br />

Hegel ha così fatto <strong>di</strong> questo un punto <strong>di</strong> ricomprensione dell’intera<br />

metafisica. Un punto nel quale si decide lo specifico della<br />

filosofia, come leggiamo nel noto passo della Fenomenologia secondo<br />

cui «tutto <strong>di</strong>pende dal concepire ed esprimere il vero non come<br />

sostanza ma altrettanto come soggetto» ( 2 ). Questa pagina ha un pre-<br />

( 1 ) G.W.F. HEGEL, Vorlesungen über <strong>di</strong>e Geschichte der Philosophie, II (= GPh<br />

II), in Id., Werke in zwanzig Bänden, a cura <strong>di</strong> E. Moldenhauer e K.M. Michel,<br />

Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1971, 19, p. 163.<br />

( 2 ) G.W.F. HEGEL, Phänomenologie des Geistes, a cura <strong>di</strong> J. Hoffmeister,<br />

Meiner, Hamburg 1952, p. 19. Cfr. K. GLOY, Die Substanz ist als Subjekt zu


204 HEGEL E ARISTOTELE<br />

cipuo valore ermeneutico per la comprensione dell’ere<strong>di</strong>tà aristotelica<br />

nell’opera <strong>hegel</strong>iana, specialmente in relazione a un’ipotesi che<br />

vede alterato ra<strong>di</strong>calmente da parte <strong>di</strong> Hegel il senso del testo<br />

aristotelico per quanto riguarda il concetto <strong>di</strong> movimento. Alla sostanza<br />

«semplice» e «in<strong>di</strong>fferenziata», che viene detta «immota<br />

(unbewegte)», sia quando venga pensata (spinozianamente) come<br />

«unica sostanza», sia quando, in un’alternativa solo apparente,<br />

venga invece concepita come «pensiero», leggiamo qui contrapposta<br />

una «sostanza vivente (leben<strong>di</strong>ge)». Questa sostanza è «movimento<br />

(Bewegung)», ma un movimento peculiare che, come quello<br />

della vita, si muove verso sé e tuttavia, in un significato ancora più<br />

pieno ed effettivo, si afferma soltanto in quanto «soggetto» (in<br />

quanto «libertà autocosciente», come viene detto più avanti), ossia<br />

come «me<strong>di</strong>azione del <strong>di</strong>venir-altro-da-sé con se stesso», che si ha<br />

in ultima istanza non nella vita in generale ma nell’autocoscienza.<br />

Questo peculiare movimento, che fa dell’eguaglianza — piuttosto<br />

che un’“unità originaria” — il termine <strong>di</strong> un “ricostituirsi”<br />

come tale dell’unità, viene descritto come un “circolo”, che «presuppone<br />

e ha all’inizio la propria fine (Ende) come proprio fine<br />

(Zweck), e solo me<strong>di</strong>ante l’attuazione (Ausführung) e la propria fine<br />

è effettuale (wirklich)». Un tale movimento, proprio in ultima istanza<br />

dello spirito, viene connesso in modo inequivocabile con una<br />

precisa ispirazione aristotelica. Nell’attuazione della sostanza come<br />

soggetto, e cioè nel concetto <strong>di</strong> fine ricavato da Aristotele (citato<br />

poco più avanti), sta il vero principio della filosofia da cui «tutto<br />

<strong>di</strong>pende». Hegel vi scorge il percorso che permette al pensiero <strong>di</strong><br />

raggiungere l’assoluto, sul fondamento della ‘natura’ (lo spirito) <strong>di</strong><br />

quest’ultimo.<br />

La sostanza assoluta, altrimenti giu<strong>di</strong>cata inconoscibile perché<br />

posta come semplice e imme<strong>di</strong>ata <strong>di</strong> contro ad ogni me<strong>di</strong>azione,<br />

bestimmen. Eine Interpretation des XII. Buches von Aristoteles’ Metaphysik, in<br />

Zeitschrift für philosophische Forschung, 37, 4, 1983, p. 519.


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

205<br />

proprio nella sua assolutezza (che come tale non ammette contrario)<br />

richiede invece che la si pensi come me<strong>di</strong>ata in sé stessa, richiede<br />

che si <strong>di</strong>stinguano imme<strong>di</strong>atezza e semplicità accogliendo in<br />

quest’ultima la me<strong>di</strong>azione, la riflessione, come «momento positivo<br />

dell’assoluto». Nel circolo instaurato dal principio finale si delinea<br />

la natura effettiva del contenuto della scienza, perché, <strong>di</strong>spiegandosi<br />

nella «moventesi eguaglianza con sé», tale principio permette<br />

al progre<strong>di</strong>re del pensiero <strong>di</strong> coincidere con il tornare in<strong>di</strong>etro<br />

al fondamento. Colto in questa motilità propria della sostanza<br />

assoluta intesa come soggetto, il <strong>di</strong>venire viene a coincidere con<br />

l’atto perché si fa ciò che esso è “in sé”, cioè <strong>di</strong>viene ciò che è e resta<br />

identico a se stesso: «giacché il <strong>di</strong>venire è altrettanto semplice e<br />

quin<strong>di</strong> non <strong>di</strong>verso da quella forma del vero, la quale fa sì che esso,<br />

nel suo resultato, si mostri semplice ; esso è, per meglio <strong>di</strong>re, l’esser<br />

ritornato nella semplicità».<br />

La sostanza come soggetto è stata già concepita, per Hegel,<br />

da Aristotele: questa è la tesi <strong>di</strong> fondo che guida la sua ripresa del<br />

pensiero aristotelico, della quale è momento essenziale una forte<br />

sottolineatura interpretativa del <strong>di</strong>venire e dell’atto. Proprio l’unione<br />

<strong>di</strong> sostanza e soggetto è in<strong>di</strong>cata nelle pagine delle Lezioni come<br />

il tratto ra<strong>di</strong>cale che segna il passaggio dall’universale platonico al<br />

principio aristotelico della pura soggettività, menzionato come<br />

“principio della vita (Leben<strong>di</strong>gkeit), principio della soggettività”,<br />

elaborato attorno all’idea <strong>di</strong> scopo.<br />

Anche l’universale platonico è per la verità l’idea determinata<br />

«come il bene, lo scopo, l’universale in generale» (GPh II, p. 152).<br />

Ma se Platone ha dunque già pensato il concetto <strong>di</strong> scopo, e ha posto<br />

l’idea come concreta, «in sé determinata», egli non ha tuttavia<br />

concepito ancora la scopo come «il movente (das Bewegende)» (GPh<br />

II, p. 153), tratto che esso ora assume in Aristotele, <strong>di</strong>ventando «il<br />

vero (Wahrhafte) e concreto contro l’astratta idea platonica» (GPh II,<br />

p. 149). «L’universale non ha ancora, per il fatto <strong>di</strong> essere universale,<br />

realtà; l’attività della realizzazione (Verwirklichung) non è ancora


206 HEGEL E ARISTOTELE<br />

posta, l’in sé è così un inerte. Ragione, leggi etc. sono in tal modo<br />

astratte; ma il razionale, come realizzantesi, lo riconosciamo come<br />

necessario per dare un siffatto valore a quell’universale, a quella<br />

ragione, a quelle leggi. Il tratto platonico (das Platonische) è in generale<br />

l’oggettivo, ma il principio della vitalità (Leben<strong>di</strong>gkeit), il principio<br />

della soggettività vi fa <strong>di</strong>fetto; e questo principio della vitalità,<br />

della soggettività, non nel senso <strong>di</strong> una soggettività accidentale,<br />

solo particolare, ma della soggettività pura, è peculiare <strong>di</strong> Aristotele».<br />

La soggettività vivente pura, che governa nella sua attualità il<br />

rapporto tra in-sé e per-sé — termini <strong>hegel</strong>iani per potenza e atto<br />

—, e dunque i sensi del <strong>di</strong>venire e del movimento, è il razionale<br />

(das Vernünftige); il quale è così l’oggetto della filosofia poiché racchiude<br />

nel suo circolo i tratti costitutivi <strong>di</strong> ciò che è “primo e causa”.<br />

1. La lettura che Hegel fa dei passi del XII libro della Metafisica è<br />

pervasa da questo principio euristico della soggettività vivente; e<br />

condensa in sé il momento cruciale della trasformazione o della<br />

forzatura che il pensiero aristotelico subisce nei suoi no<strong>di</strong> essenziali.<br />

Nei passaggi <strong>di</strong> questa lettura è facile, forse troppo facile rispetto<br />

alla “fatica del concetto”, scoprire gli “errori” <strong>hegel</strong>iani. Lavoro più<br />

<strong>di</strong>fficile è quello <strong>di</strong> cogliere lo specifico <strong>di</strong> Hegel nel modo in cui<br />

questi ricostruisce la tessitura, il testo, <strong>di</strong> Aristotele; e <strong>di</strong>fficile non<br />

rispetto alla tesi, anch’essa insod<strong>di</strong>sfacente, <strong>di</strong> una lacunosità del<br />

testo stesso, ma rispetto a un’altra tessitura che sia riconoscibile<br />

come specificamente e irriducibilmente aristotelica. Come tale da<br />

sostenere in qualche modo o da rimettere in <strong>di</strong>scussione la tenuta<br />

della ricostruzione <strong>hegel</strong>iana.<br />

Ora, sembra che l’interpretazione <strong>hegel</strong>iana alteri sin dall’inizio<br />

l’impostazione del testo. E ciò perché già nell’articolazione dei<br />

tipi <strong>di</strong> sostanza Hegel mette da parte in modo apparentemente arbitrario<br />

il criterio fornito da Aristotele all’inizio del XII libro. Hegel


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

207<br />

<strong>di</strong>stingue infatti: a) una «sostanza sensibile percettiva (sinnliche<br />

empfindbare Substanz)», b) una sostanza in cui «entra l’attività», sia<br />

pure nella separazione <strong>di</strong> potenza da atto: l’intelletto (Verstand,<br />

nouì); c) la «sostanza assoluta», l’actus purus. In questa tripartizione<br />

l’intelletto, staccandosi dagli oggetti propri della fisica, si presenta<br />

quale termine me<strong>di</strong>o che articola le tre sostanze come momenti<br />

<strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso unitario. Con ciò è posto l’accento sul carattere<br />

unificante e primario della sostanza su cui è pur vero che insiste<br />

l’incipit del XII libro: «l’oggetto su cui verte la nostra indagine è la<br />

sostanza (peri; thì oujsivaı hJ qewriva)» ( 3 ). Il ricorso alla sostanza annuncia<br />

in apertura la soluzione aristotelica per un approccio unitario<br />

al tutto.<br />

Tuttavia, come è noto, Aristotele <strong>di</strong>stingue in modo <strong>di</strong>verso i<br />

tre tipi <strong>di</strong> sostanza, e li <strong>di</strong>stingue in modo tale da separare subito<br />

dopo, apparentemente con un taglio netto, due scienze a proposito<br />

della sostanza: la fisica e la teologia. Da una parte abbiamo due tipi<br />

<strong>di</strong> sostanza sensibile (aistheté) — eterna (ai<strong>di</strong>os) e corruttibile<br />

(phtharté) —, dall’altra la sostanza immobile: «le sostanze sono tre.<br />

Una è la sostanza sensibile, la quale si <strong>di</strong>stingue in eterna e in<br />

corruttibile [...] l’altra sostanza invece è immobile [...] Le prime due<br />

specie <strong>di</strong> sostanze costituiscono l’oggetto della fisica perché sono<br />

soggette a movimento (meta; kinhvseoı); la terza è invece oggetto <strong>di</strong><br />

un’altra scienza, dal momento che non c’è nessun principio comune<br />

(mhdemiva ajrch; koinhv) ad essa e alle altre due» (1069 a 30 - b 2) ( 4 ).<br />

Proprio il contrasto con la ricostruzione <strong>hegel</strong>iana in<strong>di</strong>rizza<br />

l’attenzione a una sorta <strong>di</strong> implicita esclusione <strong>di</strong> ogni possibilità <strong>di</strong><br />

me<strong>di</strong>azione, attraverso l’intelletto o l’anima, tra i primi due mo<strong>di</strong><br />

d’essere della sostanza e il terzo (lasciamo da parte per ora la que-<br />

( 3 ) ARISTOTELE, Metaphysica (= Met), XII, 1, 1069 a 18 (tr. it. G. Reale, Vita e<br />

Pensiero, Milano 1993, II, p. 543).<br />

( 4 ) Si confronti tuttavia questo passo con la chiusa del libro, che presenta<br />

una critica a coloro che teorizzano “principi <strong>di</strong>versi per ciascuna sostanza” (1075<br />

b 38 e s.) e insiste sull’unicità del principio ultimo.


208 HEGEL E ARISTOTELE<br />

stione che può nascere dal fatto che Aristotele sembra dare poco<br />

più avanti (3, 1070 a 25) a intelletto e anima un modo d’essere peculiare<br />

— almeno in via ipotetica — <strong>di</strong> enti anche separati dalla<br />

materia). La coppia <strong>di</strong> contrari (come è stato fatto notare) ( 5 ) non è<br />

qui articolata in sensibile-intelligibile e mobile-immobile, ma è<br />

semplicemente sensibile-immobile. Questa coppia implica <strong>di</strong> certo<br />

le altre due. Tuttavia l’elisione della serie <strong>di</strong> accoppiamenti espliciti<br />

contribuisce a rendere drastica la contrapposizione. Lo iato tra le<br />

sostanze fisiche (hai physikai ousiai, 6, 1071 b 3) e quella akinetos<br />

sembra così precludere in partenza un’interpretazione del motore<br />

immobile in chiave <strong>di</strong> metafisica della soggettività.<br />

Questo punto appare pertanto compromettere già sin dall’inizio<br />

la fedeltà della lettura <strong>hegel</strong>iana. La semplicità (to haploun)<br />

della sostanza immobile rende quest’ultima in qualche modo ad<strong>di</strong>rittura<br />

inaccessibile per il pensiero, la fa in ogni caso «oggetto <strong>di</strong><br />

un’altra scienza, se non c’è nessun principio comune ad essa e alle<br />

altre due», e affida al rapporto analogico e alla tenuta del metaforico<br />

il legame con l’ente soggetto a movimento. In questo netto<br />

dualismo, in cui «non c’è nessun principio comune» tra le sostanze<br />

fisiche, dentro le quali appare inclusa l’anima, anch’essa caratterizzata<br />

da movimento, e la sostanza immobile, ogni assimilazione <strong>di</strong><br />

quest’ultima sostanza a un soggetto pensante appare infatti<br />

null’altro che una trasposizione metaforica che supplisce con una<br />

comparazione al venir meno della conoscenza e così ne conferma<br />

l’insufficienza.<br />

In questo orizzonte si potrebbe perciò subito far propria l’affermazione<br />

<strong>di</strong> Aubenque, il quale ha scritto: «la separazione<br />

(chorismos) <strong>di</strong> Dio e Mondo è troppo ra<strong>di</strong>cale per poter permettere<br />

un qualche ‘toglimento’ <strong>di</strong>alettico <strong>di</strong> essa» ( 6 ). E ancora: «un pensie-<br />

( 5 ) K. GLOY, op. cit., p. 521n.<br />

( 6 ) P. AUBENQUE, “Hegelsche und Aristotelische Dialektik”, in Hegel und <strong>di</strong>e<br />

antike Dialektik, hrsg. v. M. Riedel, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1990, pp. 220-1.


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

209<br />

ro che non è pensiero <strong>di</strong> qualcosa e che non ha altro oggetto che se<br />

stesso è per Aristotele quasi irrappresentabile, sicché la famosa formula<br />

riflessiva noesis noeseos sembra essere più l’espressione <strong>di</strong><br />

un’aporia residua che la descrizione positiva dell’attività <strong>di</strong> Dio<br />

come autoattività ... Il supremo movimento — nel senso attivo <strong>di</strong><br />

mettere in movimento — non ha nulla in comune con la motilità <strong>di</strong><br />

cui è principio». E De Koninck ( 7 ) ricorda come Aristotele stesso nei<br />

Magna Moralia rilevi il carattere <strong>di</strong> assur<strong>di</strong>tà che riveste, «in senso<br />

antropologico», il concetto <strong>di</strong> un Dio che contempla se stesso: «che<br />

cosa dunque contemplerà [Dio]? se infatti egli contemplerà qualcos’altro,<br />

dovrà contemplare qualcosa che sia meglio <strong>di</strong> lui. Ma ciò<br />

sarebbe assurdo, che cioè ci sia qualcosa <strong>di</strong> migliore <strong>di</strong> Dio. Egli<br />

dunque contemplerà se stesso. Ma anche ciò è assurdo, infatti se un<br />

uomo sta a guardare se stesso, noi lo rimproveriamo come uno stupido.<br />

Sarà dunque assurdo (a[topon), essi <strong>di</strong>cono, che Dio contempli<br />

se stesso. Tralasciamo dunque la questione <strong>di</strong> che cosa contempli<br />

Dio. Ma l’in<strong>di</strong>pendenza su cui svolgiamo la nostra indagine non è<br />

quella <strong>di</strong> Dio, bensì quella umana ...» ( 8 ).<br />

La tesi (riferita peraltro come opinione altrui) dell’assur<strong>di</strong>tà<br />

dell’autocontemplazione <strong>di</strong> Dio, che qui per la verità serve semplicemente<br />

per l’indagine etica e si limita a mettere da parte una questione<br />

teologica, potrebbe tuttavia suggerire un tratto aporetico incancellabile<br />

in quest’ultima. Il pensiero <strong>di</strong> Dio non ha in comune<br />

col pensiero dell’uomo la necessità <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare altro o il bisogno<br />

dell’altro, non <strong>di</strong>viene l’intelligibile perché non è altro da esso, non<br />

percorre la <strong>di</strong>stanza verso un oggetto, resta in sé come atto, in<strong>di</strong>pendente<br />

da ogni altro, secondo una spiegazione che fornisce lo<br />

stesso Aristotele connettendo il pensiero <strong>di</strong> pensiero e la libertà dal<br />

( 7 ) T. DE KONINCK, “La ‘Pensée de la pensée’ chez Aristote”, in T. DE<br />

KONINCK, G. PLANTY-BONJOUR (a cura <strong>di</strong>), La question de Dieu selon Aristote et Hegel,<br />

PUF, Paris 1991, p. 77.<br />

( 8 ) ARISTOTELE, Magna Moralia, II, 15, 1213 a 3 ss. (tr. it. A. Plebe, Laterza,<br />

Bari 1973).


210 HEGEL E ARISTOTELE<br />

bisogno dell’amico: «l’argomento che Dio non è tale da aver bisogno<br />

<strong>di</strong> un amico pretende la stessa cosa del paragonare l’uomo a<br />

Dio. Invece l’uomo virtuoso non ragionerà con questo ragionamento;<br />

infatti la perfezione <strong>di</strong> Dio non risiede in questo, bensì nell’essere<br />

superiore al pensare qualcosa’altro all’infuori <strong>di</strong> se stesso. La<br />

causa è che per noi il benessere comporta qualcos’altro oltre noi, invece<br />

quanto a Dio, egli stesso è il bene <strong>di</strong> se stesso» ( 9 ).<br />

C’è un <strong>di</strong>ventare altro che sembra inseparabile dal pensiero<br />

umano, per quanto questo (proprio nell’essere “in certo modo tutte<br />

le cose”) si caratterizzi allo stesso tempo come un <strong>di</strong>ventare se stesso:<br />

«il pensiero umano è un pensiero in movimento <strong>di</strong> un essere in<br />

movimento» ( 10 ). Dio, come un ente estraneo al movimento e così<br />

al <strong>di</strong>ventare altro, resta da questo punto <strong>di</strong> vista impenetrabile per<br />

il pensiero, che lo configura come caso limite <strong>di</strong> quell’unità verso<br />

cui si muove: un’unità che trova nel linguaggio una rappresentazione<br />

solo metaforica nell’identità con sé o nell’autorelazione. Non<br />

altro in<strong>di</strong>cherebbe quel brusco richiamo al pensiero <strong>di</strong> pensiero che<br />

Aristotele fa a proposito dell’intellezione <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>visibili, almeno<br />

se inten<strong>di</strong>amo il passo in questione come un accenno a una <strong>di</strong>mensione<br />

del pensiero <strong>di</strong> fatto preclusa all’uomo e riservata soltanto a<br />

Dio. Nell’intellezione <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>visibili, la conoscenza è <strong>di</strong>slocata<br />

per il pensiero umano nel contrasto con la sintesi, la quale per parte<br />

sua costituisce «qualcosa come un uno» ( 11 ). Nel caso in cui ci<br />

troviamo <strong>di</strong> fronte a un in<strong>di</strong>visibile senza contrario (<strong>di</strong>versamente,<br />

ad esempio, dal punto, conoscibile secondo Aristotele dal suo contrario),<br />

ecco che esso sembra respingere da sé la potenza del pensiero<br />

che muove verso <strong>di</strong> esso e richiudersi in un’impenetrabile autosufficienza:<br />

«ma se a qualcosa nulla è contrario, esso conosce se<br />

( 9 ) ARISTOTELE, Ethica Eudemia, VII, 12, 1245 b 15-19 (tr. it. A. Plebe, cit.).<br />

( 10 ) P. AUBENQUE, Le problème de l’être chez Aristote, PUF, Paris 1972, p. 494.<br />

( 11 ) ARISTOTELE, De Anima (= De An), III, 6, 430 a 28 (tr. it. a cura <strong>di</strong> G.<br />

Movia, Loffredo, Napoli 1979, 1992 2 ).


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

211<br />

stesso (aujto; eJauto; ginwvskei) ed è in atto e separato» ( 12 ). Se insomma,<br />

come sostiene Wieland, il “pensiero <strong>di</strong> pensiero” appartiene<br />

soltanto a Dio ed è esteso all’uomo indebitamente da parte <strong>di</strong><br />

Hegel ( 13 ), allora la teologia <strong>di</strong> Aristotele ci porrà <strong>di</strong> fronte a un<br />

modo dell’essere semplice e refrattario alla relazione potenza-atto<br />

costituente l’essere in movimento, estraneo dunque anche all’autorelazione<br />

costituente in certo modo il movimento del pensiero, e in<br />

generale in qualche modo irraggiungibile attraverso la considerazione<br />

del movimento. Ci troveremo <strong>di</strong> fronte, in breve, a un modo<br />

d’essere che limita ra<strong>di</strong>calmente la presa del pensiero.<br />

L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana del pensiero aristotelico è pertanto<br />

<strong>di</strong> certo anche il frutto <strong>di</strong> una lunga tra<strong>di</strong>zione che ha lavorato<br />

per ricucire in qualche modo la separazione <strong>di</strong> Dio e mondo: «l’interpretazione<br />

che Hegel sembra dare del brano della Metafisica è<br />

prefigurato molto prima <strong>di</strong> lui da una serie <strong>di</strong> colpi <strong>di</strong> mano ermeneutici<br />

che rendono la dottrina <strong>di</strong> Aristotele più ‘trattabile’» ( 14 ).<br />

Plotino è in questo senso un punto <strong>di</strong> riferimento essenziale perché<br />

con la sua metafisica che fa procedere il molteplice dall’Uno ha creato<br />

una connessione tra Dio e mondo, e nel pensiero <strong>di</strong> sé ha visto<br />

racchiuso e compen<strong>di</strong>ato il pensiero <strong>di</strong> tutte le cose. Una tale tra<strong>di</strong>zione,<br />

che rifiuta un Dio che ignori le cose del mondo, concependo<br />

anzi come necessaria la scienza <strong>di</strong>vina <strong>di</strong> tutte le cose, è raccolta e<br />

mantenuta in vita dal pensiero cristiano ( 15 ).<br />

Ma anche con una precisazione del genere, resta tuttavia la<br />

<strong>di</strong>fficoltà della collocazione del pensiero aristotelico. Esso sembra<br />

( 12 ) De An, 430 b 24-26. Cfr. però in proposito la <strong>di</strong>versa traduzione <strong>di</strong><br />

Movia e la lettura <strong>di</strong> Berti citata nel commento (pp. 386-7). Si veda peraltro anche<br />

un possibile chiarimento della posizione aristotelica in Met, XII, 10, 1075 b<br />

20 ss.<br />

( 13 ) Cit. in DE KONINCK, op. cit., p. 70.<br />

( 14 ) R. BRAGUE, “Le destin de la ‘Pensée de la Pensée’ des origines au début<br />

du Moyen Age”, in La question de Dieu etc., cit., p. 186.<br />

( 15 ) Su tutto ciò ve<strong>di</strong> BRAGUE, op. cit.


212 HEGEL E ARISTOTELE<br />

infatti cambiare volto se commisurato a una tra<strong>di</strong>zione che, come<br />

precisa Aubenque, pone il <strong>di</strong>vino epekeina tes ousias, facendo resistenza<br />

alla tra<strong>di</strong>zione che è stata definita ontoteologica. È vero infatti<br />

che da una parte ancor più che lo haploustaton plotiniano il Dio<br />

aristotelico si tiene in <strong>di</strong>sparte da ogni rapporto che permetta <strong>di</strong><br />

derivare da esso e da esso solo il molteplice. Dall’altra però la definizione<br />

<strong>di</strong> esso come “pensiero <strong>di</strong> pensiero” ne fa qualcosa <strong>di</strong> conoscibile<br />

per sé in base alla con<strong>di</strong>zione «in cui noi ci troviamo talvolta»<br />

(Met, XII, 7, 1072 b 25) e traccia le premesse per quel passaggio<br />

fondamentale del pensiero moderno che è la prova ontologica.<br />

L’identificazione <strong>di</strong> Dio col pensiero <strong>di</strong> pensiero (rigettata da Plotino<br />

che invece situa l’uno al <strong>di</strong> là dell’essere e del pensiero) pone<br />

Aristotele in relazione con un filone che getta un qualche ponte<br />

analogico tra Dio e il pensiero umano, e così rende quanto meno<br />

assumibile come problema la conoscibilità <strong>di</strong> Dio (o, detto nella<br />

prospettiva heideggeriana ripresa da Aubenque, la riduzione dell’essere<br />

all’esser pensato e a un soggetto assoluto al modo della tra<strong>di</strong>zione<br />

ontoteologica): «l’ontoteologia è all’opposto <strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione<br />

per la quale Dio, principio dell’essere, è per questa stessa ragione<br />

al <strong>di</strong> là dell’essere, così come, quale principio <strong>di</strong> ogni pensabilità,<br />

dev’essere al <strong>di</strong> là del pensiero» ( 16 ).<br />

Per questa <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> collocazione, il pensiero <strong>di</strong> Aristotele<br />

sembra in questo punto mostrare una indecisione, un’incompiutezza<br />

che è apparsa alla tra<strong>di</strong>zione, come ha detto Aubenque, un <strong>di</strong>fetto<br />

<strong>di</strong> sistematicità. Di qui le due strade ricordate da Aubenque,<br />

entrambe compatibili con l’ambivalenza <strong>di</strong> Aristotele, entrambe<br />

volte a colmare sistematicamente le sue lacune: Hegel si porrebbe<br />

in quella tra<strong>di</strong>zione che, <strong>di</strong>sconoscendo le aporie insolute del pensiero<br />

aristotelico, lo “compie” non già teorizzando l’ineffabilità <strong>di</strong><br />

ciò che è primo ma ricucendo all’interno <strong>di</strong> un logos appropriato lo<br />

( 16 ) P. AUBENQUE, “La question de l’ontothéologie chez Aristote et Hegel”,<br />

in La question de Dieu etc., p. 280.


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

213<br />

strappo tra Dio e il mondo delle cose soggette a movimento, e dando<br />

così un contenuto alla scienza impossibile dell’essere in quanto<br />

essere (scienza dell’uno) e dell’essere <strong>di</strong>vino ( 17 ). Del resto, quando<br />

Hegel precisa la posizione che l’idea <strong>di</strong> Dio ha in Aristotele non<br />

manca <strong>di</strong> mettere in evidenza in cosa consista la propria integrazione<br />

che non è possibile rinvenire alla superficie del testo dello<br />

Stagirita. Nel testo l’idea <strong>di</strong> Dio «appare come un particolare al suo<br />

posto accanto agli altri, ma è ogni verità» (GPh II, p. 151). Ciò che la<br />

caratterizza in modo specifico, il pensiero, resta in Aristotele «un<br />

tipo <strong>di</strong> stato. Egli non <strong>di</strong>ce che esso solo è la verità, che tutto è pensiero;<br />

ma <strong>di</strong>ce che esso è il primo, il più forte, il più degno <strong>di</strong> onore.<br />

Che il pensiero, come quello che si rapporta a se stesso, sia, che sia<br />

la verità, lo <strong>di</strong>ciamo noi. Inoltre <strong>di</strong>ciamo che il pensiero è ogni verità;<br />

non così Aristotele ...». Tutta in chiave <strong>di</strong> ‘aggiunta’ dell’interprete<br />

sembra così la conclusione <strong>di</strong> Hegel: «così come ora parla la<br />

filosofia non si esprime Aristotele; ma al fondo c’è assolutamente la<br />

stessa prospettiva» (GPh II, p. 164).<br />

Perché Hegel si sente autorizzato a questa affermazione? Perché<br />

per il filosofo tedesco, se «un sistema <strong>di</strong> filosofia in Aristotele<br />

non dobbiamo cercarlo» (GPh II, p. 145), il suo pensiero è tuttavia<br />

governato da una istanza che si rivela più sistematica della semplice<br />

reductio ad unum del molteplice: tale istanza consiste nel «tener<br />

ferma ogni cosa nella sua determinatezza e seguirla in questo<br />

modo» (GPh II, p. 147). C’è nell’impostazione aristotelica qualcosa<br />

che manca a esposizioni più sistematiche, che si elevano all’universale<br />

(come nel caso <strong>di</strong> Platone): ed è la capacità <strong>di</strong> pensare il molteplice,<br />

il <strong>di</strong>fferente, ciò che è anche mutamento, in modo unitario; <strong>di</strong><br />

pensare nello specifico l’universale; <strong>di</strong> pensare insomma l’“universale<br />

concreto”. In questo tipo <strong>di</strong> tessitura (<strong>di</strong> testo) Hegel cerca<br />

l’unità sistematica che sta “al fondo” della posizione aristotelica. E<br />

da quest’intento nasce la ricucitura, per il filosofo tedesco senza al-<br />

( 17 ) Cfr. AUBENQUE, Le problème etc., pp. 506 ss.


214 HEGEL E ARISTOTELE<br />

cun dubbio presente già nella tessitura aristotelica, tra Dio e il<br />

mondo delle cose soggette a movimento.<br />

2. Qual è il principio unitario che percorre il pensiero aristotelico?<br />

Cosa determina “das Verhältnis der Momente”, il rapporto dei momenti<br />

che, articolati nelle quattro cause, concorrono alla costituzione<br />

dell’idea <strong>di</strong> sostanza, dell’ontologia (o logica) aristotelica? Hegel<br />

cerca programmaticamente il filo conduttore della teoria della sostanza<br />

e lo ritrova nel principio dell’atto o attività (Tätigkeit). Un<br />

principio che risponde alla domanda su cosa sia ciò che muove: «e<br />

questo è il logos, lo scopo» (GPh II, p. 153). La determinazione fondamentale<br />

(Hauptbestimmung) che sorregge il pensiero <strong>di</strong> Aristotele<br />

è in<strong>di</strong>cata senza tentennamenti nell’atto — definito come «l’autodeterminarsi,<br />

ciò che realizza se stesso» (GPh II, p. 154) — o più<br />

analiticamente nelle due Hauptformen della possibilità e della Wirklichkeit,<br />

cioè dell’entelechia, «che è in sé scopo e realizzazione dello<br />

scopo». Di queste forme Hegel <strong>di</strong>ce che «compaiono dappertutto»<br />

e che «si devono conoscere per comprendere» Aristotele. Esse<br />

rappresentano ciò che permette <strong>di</strong> cogliere in modo unitario non<br />

solo il rapporto tra eidos e wirkliche Dinge — che in Platone resta<br />

irrecuperabile a partire dall’universale —, ma anche la coppia <strong>di</strong><br />

cause materia-forma, e con essa la sostanza.<br />

È importante sottolineare come Hegel abbia in vista con questo<br />

tema non tanto una via breve verso l’unità, quanto piuttosto<br />

innanzitutto la comprensione <strong>di</strong> ciò che permette ad Aristotele <strong>di</strong><br />

seguire l’articolazione delle sostanze nella loro specificità, <strong>di</strong> fornire<br />

una giustificazione del mutamento e dell’in<strong>di</strong>vidualità <strong>di</strong> contro<br />

all’astratto universale. Lungi dall’affrettarsi verso la ricomposizione<br />

sistematica Hegel valorizza l’interesse aristotelico per la determinatezza<br />

e la <strong>di</strong>stinzione. L’attenzione è concentrata sull’ente soggetto<br />

a mutamento per rintracciare in esso un’unità che abbia una<br />

tenuta più salda che non l’universale astratto. Hegel parte dallo


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

215<br />

sforzo <strong>di</strong> cogliere la specifica irriducibilità del primo tipo <strong>di</strong> sostanza.<br />

La prima considerazione è rivolta alla coppia materia-forma,<br />

proprio quella che impe<strong>di</strong>sce all’ente sensibile <strong>di</strong> essere uno e identico.<br />

Il primo sguardo è de<strong>di</strong>cato dunque alla molteplicità.<br />

«Ogni ente contiene materia, ogni mutamento richiede un sostrato<br />

(hypokeimenon) in cui avviene» (GPh II, p. 154). Questo è<br />

l’aspetto per il quale l’ente fisico, mosso, sensibile, si presenta in<br />

una compagine che fa resistenza all’uno e all’identico. La materia è<br />

in<strong>di</strong>fferente alla forma e non si fa ridurre, ricondurre ad essa. Tuttavia<br />

nel mutamento la physis è anche il <strong>di</strong>venire altro che manifesta<br />

la connessione. È in gioco anche la relazione dei due mo<strong>di</strong> in<br />

cui si presenta l’ente, in quanto non esser più questo o non essere<br />

ancora quest’altro, in quanto <strong>di</strong>ventare altro. È in gioco la coppia<br />

potenza-atto. La materia è solo potenza. Perché essa sia veramente,<br />

osserva Hegel, «per questo occorre forma, atto (Tätigkeit)». È nel<br />

farsi atto che la potenza <strong>di</strong>viene ciò che è: non “indeterminata possibilità”<br />

ma “<strong>di</strong>sposizione (Vermögen)” e in questo anche quello che<br />

astrattamente dalla forma essa non è, cioè forza, «figura incompiuta<br />

della forma», un non ancora questo o quello. Se d’altra parte la<br />

forma «dà realtà (Wirklichkeit) alla materia», allora «la forma non è<br />

senza materia o possibilità». C’è una correlazione tra potenza e atto<br />

per cui il “momento della realtà” è il <strong>di</strong>ventar altro del sostanziale o<br />

essenziale. L’atto è sempre atto <strong>di</strong> qualcosa e come tale, in un senso<br />

più ra<strong>di</strong>cale che non l’universale platonico, introduce sdoppiamento<br />

e negazione, “esser-per-altro”, <strong>di</strong>fferenza. La coppia potenzaatto<br />

permette <strong>di</strong> pensare l’ente, ciò che è, la sostanza, come un <strong>di</strong>ventare<br />

qualcosa, e dunque per un verso come un <strong>di</strong>ventar altro e<br />

un <strong>di</strong>fferenziarsi, essendo così caratterizzato da sdoppiamento e da<br />

momenti che fanno resistenza all’unificazione.<br />

Ma potenza e atto caratterizzano l’ente come un <strong>di</strong>ventare<br />

qualcosa anche nel senso che l’ente <strong>di</strong>viene ciò che è, è il <strong>di</strong>venuto;<br />

ossia nel senso che il carattere <strong>di</strong> movimento appartiene all’ente. E<br />

pertanto, se è l’esser mosso a <strong>di</strong>stinguere un tipo <strong>di</strong> sostanza, que-


216 HEGEL E ARISTOTELE<br />

sta sostanza è tale perché nel <strong>di</strong>ventar altro è se stessa (il movimento,<br />

atto della potenza, la caratterizza) e dunque perché <strong>di</strong>venendo<br />

si muove verso ciò da cui ha principio, ossia giunge a ciò che era<br />

già. In questo senso Aristotele <strong>di</strong>ce che quello in cui il <strong>di</strong>venire sta,<br />

riposa, — la forma — è più physis della materia: “e la forma è più<br />

natura che la materia: ciascuna cosa infatti allora si <strong>di</strong>ce che è,<br />

quando sia in atto (ejnteleceiva/) piuttosto che quando sia in potenza”<br />

( 18 ). Un passo che Heidegger ha così commentato: «l’entelecheia<br />

è più ousia della dynamis, perché realizza l’essenza del venire<br />

alla presenza in sé costante in modo più essenziale della dynamis»<br />

( 19 ).<br />

C’è dunque innanzitutto una dualità della physis riba<strong>di</strong>ta anche<br />

quale tratto essenziale del movimento: il non-ancora e il nonpiù<br />

tornano costantemente a sdoppiarlo nella misura in cui esso è<br />

l’«atto della potenza (hJ tou§ dunavmei o[ntoı ejntelevceia) in quanto<br />

tale» (Phys, III, 1, 201 a 10-11). Aristotele attribuisce l’articolazione<br />

duale potenza-atto solo a un certo tipo <strong>di</strong> enti: «c’è qualcosa che è<br />

solo in atto, e qualcosa che è in potenza e in atto» (Phys, III, 1, 200 b<br />

26-27). Nell’ente mosso potenza e atto si mostrano però allo stesso<br />

tempo come due concetti relativi, non solo nel senso che l’uno rimanda<br />

all’altro, ma insieme nel senso che giungono a ciò che sono<br />

<strong>di</strong>ventando altro (passando per altro). In ciò essi manifestano così<br />

anche un’unità, attuata in modo <strong>di</strong>verso: la potenza infatti, in relazione<br />

all’atto, <strong>di</strong>venta ciò che è, <strong>di</strong>venta se stessa. Nel passaggio e<br />

nella relazione si determina una priorità dell’atto, perché esso è<br />

l’essere arrivato a sé che in quanto tale conferisce un tratto essenziale<br />

anche alla potenza: l’atto è così il termine unitario su cui poggia<br />

la relazione.<br />

( 18 ) ARISTOTELE, Physica (=Phys), II, 1, 193 b 6-8 (tr. it. <strong>di</strong> A. Russo, Laterza,<br />

Roma-Bari 1983).<br />

( 19 ) M. HEIDEGGER, Segnavia, tr. it. a cura <strong>di</strong> F. Volpi, Adelphi, Milano 1987,<br />

p. 241.


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

217<br />

3. Hegel, per parte sua, riprende proprio il criterio del movimento,<br />

riparte proprio dalla mobilità <strong>degli</strong> enti per ri<strong>di</strong>segnare la <strong>di</strong>stinzione<br />

dei tipi <strong>di</strong> sostanza. Aristotele, <strong>di</strong>ce il filosofo tedesco, <strong>di</strong>stingue<br />

le sostanze a partire dall’idea <strong>di</strong> movimento, ma in quanto in<br />

esse potenza e atto «appaiono non in unità, ma ancora <strong>di</strong>vise» (GPh<br />

II, p. 156). Il «rapporto della forma alla materia, dell’energia alla<br />

possibilità» costituisce, insieme al «movimento <strong>di</strong> questa opposizione»,<br />

«i <strong>di</strong>fferenti mo<strong>di</strong> delle sostanze». È la cura nel mettere in rilievo<br />

la dualità caratteristica del movimento a produrre come effetto<br />

il fatto che «Aristotele passi a questo punto in rassegna le sostanze»<br />

in modo che «esse appaiono in lui più come una serie <strong>di</strong><br />

tipi <strong>di</strong>fferenti <strong>di</strong> sostanze, considerate l’una dopo l’altra, che non in<br />

quanto radunate in un sistema».<br />

Riprendendo allora lo stesso tema del movimento, ma facendo<br />

leva piuttosto sullo sfondo unitario <strong>di</strong> esso, sul <strong>di</strong>venire sé da<br />

parte della sostanza, cioè sul primato dell’atto, Hegel <strong>di</strong>stingue i<br />

suoi tre momenti, che, avverte, rappresentano peraltro «alcune determinazioni<br />

fondamentali tra altre». La <strong>di</strong>stinzione <strong>hegel</strong>iana fa<br />

seguire alla sostanza sensibile l’anima intellettiva; e fa dell’intelletto<br />

una tappa interme<strong>di</strong>a per il passaggio all’actus purus. Si ha così<br />

l’introduzione <strong>di</strong> un tipo <strong>di</strong> sostanza lasciata da parte nella <strong>di</strong>stinzione<br />

aristotelica e menzionata solo fugacemente, come si è visto,<br />

all’interno del XII libro della Metafisica, senza visibili aggiustamenti<br />

<strong>di</strong> tiro rispetto ai problemi che una tale menzione suscita. Questa<br />

introduzione è strettamente collegata, tuttavia, con la ripresa e la<br />

valorizzazione del principio dell’atto come ciò che muove.<br />

Anche la sud<strong>di</strong>visione <strong>hegel</strong>iana delle sostanze ha infatti<br />

come fondamento l’idea aristotelica <strong>di</strong> movimento e la <strong>di</strong>stinzione<br />

potenza-atto, seguite però in un tratto — il primato dell’energeia —<br />

che risulta determinante per la stessa comprensione dell’ente in<br />

movimento. Il primato dell’atto consiste nel fatto che esso è il modo<br />

d’essere in cui il <strong>di</strong>veniente raggiunge ciò che esso è, raggiunge<br />

cioè se stesso. L’atto è dunque principio, e delimita rispetto a sé il


218 HEGEL E ARISTOTELE<br />

carattere <strong>di</strong> principio della potenza come capace <strong>di</strong> passare all’atto<br />

(Met, IX, 8, 1049 b 13), come non-ancora-atto. «Tutto ciò che <strong>di</strong>viene»,<br />

afferma Aristotele, «si muove verso il principio (ejp jajrch;n<br />

ba<strong>di</strong>vzei) che è il fine» (1050 a 7); e gli enti fisici, in quanto hanno in<br />

sé il principio del movimento (archè kineseos) (Phys, II, 1, 192 b 14),<br />

percorrono quel circolo che è la physis quale hodòs eis physin (Phys,<br />

II, 1, 193 b 13): la natura è anche potenza, ma non <strong>di</strong> altro, poiché<br />

essa è principio <strong>di</strong> movimento e <strong>di</strong> <strong>di</strong>venire in se stessa in quanto<br />

tale. Il primato dell’atto è legato al muoversi verso sé dell’ente, al<br />

principiare già sempre da ciò che esso <strong>di</strong>viene e rispetto a cui è, anche,<br />

altro.<br />

Questo tratto determinante dell’ontologia aristotelica, che<br />

regge la <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> potenza e atto in base alla quale Aristotele<br />

pensa in modo unitario la irriducibile molteplicità delle sostanze,<br />

permette a Hegel <strong>di</strong> determinare «was das Bewegende ist» e con<br />

ciò il carattere <strong>di</strong> quel tipo <strong>di</strong> sostanza che ha in sé l’archè kineseos :<br />

la sostanza sensibile metableté, soggetta a movimento. Nella sostanza<br />

sensibile Hegel misura in forma privativa il concetto aristotelico<br />

<strong>di</strong> atto a partire dal quale è pensato il movimento. Egli sembra esaltare<br />

sul piano teorico le conseguenze <strong>di</strong> una variazione tematica<br />

che è presente nel testo aristotelico tra il 2° e il 3° capitolo. Seguendo<br />

qui il 2° capitolo <strong>di</strong>stingue pertanto ciò che si conserva nel movimento,<br />

ma come resistente e in<strong>di</strong>fferente ad esso — la materia —,<br />

da quello che passa nel contrario — la forma —, e così per un verso<br />

<strong>di</strong>spare e per altro verso si attua, si fa ente: «ciò che si conserva, il<br />

durevole in questo mutamento», traduce Hegel interpretando, «è<br />

la materia».<br />

Aristotele spiega in effetti che il mutamento avviene fra i<br />

contrari; ma non sono i contrari a mutare: piuttosto «l’uno permane<br />

(uJpomevnei), il contrario non permane» (1069 b 7-8). «Ciò che muta<br />

verso il contrario» è perciò qualcosa che «è necessario stia sotto<br />

(uJpei§nai)», un sostrato. Questo è «un terzo termine oltre i due contrari:<br />

la materia». Ma in che modo muta la materia? Nel processo


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

219<br />

che caratterizza l’ente sensibile Hegel vede assente proprio il momento<br />

del ritorno in sé (Rückkehr in sich) che pure ideell costituisce<br />

la natura. L’unità è “il morto sostrato”, cioè la materia quale “essenza<br />

universale” che è “in<strong>di</strong>fferente verso gli opposti” e che rappresenta<br />

il “permanente”. Essa è per un verso ciò in cui “accade” il mutamento,<br />

ossia ciò in cui un contrario resta e l’altro <strong>di</strong>legua: essa<br />

cambia perché in essa cambia la forma, sostituendo lo stato <strong>di</strong> privazione.<br />

In certo modo dunque qui gli elementi <strong>di</strong> cui consta l’ente<br />

mosso sono statici. Il movimento è infatti il <strong>di</strong>leguare <strong>di</strong> uno <strong>degli</strong><br />

opposti nell’altro. Ma esso resta così esteriore, come esteriore nel finito<br />

è la forma rispetto alla materia: da una parte infatti il mutamento<br />

è esteriore ai contrari, poiché essi non mutano ma l’uno si<br />

cancella nell’altro <strong>di</strong> modo che il movimento solo “idealmente” è,<br />

mentre si perde insieme al contrario che <strong>di</strong>legua; d’altra parte il<br />

mutamento è esteriore alla materia, poiché questa può essere entrambi<br />

i contrari, assumere questa o quest’altra forma, ed è dunque<br />

il sostrato in<strong>di</strong>fferente delle <strong>di</strong>fferenti forme possibili. Alla forma,<br />

<strong>di</strong> contro, conviene certo il carattere <strong>di</strong> atto, ma in quanto essa resta<br />

<strong>di</strong>stinta dalla materia.<br />

Ma il mutamento per altro verso è il passaggio dalla potenza<br />

all’atto, e così dall’ente (non-ente in atto) all’ente: un passaggio che,<br />

osserva Hegel, contrassegna un’“identità” dell’ente con sé. Succede<br />

così che la materia, la quale per un verso è “l’essenza universale”,<br />

semplice e contenente in unità in<strong>di</strong>fferente le determinazioni possibili,<br />

muta in quanto «il qualcosa <strong>di</strong>viene in atto una determinata<br />

materia, ciò che la sua materia era anche in potenza» (GPh II, p.<br />

157). In questo senso la materia è determinata, <strong>di</strong>viene quello che<br />

era in potenza, «è la stessa ma in quanto contrapposta», secondo la<br />

traduzione-interpretazione <strong>di</strong> Hegel. Il momento del <strong>di</strong>ventare ciò<br />

che era, caratterizza così anche qui, alla luce dell’atto, l’ente mosso.<br />

Ma la materia resta altro da questo, resta ciò che non coincide con<br />

questo momento e fa ad esso resistenza.<br />

Si può <strong>di</strong>re che nella sostanza sensibile Hegel lavora su una<br />

tensione tra il nesso materia-forma e quello potenza-atto, attraver-


220 HEGEL E ARISTOTELE<br />

so la quale mette in gioco il riferimento essenziale a un nuovo concetto<br />

<strong>di</strong> sostanza. Abbiamo infatti nella sostanza sensibile un presentarsi<br />

<strong>di</strong> momenti <strong>di</strong>stinti che convive col principio unificante<br />

dell’atto. Dal punto <strong>di</strong> vista del principio universale (o secondo<br />

l’espressione <strong>hegel</strong>iana appunto ideell) ciò che <strong>di</strong>viene si muove<br />

verso se stesso e l’«uomo genera l’uomo» (XII, 5, 1071 a 21), sicché<br />

l’attività «è il negativo che contiene in sé ciò che è ad esso opposto<br />

(lo toglie in unità) e dunque già anche ciò che deve <strong>di</strong>venire». Ma<br />

quest’attività non è né la materia, né le due determinazioni opposte<br />

della forma (queste ultime formano le «determinatezze opposte, il<br />

negativo»): i momenti in cui si articola la nozione <strong>di</strong> sostanza soggetta<br />

a movimento restano <strong>di</strong>stinti e resistono all’unificazione; e,<br />

secondo la nuova tripartizione fornita subito dopo da Aristotele,<br />

all’inizio del 3° capitolo, sono materia, forma (i contrari <strong>di</strong> prima) e<br />

ciò-ad-opera-<strong>di</strong>-cui (hyph’ou), il motore (il proton kinoûn) (1069 b 36-<br />

1070 a 1). Come precisa successivamente Aristotele, proprio quest’ultimo<br />

momento rimane al <strong>di</strong> fuori (ektòs) (4, 1070 b 23) come un<br />

altro ente, <strong>di</strong> contro a ciò che vale a proposito della physis in generale,<br />

la quale è principio non in altro ma nell’oggetto stesso (archè<br />

en autô). Ne risulta non solo la <strong>di</strong>stinzione tra forma e principio<br />

motore, ma anche l’impossibilità <strong>di</strong> far coincidere la sostanza sensibile<br />

con la forma, la quale come atto viene da altro ed è altro da ciò<br />

che costituisce lo specifico della sostanza sensibile in<strong>di</strong>viduale.<br />

Vale perciò anche come ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong>visione (Trennung) all’interno<br />

della sostanza la <strong>di</strong>stinzione avanzata da Aristotele al 1071 a<br />

18-19 tra il principio costituito da «ciò che è in atto un qualcosa <strong>di</strong><br />

determinato» e il principio costituito da ciò che è in potenza. Questa<br />

esteriorità reciproca è anche un’esteriorità reciproca <strong>di</strong> forma e<br />

materia: essa fa sì che causa <strong>di</strong> un in<strong>di</strong>viduo sia sempre un altro in<strong>di</strong>viduo;<br />

che ciò che è generato provenga da altro e sia generato in<br />

quanto altro; che esso resti in qualche modo <strong>di</strong>stinto e irriducibile<br />

rispetto al suo momento formale, nel senso che, come <strong>di</strong>ce Hegel,<br />

ciò che è sostanza in questo caso ha come forma propria il rimanere


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

221<br />

esteriore della forma, che è momento <strong>di</strong> un compimento <strong>di</strong>verso da<br />

essa, implicante la materia. Il primo tipo <strong>di</strong> sostanza non esaurisce<br />

così in sé le caratteristiche dell’ente mosso, anzi richiede esso stesso<br />

per la propria comprensione un mutamento <strong>di</strong> prospettiva.<br />

4. Per il secondo tipo <strong>di</strong> sostanza Hegel trova certo pochi punti<br />

d’appoggio nel XII libro. A una sostanza ontologicamente <strong>di</strong>fferenziabile<br />

da quella sensibile Aristotele accenna fugacemente nel 3°<br />

capitolo <strong>di</strong>stinguendo il problema dalla tesi platonica <strong>di</strong> forme separate:<br />

«se poi rimanga (uJpomevnei) qualcosa anche dopo, è problema<br />

che resta da esaminare (skeptevon). Per alcuni esseri nulla lo vieta:<br />

per esempio, per l’anima: non tutta l’anima, ma solo l’anima intellettiva<br />

(nou§ı); tutta sarebbe impossibile» (1070 a 24-26) ( 20 ). A ciò<br />

si aggiunge una <strong>di</strong>stinzione ontologicamente rilevante tra soma e<br />

psyché, o tra soma e nous e orexis , come cause <strong>di</strong> tutte le cose, quale<br />

balena all’inizio del capitolo 5°; mentre un’altro riferimento alla<br />

psyché compare all’interno <strong>di</strong> una critica all’idea platonica <strong>di</strong> «ciò<br />

che si dà movimento da se stesso (to; aujto; eJauto; kinou§n)» (6, 1072 a<br />

1-2) ( 21 ), ambivalentemente condotta perché viene contestata solo<br />

la contrad<strong>di</strong>zione con l’altra tesi che pone il movimento prima dell’anima,<br />

in un contesto in cui la questione del movimento primo è<br />

comunque ritenuta della massima importanza.<br />

( 20 ) Questo passo, secondo lo Jaeger, appare come una parentesi, forse aggiunta<br />

in un secondo momento. Per la questione <strong>di</strong> un doppio livello sistematico<br />

(natura e spirito) in cui si colloca la concezione <strong>hegel</strong>iana dell’anima, e per i rapporti<br />

che questa duplice <strong>di</strong>slocazione ha con la visione aristotelica, rinvio a F.<br />

CHIEREGHIN, Das griechische Erbe in Hegels Anthropologie, in F. HESPE, B. TUSCHLING<br />

(a cura <strong>di</strong>), Psychologie und Anthropologie oder Philosophie des Geistes, Frommann-<br />

Holzboog, Stuttgart 1991, pp. 9-51. Sul rapporto anima-spirito cfr. anche M.<br />

Wolff, Das Körper-Seele-Problem. Kommentar zu Hegel, Enzyklopä<strong>di</strong>e (1830), § 389,<br />

Klostermann, Frankfurt a.M. 1992 (cfr. ad esempio pp. 118-9).<br />

( 21 ) Cfr. in proposito le osservazioni della Gloy, che vede in questo punto<br />

non esclusa la possibilità <strong>di</strong> un automovimento, p. 521 n.


222 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Su questi scarni riferimenti Hegel elabora una <strong>di</strong>stinzione<br />

che si ispira certamente alla nota articolazione sistematica tra natura<br />

e spirito. Questa elaborazione è d’altra parte decisiva, perché costituisce<br />

la premessa necessaria per l’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della<br />

successiva, costante presenza sulla scena del nous nelle pagine<br />

aristoteliche, con la ripetuta comparazione tra la con<strong>di</strong>zione in cui<br />

l’intelligenza <strong>di</strong>vina si trova ton hápanta aiôna, per tutta l’eternità, e<br />

la con<strong>di</strong>zione in cui l’anthrópinos nous si trova solo en tini chrono, in<br />

qualche momento (9, 1075 a 7-10). Hegel recepisce in quest’elaborazione<br />

una serie <strong>di</strong> altri riferimenti che permettono <strong>di</strong> concepire<br />

l’ente in movimento in base alla connessione dei contrari che è contenuta<br />

nel logos e in quella parte dell’anima che “ha il logos”, cioè il<br />

nous . Il logos e la scienza sono infatti in modo specifico «il negativo<br />

astratto, ma contenente ciò che deve <strong>di</strong>ventare», del quale parla<br />

Hegel a questo punto: e qui risuona la tesi aristotelica per la quale<br />

la scienza, secondo quanto affermato in Met IX, 2, è logos, e «il medesimo<br />

logos manifesta la cosa e la sua privazione» (1046 b 8-9); ovvero<br />

la scienza è “potenza dei contrari” in quanto ne ha il logos.<br />

L’anima, «ha il principio del movimento» come gli altri enti fisici,<br />

ma nel senso del tutto speciale che conserva la relazione al contrario<br />

escluso, conserva dunque il movimento nel compimento, possiede<br />

anticipatamente la relazione a ciò verso cui si muove, e in<br />

questo senso specifico si muove verso se stessa, sicché è caratterizzata<br />

anche da immobilità. Questa circolarità ha un ruolo essenziale<br />

nelle pagine della Storia della filosofia, perché la riconsiderazione<br />

della nozione <strong>di</strong> sostanza alla luce del concetto <strong>di</strong> atto come “ritorno<br />

in sé”, cioè alla luce del concetto <strong>di</strong> scopo, che è «il concetto che<br />

si ricostituisce nell’altro» (GPh II, p. 178), fornisce a Hegel il punto<br />

d’appoggio per scan<strong>di</strong>re una <strong>di</strong>stinzione in cui d’altra parte è<br />

adombrato senza dubbio anche il passaggio dalla natura allo spirito.<br />

Hegel sembra partire da una variazione che la nozione <strong>di</strong> sostanza<br />

mobile subisce nello svolgimento del testo aristotelico. Al-


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

223<br />

l’inizio del 3° capitolo Aristotele precisa infatti che ciò che è mosso<br />

non è né l’uno né l’altro momento fin qui considerato: materia e<br />

forma ou gignetai, non <strong>di</strong>vengono. E in quanto tali non sono<br />

considerabili come sostanza separata. Solo in un terzo significato,<br />

quello <strong>di</strong> sinolo, la sostanza può essere detta mossa. I tre “principi<br />

e cause” <strong>di</strong>ventano ora: motore materia forma. Essi risulteranno infine<br />

quattro nel 4° capitolo, dove viene recuperata la privazione, e<br />

il principio motore, come si è detto, viene spostato “fuori” per le<br />

sostanze naturali, mentre coincide con la forma nelle cose causate<br />

«dalla ragione (ajpo; <strong>di</strong>anoivaı)» (4, 1070 b 31), cioè là dove, come<br />

<strong>di</strong>ce Aristotele nel VII libro, l’eidos è en te psyché, nell’anima (7, 1032<br />

b 1). Sotto un altro profilo, tuttavia, per la physis considerata nel<br />

suo intero vale, come si è detto, che il suo principio motore è intrinseco<br />

e viene a coincidere con la forma (l’uomo genera l’uomo), <strong>di</strong><br />

contro alla techne, che è sempre principio in altro o, come <strong>di</strong>ce<br />

Hegel, «ha bisogno ancora della materia», con la quale il nous «non<br />

è ancora identico» (GPh II, p. 158). Se così per un verso nella sostanza<br />

naturale intesa come sinolo il motore è fuori, nel caso del<br />

pensiero come principio motore resta fuori la materia.<br />

La sostanza sensibile (il primo tipo <strong>di</strong> sostanza per Hegel) abbandona<br />

nel 3° capitolo in modo netto quel baricentro nella materia<br />

quale “terzo termine (ti trivton)” (1069 b 8) che aveva nel capitolo<br />

precedente in base alla necessità <strong>di</strong> un estremo che permanga. Se<br />

il qualcosa che muta è in<strong>di</strong>cato in prima battuta come materia perché<br />

questa appunto permane come sostrato del mutamento, viene<br />

tuttavia precisato più sotto che la materia non è propriamente un<br />

qualcosa, non è un tode ti, ma è sostanza solo «in apparenza (tw`/<br />

faivnesqai)» (1070 a 10), perché permane soltanto in quanto sussistente<br />

in altro, e separata è invece solo in quanto potenza, o, come<br />

qui è detto, in quanto «non connaturata (mh; sumfuvsei)», ovvero,<br />

come <strong>di</strong>rebbe Hegel, astratta. Sostanza è invece, in una seconda e<br />

più conseguente definizione, la physis, in quanto è una con<strong>di</strong>zione<br />

verso cui si muove la generazione e dunque sussiste come scopo,


224 HEGEL E ARISTOTELE<br />

permanente nel senso che in esso l’ente raggiunge se stesso. Ma per<br />

alcune cose il tode ti non esiste separato dalla synthetè ousia, precisa<br />

ulteriormente Aristotele accendendo qui una polemica con le forme<br />

separate <strong>di</strong> Platone. La forma, proprio in quanto ingenerata,<br />

non può essere ciò che muta e permane nel mutamento; o, in altri<br />

termini, la forma sussiste solo in quanto è insieme (hama) il <strong>di</strong>venuto<br />

tale (per esempio la salute è solo insieme all’uomo che si trova<br />

ad essere sano). Sostanza allora (eccezion fatta per il nous, la cui<br />

questione è lasciata proprio a questo punto in sospeso) è propriamente<br />

ciò che è da materia e forma, cioè quello che altrove è chiamato<br />

sinolo. Il sinolo, l’intero unitario nel quale solo sussiste per sé<br />

la forma, è il terzo e più appropriato concetto <strong>di</strong> sostanza per quanto<br />

riguarda l’ente mosso.<br />

Aristotele fa qui l’esempio della sfera <strong>di</strong> bronzo che ricorre<br />

anche nel VII libro, dove si <strong>di</strong>ce che «ciò che <strong>di</strong>viene è il sinolo» (8,<br />

1033 b 17-18). Nel sinolo la materia, tolta dalla sua esteriorità (che è<br />

anche estraneità alla definizione), viene posta in relazione con ciò<br />

che essa <strong>di</strong>venta, e la forma a sua volta sussiste solo nell’unità col<br />

<strong>di</strong>venuto e la materia. Materia e forma non esistono separatamente:<br />

essi sono, commenta Hegel, «l’in sé essente, l’universale come<br />

tale in forma contrapposta», e quello che ora costituisce la figura<br />

sensibile della sostanza non è né l’una né l’altra, ma «solo il mutamento».<br />

E Hegel più avanti (GPh II, p. 179) ricorda l’esempio della<br />

statua <strong>di</strong> Fisica, III, 1, 201 a 29 ss., sottolineando che il movimento<br />

non è l’atto del bronzo in quanto bronzo, ma in quanto non ancora<br />

statua. Solo nell’accezione <strong>di</strong> sinolo l’atto, che rimaneva in qualche<br />

modo separato dal sostanziale nella precedente considerazione<br />

della sostanza, «fa il suo ingresso (hereinkommt)». I due principi<br />

della sostanza sensibile finora considerati rimanevano estranei<br />

l’uno all’altro: da un lato la forma e il suo contrario, la privazione;<br />

dall’altro cio che è in<strong>di</strong>fferente al mutamento, la materia. Essi vengono<br />

ora definiti da Hegel come universale passivo e universale attivo,<br />

ma il mutamento non cade in nessuno <strong>di</strong> questi due momenti,


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

225<br />

per quanto l’atto resti il principio a partire da cui si definisce la potenza,<br />

dal momento che l’atto, come ripete in proposito Hegel, è<br />

l’«astratto negativo che contiene però ciò che deve <strong>di</strong>venire» (GPh<br />

II, p. 157).<br />

Nella presentazione del secondo tipo <strong>di</strong> sostanza Hegel si inserisce<br />

così tra le maglie <strong>di</strong> un’articolazione del concetto <strong>di</strong> sostanza<br />

mobile che si fa complessa all’interno del terzo capitolo, poiché<br />

comporta una certa rideterminazione <strong>degli</strong> elementi concettuali e<br />

<strong>di</strong>schiude un contesto tale da suggerire in modo impalpabile anche<br />

l’occasione per chiamare in causa il nous separato. Per un verso, sostanza<br />

mossa è la natura in quanto ha in sé il principio del movimento<br />

(l’uomo genera l’uomo): essa si muove verso sé e in questo<br />

senso non fa riferimento a nulla <strong>di</strong> estraneo. Il movimento appartiene<br />

poi in altra prospettiva alla sostanza che si compone (qui si<br />

parla <strong>di</strong> synthesis) <strong>di</strong> materia e <strong>di</strong> forma, ossia che è in quanto è <strong>di</strong>venuta,<br />

ovvero ancora che <strong>di</strong>viene ciò che è. Anche tale sostanza<br />

contiene in sé ciò verso cui si muove. E tuttavia Aristotele, a detta<br />

<strong>di</strong> Hegel, «non chiarisce ulteriormente» (GPh II, p. 158) il concetto<br />

<strong>di</strong> sostanza come unità <strong>di</strong> materia e attività, ovvero come quella<br />

che porta ad atto se stessa. Si tratta <strong>di</strong> un conflitto in certo senso<br />

insanabile a livello del primo tipo <strong>di</strong> sostanza: per un verso nella<br />

sostanza sensibile «il principio attivo è ancora del tutto <strong>di</strong>fferente<br />

dalla materia», per altro verso ciò che muta è la sostanza in quanto<br />

contiene l’opposizione <strong>di</strong> «ciò che è da togliere» e «ciò che è da porre»<br />

(così Hegel traduce qui i concetti <strong>di</strong> potenza e atto). Insomma,<br />

la sostanza mobile è quella che <strong>di</strong>viene ciò che è; ovvero essa è insieme<br />

un qualcosa da togliere (è ciò che <strong>di</strong>viene altro) e un qualcosa<br />

da porre (in questo <strong>di</strong>ventare altro è). Ma qualcosa resta in essa<br />

per definizione escluso da questo processo.<br />

5. Qui avviene un passaggio dalle considerazioni sulla sostanza<br />

sensibile all’intelletto, la cui articolazione resta senza dubbio dalla


226 HEGEL E ARISTOTELE<br />

parte <strong>di</strong> Hegel. Egli <strong>di</strong>stingue la seconda sostanza a partire dall’interpretazione<br />

della ragione per cui il motore nella sostanza sensibile<br />

«è ancora del tutto separato dalla materia» (GPh II, p. 158). Nella<br />

sostanza sensibile l’unità <strong>di</strong> sostrato e attività resta in Aristotele<br />

non chiarito per una ragione che sta nelle cose stesse. La sostanza<br />

sensibile è bensì caratterizzata dal <strong>di</strong>venire ciò che è. Questo senso<br />

è implicato, come abbiamo visto, nel concetto <strong>di</strong> physis come un<br />

tutto o in universale: l’«uomo genera l’uomo»; inoltre, tale senso<br />

guida anche la definizione del composto come un intero che articola<br />

in un’unità in<strong>di</strong>visibile la <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong> materia e forma: il<br />

sinolo. Tuttavia nella sostanza sensibile l’unità è anche il negativo<br />

nei confronti dei due momenti, respinge o esclude da sé i <strong>di</strong>fferenti:<br />

da una parte la materia ha una sua sussistenza che viene negata e<br />

<strong>di</strong>legua per far posto a una nuova forma; d’altra parte il sinolo si<br />

presenta in forma privativa come un esser altro dalla forma, un<br />

avere compimento e atto in altro dalla forma (e dalla definizione).<br />

La sostanza sensibile è caratterizzata negativamente dal togliersi:<br />

essa soggiace al perire (come il finito in senso <strong>hegel</strong>iano).<br />

Non appena «<strong>di</strong>leguano (ajpevlqh/) dalla sensazione» (Met, VII, 15,<br />

1040 a 3-4), le sostanze corruttibili sono inconoscibili, mentre l’anima<br />

ne “salva” solo il logos . Nel definire le sostanze in<strong>di</strong>viduali,<br />

perciò, la definizione non può “ignorare” il fatto che in esse «vi è<br />

sempre un togliersi (ajnairei`n)», che limita intrinsecamente la definizione.<br />

Nella sostanza sensibile la forma è sempre un altro (un altro<br />

ente) o è come altro (come essenza, come ciò che <strong>di</strong>viene,<br />

gignetai, in altro, VII, 8, 1033 b 7). La sostanza sensibile rinvia nel<br />

proprio sussistere a un’unità che si conservi nel passare e conservi<br />

il passare stesso; a un’altra sostanza in cui sussista e non <strong>di</strong>legui il<br />

passaggio dalla potenza all’atto. Questa sostanza è l’anima o più<br />

precisamente l’intelletto.<br />

Mentre la determinatezza sensibile della sostanza consiste<br />

nel fatto che la possibilità ha anche un’esistenza in<strong>di</strong>fferente al mutamento<br />

(e qui sta l’esteriorità reciproca <strong>di</strong> materia e forma), per<br />

cui, se il legno è per un verso il non-ancora cenere, esso ha però


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

227<br />

anche un’esistenza in<strong>di</strong>pendente da questo, che come tale <strong>di</strong>spare<br />

nel suo contrario (GPh II, p. 214); viceversa la sostanza che si conserva<br />

come mossa è soltanto l’anima e in particolare l’intelletto, e<br />

solo in in una tale sostanza si conserva ciò che <strong>di</strong>viene. La figura<br />

sensibile <strong>di</strong> questo nuovo carattere della sostanza «è soltanto il mutamento»<br />

(GPh II, p. 157), il <strong>di</strong>sparire <strong>di</strong> ciò che è posto in quanto<br />

sensibile. Ma ora il mutamento si conserva, è un arrivare a sé. L’articolazione<br />

<strong>hegel</strong>iana delle due sostanze è legata me<strong>di</strong>ante tali connessioni<br />

all’approfon<strong>di</strong>mento del concetto <strong>di</strong> sostanza mobile, e<br />

questo in linea col filo conduttore (il movimento) del testo<br />

aristotelico. Proprio questo approfon<strong>di</strong>mento porta Hegel a passare<br />

dalla physis e dal sinolo all’anima e al nous <strong>di</strong>stinguendo due<br />

mo<strong>di</strong> del movimento e della relazione potenza-atto, e <strong>di</strong> conseguenza<br />

separando un modo inadeguato da un modo adeguato <strong>di</strong><br />

rispondere al concetto <strong>di</strong> mobilità.<br />

Il carattere d’essere dell’ente in movimento è dato dalla connessione<br />

dei contrari, che <strong>di</strong> per sé non <strong>di</strong>vengono ma che come<br />

tali non hanno a pieno titolo il carattere <strong>di</strong> sostanza sensibile soggetta<br />

al mutamento. Tuttavia quello che altrove è chiamato sinolo,<br />

e che qui è detto synthetè ousia, quale sostanza sensibile esprime la<br />

forma in modo privativo: esso ha la forma <strong>di</strong> una materia rispetto a<br />

cui la forma è esteriore, secondo il faticoso gioco <strong>di</strong> termini<br />

<strong>hegel</strong>iano. È, in altri termini, il <strong>di</strong>venire forma <strong>di</strong> qualcosa che resta<br />

altro da questo. E ciò ora significa per Hegel: la figura sensibile della<br />

sostanza sensibile in quanto mobile, cioè come sostanza che ha<br />

in sé il principio del movimento, è soltanto il mutamento, il <strong>di</strong>ventar<br />

altro, il <strong>di</strong>leguare. Invece, quello «che contiene ciò che deve <strong>di</strong>ventare»,<br />

quello cioè che raggiunge se stesso e <strong>di</strong>viene dunque ciò<br />

che era — quello che, in termini <strong>hegel</strong>iani, «in sé è determinato per<br />

sé» —, è l’anima e in particolare l’intelletto. In esso il <strong>di</strong>ventar altro<br />

si conserva come tale, ovvero non è solo astratta negatività, ma la<br />

sostanza stessa come risultato, come quella che <strong>di</strong>viene tale. L’intelletto<br />

infatti è <strong>di</strong>ventando altro (“in certo modo tutte le cose”, secon-


228 HEGEL E ARISTOTELE<br />

do l’espressione <strong>di</strong> De Anima, III, 8, 431 b 21), ovvero è la sostanza<br />

in quanto permane nel mutare, si conserva (e in questo senso resta,<br />

hypoménei), in un modo <strong>di</strong>verso però dalla materia, la quale è semplicemente<br />

in<strong>di</strong>fferente al mutamento.<br />

Nell’anima si conserva ciò che passa, e il pensiero è in qualche<br />

modo legato a un atto che non muta nel mutamento. A questa<br />

posizione si arriva però — questo è il nodo fondamentale — approfondendo<br />

il concetto <strong>di</strong> ente mosso. Hegel ricorda più avanti, a<br />

proposito della sensazione nell’anima, il mutamento epì tèn physin,<br />

che comporta soteria del dynamei ontos, <strong>di</strong>stinto nel De Anima (II, 5,<br />

417 b 2 ss.) rispetto a quel mutamento verso le con<strong>di</strong>zioni privative<br />

che comporta <strong>di</strong>struzione <strong>di</strong> qualcosa me<strong>di</strong>ante il suo contrario.<br />

Attraverso questa <strong>di</strong>stinzione Hegel pone nell’anima l’«unità <strong>di</strong><br />

passività e attività» (GPh II, p. 205), per cui il lato della passività<br />

rientra comunque «nel possesso dell’anima». E tuttavia, in quanto<br />

unifica momenti per altro <strong>di</strong>stinti, questa sostanza, secondo Hegel,<br />

«ha ancora bisogno <strong>di</strong> materia»: solo nell’attività del togliere il presupposto<br />

«l’anima è essenzialmente entelechia, logos, - determinare<br />

universale che pone e muove se stesso» (GPh II, p. 158). Ora, in verità,<br />

la materia è soltanto l’in-sé, secondo il modo <strong>hegel</strong>iano <strong>di</strong><br />

esprimersi: essa è il contenuto che «rimane lo stesso», ossia che, negato<br />

nella sua sussistenza, è posto come “momento” dell’autodeterminarsi<br />

dello scopo, è posto come “in sé” <strong>di</strong> esso. Proprio nel togliere<br />

in sé l’esteriorità dei momenti, l’anima come atto mantiene<br />

un rapporto negativo all’esteriorità dei momenti che toglie, e in<br />

questo modo negativo “l’intelletto ha ancora bisogno della materia,<br />

con la quale non è identico - essa è presupposta”. Questi temi sono<br />

ripresi da Hegel più avanti a proposito della sensazione e dello<br />

stesso intelletto in quanto è pur sempre in relazione con intuizione,<br />

immagine, rappresentazione, come del resto <strong>di</strong>ce Aristotele in De<br />

Anima, III, 7 e 8.<br />

Resta così dunque, agli occhi <strong>di</strong> Hegel, una connessione tra la<br />

prima e la seconda sostanza in quanto entrambe articolano il concetto<br />

<strong>di</strong> sostanza mossa: una connessione che ricorda quella tra na-


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

229<br />

tura e spirito finito in alcuni punti dell’Enciclope<strong>di</strong>a ( 22 ). Questa connessione<br />

si sviluppa sotto un duplice aspetto: a) la continuità tra<br />

sostanza come sinolo, sostanza come natura che si muove verso sé<br />

secondo il principio fondante dello scopo, e sostanza come vivente<br />

(autoriferita) che porta con sé l’ipotesi necessaria <strong>di</strong> un nuovo tipo<br />

<strong>di</strong> ousìa, l’intelletto; b) la necessità, comune ai due tipi <strong>di</strong> sostanza,<br />

del presupposto materiale, cioè dell’esclusione comunque <strong>di</strong> qualcosa<br />

nel pervenire a sé dell’atto. Ciò determina la necessità <strong>di</strong> concepire<br />

in forma privativa la sostanza mossa, così come il concetto<br />

<strong>di</strong> movimento quale atto imperfetto, sicché la ricerca risulta guidata<br />

verso mete ulteriori dal principio <strong>di</strong> una compiutezza della sostanza<br />

(che per Hegel investe anche il concetto <strong>di</strong> movimento).<br />

Da una parte Hegel dà rilievo a una sorta <strong>di</strong> crescita testuale<br />

della determinazione <strong>di</strong> sostanza sensibile in Aristotele, appoggiandosi<br />

al fatto che già nel concetto <strong>di</strong> natura viene in luce un<br />

autoriferimento dell’atto e della forma tale da situare in certo modo<br />

la sostanza in una determinazione immateriale (áneu hyles). Lo stesso<br />

sinolo, peraltro, che pur scaturisce dalla necessità <strong>di</strong> riba<strong>di</strong>re il<br />

ra<strong>di</strong>camento materiale della sostanza, fa del sostanziale come intero<br />

unitario qualcosa <strong>di</strong> irriducibile ai componenti e tale da non costituire<br />

un elemento: in questo suo <strong>di</strong>stinguersi esso è stato detto<br />

da Aristotele, alla fine del VII libro (17, 1041 b 25), causa. Si tratta<br />

dello stesso contesto in cui si <strong>di</strong>ce che la natura è sostanza, proprio<br />

in quanto non è elemento ma principio, a partire dal quale si determina<br />

l’essere della cosa.<br />

Aristotele dà un grande rilievo al carattere unificante del<br />

principio come telos e non come elemento. Nella prosecuzione del<br />

XII libro, con i capitoli 4° e 5° (all’inizio del quale, come si è detto,<br />

anima e corpo vengono posti quali principi unificanti della sostanza,<br />

aventi lo stesso rapporto <strong>di</strong> atto e potenza) lo Stagirita sviluppa<br />

un’argomentazione che ha il compito <strong>di</strong> spingere il <strong>di</strong>scorso verso<br />

( 22 ) Cfr. ad esempio G.W.F. HEGEL, Enzyklopä<strong>di</strong>e der philosophischen<br />

Wissenschaften, in Werke, cit., 8, § 83 Zus.


230 HEGEL E ARISTOTELE<br />

principi che siano «gli stessi per tutte le cose» (1070 a 32-3), e verso<br />

un principio unificante «che tutto muove» (1070 b 35). Ciò che unifica<br />

non può essere inteso semplicemente come elemento, perché<br />

come tale sarebbe incapace <strong>di</strong> spiegare la <strong>di</strong>versità. L’unificazione è<br />

cercata perciò dal punto <strong>di</strong> vista relazionale dell’analogia, cioè dal<br />

punto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> un’unità <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenti. In questo punto <strong>di</strong> vista<br />

rientra il concetto <strong>di</strong> sostanza nel senso <strong>di</strong> ciò che muove come termine<br />

finale e che è in atto un qualcosa <strong>di</strong> determinato. Come tale<br />

essa è il termine in cui si raccoglie un processo, e unifica alla maniera<br />

in cui è unificante la relazione potenza-atto che ha nell’atto il<br />

suo termine primo. Sostanza e atto sono principi allo stesso modo,<br />

e proprio questo legame introduce alla «causa prima <strong>di</strong> tutto». Se<br />

all’inizio la materia sembra avere un ruolo <strong>di</strong> primo piano per la<br />

<strong>di</strong>stinzione delle sostanze — materia corruttibile o incorruttibile da<br />

un lato, assenza <strong>di</strong> materia dall’altro — lo stesso concetto-guida <strong>di</strong><br />

movimento comporta progressivamente un ruolo sempre più decisivo<br />

dell’atto e con esso del fine come termine in cui si raccoglie e<br />

giunge al più proprio essere il processo.<br />

Ora, su questa base già in Aristotele assumono una posizione<br />

rilevante il vivente e l’anima. L’anima infatti è ousia katà ton logon<br />

(Met, VII, 10, 1035 b 13 e De An, II, 1, 412 b 10-11), «sostanza nel<br />

senso <strong>di</strong> forma» (tr. Movia), o, secondo la traduzione <strong>di</strong> Hegel, «sostanza<br />

solo secondo il concetto» (GPh II, p. 201. Hegel aggiunge il<br />

“solo”). Essa in certo modo rientra nella seconda definizione <strong>di</strong> sostanza,<br />

quella che designa l’ousia come forma o come essenza, e che<br />

nel capitolo 3° del XII libro è in<strong>di</strong>cata, come si è detto, quale physis.<br />

Ma poiché l’anima è «atto <strong>di</strong> un corpo che ha la vita in potenza»,<br />

nel momento in cui essa si rapporta in quanto “sinolo vivente” alle<br />

parti del corpo, si rapporta non a tali parti in quanto materia, ma in<br />

quanto potenziale organismo vivente (separate dal quale le parti<br />

materiali — il <strong>di</strong>to o l’occhio, secondo gli esempi aristotelici — <strong>di</strong>versamente<br />

da quanto accade alla scure non sarebbero più le stesse).<br />

L’anima forma un “sinolo vivente” non con gli elementi materiali<br />

in quanto tali, ma in quanto costituiscono potenzialmente un


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

231<br />

organismo, in quanto cioè hanno la vita in potenza. La materia dell’anima<br />

è in certo modo la vita stessa, e così l’anima, nel rapportarsi<br />

ad altro, si rapporta a se stessa, cioè alla forma come causa dell’unità<br />

<strong>degli</strong> elementi naturali. Cosa che Hegel, commentando il passo<br />

del De Anima, spiega così: «la forma, il concetto è qui l’essere stesso,<br />

questa sostanza stessa»; invece, «la scure non ha il principio<br />

della sua forma in se stessa, non si fa tale da se stessa; o la sua forma,<br />

il suo concetto non è la sua sostanza stessa — essa non è attiva<br />

me<strong>di</strong>ante se stessa».<br />

Come si è visto, questo non comporta però nella trattazione<br />

aristotelica del XII libro una <strong>di</strong>stinzione che separi il destino del vivente<br />

da quello della sostanza sensibile, eccezion fatta per l’accenno<br />

incidentale al nous. E ciò perché l’anima resta una parte del composto<br />

vivente, e come tale principio unificante <strong>di</strong> altro e come altro.<br />

Ne viene che essa resta soggetta a movimento almeno nel senso<br />

della generazione e della corruzione, e in generale nel senso che<br />

soggetto a movimento è l’in<strong>di</strong>viduo che essa informa. E tuttavia<br />

essa articola dentro sé un’ambivalenza e un passaggio che provocano<br />

come una necessità la parentesi del capitolo 3° sul nous. Da una<br />

parte infatti l’anima rappresenta in modo insostituibile il concetto <strong>di</strong><br />

sostanza come physis (principio unificante in quanto via verso se<br />

stessa) o come causa formale, cioè come “causa” dell’unità e della<br />

<strong>di</strong>fferenza specifica dell’ente. L’anima infatti è legata con il corpo<br />

(esiste metà somatos, De An, I, 1, 403 a 15) non al modo della retta o<br />

del cerchio nel bronzo: il suo ra<strong>di</strong>camento sensibile è invece l’organismo<br />

come un tutto vitale (come la stessa physis secondo il suo<br />

concetto). Il ra<strong>di</strong>camento è posto in qualcosa che non è <strong>di</strong> per sé<br />

alcuno <strong>degli</strong> elementi corporei, ma solo il loro stare in un processo<br />

unitario (questo è un primo senso in cui si può intendere l’espressione<br />

<strong>hegel</strong>iana secondo la quale nel secondo tipo <strong>di</strong> sostanza «la<br />

figura sensibile è solo il mutamento»).<br />

Tuttavia proprio la peculiarità del carattere sensibile del vivente<br />

chiama in causa la possibilità <strong>di</strong> un’opera propria (i<strong>di</strong>on<br />

ergon) dell’anima, cioè della esistenza separata dell’anima stessa.


232 HEGEL E ARISTOTELE<br />

L’unità <strong>di</strong> anima e corpo implica infatti un’attività dell’anima (un<br />

tipo <strong>di</strong> anima) in cui il passaggio ad atto non comporti per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong><br />

ciò che si era né allontanamento (ekstasis, De An, I, 3, 406 b 13) dalla<br />

propria sostanza, non comporti kinesis, ma quiete e stasi (407 a 32-<br />

3): una con<strong>di</strong>zione in cui l’anima porti ad atto, eserciti, se stessa.<br />

Aristotele apre lo spazio <strong>di</strong> possibilità concettuale per questa esistenza<br />

separata quando definisce come “primo” l’atto che è proprio<br />

dell’anima: «atto poi si <strong>di</strong>ce in due sensi, o come la conoscenza<br />

(ejpisthvmh) o come l’esercizio <strong>di</strong> essa (to; qewrei`n), ed è chiaro che<br />

l’anima è atto nel senso in cui lo è la conoscenza. Difatti l’esistenza<br />

sia del sonno che della veglia implica quella dell’anima. Ora la veglia<br />

è analoga all’uso della conoscenza, mentre il sonno al suo possesso<br />

(e[cein) e non all’uso (ejnergei`n), e primo nell’or<strong>di</strong>ne del <strong>di</strong>venire<br />

rispetto al medesimo in<strong>di</strong>viduo è il possesso della conoscenza»<br />

(De An, II, 1, 412 a 22-27). Si apre in questa definizione la possibilità<br />

che l’anima porti ad atto non altro ma se stessa.<br />

Questa implicazione <strong>di</strong> un’esistenza separata dell’anima, che<br />

comporta senza dubbio un appoggio al De Anima per l’interpretazione<br />

dell’impianto del XII libro ( 23 ), è spiegata da Hegel come un<br />

«duplice modo <strong>di</strong> trattazione» (GPh II, p. 199) dell’anima, che può<br />

essere vista o come «pensiero o concetto materializzato (logoi<br />

enyloi)» (il riferimento è a De An, I, 1, 403 a 25), nel senso dei «mo<strong>di</strong><br />

materiali dello spirituale», o come separata («nella sua libertà», secondo<br />

l’espressione <strong>di</strong> Hegel che pone dunque in essa l’«esistenza<br />

dello spirito»): come physis o come logos, ovvero, in termini <strong>hegel</strong>iani,<br />

all’interno della natura o dello spirito. Hegel vede dunque in<br />

questa sostanza un tipo <strong>di</strong> raccordo privilegiato per l’accesso alla<br />

sostanza immobile: un filo che connette la comprensione dell’ente<br />

sensibile, della natura, con una realtà posta in Aristotele al <strong>di</strong> là<br />

(parà), ma in certo modo perciò anche, senza ulteriori chiarimenti<br />

concettuali, “accanto” alla physis .<br />

( 23 ) In proposito cfr. A. FERRARIN, Hegel interprete <strong>di</strong> Aristotele, ETS, Pisa<br />

1990, p. 40 ss.


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

233<br />

Come organismo vivente l’anima è infatti quell’organizzazione<br />

unificante <strong>degli</strong> elementi materiali (quell’“universale”) che esiste<br />

sempre in altro e che si comporta negativamente verso quest’altro.<br />

Non è nel sinolo vivente ed è in lotta con l’in<strong>di</strong>viduo sensibile, dal<br />

quale si separa per conservarsi nella sua universalità: «nella natura<br />

... l’universalità viene a manifestazione solo in questo modo negativo,<br />

che la soggettività è tolta in essa» (Enz, § 375 Zus). E ciò implica<br />

per Hegel la separabilità dell’anima dal corpo, ossia la morte dell’in<strong>di</strong>viduo<br />

e la vittoria della specie su <strong>di</strong> esso. Ma l’anima è anche<br />

«l’universale immaterialità della natura» (Enz, § 389) - cioè la natura<br />

come unità, come «via verso se stessa» che non è alcuno <strong>degli</strong><br />

elementi materiali. Come tale la natura esiste per un verso sempre<br />

in altro e come altro. Ma nell’anima (razionale) questa relazione a<br />

sé trova un’esistenza o un’“opera” sua, e può essere riguardata<br />

come il nous passivo, il sonno o il semplice possesso, senza esercizio,<br />

della conoscenza; quel «nous passivo <strong>di</strong> Aristotele che, sotto<br />

l’aspetto della possibilità, è tutto» (ibid.). L’anima si porta ad atto<br />

come tale, cioè è «l’universale che si espone (darstellt) come universale»<br />

(Enz, § 375 Zus), cioè che esiste come pensiero, è inseparabile<br />

dalla propria realtà e come tale è immortale.<br />

6. Il percorso <strong>hegel</strong>iano (che mette in opera il passaggio dalla natura<br />

allo spirito) orienta il concetto guida del movimento in una <strong>di</strong>rezione<br />

<strong>di</strong> sviluppo quanto meno sommersa nel testo aristotelico.<br />

Aristotele sorvola infatti sull’anima separata e dà un peso rilevante<br />

al movimento eterno delle sostanze incorruttibili sopralunari ( 24 ).<br />

Attraverso la gerarchia <strong>di</strong> movimenti e <strong>di</strong> sostanze ad essi relativi<br />

( 24 ) Cfr. però quanto affermato in GLOY, op. cit., p. 537: “la ... stratificazione<br />

<strong>di</strong> conoscenza oggettiva, autoconoscenza umana e autoconoscenza <strong>di</strong>vina forma<br />

l’esatto analogo del sistema ontologico delle sostanze: le sostanze mutevoli<br />

eterorelative, la sostanza eternamente autoriferita e l’autorelazione trascendente<br />

eterna, che rappresenta in assoluto la sostanzialità”.


234 HEGEL E ARISTOTELE<br />

che così si genera, egli produce una sorta <strong>di</strong> prova cosmologica che<br />

va dal mosso all’immobile quale presupposto necessario e trascendente<br />

del movimento stesso. Questa posizione trascendente del<br />

Dio aristotelico pare scomparire nell’interpretazione <strong>hegel</strong>iana. Il<br />

passaggio alla terza sostanza, quella immobile, è fatto perciò da<br />

Hegel in termini che sembrano sconvolgere a fondo l’assetto<br />

aristotelico. Già Michelet in una nota alla seconda e<strong>di</strong>zione delle<br />

Vorlesungen aveva fatto osservare nell’interpretazione <strong>hegel</strong>iana del<br />

primo cielo un frainten<strong>di</strong>mento della versione più accre<strong>di</strong>tata del<br />

testo aristotelico ( 25 ). Questo “errore” favorirebbe la confusione<br />

<strong>hegel</strong>iana tra primo motore e primo cielo, e cioè una traduzione<br />

immanentistica della teologia aristotelica. La traduzione <strong>hegel</strong>iana<br />

desume infatti l’“immoto” come me<strong>di</strong>o tra mosso e motore (estremi<br />

entrambi presenti nel primo cielo) e lo interpreta come movimento<br />

autorelazionale, come «circolo della ragione ritornante in se stessa»<br />

(GPh II, p. 161): «poiché lo sferico ‘è motore e mosso, vi è un me<strong>di</strong>o<br />

che muove ed è immobile’». Il testo più accre<strong>di</strong>tato sviluppa invece<br />

una serie gerarchica in cui il cielo è il me<strong>di</strong>o (motore e mosso) che<br />

impone il passaggio all’altro estremo, che è il motore immobile (sostanza<br />

estranea alla mobilità e trascendente). Certo tutto ciò non<br />

spiega come in Aristotele si passi dal motore immobile al pensiero<br />

<strong>di</strong> pensiero. Una soluzione, troppo facile, mi sembra, sarebbe quella<br />

<strong>di</strong> limitare l’argomentazione epistemica <strong>di</strong> Aristotele alla prova<br />

‘cosmologica’ e <strong>di</strong> considerare una trattazione metaforica tutto ciò<br />

che riguarda la connotazione del Primo motore ( 26 ). Tuttavia è im-<br />

( 25 ) Cfr. G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, a cura <strong>di</strong> E. Co<strong>di</strong>gnola<br />

e G. Sanna, La Nuova Italia, Firenze 1932, vol. II, p. 305. L’errore <strong>hegel</strong>iano<br />

è <strong>di</strong>scusso e confutato anche in E. CORETH, Das <strong>di</strong>alektische Sein in Hegels Logik,<br />

Herder, Wien 1952, p. 154 e P. AUBENQUE, Hegel et Aristote, in Hegel et la pensée<br />

grecque, a cura <strong>di</strong> J. D’Hondt, PUF, Paris 1974, p. 106. In realtà anche qui Hegel,<br />

come nell’altro passo famoso del capitolo 7° giu<strong>di</strong>cato “frainteso”, traduce correttamente<br />

l’e<strong>di</strong>zione erasmiana (cfr. A. FERRARIN, op. cit., pp. 44-45).<br />

( 26 ) Di un sopravvalutazione della “metafora della vita” parla P. AUBENQUE,<br />

Hegel et Aristote, cit., pp. 106-8. Del resto lo stesso Aristotele definisce come “meta-


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

235<br />

portante innanzitutto osservare che anche con questa limitazione<br />

non si può comprendere la posizione aristotelica <strong>di</strong> un motore trascendente<br />

senza un mutamento ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong> prospettiva nel concetto<br />

<strong>di</strong> agente.<br />

Aristotele fa leva sul movimento eterno e ingenerato (<strong>di</strong> cui<br />

si parla anche in Phys, VIII), un movimento continuo “locale” e “in<br />

circolo”, come presupposto necessario primo per cui si <strong>di</strong>a generazione<br />

e ogni movimento, a sua volta attributo <strong>di</strong> sostanze ingenerate<br />

e incorruttibili, che dovremmo postulare anche se non le avessimo<br />

mai viste (cfr. Met, VII, 16, 1040 b 34 ss.) per la stessa continuità<br />

della natura. Da queste come termine me<strong>di</strong>o ( 27 ), manifesto non<br />

solo «nella ragione pensante» ma anche esistente «realiter nella natura<br />

visibile», secondo il modo in cui Hegel traduce rispettivamente<br />

logo e ergo del 1072 a 22 (GPh II, p. 160), si passa a una sostanza<br />

necessariamente immobile: le sostanze interme<strong>di</strong>e (il primo cielo e<br />

in subor<strong>di</strong>ne l’intero mondo sopralunare) muovono ogni altra cosa<br />

perché sono caratterizzate da un movimento eterno, che nessun altro<br />

dunque ne presuppone e che da ogni altro movimento è presupposto.<br />

Con il loro movimento eterno queste sostanze hanno già<br />

sempre cominciato ad essere, e così sostengono la continuità<br />

imperitura del movimento, l’incessante cammino verso altro.<br />

In questo senso, ma solo in questo senso esse sono anche con<strong>di</strong>zione<br />

del proprio stesso muoversi. Per Aristotele, infatti, dovendo<br />

decidere il principio del movimento tra ciò che è mosso da altro<br />

e ciò che è mosso da se stesso, si deve optare per quest’ultimo<br />

(Phys, VIII, 5, 257 a 27 ss. e 256 a 20-1). Tuttavia la sostanza eterna-<br />

fora” l’agire del fine in De generatione et corruptione (= GC), I, 7, 324 b 13-15. Si ricor<strong>di</strong><br />

però che Aristotele ha già identificato “sotto un certo aspetto” (1070 b 32)<br />

forma e agente, e in Phys II, 7, 198 a 35 ss., parla del fine ultimo, l’«assolutamente<br />

immobile», come <strong>di</strong> uno dei due principi del movimento naturale, principio che<br />

muove ma «non ha in sé il principio del movimento».<br />

( 27 ) Il termine me<strong>di</strong>o resta implicito nel capitolo 6°, ma è esplicitato al<br />

1072 a 22 ss.; cfr. lo stesso ragionamento in Phys, VIII, 5, 256 b 14 ss.


236 HEGEL E ARISTOTELE<br />

mente mossa, che sostiene il movimento eterno (dal momento che<br />

il movimento è sempre nelle cose, e riguarda la sostanza o una delle<br />

altre categorie), presuppone a sua volta il movimento, né si può<br />

pensare “prima” <strong>di</strong> esso, dal momento che può essere altrimenti<br />

(allos). Così, in quanto eternamente mosso, il primo cielo muove se<br />

stesso, ma in quanto è esso stesso “in” moto, non può sostenere a<br />

partire da sé il movimento. Proprio e anzi solo all’interno <strong>di</strong> un tale<br />

automovimento <strong>di</strong>viene stringente il primato <strong>di</strong> un estremo immobile.<br />

Il primo cielo muove in quanto è già sempre in moto (in atto<br />

‘imperfetto’) ed è così costantemente e circolarmente prima <strong>di</strong> sé e<br />

causa <strong>di</strong> sé. Esso così muove e insieme è mosso nel senso in certo<br />

modo unico ( 28 ) per cui costituisce l’estremo limite della causa efficiente,<br />

oltre il quale non si può rimanere nell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> questa causa.<br />

La trascendenza della causa finale <strong>di</strong>pende da un ra<strong>di</strong>cale<br />

spostamento concettuale rispetto alla serie naturale. Il primo mobile<br />

con<strong>di</strong>vide infatti con tutti gli esseri sensibili un poter essere altrimenti<br />

(almeno secondo il luogo) (Met, XII, 7, 1072 b 4 ss.) e con ciò<br />

un residuo <strong>di</strong>fetto <strong>di</strong> sussistenza, una <strong>di</strong>pendenza dalla possibilità<br />

e dal non essere (sotto un certo riguardo). Con ciò è mosso da un<br />

ra<strong>di</strong>calmente ‘altro’ rispetto a tutto ciò che è sensibile. Qualcosa che<br />

restando altro dal moto determina l’eternità e la circolarità del<br />

moto, e con esse l’intera natura: «da un tale principio <strong>di</strong>pende<br />

(h[rtetai) il cielo e la natura» (1072 b 13-14). Esso è causa del movimento<br />

nel senso che lo sostiene e lo costituisce nella relazione a sé,<br />

lo destina a sé fin da principio. Secondo il modo in cui Hegel definisce<br />

il rapporto tra lo spirito e la natura, «come scopo della natura<br />

( 28 ) Gloy fa notare come in realtà ogni ente che si trova in movimento è per<br />

un verso mosso e per altro motore, e solo l’insieme della natura è per così <strong>di</strong>re insieme<br />

mosso e motore. Aristotele potrebbe scegliere la via platonica dell’automovimento,<br />

ma se ne <strong>di</strong>stacca perché postula come necessaria una sostanza scevra <strong>di</strong><br />

materia, e dunque trascendente l’or<strong>di</strong>ne della physis (op. cit., pp. 528 ss.). Cfr. anche<br />

E. RUDOLPH, Zeit und Gott bei Aristoteles aus der Perspektive der protestantischen<br />

Wirkungsgeschichte, Klett-Cotta, Stuttgart 1986, pp. 91 ss.


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

237<br />

esso [lo spirito] è ... prima <strong>di</strong> essa, essa è proceduta da lui, però non<br />

empiricamente, ma in modo tale che lo spirito, che la presuppone a<br />

sé, è già sempre contenuto in essa» (Enz, § 376 Zus).<br />

Ora, proprio in modo simile a questo muove l’anima. I “viventi”<br />

e gli “animati” muovono se stessi nel senso peculiare per cui<br />

per esempio muovono dopo essere stati immobili, pur essendo per<br />

altri aspetti mossi da agenti esterni, come per esempio nel caso dell’alimentazione<br />

(cfr. Phys, VIII, 6, 259 b 1 ss.). L’anima resta in essi<br />

causa immobile del movimento, anche se essi muovono accidentalmente<br />

se stessi (qui si cita l’esempio dell’anima che si muove <strong>di</strong><br />

movimento locale insieme al corpo, ma con riferimento al De Anima,<br />

possiamo parlare <strong>di</strong> una passività dell’anima in cui essa <strong>di</strong>pende<br />

dal corpo pur restando ad un tempo in relazione a se stessa).<br />

Questa mobilità accidentale, peraltro, rende l’anima <strong>di</strong>versa sostanzialmente<br />

dal primo motore immobile, che deve muovere <strong>di</strong><br />

moto continuo, cioè deve sostenere il movimento esclusivamente<br />

da se stesso. Solo ciò che è immobile, cioè del tutto non suscitato da<br />

altro, può muovere in prima istanza: e in proposito, anche nel contesto<br />

<strong>di</strong> Fisica, VIII, Aristotele cita il nous impassibile e non mescolato<br />

<strong>di</strong> Anassagora come una sostanza che muove in questo modo.<br />

Proprio la via cosmologica apre così la strada a un ra<strong>di</strong>cale<br />

mutamento <strong>di</strong> prospettiva sul rapporto tra movimento, atto e sostanza.<br />

Cosa che Hegel non manca <strong>di</strong> enfatizzare, vedendo nel<br />

principio finale quel movimento (proprio della prova ontologica)<br />

che consiste nel passare dal pensiero all’essere: «il concetto,<br />

principium cognoscen<strong>di</strong>, è anche il movente, principium essen<strong>di</strong>; egli<br />

[Aristotele] lo enuncia come Dio e ne mostra la relazione alla singola<br />

coscienza» (GPh II, p. 162). Quanto poi al frainten<strong>di</strong>mento del<br />

posto del primo cielo, la lettura erasmiana non conduce comunque<br />

Hegel a una confusione <strong>di</strong> primo cielo e primo motore immobile:<br />

Hegel chiama il primo cielo l’«eterno visibile» (GPh II, p. 162), che<br />

insieme con la “ragione pensante” costituisce «i due mo<strong>di</strong> dell’esposizione<br />

dell’assoluto» (GPh II, p. 160), ma lo <strong>di</strong>stingue dal


238 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Sichselbstgleichbleibende, dal principio che «muove e rimane in relazione<br />

a sé» (GPh II, p. 161), il quale non è più oggetto <strong>di</strong> filosofia<br />

della natura, perché ha a che fare con l’essere proprio del pensiero.<br />

Anche quando Hegel più avanti (GPh II, p. 167) pone il cielo come<br />

«immobile che muove», attribuendo dunque erroneamente al «<strong>di</strong>o<br />

visibile» quanto nel testo aristotelico riguarda invece la sostanza<br />

soprasensibile, considera però caratteristico <strong>di</strong> questo livello il separarsi<br />

<strong>di</strong> movente e mosso e quin<strong>di</strong> l’entrata in questione <strong>di</strong> una<br />

causalità efficiente con l’apparire <strong>di</strong> un primo ed eterno movimento.<br />

Peraltro il riconoscimento <strong>di</strong> una prossimità a proposito del rivolgimento<br />

connesso con il passaggio dalla natura allo spirito non<br />

impe<strong>di</strong>sce a Hegel, come ricordavamo, <strong>di</strong> mantenere la consapevolezza<br />

della propria intromissione interpretativa: «che il pensiero ...<br />

sia ... lo <strong>di</strong>ciamo noi».<br />

Già nell’argomentazione aristotelica circa l’immobilità del<br />

primo motore si aprono spunti per articolare il troppo brusco passaggio<br />

dal motore immobile al pensiero <strong>di</strong> pensiero. E qui è <strong>di</strong>fficile<br />

non ritrovarsi a fare almeno un po’ <strong>di</strong> strada con Hegel. Il quale<br />

sostiene che il muoversi da sé, concetto senza il quale non compren<strong>di</strong>amo<br />

neanche gli enti fisici, <strong>di</strong>stingue a partire dall’atto ciò<br />

che è determinato come potenza: e ciò significa che mentre si rapporta<br />

alla potenza l’atto si rapporta a se stesso, ovvero è concepibile<br />

solo come autodeterminarsi. Nel primato dell’atto Hegel riconosce<br />

la propria filosofia: «il vero essere, degno <strong>di</strong> questo nome, lo ha<br />

l’entelechia; l’identità è da concepire solo come questa entelechia —<br />

è la nostra idea» (GPh II, p. 201). E proprio su questo primato innesta<br />

la connessione tra il tema del movimento e l’«autodeterminarsi<br />

dell’idea», che <strong>di</strong>stingue peraltro da una posizione <strong>di</strong> mero idealismo<br />

soggettivo: «altra è la cosa», leggiamo infatti a precisazione <strong>di</strong><br />

quella formula che vale come concetto <strong>di</strong> autorelazionalità del pensiero,<br />

«in quanto io esisto come singolo soggetto, o l’idea esiste in<br />

me come questo singolo in<strong>di</strong>viduo; qui c’è finitezza, punto <strong>di</strong> vista<br />

della passività» (GPh II, p. 206).


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

239<br />

7. Il punto decisivo è dunque questo: per Hegel l’atto puro “scevro<br />

<strong>di</strong> materia” va pensato necessariamente come pensiero <strong>di</strong> pensiero.<br />

Secondo Hegel infatti questa formula esprime il senso fondamentale<br />

dell’atto che governa anche la concezione dell’ente mosso. Quest’ultimo<br />

non può essere concepito senza l’immobile che muove,<br />

nel senso che in esso il permanere dà forma anche al mutare: e ciò<br />

si coglie già nel fatto che nella definizione del movimento è chiamato<br />

in causa il riferimento all’immobilità. L’eternità del movimento<br />

suppone sostanze eternamente mosse, ma queste a loro volta<br />

presuppongono non solo una sostanza eternamente in atto, ma “un<br />

principio siffatto la cui sostanza sia l’atto” (Met, XII, 6, 1071 b 20). A<br />

questo punto — e solo a questo punto — l’atto non è più in relazione<br />

ad altro, non pone in opera altro. Ciò porta Aristotele ad<strong>di</strong>rittura<br />

ad ammettere per un verso una certa plausibilità della tesi (per<br />

esempio platonica) della coincidenza tra attività (energeia) eterna e<br />

movimento (kinesis) eterno (1071 b 32-33). Ma lo Stagirita rende<br />

evidente per altro verso che chi sostiene questa tesi non può spiegare<br />

in che modo il movimento sia e che cosa sia: non basta infatti<br />

affermare che il principio è “ciò che muove se stesso”, se poi quella<br />

che si definisce così, cioè l’anima, è considerata come posteriore al<br />

movimento, come mossa.<br />

Occorre invece ripensare il movimento a partire dall’atto, ovvero<br />

pensare l’atto stesso come fondamento della connessione tra<br />

potenza e atto che istituisce il movimento. La relazione aristotelica<br />

tra potenza e atto non può essere compresa se non si concepisce<br />

l’atto anche in posizione asimmetrica, sicché solo a partire da sé<br />

esso <strong>di</strong>schiude la <strong>di</strong>stanza dei due termini. E questo impone un<br />

mutamento <strong>di</strong> prospettiva rispetto alla sostanza sensibile e mossa.<br />

Impone <strong>di</strong> pensare una sostanza in cui l’atto non porti a compimento<br />

una materia, o, come <strong>di</strong>ce Hegel, non sia «solo attività formale<br />

il cui contenuto giunga da qualche altra parte» (GPh II, p.<br />

159). Certo, osserva Hegel, anche qui Aristotele come altrove si limita<br />

a negare un pre<strong>di</strong>cato (il primo motore è “senza materia”), ma


240 HEGEL E ARISTOTELE<br />

non <strong>di</strong>ce qual è la sua verità; cioè non spiega come nel porre l’atto<br />

quale escludente da sé la relazione ad altro, la negazione trasforma<br />

anche il modo in cui l’altro, qui la materia, va pensato (come nelle<br />

prove dell’esistenza <strong>di</strong> Dio che partono dall’essere, e che secondo<br />

Hegel negano nel punto <strong>di</strong> arrivo la sussistenza autonoma <strong>di</strong> ciò<br />

che avevano preso come punto d’appoggio iniziale per la prova).<br />

La materia, che era il momento dell’essenza immota, è ora momento<br />

ra<strong>di</strong>calmente subor<strong>di</strong>nato dell’universale, poiché ora «l’essenza<br />

prima assoluta è ciò che rimane sempre uguale a sé in eguale attività<br />

(Wirksamkeit)» (GPh II, p. 160).<br />

Hegel sfrutta fino in fondo quello che considera un ribaltamento<br />

(Umschlag, GPh II, p. 162) necessario, e cioè il punto in cui ciò<br />

che è posto a principio della serie delle sostanze determina a partire<br />

da sé la propria posizione <strong>di</strong> principio che tutto muove. Questo carattere<br />

relazionale dell’atto determina un tratto essenziale a partire dal<br />

quale il movimento è suscitato, e configura l’arché in senso primario<br />

come telos. Un principio “cinetico e poietico” non può essere in<br />

ultima istanza se non una sostanza la quale già sempre sia. Ma una<br />

tale sostanza rimane d’altra parte una “vuota astrazione” (e qui, secondo<br />

Hegel, il punto <strong>di</strong> essenziale <strong>di</strong>vergenza da Platone) «se non<br />

è presente in essa un principio capace <strong>di</strong> muovere (dunamevnh ajrch;<br />

metabavllein)» (1071 b 15-16). Qui sembra effettivamente leggibile<br />

in Aristotele una partenza “<strong>di</strong>alettica” dall’assunzione <strong>di</strong> una potenza<br />

dentro l’atto stesso, ovvero da una posizione <strong>di</strong> automovimento<br />

che è «<strong>di</strong> gran<strong>di</strong>ssima importanza» (1071 b 37) <strong>di</strong>stinguere nel suo<br />

carattere <strong>di</strong> principio (se sia “natura”, “forza”, “intelletto” o altro), secondo<br />

l’espressione usata in questo contesto da Aristotele. Occorre<br />

infatti pensare un atto che impianti una relazione senza muoversi.<br />

Hegel traduce questa capacità <strong>di</strong> muovere in un “muoversi<br />

(Sichbewegen)”, così come subito dopo traduce energeia con Bewegung<br />

(GPh II, p. 159) ( 29 ), mentre poco prima ha spiegato l’atto puro<br />

( 29 ) Cfr. FERRARIN, op. cit., p. 43.


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

241<br />

con queste parole: «è la sostanza che nella sua possibilità ha anche<br />

la realtà, la cui essenza (potentia) è essa stessa atto, dove l’uno e l’altro<br />

non sono separati; in essa la possibilità non è <strong>di</strong>fferente dalla<br />

forma, è questa che produce il suo contenuto, le sue determinazioni<br />

stesse, se stessa». Una tale interpretazione appare subito avviluppata<br />

in frainten<strong>di</strong>menti decisivi: a) il primo motore immobile è<br />

definito come unità <strong>di</strong> potenza e atto; b) l’atto puro è pensato come<br />

movimento che ha come materia la propria essenza. Tuttavia Hegel<br />

intende in questo contesto la potenza come il modo <strong>di</strong> essere della<br />

relazione ad altro tale da restare dentro l’atto stesso quale suo tratto<br />

“essenziale”. L’atto è, in quanto tale, possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza, ossia la<br />

<strong>di</strong>fferenza è un modo d’essere che va ricondotto all’atto e a quella<br />

sostanza che coincide con l’atto. In questo modo non viene persa <strong>di</strong><br />

vista la prospettiva dell’immobilità e dell’in<strong>di</strong>visibilità dell’atto.<br />

L’atto non viene ricondotto al movimento: non l’essenza dell’atto è<br />

movimento, ma l’essenza del movimento è atto, e solo a partire da<br />

questo i termini si possono convertire.<br />

Il punto <strong>di</strong> approdo dell’immobilità dell’atto è il passaggio<br />

obbligato per quello che nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel si presenta<br />

come Umschlag. Il motore immobile e senza materia non può essere<br />

pensato come <strong>di</strong>stinto da altro. Lo possiamo pensare <strong>di</strong>stinto soltanto<br />

in base a sé. Così Hegel interpreta la definizione aristotelica<br />

che sembra per un verso collocare il primo motore semplicemente<br />

accanto a quelle sostanze la cui essenza è solo potenza rispetto al<br />

qualcosa realizzato. E poiché il primo motore è <strong>di</strong>stinto (altro) solo<br />

rispetto a se stesso esso resta dunque in<strong>di</strong>visibile, uguale a se stesso.<br />

Solo in questo senso l’essenza dell’atto è espressa da Hegel<br />

come movimento, intendendo l’essenza del movimento come il <strong>di</strong>venire<br />

sé. Ciò che Hegel intende fissare «con determinazioni moderne»<br />

(GPh II, p. 161) è un’immobilità non confon<strong>di</strong>bile con<br />

l’immota natura criticata nelle idee platoniche. In questa <strong>di</strong>stinzione<br />

all’atto puro viene attribuito un senso speciale del concetto <strong>di</strong><br />

movimento, quello proprio del pensiero, che <strong>di</strong>viene con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>


242 HEGEL E ARISTOTELE<br />

possibilità per ogni forma <strong>di</strong> movimento, sempre implicante un<br />

mantenimento in relazione <strong>di</strong> potenza e atto (una “salvezza” del<br />

dynamei on), e dunque un modo d’essere che è proprio del pensiero.<br />

Il concetto <strong>di</strong> movimento che racchiude in sé ogni possibilità <strong>di</strong><br />

movimento è insomma quello per cui l’atto non si in<strong>di</strong>rizza ad altro<br />

da sé, non muove verso altro ma verso se stesso. In questo modo<br />

principio del movimento è un qualcosa che «resta sempre» e «agisce<br />

sempre allo stesso modo» (1072 a 10), non venendo coinvolto in<br />

un movimento verso altro.<br />

Come è concepibile una siffatta ousia ? Hegel la identifica sin<br />

dall’inizio con lo spirito, poiché proprio «presso lo spirito l’energia<br />

(Energie) è la sostanza stessa» (GPh II, p. 159). Quest’identificazione<br />

resta <strong>di</strong> marca <strong>hegel</strong>iana. Ma è pur vero che in Aristotele sono chiamati<br />

in causa a questo punto nous e orexis, cioè proprio quei principi<br />

che erano stati in<strong>di</strong>cati nel capitolo 5° in contrapposizione al<br />

soma . Qual è una sostanza che muove restando immobile? Essa è il<br />

termine ultimo del desiderio e del pensiero (rispettivamente<br />

l’orektón e il noetón), il fine verso cui desiderio e pensiero si muovono.<br />

Ciò <strong>di</strong> cui hanno bisogno e a partire da cui riprendono se stessi.<br />

Nel confronto con questa insistenza aristotelica sull’intelligibile<br />

come oggetto dell’attività del pensiero va cercato il punto d’innesto<br />

dello sforzo <strong>hegel</strong>iano più potente per strappare il termine ultimo<br />

della teoria della sostanza alla posizione irrelativa nella quale sembra<br />

collocato dallo Stagirita all’inizio della costruzione decisiva del<br />

capitolo 7°. Aristotele ha certo concepito il pensiero come un oggetto<br />

accanto ad altri, una specie <strong>di</strong> “stato”: ma è lo sviluppo stesso<br />

dato ai suoi concetti a toglierlo da un’arida identità. «Se Aristotele<br />

avesse posto a principio la futile identità dell’intelletto o l’esperienza<br />

... non sarebbe mai giunto a tale idea speculativa (nous e noetón)»<br />

(GPh II, p. 164): «il momento più alto», dal quale va ricompreso tutto il<br />

cammino è invece il pensiero <strong>di</strong> pensiero, ovvero «che il pensiero e<br />

il pensato sono uno» (GPh II, pp. 162-3). La <strong>di</strong>fferenza tra le due filosofie<br />

è dovuta alle implicazioni, <strong>di</strong>rompenti sotto il profilo siste-


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

243<br />

matico, che Hegel ha tratto dal pensiero <strong>di</strong> pensiero: tuttavia il nucleo<br />

del <strong>di</strong>scorso resta per il filosofo tedesco insuperabilmente<br />

aristotelico («non si può voler conoscere nulla <strong>di</strong> più profondo»,<br />

GPh II, p. 165).<br />

Precisando ulteriormente la posizione del primo motore, Aristotele<br />

spiega che il desiderio è mosso dal pensiero, e questo dall’intelligibile.<br />

E se l’oggetto che muove il desiderio della sensibilità<br />

(l’oggetto che muove l’appetito, l’epithymetón) è ciò che appare bello,<br />

il desiderio come volontà ha invece il suo principio non in ciò che<br />

appare, ma in ciò che è bello (in questo senso non in ciò che essendo<br />

da raggiungere non è, ovvero non in un dover-essere ma in un<br />

essere). Il desiderio si muove così in ultima istanza verso ciò che è<br />

pensiero: archè he noesis (7, 1072 a 30). Ma a sua volta il pensiero è in<br />

atto soltanto a partire dal possesso dell’intelligibile. L’oggetto del<br />

pensiero determina a partire da sé il carattere del pensiero come essere<br />

e insieme come privazione; il movimento ingenerato dall’intelligibile<br />

nell’intelligenza è come il passaggio dal sonno alla veglia o<br />

dal possesso all’esercizio, e quin<strong>di</strong> non comporta “solo” privazione<br />

ma appunto già possesso della forma e dunque immobilità. Nell’in<strong>di</strong>care<br />

il modo in cui muove l’intelligibile Aristotele fa l’esempio <strong>di</strong><br />

un tipo <strong>di</strong> movimento che è proprio dell’immobilità dell’anima e<br />

che comporta un certo <strong>di</strong>venire ciò che si è già: potremmo <strong>di</strong>re che,<br />

in una sorta <strong>di</strong> movimento circolare, il pensiero stesso è il principio<br />

verso cui muove non solo il desiderio o la volontà, ma anche il concepire.<br />

Proprio su quest’“esempio” <strong>di</strong> movimento scelto da Aristotele<br />

fa leva Hegel: la «grande determinazione», l’immoto che muove,<br />

è l’idea, che «muove e rimane in relazione a se stessa». È il pensiero<br />

che muovendosi verso il pensato rimane uguale a sé. Ciò però non<br />

significa che egli voglia sostituire col primato dell’intelligenza (del<br />

soggetto) il primato aristotelico dell’intelligibile. È chiaro anzi a<br />

Hegel che il termine del movimento non può essere pensato in<br />

base a quell’altro che muove verso <strong>di</strong> lui. Il primato dell’atto è fuori


244 HEGEL E ARISTOTELE<br />

<strong>di</strong>scussione, «altrimenti», spiega Hegel, il principio «sarebbe posto<br />

semplicemente me<strong>di</strong>ante l’attività» — ovviamente separata da ciò<br />

in cui essa si realizza —; «mentre esso è piuttosto autosufficiente e<br />

il nostro desiderio viene svegliato solo da lui» (GPh II, p.161). Non<br />

è tanto dunque che il principio <strong>di</strong> una produttività del pensiero<br />

venga opposto frontalmente a un punto <strong>di</strong> vista che parte invece<br />

dal primato dell’intelligibile più eccellente ( 30 ). La via è più lunga:<br />

il «principio vero è il pensare», continua Hegel traducendo il rigo<br />

1072 a 30; «infatti il pensiero è mosso solo dal pensato».<br />

In altri termini: l’immobile che muove è il pensato, cioè l’oggetto<br />

del pensiero; ma qui ci troviamo <strong>di</strong> fronte a un movimento<br />

del tutto speciale, causato “solo” dal pensato — l’avverbio è significativamente<br />

aggiunto da Hegel; in un tale movimento (che il principio<br />

sostiene hos eromenon, quale oggetto d’amore (1072 b 3), in tal<br />

modo essendo fonte <strong>di</strong> ogni movimento) ( 31 ) il passaggio dalla potenza<br />

all’atto è configurabile come passaggio dal “possesso” all’esercizio,<br />

e così in un certo modo dall’atto all’atto: un tale passaggio<br />

non solo termina nell’atto, ma è ra<strong>di</strong>cato sin da principio in<br />

esso. È un passaggio in cui l’intelletto rimane presso se stesso nella<br />

misura in cui nel suo termine <strong>di</strong> attuazione si genera e si conserva<br />

come esercizio: l’intelletto è infatti identico con l’intelligibile «intuendo<br />

e pensando» (1072 b 21), cosicché il suo atto è la noesis (cfr.<br />

Met, IX, 9, 1051 a 30-31); è cioè una praxis cui inerisce il fine, per cui<br />

( 30 ) Cfr. la tesi <strong>di</strong> K. DÜSING, Hegel und <strong>di</strong>e Geschichte der Philosophie, Wiss.<br />

Buchgesellschaft, Darmstadt 1983, p. 128. Sul tema ve<strong>di</strong> anche H.-G. GADAMER,<br />

Hegel und <strong>di</strong>e antike Dialektik, in ID., Gesammelte Werke, Mohr (Siebeck), 3, Tübingen<br />

1987, pp. 22 ss. Cfr. comunque quanto Gadamer <strong>di</strong>ce in ARISTOTELE, Metafisica Libro<br />

XII, Introduzione e commento <strong>di</strong> H.G. Gadamer, a cura <strong>di</strong> C. Angelino, Il Melangolo,<br />

Genova 1995, pp. 69-70.<br />

( 31 ) Il passo non è tradotto da Hegel, che sembra dunque non dare ad esso<br />

sufficiente rilievo, inquadrandolo probabilmente nell’ambito del rapporto tra l’assoluto<br />

e la coscienza singola. Sulla tensione tra questo passo e il punto <strong>di</strong> riferimento<br />

razionale per la descrizione del modo <strong>di</strong> muovere del primo motore cfr. R.<br />

BRAGUE, Aristote et la question du monde, PUF, Paris1988, pp. 433 ss.


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

245<br />

in questo caso ciò che per un verso è movimento risulta per altro<br />

verso immobilità (o risulta, potremmo anche <strong>di</strong>re, quell’atto perfetto<br />

in base al quale si può pensare l’‘imperfezione’ del movimento),<br />

e il pensare è insieme (hama) aver pensato (IX, 6, 1048 b 18 ss.).<br />

Quello che pensiamo come principio intelligibile del sensibile<br />

dobbiamo concepirlo come ciò in cui il pensiero è . Quest’itinerario<br />

(che per Hegel, come sappiamo, comprende la prova cosmologica<br />

— quale passaggio dall’essere al pensiero — e quella ontologica —<br />

quale passaggio, fondante il precedente, dal pensiero all’essere —)<br />

costituisce una esplicazione aggiunta, come egli stesso ammette, da<br />

Hegel. Essa non opera tuttavia come mera inversione <strong>di</strong> gerarchia.<br />

Anche quando parla <strong>di</strong> pensiero che “produce” il pensato, Hegel<br />

tiene presente l’intelletto “poietico” del De Anima e il suo modo <strong>di</strong><br />

agire. Se il “vero principio” fosse “posto” dall’attività (al modo <strong>di</strong><br />

un idealismo soggettivo) noi avremmo sottomesso il principio finale<br />

a quello efficiente compromettendo in ra<strong>di</strong>ce la possibilità <strong>di</strong><br />

comprendere il nucleo più speculativo del pensiero aristotelico. È<br />

l’intelligibile, invece, l’“immobile che muove”. La sequenza dell’argomentazione<br />

<strong>hegel</strong>iana è in questi termini: «l’ousia <strong>di</strong> questo pensiero<br />

è il pensare; questo pensato è dunque la causa assoluta, essa<br />

stessa immobile, ma identica con il pensiero che è mosso da esso»<br />

(GPh II, p. 161).<br />

«L’oggetto si ribalta in attività, energeia (Energie)» (GPh II, p.<br />

162): è questo il punto <strong>di</strong> svolta in<strong>di</strong>cato da Hegel per spiegare il<br />

passaggio dall’intelligibile più eccellente al pensiero <strong>di</strong> pensiero, a<br />

Dio e al «suo rapporto con la coscienza singola». L’intelligibile più<br />

eccellente è il supremo principio che sostiene cielo e natura, ed è il<br />

riferimento <strong>di</strong>vino dell’intelligenza. Ma, appunto, questo <strong>di</strong>vino<br />

dell’intelligenza non può essere pensato come quello in cui termina<br />

altro. Anzi, in quanto altro l’intelletto (umano) è mosso esso stesso<br />

da ciò che resta oggetto d’amore (e Hegel descrive così la con<strong>di</strong>zione<br />

della finitezza della coscienza). Ma in relazione al principio si<br />

impone un ribaltamento necessario a partire dal fatto che in esso


246 HEGEL E ARISTOTELE<br />

l’intelligenza <strong>di</strong>viene ciò che è. E questo è concepibile esclusivamente<br />

se l’intelligibile non è soltanto il punto d’arrivo dell’intelligenza,<br />

ma è già eternamente in questa con<strong>di</strong>zione, ossia è l’atto <strong>di</strong><br />

pensiero, che, in termini <strong>hegel</strong>iani, mentre muove la coscienza verso<br />

sé resta identico a sé. Nel ribaltamento risulta delimitata anche<br />

la coscienza singola: ciò che è posto a partire dallo stato in cui noi<br />

siamo talvolta (1072 b 15 e 25) fonda a partire da sé la con<strong>di</strong>zione<br />

del pensare, in un modo per il quale risulta determinante il concetto<br />

<strong>di</strong> fine: come pensato l’intelligibile è “prodotto” dal pensare non<br />

in quanto questo giunga occasionalmente all’atto, ma in quanto è<br />

già sempre quest’atto; o, in altri termini: poiché qui abbiamo come<br />

pensato l’immobile, non riconducibile ad altro, esso è identico con<br />

l’attività del pensiero.<br />

8. Hegel appoggia la sua interpretazione anche alle argomentazioni<br />

che introducono la formula noeseos noesis nel capitolo 9°, là dove il<br />

primo motore è assunto sin dall’inizio come nous, che non può pensare<br />

qualcosa <strong>di</strong> superiore a sé, se la sua sostanza è la noesis, ma<br />

deve essere in atto, altrimenti il più eccellente sarebbe il “pensato<br />

(Gedachte, nooumenon)” e non il pensare, che dal valore <strong>di</strong> quello <strong>di</strong>penderebbe,<br />

poiché il pensare appartiene anche a chi ha come oggetto<br />

la cosa più indegna. Qui troviamo anche l’espressione conclusiva<br />

del «momento fondamentale della filosofia aristotelica», quando<br />

Aristotele, dando un’implicita soluzione all’atopon del pensiero<br />

<strong>di</strong> Dio prospettato nei Magna Moralia, ricorda che «la scienza è la<br />

cosa stessa» quando, per le cose che appunto non hanno materia,<br />

pensiero e pensato non sono <strong>di</strong>versi, ovvero il pensare è una cosa<br />

sola (mia) col pensato (1075 a 2 ss.).<br />

Inoltre, come è stato notato ( 32 ) Hegel sfrutta anche il riferimento<br />

ai capitoli 4 e 5 <strong>di</strong> De Anima, III, per introdurre una <strong>di</strong>stinzione<br />

tra intelletto potenziale e intelletto attivo anche in riferimen-<br />

( 32 ) Cfr. K. DÜSING, op. cit., p. 126.


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

247<br />

to al pensiero <strong>di</strong> pensiero, e tracciare una definizione per molti versi<br />

<strong>di</strong>rompente, secondo la quale nel pensiero <strong>di</strong>vino vi sono anche<br />

<strong>di</strong>fferenza, repulsione, movimento, e in esso “possibilità e realtà<br />

sono identici” (GPh II, p. 164). Nel testo <strong>hegel</strong>iano, ben calibrato<br />

nell’or<strong>di</strong>ne gerarchico che istituisce tra potenza e atto, leggiamo: «il<br />

nous è anche dynamis, ma non è la possibilità il più universale — e<br />

con ciò il più elevato —, bensì la singolarità e l’attività ... Il nous<br />

come passivo non è altro che l’in-sé, l’idea assoluta in quanto considerata<br />

in sé, il Padre; ma solo in quanto attivo esso viene posto. E<br />

tuttavia questo primo, immobile, quale <strong>di</strong>stinto dall’attività, quale<br />

passivo, è in quanto assoluto l’attività stessa».<br />

In nessuno <strong>di</strong> questi riferimenti Hegel salta però il passaggio<br />

attraverso l’immobilità e attraverso il primato dell’atto come telos<br />

che sostiene il movimento restando identico. Anche in quest’ultimo<br />

passo, che accenna all’introduzione <strong>di</strong> una relazione ‘trinitaria’ o<br />

processuale dentro il pensiero <strong>di</strong> pensiero, l’argomento portante è<br />

quello <strong>di</strong> un ribaltamento necessario nella concezione del principio<br />

motore a partire dall’atto che in esso precede la <strong>di</strong>stinzione tra intelletto<br />

e intelligibile. L’intelletto passivo resta istituito dall’identità<br />

vivente del <strong>di</strong>vino che sostiene anche la <strong>di</strong>versità legata al movimento:<br />

tolto in Dio, l’intelletto passivo «è la natura, ma è anche il<br />

nous in sé che nell’anima percepisce e forma rappresentazioni»<br />

(GPh II, p. 216). Esso è la natura e lo spirito finito. Immaterialità<br />

della physis e autorelazione (immobilità) dell’anima come forma,<br />

specialmente negli atti conoscitivi propriamente umani pur spaziotemporalmente<br />

con<strong>di</strong>zionati, sono mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> anticipazione del <strong>di</strong>vino<br />

i quali risultano tuttavia fondati proprio dal telos in vista <strong>di</strong> cui<br />

si definiscono. In particolare il pensiero umano, anche se sotto il<br />

profilo “naturale”, insieme con le altre facoltà, «ha bisogno <strong>di</strong> mutamento»,<br />

cioè presuppone la materia da cui astrae, tuttavia è d’altra<br />

parte esso stesso materia a sé, e, in base a questo, come si è visto,<br />

passando ad atto “esercita” (energei) quanto già “possiede”<br />

(echei), ossia resta “in quiete” perché non <strong>di</strong>viene altro ma anzi “sal-


248 HEGEL E ARISTOTELE<br />

va” il dynamei on. In questo atto il pensiero ha un piacere che corrisponde<br />

alla compiutezza <strong>di</strong> ciò che è semplice e niente esclude da<br />

sé: si tratta proprio <strong>di</strong> quella energeia akinesias ( 33 ) che Aristotele<br />

contrappone all’atto che è proprio del movimento (cioè a quell’atto<br />

che dà un termine e dà termine al movimento stesso). L’energeia<br />

akinesias è eternamente propria <strong>di</strong> Dio insieme al piacere costante e<br />

perfetto: e all’uomo appartiene in quanto “vi è qualcosa <strong>di</strong> <strong>di</strong>vino<br />

in lui” (EN, X, 7, 1177 b 28) ( 34 ) che è <strong>di</strong>fferente dalla sua natura in<br />

quanto composta.<br />

L’immobilità del primo motore quale Endzweck, quale principio<br />

finale, resta anche per Hegel un nodo inaggirabile per il passaggio<br />

al pensiero <strong>di</strong> pensiero. Il primo motore non può essere<br />

coinvolto nel movimento. Ciò significa: esso non rimanda ad altro<br />

ma mette tutto in relazione a sé. Non muove dunque solo come ciò<br />

a partire da cui è il movimento, ma anche come ciò verso cui esso è.<br />

Quel che resterebbe altrimenti non comprensibile in base all’essente,<br />

il movimento eterno che coinvolge anche il motore sensibile e<br />

non ammette un “prima”; quel che resterebbe altrimenti paradossalmente<br />

una kinesis parà ta pragmata (Phys, III, 1, 200 b 32-3), viene<br />

in tal modo riportato alla sostanza e sostenuto da essa. Il movimento<br />

non è né la potenza né l’atto, ma una certa connessione, la relazione<br />

<strong>di</strong> questi due mo<strong>di</strong> d’essere, definita da Aristotele come “atto<br />

imperfetto” (Phys, III, 2, 201 b 27 ss.). Questo atto ha carattere d’essere<br />

solo se è relazione a un termine in cui si conserva come tale. Il<br />

principio che sostiene il movimento lo in<strong>di</strong>rizza verso sé: esso non<br />

entra ‘in relazione’ ad altro ma sostiene la relazione; riferisce cioè la<br />

relazione all’essere e con ciò a se stessa (la conserva). Così muove<br />

in ultima istanza l’intelligibile: muove non entrando nella relazione<br />

( 33 ) ARISTOTELE, Ethica Nicomachea (= EN), VII, 14, 1154 b 27. Sul tema <strong>di</strong><br />

una prassi autotelica che come tale non implica movimento pur essendo attività<br />

cfr. anche ARISTOTELE, Politica, VII, 1, 1323 b 23 ss. e 3, 1325 b 28 ss.<br />

( 34 ) Hegel traduce hedoné con Genuß .


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

249<br />

ma riportando questa a sé. L’immobilità ha così una precisa connessione<br />

con l’essenza del movimento, che si conserva, in ultima istanza,<br />

solo se si in<strong>di</strong>rizza verso ciò a partire da cui già sempre è.<br />

Il principio finale, così pensato, impone il riferimento a una<br />

sostanza d’or<strong>di</strong>ne intelligibile, l’unica in grado <strong>di</strong> “salvare” il movimento:<br />

solo una tale sostanza, infatti, muove senza essere soggetta<br />

a movimento. Ma una tale sostanza è <strong>di</strong> per sé fondamentalmente<br />

causa <strong>di</strong> un muoversi verso sé (il muoversi proprio del nous), e solo<br />

sul fondamento <strong>di</strong> questo movimento è causa <strong>di</strong> un muoversi verso<br />

altro. Il primo tipo <strong>di</strong> movimento è appunto un <strong>di</strong>ventare ciò che<br />

si è, l’ergon proprio dell’anima, il modo in cui si muove il nous. In<br />

questo movimento il “possesso” o l’episteme precede l’“esercizio” o<br />

il theorein solo «nell’or<strong>di</strong>ne del <strong>di</strong>venire rispetto al medesimo in<strong>di</strong>viduo<br />

(th/` genevsei ejpi; tou` aujtou`)» (De An, II, 1, 412 a 26). Ma dal<br />

punto <strong>di</strong> vista del logos e dell’ousia ciò che precede è l’identità dell’intelligenza<br />

e dell’intelligibile. Questa è più eccellente della loro<br />

separazione. Riassumendo l’intera argomentazione: il movimento<br />

implica l’ammissione <strong>di</strong> un motore immobile; ma questo muove<br />

come l’intelligibile muove l’intelligenza; questo movimento, d’altra<br />

parte, come un <strong>di</strong>venire ciò che si è (che significa un <strong>di</strong>pendere dell’andare<br />

verso altro dall’andare verso sé) postula un altro che già<br />

sempre è nella con<strong>di</strong>zione in cui il pensiero arriva ad essere,<br />

postula il restare racchiuso del movimento entro l’immobilità,<br />

postula dal lato dell’intelligibile l’unità propria del theorein.<br />

In conclusione, pren<strong>di</strong>amo in esame alla luce <strong>di</strong> questo percorso<br />

argomentativo l’“errore” più significativo dell’interpretazione<br />

<strong>hegel</strong>iana del capitolo 7° e <strong>di</strong> tutto il libro. Il passo alterato in modo<br />

decisivo è il 1072 b 22-3: «l’intelligenza è, infatti, ciò che è capace <strong>di</strong><br />

cogliere l’intelligibile e la sostanza, ed è in atto quando li possiede<br />

(ejnergei` de; e[cwn). Pertanto, più ancora che quella capacità, è questo<br />

possesso (w{st jejkeivnou ma`llon tou`to) ciò che <strong>di</strong> <strong>di</strong>vino ha l’intelligenza»<br />

(tr. Reale). Hegel (sulla base dell’e<strong>di</strong>zione erasmiana, che<br />

aveva: ejkei`no ma`llon touvtou) traduce in un modo che sembra ‘favo-


250 HEGEL E ARISTOTELE<br />

rire’ in modo decisivo la sua interpretazione ‘soggettivistica’: «‘infatti<br />

ciò che assume il pensato e l’essenza è il pensiero’. Il pensare è<br />

pensiero <strong>di</strong> pensiero. Del pensare Aristotele <strong>di</strong>ce: ‘esso è in atto<br />

(wirkt), in quanto possiede’ (o: il suo possesso è tutt’uno con la sua<br />

attività), ‘cosicché quello’ (l’agire, l’attività) ‘è più <strong>di</strong>vino <strong>di</strong> ciò che<br />

la ragione pensante (nous) ritiene <strong>di</strong> avere <strong>di</strong> <strong>di</strong>vino’ (il noetón). Non<br />

il pensato è il più eccellente, ma l’energia (Energie) stessa del pensare»<br />

(GPh II, p. 163).<br />

Non mi sembra possibile mettere in contrasto le due letture<br />

nel senso <strong>di</strong> una contrapposizione tra primato dell’intelligibile e<br />

primato dell’intelligenza, già per il fatto che in Aristotele questa separazione<br />

non può essere assunta come fondante (cioè come “prima”<br />

secondo logos e ousia), né un primato dell’intelligibile in contrapposizione<br />

all’intelletto è in grado <strong>di</strong> spiegare la connotazione del<br />

primo motore immobile come pensiero <strong>di</strong> pensiero. Ma anche se<br />

guar<strong>di</strong>amo alla traduzione <strong>hegel</strong>iana, dobbiamo prestare attenzione<br />

al fatto che più eccellente non è considerata l’intelligenza in<br />

quanto potenza <strong>di</strong> far proprio l’oggetto, <strong>di</strong> produrlo come pensato,<br />

ma piuttosto l’unità <strong>di</strong> possesso e attività. Quest’unità non solo è superiore,<br />

come è ovvio, al principio attivo in quanto <strong>di</strong>stinto dal suo<br />

compimento: questo sarebbe l’atto primo del nous, o l’intelletto passivo<br />

o ancora la capacità <strong>di</strong> pensare come punto <strong>di</strong> vista del soggetto<br />

(l’autocoscienza singola) per Hegel <strong>di</strong>stinguibile soltanto in base<br />

al punto <strong>di</strong> vista dell’assoluto quale immutabile attività e non “singolo<br />

stato”. Ma l’unità <strong>di</strong> possesso e attività è superiore anche all’intelligibile<br />

in quanto semplice termine della relazione <strong>di</strong> possesso:<br />

il più eccellente non è ciò che l’intelligenza ritiene <strong>di</strong> avere, perché<br />

il possesso, come abbiamo visto, precede solo secondo il tempo<br />

e l’in<strong>di</strong>viduo particolare; il più eccellente è l’attività del pensare che<br />

istituisce la relazione a sé e dunque la particolarità dei due momenti,<br />

e così, per Hegel, anche <strong>di</strong> sé come momento.<br />

Qui non c’è una violenza sul senso del testo interpretato ma<br />

un tentativo <strong>di</strong> spiegare il tessuto implicito che sostiene il passag-


L. SAMONÀ - Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel<br />

251<br />

gio dal primo motore immobile al pensiero <strong>di</strong> pensiero e rende necessaria<br />

questa connotazione del primo e del <strong>di</strong>vino. Ciò non vuol<br />

<strong>di</strong>re che una tale interpretazione chiuda in modo perfetto il cerchio<br />

della costituzione ‘ontoteologica’ della metafisica. Dentro questo<br />

cerchio resta aperta una tensione che mette in campo nuovi motivi<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenza. Da una parte Hegel sembra trascurare l’aspetto ‘aperto’<br />

e ‘metaforico’ dello hos eromenon, un passo sul quale, come si è<br />

detto, non si sofferma. In realtà si potrebbe invece vedere nella<br />

causalità del primo motore una sorta <strong>di</strong> metaforicità irriducibile,<br />

perché esso resta sempre altro da ciò che si muove verso <strong>di</strong> lui e<br />

lascia così ogni ‘possesso’ intrinsecamente povero del termine con<br />

cui entra in relazione tendendo all’unità e all’identificazione con<br />

esso. Da questo punto <strong>di</strong> vista il pensiero umano resta nella stessa<br />

con<strong>di</strong>zione della physis, rientra nonostante tutto in essa ( 35 ).<br />

Di contro Hegel vede nel Dio aristotelico quell’in<strong>di</strong>stinta connessione<br />

tra spirito soggettivo e spirito assoluto che impe<strong>di</strong>sce<br />

un’articolazione della sua <strong>di</strong>fferenza dall’esistenza particolare e lo<br />

fa apparire come “un particolare al suo posto accanto agli altri”,<br />

piante, animali, uomini (GPh II, p. 151). Un troppo imme<strong>di</strong>ato stare<br />

oltre le cose si traduce in un restare accanto ad esse. La posizione<br />

del Dio aristotelico rischia <strong>di</strong> rimanere unilaterale se lasciata alla<br />

lettera della sua estraneità alla natura <strong>degli</strong> enti mossi. La ricchezza<br />

che la teoria del pensiero <strong>di</strong> pensiero racchiude in sé raccoglie in<br />

unità tutto il cammino della storia della filosofia. Ma nel testo<br />

aristotelico i due momenti della verità dello spirito che il pensiero<br />

<strong>di</strong> pensiero rappresenta, «l’imme<strong>di</strong>ato esser per sé della soggettivi-<br />

( 35 ) Aristotele in GC definisce il fine come poietico solo katà metaphorán<br />

(loc. cit.), argomentando con il fatto che il qualcosa si muove quando non sono<br />

presenti la forma e il fine, le hexeis che lo caratterizzano, mentre nel caso in cui<br />

esse sono presenti, il qualcosa già è. Nel fine ultimo delle cose, sempre altro dalle<br />

cose stesse, presenza costante e alterità devono convivere aporeticamente,<br />

perché esso, proprio nel riservare a sé il carattere <strong>di</strong> movente in senso ra<strong>di</strong>cale,<br />

custo<strong>di</strong>sce una <strong>di</strong>fferenza irriducibile rispetto ad ogni poietico presente <strong>di</strong> volta<br />

in volta tra le cose.


252 HEGEL E ARISTOTELE<br />

tà» e l’«universalità», non trovano una connessione testuale ben<br />

sviluppata, e ciò che sta assolutamente per sé è la libera soggettività<br />

del pensiero non riconciliata col sostanziale. Hegel vede perciò<br />

paradossalmente nel pensiero <strong>di</strong> pensiero ancora soltanto la forma<br />

dello spirito soggettivo che si trae fuori dall’esistenza naturale ma<br />

non ha ancora l’apertura ‘comunitaria’ propria dello spirito assoluto,<br />

la cui prima manifestazione, nel nuovo Evo, è la religione cristiana:<br />

«la forma nella sua infinita verità, la soggettività dello spirito,<br />

irruppe per la prima volta soltanto come pensiero libero soggettivo,<br />

che non era ancora concepito come identico con la sostanzialità stessa,<br />

né questa era concepita dunque ancora come spirito assoluto»<br />

(Enz § 552 A). Proprio l’interpretazione <strong>hegel</strong>iana, che tesse una<br />

connessione stretta tra primo motore immobile e pensiero <strong>di</strong> pensiero,<br />

<strong>di</strong>schiude con questa tessitura lo spazio per una <strong>di</strong>scussione<br />

più complessa sul significato e sulla tenuta complessiva del progetto<br />

ontoteologico della metafisica.


ALFREDO FERRARIN<br />

RIPRODUZIONE DI FORME E ESIBIZIONE DI<br />

CONCETTI. IMMAGINAZIONE E PENSIERO<br />

DALLA PHANTASIA ARISTOTELICA ALLA<br />

EINBILDUNGSKRAFT IN KANT E HEGEL ( 1 )<br />

SOMMARIO: 1. Premessa — 2. Luce e visibilità. Aristotele e Kant — 3. L’uno dei<br />

molti e l’uno oltre i molti. Idealizzazione e manifestazione in Hegel — 4.<br />

Conclusione.<br />

1. Premessa — Parlerò della <strong>di</strong>versa funzione me<strong>di</strong>atrice svolta dall’immaginazione<br />

tra senso e intelletto in tre figure che ho scelto come<br />

modelli teorici <strong>di</strong> riferimento: Aristotele, Kant e Hegel. Perché non<br />

vi sembri si tratti tutto sommato <strong>di</strong> un problema marginale, o almeno<br />

marginale nel rapporto tra Aristotele e Hegel, illustrerò subito<br />

( 1 ) Questo è il testo, riveduto e corretto, della relazione tenuta al convegno<br />

“Hegel interprete <strong>di</strong> Aristotele”, che si è svolto a Cagliari dall’11 al 15 aprile 1994.<br />

Esso espone conclusioni provvisorie <strong>di</strong> un lavoro ancora ampiamente in fieri, e riprende<br />

alcune parti <strong>di</strong> saggi già apparsi o in via <strong>di</strong> pubblicazione, ed in particolare:<br />

Kant’s Productive Imagination and its Alleged Antecedents, in The Graduate Faculty<br />

Philosophy Journal, 18:1, 1995, pp. 65-92; Kant’s Productive Imagination in Its Historical<br />

Context, in Procee<strong>di</strong>ngs of the 8th International Kant Congress, ed. by H. Robinson,<br />

vol. II, Part. 1, Marquette University Press, Milwaukee, pp. 119-25; Mathematical<br />

Synthesis, Intuition and Productive Imagination in Kant, in The sovereignty of Costruction.<br />

Essays in Memory of David R. Lachterman, ed. by P. Kerszberg and D. Conway,<br />

Rodopi, Amsterdam 1996; Costruction and Mathematical Schematism. Kant on the<br />

Exhibition of a Concept in Intuition, in Kant-Stu<strong>di</strong>en 86/2, 1995, pp. 131-74; Schematismo<br />

e costruzione. Il rapporto tra la matematica e la rappresentazione a priori dei concetti nella<br />

sensibilità in Kant, in Rivista <strong>di</strong> Estetica, Nuova Serie, Ottobre 1996. Rimando a que-


254 HEGEL E ARISTOTELE<br />

ambito teorico e presupposti metafisici che sottendono alla questione<br />

dell’immaginazione e ne spiegano l’importanza. Qualunque filosofia<br />

che prenda le mosse da una preliminare scissione tra empirico<br />

e intellettuale non si condanna soltanto a trascurare il ricco mondo<br />

della rappresentazione e a non poter rendere conto della me<strong>di</strong>azione<br />

tra intenzione e azione, o tra norma, progetto e realizzazione<br />

poietica. Rimane, soprattutto, con un inspiegabile iato tra dati <strong>di</strong> senso<br />

e conoscenza <strong>di</strong>scorsivo-verbale, per riempire il quale è ozioso e circolare<br />

il consueto rimando all’extraterritorialità <strong>di</strong> una <strong>di</strong>mensione<br />

presuntamente psicologica, e quin<strong>di</strong> in linea <strong>di</strong> principio sottratta a<br />

verifiche epistemiche o a pretese <strong>di</strong> vali<strong>di</strong>tà oggettiva. In particolare<br />

la tesi della proposizionalità del sapere, il progetto ambizioso della<br />

riduzione del significato a pratiche linguistiche o a dottrine semantiche<br />

in grado <strong>di</strong> certificarne la genesi e la vali<strong>di</strong>tà, si è sempre accanita<br />

— da Wittgenstein al ghost in the machine <strong>di</strong> Ryle fino alla mente come<br />

teatro <strong>di</strong> immagini in Rorty — contro la rappresentazione. Questa<br />

tendenza, che giunge a massima chiarezza in certa parte della filosofia<br />

analitica, non è una novità <strong>di</strong> questo secolo. A livello <strong>di</strong>, vorrei<br />

<strong>di</strong>re, tentazione <strong>di</strong> totalizzazione <strong>di</strong>anoetica, la ritroviamo già in molte<br />

figure centrali della nostra tra<strong>di</strong>zione quali Cartesio, Leibniz, Kant,<br />

Hegel, per non <strong>di</strong>re <strong>di</strong> Platone ed Aristotele.<br />

Ma in tutti questi autori (lasciando impregiu<strong>di</strong>cato anzitutto<br />

se e fino a che punto essi con<strong>di</strong>videssero la tesi aristotelica per cui<br />

non si pensa se non in immagini ( 2 ), e in secondo luogo se la inter-<br />

sti saggi anche per una <strong>di</strong>scussione della letteratura secondaria su intuizione e costruzione<br />

in Kant, e, ulteriormente, sull’immaginazione. Per una bibliografia su Hegel<br />

e Aristotele rimando al mio volume (Hegel interprete <strong>di</strong> Aristotele, ETS, Pisa 1990, pp.<br />

233-47), per la cui maggior completezza desidero qui segnalare i seguenti titoli: K.<br />

BRINKMANN, Aristoteles’ allgemeine und spezielle Metaphysik, De Gruyter, Berlin 1982;<br />

G. MOVIA, Essere Nulla Divenire. Sulle prime categorie della Logica <strong>di</strong> Hegel, in Rivista<br />

<strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong> neoscolastica, LXXVIII, 1986, 4, pp. 513-44, e LXXIX, 1987, 1, pp. 3-32; V.<br />

VERRA, Hegel e la lettura logico-speculativa della Metafisica <strong>di</strong> Aristotele, in Rivista <strong>di</strong><br />

<strong>Filosofia</strong> neoscolastica, 2-4, LXXXV, 1993, pp. 605-21.<br />

( 2 ) Cfr. De an. G 7, 431 a 16-17; 431 b 2-5; 8, 432 a 7-9; De Mem. 1, 450 a 1-9.


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

255<br />

pretassero attribuendo ad Aristotele l’intenzione <strong>di</strong> subor<strong>di</strong>nare il<br />

pensiero all’immaginazione, come nella lettura o<strong>di</strong>erna più corrente),<br />

c’era una chiara consapevolezza <strong>di</strong> un problema fondamentale.<br />

Quello dell’apprensione <strong>di</strong> un dato in un’immagine da un lato, e della<br />

raffigurazione o dell’esibizione <strong>di</strong> un concetto in un me<strong>di</strong>o sensibile<br />

dall’altro. Risposte e soluzioni variavano ovviamente a seconda dei<br />

<strong>di</strong>versi presupposti, scopi o anche solo contestualizzazioni. Ma il<br />

problema <strong>di</strong> elementi né solo intellettuali né solo empirici, o meglio,<br />

sia empirici che intellettuali, non veniva accantonato ab initio, ma<br />

giustificava la duplice funzione dell’immaginazione e della rappresentazione:<br />

portare la presenza al pensiero e il pensiero all’essere.<br />

Ciò è implicito nella stessa etimologia <strong>di</strong> rap-presentazione (o Vorstellung):<br />

porre innanzi, dare presenza. Formare, e poter riprodurre<br />

arbitrariamente, raffigurazioni <strong>di</strong> cose, <strong>di</strong> stati <strong>di</strong> fatto — o <strong>di</strong> finzioni.<br />

Quin<strong>di</strong>, anche, dare significato ed esistenza <strong>di</strong>screta a quello che<br />

altrimenti sarebbe un continuum in<strong>di</strong>fferenziato. In questo senso, nel<br />

rilevare l’importanza <strong>degli</strong> elementi intuitivi dell’esperienza, appare<br />

chiaro che si accorda un certo privilegio alla vista sugli altri sensi.<br />

Con ciò non si esclude il contributo <strong>degli</strong> altri sensi; solo che lo si<br />

limita al ruolo <strong>di</strong> (ri-)produzione <strong>di</strong> un evento, o <strong>di</strong> causa occasionale.<br />

Pensate ai sensi altri dalla vista in Proust: il gusto del té <strong>di</strong> tiglio e<br />

della madeleine, la sensazione dell’irregolarità e della scanalatura del<br />

pavé, o, a un livello più complesso, il gesto <strong>di</strong> sfilarsi gli stivaletti e<br />

le intermittenze del cuore che sgorgano improvvise al primo vero<br />

imporsi della morte della nonna, sono percezioni puntuali <strong>di</strong> un vissuto<br />

che ne richiamano e aprono un altro più pregnante, e fanno<br />

sorgere un mondo <strong>di</strong> immagini mnestiche che si pensava <strong>di</strong>menticato,<br />

in cui le cose appaiono alla luce improvvisa <strong>di</strong> un orizzonte <strong>di</strong><br />

senso nuovo, o inusitato, o apparentemente perduto.<br />

È grazie al problema visivo, ma più in generale iconico, della<br />

raffigurazione più o meno corretta <strong>di</strong> un originale — mentale o reale<br />

che sia — che la questione dell’immaginazione vede profilarsi, accanto<br />

a quella che prima ho chiamato la duplice funzione dell’im-


256 HEGEL E ARISTOTELE<br />

maginazione, il problema della duplice accezione dell’immagine. La<br />

genesi del problema in questi termini si può rilevare anche storicamente.<br />

Se per Platone il problema dell’immagine si poneva al livello<br />

del rapporto tra originale e copia (icona o fantasma), e però con ciò<br />

si pregiu<strong>di</strong>cava già l’immagine facendone un puro sostituto, dotato<br />

quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> uno status ontologico inferiore, Aristotele sposta il problema<br />

sulla doppia natura <strong>di</strong> Corisco. Se contempliamo un’immagine<br />

<strong>di</strong> Corisco, ad esempio in un quadro, possiamo considerarla semplicemente<br />

come immagine, ovvero come copia, cioè come immagine <strong>di</strong><br />

Corisco. La copia sta per Corisco; eppure, anche l’immagine sta per<br />

qualcosa.<br />

I problemi teorici allora sono molti: il primo è quello della <strong>di</strong>fferenza<br />

tra immagine e copia, e, conseguentemente, della definizione<br />

del rapporto tra immagine ed originale, a proposito del quale in<br />

particolare ci si deve chiedere dove risieda quest’ultimo, posto che<br />

non sia più un’ijdeva platonica. A <strong>di</strong>fferenza del concetto <strong>di</strong>scorsivo,<br />

per l’immagine si pone poi il problema della somiglianza con ciò per<br />

cui sta, con ciò che rappresenta. A <strong>di</strong>fferenza dei concetti, le immagini,<br />

se forse hanno una logica interna, non ne hanno una sincategorematica<br />

o relazionale che ne consenta oppure ne preor<strong>di</strong>ni il collegamento,<br />

e non contengono negazione. Sono per essenza prospettiche,<br />

sono in tutto e per tutto spazialità, anche se si può ulteriormente<br />

<strong>di</strong>stinguere tra spazialità vissuta e proiezione o costruzione geometrica<br />

in una forma pura, vuota ed omogenea. L’immagine è il modo<br />

in cui la cosa è dapprima, o imme<strong>di</strong>atamente, per noi. È il primo<br />

vero ponte tra <strong>di</strong>scorsivo e sensibile, tra linguaggio ed esperienza,<br />

tra pre<strong>di</strong>cativo e precategoriale.<br />

Se allora con la svolta aristotelica si imprime un’accelerazione<br />

che la storia del concetto <strong>di</strong> immaginazione rivela netta ed<br />

irreversibile sulla via <strong>di</strong> una “soggettivizzazione” della natura e del<br />

problema dell’immaginazione, ciò non ci deve far <strong>di</strong>menticare che la<br />

<strong>di</strong>stinzione va <strong>di</strong> pari passo con — per non <strong>di</strong>re che è guadagnata al<br />

prezzo <strong>di</strong> — una duplice scissione, l’ere<strong>di</strong>tà più gravosa lasciata da


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

257<br />

Aristotele alla posterità: la <strong>di</strong>visione nell’oujsiva tra forma e materia, e<br />

in noi tra nou`~ e sensazione. E non ci deve far <strong>di</strong>menticare neppure<br />

che Aristotele non è Leibniz, non è Kant, e soprattutto — poiché <strong>di</strong><br />

questo qui si tratta — non è Hegel.<br />

Presenterò tre modelli, più che un decorso storico, <strong>di</strong>cevo. Con<br />

questo la mia intenzione non è <strong>di</strong> integrare con nuove acquisizioni o<br />

ulteriori dati il secondo capitolo del mio libro (che mi permetto qui<br />

<strong>di</strong> presupporre come a voi noto solo perché il professor Movia, che<br />

ringrazio per la sua considerazione, lo ha adottato e <strong>di</strong>scusso nel suo<br />

corso). Vorrei piuttosto che questa relazione servisse a presentare un<br />

modesto contributo, per citare qualcuno <strong>di</strong> più autorevole <strong>di</strong> me,<br />

alla critica <strong>di</strong> me stesso. Trovo insod<strong>di</strong>sfacente l’impianto <strong>di</strong> quel<br />

capitolo, e ritengo necessario rimetterlo in <strong>di</strong>scussione, per via <strong>di</strong><br />

perplessità <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne metodologico prima ancora che ermeneutico.<br />

Il fatto è che è scritto nel solco <strong>di</strong> una lettura già tutta <strong>hegel</strong>iana della<br />

storia della filosofia. In realtà la tra<strong>di</strong>zione è sì, <strong>hegel</strong>ianamente, un<br />

fiume impetuoso; ma conosce anche anse, secche, <strong>di</strong>ghe che ne rallentano<br />

il corso, cascate che lo accelerano. Improvvisamente, e, quel<br />

che più conta, impreve<strong>di</strong>bilmente. Questo non equivale a negare che<br />

la ragione sia una. Anzi, vuole essere un rilievo che ne sottolinei la<br />

ricchezza e la multiformità, ma anche un più stretto legame con l’in<strong>di</strong>vidualità<br />

storica.<br />

Spesso alcune nozioni tramandate accanto ad altre, che vengono<br />

insegnate e assimilate ormai soltanto stancamente come gusci<br />

vuoti <strong>di</strong> pensieri un tempo vivi, sopravvivono allo stato latente nella<br />

storia della filosofia. Sono come braci sepolte sotto una cenere che<br />

copre uniformemente tanto ciò che finisce per estinguersi, quanto<br />

ciò che semplicemente ristagna; agitate in una massa critica, esse<br />

tornano a brillare <strong>di</strong> un nitore e con una forza che quasi mai sono<br />

quelli della loro origine. Così può accadere che alcuni concetti vengano<br />

appropriati, o, viceversa, formulati, da <strong>di</strong>scipline che ne fanno<br />

un vettore <strong>di</strong> ricerca e lo ripropongono profondamente trasformato,<br />

una volta che lo hanno sfruttato con successo, a contesti e in se<strong>di</strong> <strong>di</strong>


258 HEGEL E ARISTOTELE<br />

<strong>di</strong>scussione <strong>di</strong>versi. E ad autori che liberamente ne traggono quanto<br />

vi cercavano, ma assimilandoli all’interno delle coor<strong>di</strong>nate del proprio<br />

pensiero, in un ambito eterogeneo rispetto a quello in cui erano<br />

stati originariamente concepiti. Perché tutto questo vi suoni meno<br />

generico, riguardo a quel che ho detto sui gusci vuoti pensate ad<br />

esempio alle rivoluzionarie Regulae <strong>di</strong> Descartes, pur imbevute, prima<br />

facie, <strong>di</strong> terminologia e ordíto scolastico-aristotelici; per il mutamento<br />

<strong>di</strong> significato <strong>di</strong> concetti ripresi da altri ambiti, pensate ad<br />

esempio alla secolarizzazione <strong>di</strong> concetti teologici nella filosofia della<br />

storia e della politica; o, viceversa, all’appropriazione da parte della<br />

filosofia moderna del concetto <strong>di</strong> funzione elaborato dall’algebra fra<br />

Cinque e Seicento.<br />

Da tutto questo sarebbe altrettanto inopportuno concludere che<br />

i filosofi non fanno che ripetere alcuni principi dati, quanto che le<br />

idee sono, al più, opinioni maggiormente fondate <strong>di</strong> altre. È vero il<br />

contrario: le idee importanti vivono un’esistenza virtuale, e sono<br />

continuamente ripensate dai gran<strong>di</strong> filosofi. Esse costituiscono l’autentico<br />

senso in cui si possa parlare <strong>di</strong> un’unità della storia della filosofia:<br />

un nucleo problematico che rimane inesauribile e intatto <strong>di</strong><br />

fronte alle soluzioni via via prospettate. Ma se non per questo si deve<br />

pensare ad un avvicinamento asintotico alle idee, né ad una cattiva<br />

infinità — ché i gran<strong>di</strong> filosofi sono presso <strong>di</strong> esse —, tantomeno<br />

deve valere una proiezione su un piano temporale <strong>di</strong> questo supposto<br />

avvicinamento. Anzi, quel che si deve porre in <strong>di</strong>scussione è proprio<br />

l’idea <strong>di</strong> evoluzione, l’imperativo inespresso <strong>di</strong> intendere necessariamente<br />

i mutamenti concettuali come tappe <strong>di</strong> un presunto progresso,<br />

o <strong>di</strong> un regresso altrettanto presunto. Improvvise accelerazioni,<br />

o ritorni a pensieri <strong>di</strong>menticati, sono soluzioni <strong>di</strong> continuità,<br />

scarti irreversibili, non accidenti o momenti <strong>di</strong> un cammino sostanzialmente<br />

uniforme. Se gli elementi <strong>di</strong> cesura rispetto alla tra<strong>di</strong>zione<br />

vanno quin<strong>di</strong> riconosciuti e apprezzati come tali, e se dobbiamo guardarci<br />

dal ritrovare ovunque derivazioni da ceppi dati o prosecuzioni<br />

del noto, va anche sottolineato che quel che appare come una ripeti-


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

259<br />

zione è spesso un travestimento <strong>di</strong> svolte concettuali in un linguaggio<br />

tra<strong>di</strong>zionale. Il nuovo si affaccia e si afferma dapprima nei panni<br />

del vecchio.<br />

Il recupero <strong>hegel</strong>iano della tra<strong>di</strong>zione aristotelica e più in generale<br />

della metafisica classica dopo la rivoluzione della modernità:<br />

dopo, cioè, la riduzione del sapere ad un unico ambito, la legalità —<br />

del mondo prima, e della ragione poi —, pone in tutta la sua<br />

pregnanza questo problema del significato immanente alla rivitalizzazione<br />

<strong>di</strong> un pensiero in un ambito ra<strong>di</strong>calmente mutato, e della<br />

stessa valutazione del confronto tra posizioni antiche e moderne riguardo<br />

a tematiche almeno apparentemente o formalmente affini. A<br />

questo proposito, quel che mi sembra <strong>di</strong> importanza cruciale è che<br />

tale confronto debba potersi articolare e valutare nei suoi principi<br />

anche per chi lo istituisce: se la filosofia non fosse una forma <strong>di</strong> fondamentale<br />

contatto con qualcosa che non passa, subirebbe il proprio<br />

tempo senza possibilità <strong>di</strong> comprenderlo, e il pensiero sarebbe una<br />

semplice funzione del decorso storico. Hegel non potrebbe neppure<br />

spiegare perché l’età della filosofia della riflessione al suo culmine<br />

deve ristu<strong>di</strong>are Aristotele e riportarne in auge la metafisica e la “psicologia”,<br />

mentre è appunto sulla base dell’autocomprensione <strong>hegel</strong>iana<br />

in rapporto al suo tempo e alla tra<strong>di</strong>zione che dobbiamo determinare<br />

grandezza e limiti del suo <strong>di</strong>scorso.<br />

È bensì vero che non possiamo pretendere <strong>di</strong> saltare oltre i limiti<br />

della nostra epoca e che non siamo che il nostro tempo appreso<br />

nel pensiero. Siamo determinati dalla tra<strong>di</strong>zione nel modo e nell’ambito<br />

dei problemi che ci occupano e che costituiscono il nucleo più<br />

fondamentale della nostra stessa vita. Tuttavia, la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> fuga<br />

che imprimiamo ai significati con cui sostanziamo i concetti che formano<br />

la nostra più intima essenza non è prefigurata da idee ere<strong>di</strong>tate<br />

e metabolizzate, ma conserva un carattere eccedente, <strong>di</strong> insopprimibile<br />

sovradeterminazione, <strong>di</strong> impreve<strong>di</strong>bilità. Per questo anche scegliere,<br />

per parlare della tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> pensiero, metafore <strong>di</strong> tipo geologico,<br />

come se<strong>di</strong>mentazione <strong>di</strong> contenuti o stratificazioni <strong>di</strong> senso,


260 HEGEL E ARISTOTELE<br />

come in quanti si rifanno a Husserl, o come conglomerati ere<strong>di</strong>tari<br />

— pensate a classicisti alla Murray o Dodds —, rimane riduttivo ( 3 ).<br />

Il compito dello storico della filosofia è quello <strong>di</strong> fare i conti con questa<br />

virtualità <strong>di</strong>scontinua della tra<strong>di</strong>zione, e, con ciò, <strong>di</strong> sottolineare<br />

tanto identità che <strong>di</strong>fferenze; soprattutto se le somiglianze sono ingannevoli<br />

e celano elementi <strong>di</strong> rottura, <strong>di</strong>stacchi, punti <strong>di</strong> svolta o<br />

inversioni <strong>di</strong> senso rispetto alla tra<strong>di</strong>zione. Il nostro primo sforzo,<br />

allora, deve essere quello <strong>di</strong> resistere a tentazioni “ireniche” e omologanti<br />

che pongano una preliminare omogeneità tra epoche e posizioni<br />

<strong>di</strong>verse. E, quin<strong>di</strong>, <strong>di</strong> contestare il presupposto implicito tanto<br />

nella storia della filosofia <strong>hegel</strong>iana quanto nella Seinsvergessenheit<br />

heideggeriana: la tesi <strong>di</strong> una continuità <strong>di</strong> fondo, sia che questa venga<br />

interpretata come il progressivo svelarsi della ragione a se stessa,<br />

sia che s’intenda come il progressivo oblio dell’essere e come reificazione<br />

ed oggettivazione della <strong>di</strong>fferenza ontologica.<br />

Per quanto ci riguarda specificamente, occorre chiedersi quanto<br />

possiamo accettare pacificamente quella che Hegel tratta come un’assimilazione<br />

della “psicologia” aristotelica senza rilevarne la profonda<br />

metamorfosi <strong>di</strong> significato, al<strong>di</strong>là delle forzature più note quali<br />

ad esempio l’interpretazione del nou§~. Quelle che sono state denunciate<br />

come le forzature <strong>hegel</strong>iane in sede <strong>di</strong> interpretazione devono<br />

acquistare una luce <strong>di</strong>versa da quella in fondo banale della galleria<br />

<strong>degli</strong> errori filologici o della violenza esegetica, ed apparire nella<br />

necessità della loro derivazione da presupposti ra<strong>di</strong>calmente <strong>di</strong>ffe-<br />

( 3 ) Per restare a livello <strong>di</strong> immagini, mi sembra allora più appropriato adottare<br />

in questo <strong>di</strong>scorso quella <strong>di</strong> Jung: «La vita mi ha sempre fatto pensare ad una<br />

pianta che vive nel suo rizoma: la sua vera vita è invisibile, nascosta nel rizoma. Ciò<br />

che appare alla superficie della terra dura solo un’estate, e poi si appassisce, apparizione<br />

effimera. Quando riflettiamo sull’incessante sorgere e decadere della vita e<br />

delle civiltà, non possiamo sottrarci ad un’impressione <strong>di</strong> profonda nullità: ma io<br />

non ho mai capito il senso che qualcosa vive e dura oltre questo eterno fluire. Quello<br />

che ve<strong>di</strong>amo è il fiore, che passa: ma il rizoma perdura» (in Memories, Dreams,<br />

Reflections of C.G. Jung, Random House, NewYork 1961, tr. it. G. RUSSO, Ricor<strong>di</strong>, sogni,<br />

riflessioni <strong>di</strong> C.G. Jung, Milano 1978, 1993 2 , p. 28).


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

261<br />

renti e nella necessità della loro connessione con intenzioni affatto<br />

<strong>di</strong>verse, o contestualizzazioni <strong>di</strong> temi aristotelici in ambito speculativo,<br />

che ne alterano irrime<strong>di</strong>abilmente il senso.<br />

La storia del concetto <strong>di</strong> immaginazione, nel suo rapporto con<br />

la riproduzione <strong>di</strong> forme da un lato e con la rappresentazione dall’altro,<br />

non si potrebbe prestare meglio ad illustrare quanto ho appena<br />

enunciato sulla genealogia <strong>degli</strong> aspetti <strong>di</strong> un problema, su quello<br />

che ne forma l’aspetto dapprima superficialmente unitario. Questo,<br />

ad un più profondo esame, si rivela poi spesso come il precipitato<br />

provvisorio <strong>di</strong> spinte <strong>di</strong>verse, periferiche o tangenziali rispetto al<br />

tema <strong>di</strong> fondo, che tuttavia esse finiscono per circoscrivere, motivare<br />

e anche costituire — come se <strong>degli</strong> accidenti per sé finissero per<br />

mo<strong>di</strong>ficare una sostanza. Dove quel che permane inesaurito è appunto<br />

l’idea — nella fattispecie, il problema del rapporto tra elementi<br />

passivi e attivi nella conoscenza —, che viene pensata sempre <strong>di</strong><br />

nuovo. Sulla scorta <strong>di</strong> un’ipotesi interpretativa avanzata da Kearney,<br />

ci si può allora chiedere se possiamo — e se ha un senso che vada<br />

oltre la mera curiosità antiquaria — includere Hegel in una storia<br />

del problema dell’immaginazione che vede una sua scansione grosso<br />

modo in tre epoche. Secondo Kearney ( 4 ) gli antichi reprimerebbero<br />

la creatività dell’immaginazione per salvaguardare l’in<strong>di</strong>pendenza<br />

dell’originale; per i moderni è l’originalità umana a creare gli<br />

originali, come si vedrà poi bene nel romanticismo; per i postmoderni,<br />

una volta <strong>di</strong>ssolto il concetto <strong>di</strong> verità, il para<strong>di</strong>gma per intendere<br />

l’immagine non è più quello teorico <strong>di</strong> somiglianza, ma quello estetico<br />

della produzione creativa.<br />

Come tutte le perio<strong>di</strong>zzazioni, anche questa merita più critiche<br />

e <strong>di</strong>stinguo che adesione incon<strong>di</strong>zionata. Tuttavia mi serve per<br />

in<strong>di</strong>care la traccia <strong>di</strong> un problema: come si colloca il pensiero<br />

<strong>hegel</strong>iano sull’immaginazione rispetto alle prime due epoche, e in<br />

( 4 ) R. KEARNEY, The Wake of Imagination: Toward a Postmodern Culture, Minneapolis,<br />

University of Minnesota Press, 1988.


262 HEGEL E ARISTOTELE<br />

generale alla tra<strong>di</strong>zione? Per arrivare a parlare <strong>di</strong> questo dovrò prima<br />

in<strong>di</strong>care alcune linee <strong>di</strong> fuga che si <strong>di</strong>partono dalle due teorie più<br />

articolate dell’immaginazione che la filosofia conosca prima <strong>di</strong> Hegel:<br />

quelle <strong>di</strong> Kant e <strong>di</strong> Aristotele.<br />

2. Luce e visibilità. Aristotele e Kant — Se stu<strong>di</strong>amo la definizione e il<br />

ruolo dell’immaginazione nella tra<strong>di</strong>zione del pensiero occidentale,<br />

la prima cosa che salta agli occhi è il ritorno costante <strong>di</strong> alcuni elementi<br />

chiave che contribuiscono a sostanziarne e delimitarne la descrizione<br />

in pressoché tutti gli autori che ne trattano: il rapporto con<br />

il tempo, con la memoria, con la sensibilità e in particolare col senso<br />

comune ovvero col senso interno. Ora, pochi tra i punti centrali della<br />

filosofia della natura aristotelica hanno avuto maggior longevità e<br />

sono sopravvissuti altrettanto indenni al tempo, ed in particolare<br />

alla rivoluzione scientifica seicentesca, della dottrina della immaginazione<br />

nel suo rapporto con la sensazione da un lato, con tempo,<br />

memoria e ‘senso comune’ dall’altro. Si può agevolmente mostrare<br />

che il concetto aristotelico <strong>di</strong> immaginazione rimane un topos <strong>di</strong> evidente<br />

carattere para<strong>di</strong>gmatico negli stoici, in Plotino e Proclo, in<br />

Agostino stesso, per non <strong>di</strong>re <strong>di</strong> Alberto Magno, della scolastica ed<br />

in particolare <strong>di</strong> Tommaso. Alla stregua <strong>di</strong> una variazione su un tema<br />

consolidato, anche la modernità si riferisce alla fantasiva aristotelica:<br />

apertamente come in Hobbes ( 5 ), in modo più controverso o<br />

“denegato” in Cartesio e Spinoza, in Locke e nella tra<strong>di</strong>zione empirista<br />

da Hume fino a Con<strong>di</strong>llac, Helvétius e Cabanis, e poi in Leibniz,<br />

Wolff e Baumgarten, o, da noi, in Muratori ( 6 ) e Vico. E tuttavia, come<br />

( 5 ) Hobbes aveva tradotto parti della Retorica in inglese. Un’analisi della teoria<br />

delle passioni in Hobbes dovrebbe render conto della massiccia <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong><br />

questioni aristoteliche nel De Corpore (e nel De Cive), e della loro lettura in senso<br />

meccanicistico-materialistico.<br />

( 6 ) Cfr. G.H. RICHERZ, Über <strong>di</strong>e Einbildungskraft (note del 1785 a Della forza della<br />

fantasia umana <strong>di</strong> Muratori) cit. da L. FEUERBACH, Der Spiritualismus der sogenannten<br />

Identitätsphilosophie oder Kritik der Hegelschen Psycologie, in Anthropologischer


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

263<br />

vedremo, la comprensione essenziale del fenomeno cambia ra<strong>di</strong>calmente<br />

a partire almeno da Cartesio — se non, come ritengo si possa<br />

sostenere, dal commento <strong>di</strong> Proclo agli Elementi <strong>di</strong> Euclide.<br />

La teoria dell’immaginazione è poi fondamentale per il concetto<br />

<strong>di</strong> sintesi apriori in Kant, e per la stessa genesi <strong>di</strong> alcune delle istanze<br />

fondamentali all’origine della filosofia post-kantiana e dello stesso<br />

idealismo. Penso a Maimon, a Beck, nonché al concetto <strong>di</strong> immaginazione<br />

produttiva in Fichte e nello Schelling del Sistema dell’idealismo<br />

trascendentale. E penso poi a Fede e sapere, in cui Hegel ravvisava nell’immaginazione<br />

produttiva kantiana lo stesso concetto <strong>di</strong> ragione nel<br />

suo uso empirico, la vera essenza idealistica della sintesi apriori o<br />

l’intellectus archetypus.<br />

Il ruolo me<strong>di</strong>atore tra intuizione e concetto svolto dall’immaginazione<br />

in Kant ha ricordato a più <strong>di</strong> un interprete l’analoga funzione<br />

<strong>di</strong> raccordo tra senso ed intelletto asserita da Aristotele. Heidegger, in<br />

particolare, scorge una sostanziale continuità metafisica tra l’immaginazione<br />

aristotelica e quella kantiana. Penso si debba mettere in questione<br />

questa lettura, e sottolineare i tratti <strong>di</strong> novità presenti nella<br />

modernità prima, e ulteriormente in Kant poi, per esaminare infine se<br />

e quanto Hegel recuperi temi aristotelici in una filosofia dello spirito<br />

che si propone <strong>di</strong> riportare in auge la psicologia <strong>di</strong> Aristotele. Nella<br />

mia interpretazione l’immaginazione vive e viene definita in stretta<br />

correlazione con i termini enunciati prima — memoria, coscienza del<br />

tempo, senso comune ovvero interno. Ma questi termini, anziché presentarsi<br />

come un cielo <strong>di</strong> stelle fisse, per così <strong>di</strong>re, costituiscono piuttosto una<br />

costellazione <strong>di</strong> senso che si può stu<strong>di</strong>are e comprendere solo come una totalità<br />

in movimento. Questi termini mutano significato così sottilmente e al<br />

contempo così sostanzialmente nel corso della storia, che le apparenti<br />

similarità tra testi filosofici si basano perlopiù su un’omonimia soltanto<br />

superficiale.<br />

Materialismus. Ausgewählte Schriften, hrsg. v. A. SCHMIDT, Frankfurt a M. 1967, 1985,<br />

Bd. 1, p. 196; cfr. anche A. BAEUMLER, Kants Kritik der Urteilskraft. Ihre Geschichte und<br />

Systematik, Erster Band, pp. 142 sgg. e 155-56 n.


264 HEGEL E ARISTOTELE<br />

In questo senso pren<strong>di</strong>amo ad esempio Kant, anche perché si<br />

tratta dell’autore il cui pensiero sull’immaginazione dovrebbe poter<br />

venir dato per più universalmente noto (ancorché mai come in questo<br />

caso, a leggere certa Kantforschung, si debba ricordare l’opportunità<br />

della <strong>di</strong>stinzione <strong>hegel</strong>iana tra noto e conosciuto). Vorrei mostrare<br />

come la tra<strong>di</strong>zione in cui l’immaginazione kantiana va compresa<br />

sia quella del problema specificamente moderno dell’oggettività<br />

della rappresentazione e della riflessione sulle qualità primarie,<br />

piuttosto che quella della metafisica classica.<br />

L’immaginazione produttiva kantiana è un concetto paradossale:<br />

me<strong>di</strong>ando tra la spontaneità dell’intelletto e la recettività dell’intuizione,<br />

assume tratti <strong>di</strong> entrambi. È attiva nell’apprensione del<br />

fenomeno, come sintesi spontanea del molteplice, eppure sottostà<br />

alle regole dall’intelletto. Non è una potenza creativa o mitologica,<br />

come per il romanticismo <strong>di</strong> lì a pochi anni, né la sua funzione è<br />

quella <strong>di</strong> esprimere le costruzioni del pensiero foggiando una molteplicità<br />

<strong>di</strong> mezzi in cui acquisire un’esistenza esterna, un’esteriorità<br />

dello spirito a se stesso. La sua funzione principale è ciò che Kant<br />

chiama autoaffezione, Selbstaffektion. L’immaginazione schematizza<br />

concetti altrimenti vuoti. È il principio dell’esibizione del loro contenuto<br />

nell’intuizione, in un me<strong>di</strong>o spazio-temporale. Per questo è la<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> possibilità perché i concetti <strong>di</strong>scorsivi si riferiscano ad<br />

oggetti e abbiano una relazione con le intuizioni.<br />

Permettetemi <strong>di</strong> ripercorrere brevemente cose che suppongo<br />

siano note a tutti, ma che mi servono per circoscrivere con maggior<br />

precisione il mio <strong>di</strong>scorso sull’immaginazione. Kant inverte i termini<br />

tra<strong>di</strong>zionali del problema dell’adaequatio. Non che noi siamo gli<br />

artefici <strong>degli</strong> oggetti che conosciamo. Un fenomeno dato influisce<br />

sulla nostra sensibilità, e le sensazioni che nascono da questo incontro<br />

sono il materiale in<strong>di</strong>spensabile per la conoscenza dell’oggetto.<br />

Per venirci incontro nella sensazione, gli oggetti devono conformarsi<br />

alle forme in cui intuiamo i fenomeni, lo spazio e il tempo. Devono<br />

tuttavia conformarsi anche ai concetti puri del nostro intelletto. Il


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

265<br />

punto <strong>di</strong> svolta per Kant è questo: se mostriamo che l’intelletto, che<br />

come facoltà delle regole non può influenzare <strong>di</strong>rettamente l’oggetto,<br />

influenza le forme della nostra intuizione in cui gli oggetti ci vengono<br />

incontro, abbiamo mostrato che la fondazione trascendentale della<br />

possibilità della nostra esperienza <strong>di</strong> oggetti è al contempo la con<strong>di</strong>zione<br />

necessaria <strong>di</strong> possibilità perché qualcosa sia un oggetto per noi.<br />

L’oggettività delle relazioni tra fenomeni non è opposta alla soggettività<br />

del nostro pensiero; piuttosto, viene costituita da questa.<br />

In questa argomentazione l’importanza dell’immaginazione<br />

non può certo venir sopravvalutata. È grazie all’attività dell’immaginazione<br />

che concetti ed intuizioni stanno in relazione gli uni con<br />

gli altri. È grazie all’attività sintetica dell’immaginazione produttiva<br />

che posso schematizzare concetti, o ridurli all’intuizione — dove ridurli<br />

significa sia ricondurli che limitarli, con ciò dando loro realtà.<br />

Senza questa riduzione rimarrebbero vuoti, regole astratte senza alcun<br />

influsso sulla sensibilità. Se invece io posso particolarizzare i<br />

concetti esibendoli in una intuizione temporale o spazio-temporale,<br />

posso <strong>di</strong>re <strong>di</strong> aver influito <strong>di</strong>rettamente sulla mia sensibilità; in<strong>di</strong>rettamente,<br />

sull’oggetto stesso. L’oggetto non viene con ciò costruito o<br />

creato; ma, poiché è me<strong>di</strong>ato necessariamente dalla conformità alla<br />

sensibilità che gli è necessaria perché sia un oggetto per noi, possiamo<br />

<strong>di</strong>re che la sua forma è costituita dall’influsso che i concetti dell’intelletto<br />

operano sul nostro spazio, e soprattutto sul nostro tempo.<br />

Per esempio, il puro concetto <strong>di</strong> sostanza ha senso per noi come<br />

la permanenza <strong>di</strong> una realtà nel tempo: nell’apprendere qualcosa<br />

come sostanza, sintetizzo un molteplice nella forma <strong>di</strong> un’unità stabile,<br />

e così facendo determino il mio senso interno ad assumere una<br />

forma <strong>di</strong> permanenza in contrasto con, e punto <strong>di</strong> riferimento basilare<br />

per, intendere il mutamento come un attributo <strong>di</strong> un sostrato.<br />

Questa è un’anticipazione <strong>di</strong> una possibilità in cui l’oggetto mi apparirà:<br />

un’anticipazione della forma dell’oggetto, che è — e solo in<br />

quanto è — identica alla forma della mia sensibilità. Questa non è<br />

una spiegazione psicologica perché ciò che determino è il modo in


266 HEGEL E ARISTOTELE<br />

cui ogni oggetto possibile influirà su <strong>di</strong> me: con ciò determino la stessa<br />

necessità ed universalità <strong>di</strong> ogni esperienza <strong>di</strong> oggetti.<br />

Voglio a questo punto sottolineare tre punti che <strong>di</strong>venteranno<br />

tematici dopo nel confronto con le teorie dell’immaginazione <strong>di</strong> Aristotele<br />

e <strong>di</strong> Hegel. 1. In questa ricostruzione l’immaginazione è sempre<br />

intesa in riferimento all’unità sintetica originaria dell’appercezione<br />

o io-penso: un oggetto non può essere un oggetto per me, non può<br />

esser parte della mia esperienza, a meno che non sia unificato nella<br />

mia autocoscienza come momento parziale <strong>di</strong> un tutto che si fa nel<br />

comprendere se stesso. In altre parole Kant fa valere quin<strong>di</strong> un’istanza<br />

molto forte che potremmo chiamare la soggettività autocosciente<br />

dell’immaginazione ( 7 ). 2. L’immaginazione ha per oggetto l’apparenza,<br />

i fenomeni e il senso (non c’è immaginazione che tenga nella <strong>di</strong>alettica<br />

trascendentale, così come non c’è affatto identità tra synthesis<br />

speciosa e synthesis intellectualis). 3. È sempre un’attività <strong>di</strong> sintesi, venga<br />

intesa come la sintesi schematica <strong>di</strong> una determinazione apriori<br />

dello spazio e del tempo, oppure come la sintesi empirica <strong>di</strong> un molteplice<br />

dato nell’apprensione dei fenomeni nello spazio e nel tempo.<br />

Quest’ultima <strong>di</strong>stinzione (spazio e tempo come luogo ovvero<br />

come oggetto <strong>di</strong> determinazione) è importante non solo perché è<br />

all’origine <strong>di</strong> molti frainten<strong>di</strong>menti correnti tra gli interpreti <strong>di</strong> Kant,<br />

e perché ad esempio l’averla trascurata è alla base <strong>di</strong> alcune delle<br />

inconseguenze dell’interpretazione <strong>di</strong> Heidegger, ma anche perché<br />

l’attività dell’immaginazione produttiva ne risulta determinata come<br />

duplice. Possiamo trovarla all’opera nell’anticipazione della forma<br />

dei fenomeni, così come nell’apprensione empirica <strong>degli</strong> elementi<br />

formali dei fenomeni. L’immaginazione, cioè, determina spazio e tempo<br />

apriori o aposteriori, e questo va <strong>di</strong> pari passo con la <strong>di</strong>stinzione<br />

ulteriore nella schematizzazione <strong>di</strong> concetti matematici, concetti<br />

empirici e concetti trascendentali. (Questa è un’altra <strong>di</strong>stinzione<br />

( 7 ) Qui non posso <strong>di</strong>scutere il problema se l’immaginazione, che viene descritta<br />

coma una sintesi spontanea cieca «<strong>di</strong> cui siamo raramente consapevoli» (KrV<br />

A 78, B 103), sia una con<strong>di</strong>zione operativa data oppure sia anch’essa autocosciente.


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

267<br />

intrascen<strong>di</strong>bile, cioè che rende impossibile parlare dello schematismo<br />

come <strong>di</strong> un fenomeno interpretabile unitariamente, come tutti gli<br />

interpreti kantiani tendono a fare, sulla base <strong>di</strong> ambiguità <strong>di</strong> cui è<br />

responsabile Kant stesso). Ma un’altra delle duplicità essenziali dell’immaginazione<br />

è la <strong>di</strong>stinzione tra schematizzazione o particolarizzazione<br />

<strong>di</strong> concetti, e formazione (Bildung) dell’immagine relativa<br />

ad un concetto. Questa funzione viene chiamata da Kant l’uso empirico<br />

dell’immaginazione produttiva, o, altrove, semplicemente l’immaginazione<br />

riproduttiva. Questa formazione dell’immagine non<br />

è pura e apriori, perché include il rimando ad un oggetto materiale<br />

ed alla sensazione. Nella prima e<strong>di</strong>zione della Critica, le tre sintesi<br />

operate dall’immaginazione nell’apprensione <strong>di</strong> un fenomeno sono<br />

l’unificazione del molteplice in una intuizione, la riproduzione <strong>di</strong><br />

intuizioni passate, e la connessione presente che riconosce l’identità<br />

o affinità tra intuizioni passate e future nell’unità <strong>di</strong> un concetto. Se<br />

il secondo momento — la riproduzione — è virtualmente identico<br />

alla memoria, il terzo — la ricognizione — è già una funzione dell’intelletto.<br />

Per tirare le fila del <strong>di</strong>scorso svolto fin qui: per Kant nella percezione<br />

c’è sempre un elemento <strong>di</strong> attività. La formazione dell’immagine<br />

è una sintesi soggetta all’intelletto e alla determinazione apriori<br />

della forma della sensibilità. Ogni immagine è compresa in riferimento<br />

alle sensibilizzazioni empiriche <strong>degli</strong> schemi dei concetti puri dell’intelletto.<br />

Con questo Kant ha mosso il passo decisivo: la necessità e<br />

l’oggettività <strong>di</strong> un’origine intellettuale viene integrata nel lavoro dell’immaginazione.<br />

Illustriamo questo punto con l’esempio kantiano del triangolo.<br />

La sua definizione è una regola data dall’intelletto. L’immaginazione<br />

costruisce spontaneamente un’immagine sensibile in un’intuizione<br />

spaziale passibile <strong>di</strong> esser trattata universalmente. Notate però<br />

che la funzione dell’immaginazione produttiva qui non è limitata alla<br />

produzione <strong>di</strong> un’immagine. Prima e più importante <strong>di</strong> questo è il<br />

fatto che ci dà un proce<strong>di</strong>mento meto<strong>di</strong>co (ein metho<strong>di</strong>sches Verfahren)<br />

per produrre ogni possibile immagine. Questa ‘<strong>di</strong>rectio ingenii’, come


268 HEGEL E ARISTOTELE<br />

vorrei chiamare cartesianamente questo proce<strong>di</strong>mento, lo schema<br />

del concetto, è irriducibile a tutte le immagini particolari del triangolo.<br />

Esso è ciò che Kant chiama un monogramma, un modello prodotto<br />

apriori: ed è questo che fa sì che, <strong>di</strong> fronte ad un’immagine<br />

particolare <strong>di</strong> un triangolo, possiamo trascurarne i lati caduchi, e,<br />

grazie al <strong>di</strong>segno che ne abbiamo tracciato sulla lavagna o sulla carta,<br />

<strong>di</strong>mostrarne proprietà universali e necessarie.<br />

È fuori <strong>di</strong>scussione che la definizione kantiana <strong>di</strong> immaginazione<br />

come la «facoltà <strong>di</strong> rappresentare un oggetto nell’intuizione anche<br />

senza la sua presenza» (KrV § 24; Antropologia pragmatica § 28) sia una<br />

ripetizione delle analoghe definizioni <strong>di</strong> Wolff e Baumgarten, e che<br />

Kant tragga molte delle caratteristiche dell’immaginazione dai manuali<br />

<strong>di</strong> psicologia del suo tempo che più palesemente si rifacevano<br />

alla tra<strong>di</strong>zione aristotelica. Inoltre, è sorprendente la similarità <strong>di</strong> questa<br />

idea del triangolo, come <strong>di</strong> un determinato <strong>di</strong> cui trascuriamo la<br />

particolarità, con un passo <strong>di</strong> Aristotele. Nel De memoria leggiamo che<br />

«non si può pensare senza immagine. Nel pensare si dà lo stesso fenomeno<br />

che nel tracciare una figura: qui, pur non avendo bisogno <strong>di</strong><br />

un triangolo <strong>di</strong> grandezza determinata, tuttavia lo tracciamo <strong>di</strong> grandezza<br />

determinata: allo stesso modo chi pensa, anche se non pensa<br />

una cosa <strong>di</strong> quantità determinata se la pone davanti agli occhi come<br />

una quantità e la pensa facendo astrazione dalla quantità» (1, 449 b<br />

24 sgg.).<br />

Da tutto ciò si potrebbe pensare che avessero ragione Heidegger<br />

e Mörchen a ritenere che Kant non faccia che recuperare la fantasiva<br />

aristotelica ( 8 ). Ve<strong>di</strong>amo allora cosa scrive Aristotele della fantasiva e<br />

perché, come ho anticipato prima, si debba pensare che in realtà un<br />

( 8 ) M. HEIDEGGER, Kant und das Problem der Metaphysik, 1929, 2.e Auflage,<br />

Frankfurt a. M. 1951, p. 199 n., e H. MÖRCHEN, Die Einbildungskraft bei Kant, in Jahrbuch<br />

für Philosophie und phänomenologische Forschung, hrsg. v. E. Husserl, Bd. 11,<br />

p. 490.


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

269<br />

mutamento <strong>di</strong> para<strong>di</strong>gma e <strong>di</strong> significato stia <strong>di</strong>etro alla teoria<br />

kantiana. Ve<strong>di</strong>amo cioè perché questa vada compresa nel contesto<br />

nient’affatto aristotelico della natura della rappresentazione e del<br />

concetto <strong>di</strong> forma apriori, ossia <strong>di</strong> ciò che grazie agli schemi si può<br />

anticipare oggettivamente apriori riguardo alla forma dei fenomeni<br />

in un giu<strong>di</strong>zio sintetico.<br />

La prima cosa che si può notare in Aristotele è che la fantasiva<br />

non si può neppure tradurre pacificamente in modo omogeneo in<br />

tutte le sue ricorrenze con immaginazione. A volte designa ciò che è<br />

semplicemente manifesto o apparente (come nella locuzione ta;<br />

sumbebhkovta ... kata; th;n fantasivan, De an. A 1, 402 b 21-5), o ciò che<br />

ha a che fare con la manifestatività, come è ancor più evidente se<br />

consideriamo l’equivocità del termine favntasma, che può designare<br />

un’immagine nella memoria seguente ad una sensazione, ma anche<br />

un’apparenza o un evento illusorio, per non <strong>di</strong>re una immagine allucinata<br />

o onirica. In altre parole, l’immaginazione aristotelica non<br />

ha un’identità univoca. È associata e al contempo <strong>di</strong>stinta dalla sensazione<br />

da un lato e dal nou`~ dall’altro, definita, analogamente alla<br />

memoria e ai sogni, come «mutamento derivante dalla sensazione»,<br />

che è a sua volta un movimento, è stranamente con<strong>di</strong>zione della<br />

uJpovlhyi~ (ivi, G 3, 427 b 16) e assolutamente altra rispetto alla dovxa<br />

(428 b 1). Si può <strong>di</strong>re che sia ancora più apolide, heimatlos, per parafrasare<br />

quanto Heidegger <strong>di</strong>ce riguardo a Kant, dell’immaginazione<br />

produttiva nella prima e<strong>di</strong>zione della Critica.<br />

Per Aristotele l’immaginazione è un movimento residuale causato<br />

da un sensibile in atto, il movimento <strong>di</strong> illuminare la forma della<br />

cosa (fantasiva è connessa etimologicamente con favo~, luce, rammenta<br />

Aristotele; questo, che può sembrare un punto estrinseco, è<br />

invece secondo me uno dei più significativi per intendere l’accezione<br />

aristotelica <strong>di</strong> fantasiva) ( 9 ). Poiché il favntasma è la traccia lasciata<br />

( 9 ) Riguardo a questo, e per il connesso primato della vista, si può qui ad<br />

esempio ricordare che Quintiliano traduceva fantasiva con visiones, Inst. Or. VI, 2,<br />

29.


270 HEGEL E ARISTOTELE<br />

dall’azione delle cose sui nostri organi e sensi, l’immaginazione è ciò<br />

che resta della sensazione, ed è molto vicina alla memoria e alla consapevolezza<br />

del tempo trascorso.<br />

Ma, a <strong>di</strong>fferenza dei sensibili propri, sempre veri, l’immaginazione<br />

è fallibile perché è un’affezione del senso comune. E neppure il<br />

senso comune, a sua volta, è una facoltà, quanto piuttosto un nome<br />

generico per la percezione dei koinav: il tempo, il movimento, il riposo,<br />

la figura, numero, grandezza. Notiamo subito alcune cose. Intendere<br />

l’immaginazione come un movimento esercitato da altro, anziché una<br />

potenza in<strong>di</strong>pendente, significa che la sua natura è derivata e successiva<br />

alla sensazione. E qui sta la definizione più comprensiva data da<br />

Aristotele dell’immaginazione come «ciò me<strong>di</strong>ante cui si produce in<br />

noi un’apparenza, un favntasma» (ivi, G 3, 428 a 1-2). Non c’è un’attività<br />

in questo processo. Certo, l’immaginazione non vive della sensazione<br />

esclusivamente come un parassita vive <strong>di</strong> un organismo vivente;<br />

Aristotele ammette una spontaneità dell’immaginare. Ma quel che<br />

ha in mente con ciò è una sorta <strong>di</strong> visualizzazione, come quando sogniamo<br />

o quando ci ren<strong>di</strong>amo presenti cose assenti ( 10 ). Non ha cioè<br />

in mente una potenza inventiva o poietica: in altre parole, l’immaginazione<br />

è fondamentalmente riproduttiva. Anche le riproduzioni false o<br />

le immagini illusorie sono giu<strong>di</strong>cate in riferimento ad un dato, che è la<br />

pietra <strong>di</strong> paragone della mimesis, l’inizio e la fine della ricerca. Infine, il<br />

fatto che Aristotele non consideri l’immaginazione l’elaborazione soggettiva<br />

<strong>di</strong> un evento oggettivo, una facoltà — nel senso che a questa<br />

parola davano i moderni che l’hanno inventata —, ha per conseguenza<br />

un punto <strong>di</strong> capitale importanza: l’immaginazione è un processo<br />

anonimo e privo <strong>di</strong> sé — Selbstlos, vien da <strong>di</strong>re —, che non trae il suo<br />

significato dal riferimento ad un io o ad un cogito.<br />

Per inciso si può notare che, giu<strong>di</strong>cando le cose retrospettivamente,<br />

o meglio lo hysteron con il proteron, ha un senso molto pre-<br />

( 10 ) Ciò è stato ben mostrato da M. SCHOFIELD, Aristotele on Imagination, in<br />

Aristotle on Mind and the Senses, ed. by G.E.R. Lloyd and G.E.L. Owen, Cambridge<br />

1978, 99-139: p. 132 n. 19.


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

271<br />

gnante dal punto <strong>di</strong> vista aristotelico trattare la fantasiva nell’ambito<br />

della psicologia come indagine sulla fuvsi~ e non come un capitolo<br />

della filosofia della soggettività ( 11 ): è perché mutano ra<strong>di</strong>calmente i<br />

concetti <strong>di</strong> spazio, <strong>di</strong> movimento e l’inten<strong>di</strong>mento della natura in<br />

generale, e conseguentemente il ruolo della matematica e l’identità<br />

del sapere, che all’inizio della modernità il quadro <strong>di</strong> riferimento<br />

generale in cui si definisce l’immaginazione muta altrettanto ra<strong>di</strong>calmente<br />

— e parallelamente alla polarizzazione soggettivo-oggettivo<br />

estranea al mondo classico. Per Aristotele natura significa essenza,<br />

ed è la fonte onnicomprensiva <strong>di</strong> significato per tutto ciò che<br />

non è prodotto dall’uomo, inclusa quin<strong>di</strong> l’anima. La psicologia<br />

<strong>di</strong>fatti, con l’unica eccezione delle pagine sul nou`~, è un capitolo della<br />

fisica. Di conseguenza, il concetto aristotelico <strong>di</strong> immaginazione<br />

appartiene alla ricerca sui fuvsei o[nta, e anche l’autoconoscenza è la<br />

conoscenza <strong>di</strong> una natura data a noi non <strong>di</strong>versamente da come ci<br />

sono date le cose. Al contrario, se l’immaginazione kantiana è un’attività<br />

<strong>di</strong> sintesi concepita come una funzione essenziale <strong>di</strong> un io-penso,<br />

la conoscenza che ne possiamo avere non è la descrizione fenomenologica<br />

<strong>di</strong> un ente naturale, ma il processo che dal con<strong>di</strong>zionato<br />

conduce alla sua con<strong>di</strong>zione nell’autocoscienza e in quanto è l’autocoscienza.<br />

( 11 ) Ed è qui, tra l’altro, la più grande forzatura dell’interpretazione <strong>di</strong> Hegel,<br />

al<strong>di</strong>là <strong>di</strong> tutto quel che si può <strong>di</strong>re sul nou`~: Hegel non fraintende il testo greco, però<br />

contestualizza Aristotele in base ai principi della sua filosofia, e all’interno <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>visioni<br />

e categorizzazioni <strong>hegel</strong>iane, non aristoteliche. Così Hegel sposta la linea <strong>di</strong><br />

demarcazione, che per Aristotele era tra ciò che è <strong>di</strong> pertinenza del fisico (e cioè lo<br />

stu<strong>di</strong>o dei lovgoi e[nuloi, delle forme-nella-materia), e ciò che esulava dalla sua indagine<br />

e perteneva alla filosofia prima, il nou`~, nella <strong>di</strong>visione tra logica oggettiva e soggettività,<br />

tra natura inorganica-spirito finito e pensiero autocosciente. Così della yuchv<br />

aristotelica Hegel fa la prima parte della filosofia dello spirito, e può quin<strong>di</strong> raggruppare<br />

De anima, Etica nicomachea e Politica nelle sue Lezioni sotto il titolo <strong>di</strong> Philosophie<br />

des Geistes. Categorizzazione tanto più arbitraria se ricor<strong>di</strong>amo come etica e politica<br />

per Aristotele avessero a che fare con taŸ pravgmata, non con la fuvsi~; non si trattava<br />

insomma <strong>di</strong> restituire un ei\do~ dato, ma <strong>di</strong> indagare l’ajrethv <strong>di</strong> ciò che può essere<br />

altrimenti.


272 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Anche il ruolo apparentemente simile dell’immaginazione nel<br />

pensiero asserito da Aristotele e Kant ha bisogno <strong>di</strong> precisazioni. Per<br />

Aristotele, poiché gli oggetti <strong>di</strong> memoria sono immaginabili in sé,<br />

nel senso che sono presenti alla memoria come figure o immagini, e<br />

poiché tutto ciò che può esser ricordato è ridotto ad un favntasma, i<br />

fantavsmata sono <strong>di</strong> per sé basati sull’associazione e riprodotti secondo<br />

la nostra esperienza delle cose corrispondenti. Sicché, contrariamente<br />

ad un’opinione tramandata, il fatto che non possiamo pensare<br />

se non in un favntasma non ha alcuna importanza per il pensiero in<br />

sé, ma solo per la nostra apprensione (uJpovlhyi~) e per la memoria. Il<br />

favntasma è quin<strong>di</strong> un primo per noi, per la nostra conoscenza, non<br />

per natura, o per il pensiero epistemico o metafisico. Inoltre, a <strong>di</strong>fferenza<br />

che in Kant, l’immaginazione non ha nessuna funzione essenziale<br />

da svolgere in matematica. Ciò è chiaro dalla <strong>di</strong>stinzione<br />

aristotelica tra oggetti <strong>di</strong> memoria in senso proprio ed oggetti <strong>di</strong><br />

memoria kata; sumbebhkov~ (De mem. 1, 450 a 27). In un altro passo<br />

che non viene commentato quasi mai (An. Post. A 10, 77 a 1), Aristotele<br />

scrive che <strong>di</strong>segnare un triangolo ha soltanto una funzione illustrativa.<br />

L’ulteriore conseguenza che ci interessa qui è che per Aristotele<br />

contempliamo l’e\ido~ del triangolo alla luce del suo favntasma.<br />

Sicché la relazione tra i due non è né <strong>di</strong>retta né necessaria.<br />

Per Kant, al contrario, esibiamo nella costruzione del triangolo<br />

l’oggetto che abbiamo definito puramente e apriori. Quin<strong>di</strong> anche<br />

l’immagine sensibile più approssimativamente <strong>di</strong>segnata sulla carta<br />

è garantita teoreticamente dal suo esser prodotta interamente apriori<br />

secondo le regole dell’intelletto. L’immaginazione, che è produttiva<br />

e arbitraria, è regolata dall’intelletto in un modo che per Aristotele<br />

non poteva darsi perché per lui, come per tutta la geometria greca, il<br />

triangolo è una forma data che dobbiamo esaminare, non qualcosa<br />

che costruiamo. E qui ha ragione Lachterman ( 12 ) quando scrive che<br />

per Aristotele è il nous che deve guardare ai fantavsmata trascuran-<br />

( 12 ) The Ethics of Geometry. A Genealogy of Modernity, NewYork 1989, p. 82.


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

273<br />

do la loro determinatezza; cioè il favntasma è irrime<strong>di</strong>abilmente particolare<br />

e soggettivo, mentre la modernità penserebbe all’immaginazione<br />

a partire dal para<strong>di</strong>gma delle arti produttive, in cui <strong>di</strong>amo una<br />

figura esterna durevole alle nostre immagini mentali. Vorrei solo aggiungere,<br />

nel contesto <strong>di</strong> cui stiamo parlando, che la necessità <strong>di</strong> un<br />

principio attivo, questa incre<strong>di</strong>bile crux che è il nou`~ tw/` pavnta poiei`n,<br />

è per Aristotele un’altra versione del problema del rapporto tra ei[dh<br />

dati da un lato, e ei[dh e fantavsmata nel e per il pensiero dall’altro.<br />

Come tale, questo non è un problema per Kant, perché per lui<br />

cambiano tutti i termini <strong>di</strong> riferimento e gli aspetti del problema.<br />

Mentre per Aristotele la relazione tra una forma e il suo apparire a<br />

noi nella sensazione serve a spiegare la stabilizzazione <strong>di</strong> una forma<br />

data nella nostra memoria, il problema <strong>di</strong> Kant — e la svolta nel<br />

periodo critico inizia con la soluzione a ciò — è la questione della<br />

realtà oggettiva dei nostri concetti. ln altre parole, il problema <strong>di</strong> Kant<br />

è l’inverso <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Aristotele. Se per la tra<strong>di</strong>zione post-aristotelica<br />

una delle aporie più <strong>di</strong>battute riguarda la formazione e la natura<br />

dell’universale per noi, Kant è sicuramente cartesiano e moderno<br />

nel porsi al contrario il problema della sintesi apriori, della possibilità<br />

per i nostri concetti universali <strong>di</strong> riferirsi apriori alle intuizioni e<br />

<strong>di</strong> collegarsi così al mondo. Cartesiano e moderno perché ora è il<br />

cogito, la purezza <strong>di</strong> un soggetto ormai opposto alla gamma illimitata<br />

<strong>di</strong> possibili oggetti esterni, che si pone come norma e criterio<br />

della rappresentabilità e verità <strong>degli</strong> oggetti. Parallelamente, le forme<br />

non sono più gli ei[dh dati delle cose, ma si costituiscono riflessivamente<br />

e meto<strong>di</strong>camente come i concetti con cui or<strong>di</strong>niamo l’oggettività.<br />

Così i concetti <strong>di</strong>vengono a pieno titolo le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong><br />

possibilità delle immagini.<br />

Posto che l’ere<strong>di</strong>tà aristotelica vada quin<strong>di</strong> relativizzata, si può<br />

<strong>di</strong>scutere in sede <strong>di</strong> ricostruzione storica quali siano gli autori che<br />

più hanno influito su Kant riguardo all’immaginazione. Personalmente,<br />

ritengo più importante far lavorare comparativamente e<br />

contestualmente para<strong>di</strong>gmi <strong>di</strong>versi al fine <strong>di</strong> comprendere meglio


274 HEGEL E ARISTOTELE<br />

motivazioni e fini <strong>di</strong> un autore, più che riscontrare ovunque filiazioni,<br />

influssi e debiti inconfessati. Per questo mi sembra più fecondo delineare<br />

quali sono le posizioni più articolate che ci aiutino a comprendere<br />

dove risieda la novità del pensiero kantiano, in<strong>di</strong>pendentemente<br />

dal fatto che Kant ne fosse a conoscenza o meno. Ho mostrato altrove<br />

( 13 ) che tenere presenti due modelli, quello cartesiano e quello<br />

leibniziano, è <strong>di</strong> importanza cruciale per definire lo scarto operato<br />

da Kant rispetto alla tra<strong>di</strong>zione; e, con ciò, per andare al<strong>di</strong>là della<br />

stessa comprensione kantiana della propria posizione nell’ambito<br />

della tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> pensiero intorno al problema del rapporto tra immaginazione,<br />

pensiero e sensibilità. Kant, in una nota nella prima<br />

e<strong>di</strong>zione della Critica (A 120 n.), sostiene che fino a lui nessuno è<br />

stato in grado <strong>di</strong> rendere conto comprensivamente della funzione<br />

sintetica ed attiva dell’immaginazione all’opera in ogni percezione.<br />

Questo è solo un lato della verità, e anzi non è neppure del tutto<br />

vero, poiché questo elemento si può trovare già in Leibniz. Quello<br />

che a me sembra più importante è il momento regolativo e meto<strong>di</strong>co<br />

assunto dall’immaginazione nel fare da tramite tra pensiero ed intuizione,<br />

nel <strong>di</strong>sciplinare con necessità il senso interno e, così, il movimento<br />

<strong>di</strong>scensivo ed ascensivo che ha luogo tra pensiero ed intuizione.<br />

A questo proposito, molto brevemente vorrei ricordare quanto<br />

Cartesio suoni aristotelico quando scrive che il senso comune lascia<br />

sull’immaginazione le tracce che assumono le figure <strong>degli</strong> oggetti<br />

come l’anello lascia la sua traccia sulla cera. Di derivazione<br />

aristotelica sono pure altre delle caratteristiche fondamentali dell’immaginazione<br />

cartesiana, come la connessione tra immaginazione e<br />

memoria, e il rapporto con l’intelletto, soprattutto in geometria. Ma<br />

notare queste cose non deve far passare in secondo piano come<br />

Cartesio insinui in un vocabolario scolastico appreso dai gesuiti a La<br />

( 13 ) In Kant’s Productive Imagination and Its Alleged Antecedents, in The Graduate<br />

Faculty Philosophy Journal, 18:1, 1995, pp. 78-86.


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

275<br />

Flèche la forza <strong>di</strong>rompente delle sue novità: nel contesto che ci interessa<br />

qui, basta ricordare come la nostra rappresentazione dei corpi<br />

della sostanza estesa necessiti dell’intervento dell’immaginazione,<br />

che presenta all’intelletto le idee dell’estensione che l’intelletto astrae<br />

e analizza in nozioni semplici. In particolare, poi, nella geometria<br />

l’immaginazione raffigura i concetti puri e li spazializza in figure ed<br />

immagini esterne. Tutto questo ha luogo grazie all’intervento del<br />

senso comune, che però non è più, come in Aristotele, riferito ad<br />

una classe <strong>di</strong> sensibili, ma è corporeo ed al contempo opera come la<br />

convergenza e la <strong>di</strong>scriminazione dei sensi propri. Per esempio, poiché<br />

la visione è propriamente in relazione solo con la luce e i colori,<br />

è l’anima che paragona le impressioni lasciate attraverso i nervi nel<br />

senso comune e nell’immaginazione e giu<strong>di</strong>ca figure, <strong>di</strong>stanza, grandezza<br />

e collocazione dei corpi (Dioptrique, Discours Sixiesme). Detto<br />

<strong>di</strong>versamente, l’immaginazione e il senso comune comunicano all’anima<br />

le impressioni lasciate dai corpi sui nervi e così costituiscono<br />

l’ultimo gra<strong>di</strong>no prima del giu<strong>di</strong>zio analitico ed intellettuale sull’esteriorità.<br />

Questa trasformazione dell’immaginazione e del senso comune,<br />

che affonda sicuramente le sue ra<strong>di</strong>ci nell’interpretazione poco<br />

aristotelica del De anima offerta da Tommaso, per cui il senso comune è<br />

l’unità dei sensi propri, in Leibniz è decisamente più accentuata in senso<br />

idealistico ed antimaterialistico. Senso comune e senso interno <strong>di</strong>ventano<br />

in<strong>di</strong>stinguibili, e si riferiscono entrambi all’unità appercettiva<br />

della monade. Ma l’immaginazione leibniziana non è ancora assimilabile<br />

a quella kantiana. Rispetto a quella cartesiana, l’immaginazione in<br />

Leibniz — ed è importante tener presente questo per quanto vedremo<br />

riguardo a Hegel — è definita dalla superiore generalità delle sue funzioni,<br />

e caratterizzata fondamentalmente dall’arbitrarietà nel foggiare i<br />

mezzi per l’espressione della mente. Idee e segni sono entrambi espressioni<br />

o rappresentazioni <strong>di</strong> oggetti.<br />

Ma la funzione poietica dell’immaginazione — crea segni, parole,<br />

simboli — non la rende autonoma né affine alla necessità logica


276 HEGEL E ARISTOTELE<br />

dell’intelletto. L’immaginazione è strumentale al ragionamento astratto,<br />

e sparisce dalla scena che ha costruito per lasciar posto all’intelletto.<br />

Nell’ars characteristica, i prodotti dell’immaginazione <strong>di</strong>vengono<br />

in<strong>di</strong>pendenti dal processo della loro produzione: rimangono solo<br />

pure convenzioni d’ausilio al processo deduttivo.<br />

Tutte queste relazioni sono mutate da Kant. I concetti sono per<br />

Kant il prodotto puramente <strong>di</strong>scorsivo dell’attività unificatrice dell’intelletto.<br />

E l’immaginazione, a sua volta, è l’azione, la Wirkung<br />

dell’intelletto sulla sensibilità. Piuttosto che creare i mezzi per l’espressione<br />

dei concetti, essa mo<strong>di</strong>fica la sensibilità, esibendo i concetti in<br />

intuizioni spazio-temporali.<br />

Mentre per Leibniz l’immaginazione ha a che fare con l’astrazione,<br />

per Kant l’immaginazione ha a che fare con figure, o col senso<br />

interno. L’intuizione, poi, è limitata alle forme dello spazio e del tempo,<br />

e perde ogni connotazione intellettuale quale poteva avere nella<br />

intellezione dei simplicia <strong>di</strong>scussa da Leibniz. Per Kant la funzione<br />

simbolica è l’opera dell’immaginazione produttiva nel suo uso empirico.<br />

Kant separa così la sensibilizzazione schematica da quella caratteristica,<br />

ed assegna l’intuizione matematica alla modalità<br />

schematica. Così la matematica non è in primo luogo un calcolo, una<br />

cognitio caeca come in Leibniz, ma trae la sua origine dall’intuizione<br />

apriori dello spazio e del tempo. E ciò è possibile solo perché la necessità,<br />

anziché essere analitica, è già pensata come intrinseca alle<br />

costruzioni nell’intuizione operate dall’immaginazione. Più in generale,<br />

per Kant l’immaginazione è una struttura operativa fondamentale<br />

dell’esperienza, non solo uno strumento per rappresentare l’estensione.<br />

È sempre all’opera nella percezione; e, a <strong>di</strong>fferenza che nei<br />

suoi predecessori moderni, per i quali l’intelletto deve <strong>di</strong>sciplinare<br />

con successo intermittente un’immaginazione che spesso si presenta<br />

come recalcitrante, in Kant la guida costante dei concetti puri dell’intelletto<br />

è ciò che permette <strong>di</strong> considerare l’attività dell’immaginazione<br />

come una determinazione normativa delle intuizioni e della<br />

forma dei fenomeni.


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

277<br />

3. L’uno dei molti e l’uno oltre i molti. Idealizzazione e manifestazione in<br />

Hegel — Veniamo ora a Hegel. A prima vista sembrerebbe che Hegel<br />

ignori sia gli sviluppi fichtiani e schellinghiani dell’immaginazione<br />

produttiva, sia la stessa <strong>di</strong>scussione del rapporto tra concetti, intuizioni<br />

e schemi nel concetto <strong>di</strong> autodeterminazione e autoaffezione<br />

presente nell’opera <strong>di</strong> Beck e <strong>di</strong> Maimon. A prima vista sembrerebbe<br />

anche che, dopo le pagine <strong>di</strong> Fede e sapere sull’immaginazione produttiva<br />

in Kant, Hegel non torni quasi più sul ruolo idealistico svolto<br />

dall’immaginazione nell’ambito <strong>di</strong> quello che dovrebbe appunto<br />

fondare tale ruolo, cioè nella sua matura filosofia dello spirito soggettivo<br />

nell’Enciclope<strong>di</strong>a. Penso che se forse il primo punto appare<br />

più plausibile, riguardo al secondo si debba mettere in <strong>di</strong>scussione<br />

la superficialità <strong>di</strong> una interpretazione siffatta dell’evoluzione del<br />

pensiero <strong>hegel</strong>iano.<br />

Ma ve<strong>di</strong>amo un attimo riguardo a Fede e sapere come Hegel<br />

commenti l’immaginazione produttiva kantiana e ne muti impercettibilmente,<br />

ma inesorabilmente, il significato. Hegel scrive ( 14 ) che<br />

nel porsi il problema dei giu<strong>di</strong>zi sintetici apriori Kant aveva colto la<br />

vera identità <strong>di</strong> essere e pensare, anche se poi l’aveva fraintesa in<br />

senso psicologico e formale. Quello che io voglio sottolineare qui è<br />

che, forzando il concetto <strong>di</strong> intuizione pura, anzi, a <strong>di</strong>re il vero, puntando<br />

su quanto <strong>di</strong> ambiguo veniva lasciato in sospeso da Kant stesso<br />

( 15 ), Hegel interpreta l’intuizione come un’unità sintetica, «come<br />

l’eterogeneo che nello stesso tempo è apriori, cioè assolutamente identico»<br />

(ibid.). In altre parole, la ragione è la possibilità <strong>di</strong> questo porre,<br />

e come tale è l’identità <strong>degli</strong> opposti. Così Kant sarebbe costretto ad<br />

ammettere che l’immaginazione produttiva, come il lato sensibile<br />

( 14 ) Glauben und Wissen (1802), in Jenaer Kritische Schriften, hrsg. v. H. Buchner<br />

u. O. Pöggeler, in Gesammelte Werke, Hamburg 1968, Bd. 4, p. 327 (tr. it. a cura <strong>di</strong> R.<br />

Bodei, in Primi scritti critici, Milano 1971; 1981 2 , p. 139).<br />

( 15 ) Per una <strong>di</strong>scussione <strong>di</strong> questo punto mi permetto <strong>di</strong> rimandare al mio<br />

Costruction and Matemathical Schematism. Kant on the Exhibition of a Concept in Intuition,<br />

in Kant-Stu<strong>di</strong>en, cit., pp. 137-47.


278 HEGEL E ARISTOTELE<br />

dell’azione della ragione, spontaneità e attività sintetica assoluta, è<br />

principio della sensibilità, che invece fino ad allora era stata caratterizzata<br />

come recettività pura. L’immaginazione produttiva sarebbe<br />

allora ciò che permette all’unità sintetica originaria dell’appercezione<br />

<strong>di</strong> sapersi come il vero in sé, come l’identità bilaterale che <strong>di</strong>viene<br />

poi soggetto e oggetto scindendosi in coscienza particolare e mondo.<br />

Notate che il mutamento sostanziale qui riguarda il concetto<br />

<strong>di</strong> autoaffezione proprio della synthesis speciosa kantiana. Mentre Kant<br />

ricerca la fondazione del rapporto del pensiero al puro molteplice<br />

dell’intuizione, cioè la connessione tra concetti e realtà, Hegel pone<br />

in rilievo quella che lui chiamerebbe la verità <strong>di</strong> questa connessione:<br />

cioè il fatto che, poiché nessuna unità intuita è possibile senza una<br />

sintesi e non si dà nulla nell’esperienza che sia sottratto alla determinazione<br />

delle categorie, l’autoaffezione <strong>di</strong> Kant è in realtà l’autodeterminazione<br />

del pensiero puro nella realtà. La conclusione è che, nei<br />

termini della Fenomenologia, la verità della coscienza è la ragione, lo<br />

spirito autocosciente. E, nei termini dell’Enciclope<strong>di</strong>a, il rapporto tra<br />

datità sensibile e costituzione soggettiva non è più quello tra due<br />

opposti, ma si mostra come il passaggio da un’eteronomia apparente<br />

ad un’autodeterminazione dello spirito che si scopre come concetto<br />

o ragione assoluta, dove il sapere <strong>di</strong> sé si mostra come fondamento<br />

<strong>di</strong> possibilità del sapere dell’oggettività.<br />

Detto questo, può risultare strano allora che solo l’anno dopo,<br />

nella <strong>Filosofia</strong> dello spirito del 1803/04, l’immaginazione abbia un ruolo<br />

talmente secondario ( 16 ). Se ne potrebbe concludere, come suona la<br />

communis opinio fra gli interpreti <strong>hegel</strong>iani, che in Fede e sapere si trattasse<br />

in fondo solo <strong>di</strong> un commento a temi kantiani, ma che <strong>di</strong> suo<br />

Hegel si sarebbe espresso ben <strong>di</strong>versamente, ed in particolare non<br />

avrebbe affatto assegnato un ruolo positivo all’immaginazione. Io<br />

( 16 ) Jenaer Systementwürfe, in GesammelteWerke, Bd. 6, hrsg. v. K. Düsing u. H.<br />

Kimmerle, Hamburg 1975, p. 286, tr. it. a cura <strong>di</strong> G. CANTILLO, <strong>Filosofia</strong> dello spirito<br />

jenese, Bari 1984, p. 23.


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

279<br />

non sono d’accordo con questa interpretazione. È vero che mutano i<br />

concetti <strong>hegel</strong>iani <strong>di</strong> intuizione e <strong>di</strong> identità, e quin<strong>di</strong> alcuni tratti essenziali<br />

della stessa immaginazione, dopo Fede e sapere. Ma se an<strong>di</strong>amo<br />

a leggere la progressione <strong>di</strong> forme della filosofia dello spirito<br />

soggettivo già nel 1805 e poi nel 1808, notiamo che ad<strong>di</strong>rittura l’immaginazione<br />

è identificata con lo sta<strong>di</strong>o me<strong>di</strong>ano delle forme<br />

teoretiche dell’intelligenza, quella che nell’Enciclope<strong>di</strong>a del 1827 e 1830<br />

sarà la rappresentazione. In particolare, poi, non muta affatto il senso<br />

per cui la filosofia dell’intelligenza trova nella spontaneità dell’immaginazione<br />

la chiave <strong>di</strong> volta attorno a cui costruire la progressione<br />

delle forme soggettive come il passaggio dal trovarsi determinati<br />

al sapersi come determinanti la realtà nel pensiero.<br />

In questa progressione, l’immaginazione è l’unico momento<br />

che veda raccolti in sé entrambi i lati fondamentali della realizzazione<br />

dello spirito. E questi sono l’Ideelsetzung dell’alterità e la manifestazione<br />

<strong>di</strong> sé. A <strong>di</strong>spetto <strong>di</strong> quanto Hegel scrive nell’introduzione<br />

alla filosofia dello spirito dell’Enciclope<strong>di</strong>a (§ 383 e 384), infatti, non<br />

esiste solo la Sichselbstoffenbarung dello spirito, ma altrettanto e prima<br />

<strong>di</strong> quella la idealizzazione dell’esteriorità, che ne appare la con<strong>di</strong>zione<br />

preliminare, anche se poi Hegel pare trattarla come un semplice<br />

mezzo per stabilire la superiore verità dell’essenza dello spirito<br />

come manifestazione. In questo movimento alternato, mi sembra che<br />

del De anima aristotelico Hegel recuperi soprattutto tratti pertinenti<br />

a quella che per lui è l’idealizzazione dell’esteriorità, più che al movimento<br />

complementare <strong>di</strong> dare poi all’intelligenza un essere. Penso<br />

per esempio alla <strong>di</strong>scussione del segno, del linguaggio etc., che non<br />

ha nulla <strong>di</strong> essenziale a che fare con Aristotele.<br />

Ho scritto nel mio libro, riguardo a questi problemi, che nei<br />

paragrafi della psicologia dell’Enciclope<strong>di</strong>a l’obiettivo <strong>di</strong> Hegel è mostrare<br />

la produzione per lo spirito della libertà dal con<strong>di</strong>zionamento:<br />

il fine cioè è mostrare come lo stesso spirito, che all’inizio è immerso<br />

nella naturalità, nell’antropologia, si scopra al termine del processo<br />

la verità del processo stesso, e come l’attività che inconsapevolmente


280 HEGEL E ARISTOTELE<br />

vi dà luogo — in un modo non troppo lontano da quel che avviene<br />

per l’immaginazione produttiva inconscia della Wissenschaftslehre<br />

fichtiana del 1794. La natura non è altra rispetto alla ragione ma suo<br />

presupposto, e tutti gli sta<strong>di</strong> del rapporto dello spirito con la realtà,<br />

le <strong>di</strong>verse forme del conoscere e dell’agire, vanno concepiti come<br />

momenti <strong>di</strong> un medesimo processo, l’entelechia dello spirito vivente:<br />

essi stanno gli uni con gli altri nella relazione negativa <strong>di</strong> progressiva<br />

sussunzione.<br />

Ora, riguardo a tutto questo Hegel ritrova nel De anima non<br />

solo molti punti specifici che <strong>di</strong>scute o <strong>di</strong> cui si appropria. Ben più<br />

importante è che ritrovi nel De anima l’ispirazione <strong>di</strong> fondo dell’andamento<br />

<strong>di</strong> questi paragrafi: la negatività dello spirito, per cui ogni<br />

forma finita <strong>di</strong>venta materia per la forma superiore <strong>di</strong> considerazione<br />

della realtà; la concezione dell’io come potenza formata o e{xi~,<br />

che conserva e idealizza nella memoria l’oggettività, garantendo la<br />

continuità delle esperienze; l’intelletto che tematizza le forme inferiori<br />

del conoscere, e in ciò conosce se stesso; infine, l’unità <strong>di</strong> volontà<br />

e ragione.<br />

Per venire ora al problema che ci interessa, il principio aristotelico<br />

per cui ogni forma del conoscere è materia per una forma superiore fa<br />

sì che nella filosofia dello spirito teoretico l’immaginazione sia concepita<br />

come un risultato ed altresì come un successivo inizio nel progresso<br />

delle forme soggettive, generantisi l’una dall’altra. Inoltre la<br />

descrizione <strong>di</strong> molti lati della funzione dell’immaginazione — che per<br />

Kant sarebbero empirici, non trascendentali —, dalla ‘se<strong>di</strong>mentazione’<br />

delle immagini nella memoria, che è una potenza formata, alla possibilità<br />

del loro richiamo arbitrario, si possono idealmente ricondurre<br />

ad Aristotele. Analogamente, è grazie alla concezione dello spirito come<br />

e{xi~ che è possibile l’interiorizzazione o Er-innerung <strong>hegel</strong>iana: cioè<br />

solo perché il mondo vale per lo spirito come negato e tolto nella memoria,<br />

lo spirito può avere una vita ideale in cui ripercorrere i propri<br />

sta<strong>di</strong> inferiori come tolti, in cui recuperare, e trasformare, la tra<strong>di</strong>zione<br />

appropriandosi della sua natura inorganica — può cioè avere un


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

281<br />

linguaggio, una storia, un’oggettività per sé, un’autocoscienza storica.<br />

ll principio che Hegel ritrova, e si può <strong>di</strong>scutere quanto a ragione,<br />

in Aristotele, e che fa valere contro Kant, è quello per cui per l’intelligenza<br />

intuizione e concetto non sono più due forme date ab initio<br />

come separate, ma si definiscono come i due poli della datità e della<br />

costituzione, della recettività apparente e dell’attività, nell’ambito del<br />

movimento immanente del pensiero. Ma proprio questo principio<br />

mostra come Hegel si <strong>di</strong>stacchi da Aristotele e concepisca la filosofia<br />

della soggettività come il superamento tanto <strong>di</strong> Aristotele quanto <strong>di</strong><br />

Kant (e <strong>di</strong> Fichte). E questo anche se dalle sue parole sembrerebbe che<br />

si limitasse a riportare in vita il De anima.<br />

Questo mi pare palese se consideriamo che il fondamentale<br />

criterio <strong>di</strong> significato in questi paragrafi è il rapporto tra interno ed<br />

esterno, e l’esito ne è la compiuta ragione che ha lo spirito sull’esteriorità.<br />

Il quadro in cui dobbiamo comprendere queste pagine, insomma,<br />

non è semplicemente né il rapporto tra concetti ed intuizioni,<br />

né quello tra sensazione e intelletto attivo, bensì il passaggio dalla<br />

datità alla costituzione, da un tempo e spazio esteriori, in cui dapprima<br />

si trova la cosa, al tempo e spazio dello spirito, assoluta norma<br />

della cosa ( 17 ).<br />

( 17 ) Spesso, quando Hegel vuole introdurre un concetto importante, esor<strong>di</strong>sce,<br />

o sottolinea quanto argomenta, con un gioco <strong>di</strong> parole. Nell’idealizzazione, “das<br />

Seiende” <strong>di</strong>venta “das Seinige” (= dello spirito), o “das Ihrige” (= dell’intelligenza):<br />

il passivo è reso un proprio. Questo si ritrova tanto nei paragrafi dell’Enciclope<strong>di</strong>a<br />

del 1827 e 1830 (§§ 451-454; cfr. anche Jenaer Systementwürfe III, in Gesammelte Werke,<br />

Bd. 8, hrsg. v. R.P. Horstmann u. Mit. v. J.H. Trede, Hamburg 1971, p. 188: “des<br />

Meinen”), quanto nelle Lezioni sulla sensazione in Aristotele (Vorlesungen über <strong>di</strong>e<br />

Geschichte der Philosophie, II, in Werke in 20 Bänden, Red. v. E. Moldenhauer u. K.M.<br />

Michel, Frankfurt a. M. 1969-71, Bd. 19, p. 207; cfr. anche l’Enciclope<strong>di</strong>a del 1817, §<br />

370). Qui leggiamo l’idealismo della sensazione com’è esposta da Aristotele descritto<br />

e interpretato in linguaggio tutto kantiano: «l’attività nella recettività, la spontaneità<br />

che toglie la passività nella sensazione». Così il principio idealistico della sensazione<br />

in atto, secondo cui senziente e sentito sono uno, <strong>di</strong>venta il principio ulteriore<br />

— non certo contenuto in quello — dell’autodeterminazione dello spirito che<br />

ha per oggetto la propria passività.


282 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Solo così si capisce, ad esempio, come si possa generare l’universalità<br />

per l’intelligenza secondo Hegel. Questo è un problema su cui<br />

Hegel può dare a<strong>di</strong>to a numerosi frainten<strong>di</strong>menti. Ritengo però che,<br />

se avremo la pazienza <strong>di</strong> seguirlo, avremo anche stabilito un punto<br />

fermo per rivolgerci poi <strong>di</strong> nuovo ai modelli kantiani ed aristotelici.<br />

Dal 1805 al 1830 non cambia, nell’ambito della rappresentazione, l’or<strong>di</strong>ne<br />

della serie Er-innerung, Einbildungskraft, Gedächtnis. Questi tre<br />

sta<strong>di</strong> — l’interiorizzazione che è al contempo il ricordo; la capacità<br />

<strong>di</strong> raffigurazione; la memoria già apparentata al pensiero — corrispondono,<br />

<strong>di</strong>rei, alla idealizzazione, alla libertà ed autonomia soggettiva<br />

dei collegamenti, e alla ritenzione della connessione arbitraria<br />

<strong>di</strong> segni. Il passaggio è, come <strong>di</strong>cevo, dal tempo e spazio esteriori,<br />

in cui si trova dapprima la cosa che consideriarno, al tempo e<br />

spazio dello spirito, che alla fine si muove liberamente nelle creazioni<br />

arbitrarie della sua intelligenza — simboli, segni, linguaggio, fino<br />

al pensiero libero. Il criterio è quello dell’appropriazione o assunzione<br />

in sé, da parte dell’intelligenza, <strong>di</strong> contenuti dati. L’oggetto è trovato<br />

nelle «forme universali dell’intuire» che sono spazio e tempo ( 18 ).<br />

Ma l’intuizione <strong>di</strong> un esterno, <strong>di</strong>scriminata da un atto <strong>di</strong> attenzione,<br />

cioè assunta come oggetto <strong>di</strong>screto <strong>di</strong> considerazione, <strong>di</strong>venta per il<br />

soggetto; in tal modo quest’ultimo «si raccoglie dal suo essere esterno,<br />

si riflette in sé e si stacca dall’oggettività, in quanto trasforma<br />

soggettivamente l’intuizione in immagine» ( 19 ). L’intuizione trasferi-<br />

( 18 ) Philosophische Enzyklopä<strong>di</strong>e für <strong>di</strong>e Oberklasse (1808 ff.), in Werke in 20<br />

Bänden, cit., Bd. 4, p. 44, § 136; tr. it. a cura <strong>di</strong> G. RADETTI, Propedeutica filosofica,<br />

Firenze 1951, 1977, p. 215.<br />

( 19 ) Ibid. § 139. Nelle significative parole della <strong>Filosofia</strong> dello spirito del 1805/<br />

06: l’oggetto «ha ottenuto la forma la determinazione <strong>di</strong> essere mio». Quando viene<br />

intuìto <strong>di</strong> nuovo non ha più il significato «dell’essere, bensì del mio: esso mi è già<br />

noto ovvero io mi ricordo <strong>di</strong> esso, o anche io ho in esso imme<strong>di</strong>atamente la coscienza<br />

<strong>di</strong> me». Così aggiungo all’oggetto questo esser-per-me, sicché «ciò che mi sta <strong>di</strong>nanzi è<br />

la sintesi <strong>di</strong> entrambi, contenuto ed io »; ma in tal modo «non è avvenuta soltanto una<br />

sintesi, bensì è stato tolto l’essere dell’oggetto (...) l’oggetto non è ciò che esso è»<br />

(Gesammelte Werke, Bd. 8, cit., p. 188, tr. cit., p. 72).


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

283<br />

ta nell’io <strong>di</strong>venta tolta, e da intuizione che era <strong>di</strong>venta rappresentazione<br />

universale.<br />

Anzitutto è opportuno ricordare che Hegel <strong>di</strong>stingue l’universalità,<br />

tipica dell’idealizzazione o dell’assunzione nell’intelligenza,<br />

dalla necessità, che solo il pensiero può offrire. Ma come può Hegel<br />

parlare <strong>di</strong> universalità e farla valere contro le associazioni empiriche,<br />

o contro le obiezioni scettiche sulla mera soggettività <strong>di</strong> tale<br />

idealizzazione? Non sembra questa psicologia empirica? Al contrario,<br />

qui Hegel abbandona il registro della descrizione fenomenologica<br />

per riflettere sulla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> possibilità dell’universalizzazione.<br />

Per spiegare meglio questo punto, penso ci possa tornare utile<br />

un confronto incrociato con Aristotele e Kant. Nell’idea che una immagine,<br />

tolta alla sua esteriorità e assunta come rappresentazione permanente,<br />

funga poi da regola generale — o forza attrattiva — per la<br />

relazione associativa empirica <strong>di</strong> immagini (Enc. 1830, § 455 n.), Hegel<br />

pare ricalcare la posizione kantiana, e accantonare decisamente il<br />

modello dell’ ejpagwghv aristotelica. Vi ricordate alla fine <strong>degli</strong> Analitici<br />

Posteriori quella bella, ancorché vaga, immagine secondo cui l’universale<br />

si forma in noi — anzi si acquieta nella nostra anima ( hJremhvsanto~<br />

<strong>di</strong>ce Aristotele a B 19, 100 a 6) —, come un esercito in fuga <strong>di</strong> cui si<br />

arresti improvvisamente prima un elemento, poi un altro, etc., finché<br />

non abbiamo restaurato un or<strong>di</strong>ne? In questa immagine, così come<br />

nel detto ripreso nell’Etica Nicomachea, a proposito delle <strong>di</strong>sposizioni,<br />

per cui una ron<strong>di</strong>ne non fa primavera, essenziale è la ripetizione, o la<br />

cumulatività. Ad<strong>di</strong>rittura nel De Memoria leggiamo che «la ripetizione<br />

genera la natura» (2, 452 a 30). Hegel, allora, abbandona il modello<br />

dell’ejpagwghv aristotelica quando scrive che «l’immagine non <strong>di</strong>venta<br />

rappresentazione universale perché l’intuizione viene ripetuta più<br />

spesso» ( 20 ), ma per il semplice fatto <strong>di</strong> venir assunta nell’io. Detto<br />

<strong>di</strong>versamente, l’io equivale qui alla notte dell’autocoscienza, al pen-<br />

( 20 ) Philosophische Enzyklopä<strong>di</strong>e für <strong>di</strong>e Oberklasse (1808 ff.), cit, p. 46, 144; tr. it.<br />

cit., Propedeutica, pp. 217-18.


284 HEGEL E ARISTOTELE<br />

siero, tanto che Hegel può <strong>di</strong>re che la singola intuizione viene sussunta<br />

nell’io come un particolare ad un universale (salvo poi ritrovare anche<br />

in Aristotele, del tutto arbitrariamente, la stessa concezione dell’io come<br />

universalità). Appunto perché non concepiva l’io come universale concreto<br />

e attivo, Aristotele non poteva poi superare quella che, dal punto<br />

<strong>di</strong> vista <strong>hegel</strong>iano, era la scissione tra ripetizione, rafforzamento<br />

della memoria — l’ejpagwghv come, letteralmente, il “condurre verso”<br />

l’universale, o l’uno oltre i molti —, e, dall’altro lato, l’ejpisthvmh e<br />

l’intellezione <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>visibili <strong>di</strong>screti del nou`~).<br />

Ma questa sussunzione è possibile solo perché Hegel sottolinea<br />

la necessità <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zione già rilevata da Kant, anzi da questi<br />

posta al centro della deduzione trascendentale della prima e<strong>di</strong>zione<br />

della Critica. Kant obiettava alla psicologia empirica, ma più<br />

precisamente a Hume, che pur ne era stato il critico più intelligente,<br />

che lo stesso associazionismo tra rappresentazioni, in cui da Locke a<br />

Hume si tendeva a risolvere la riflessione dell’intelletto come attività<br />

sbia<strong>di</strong>ta e derivata rispetto alle idee del senso, presupponeva un<br />

or<strong>di</strong>ne e una legalità che potevano esser garantite solo dal concetto<br />

inteso come legge. In un flusso <strong>di</strong> rappresentazioni, infatti, non sarei<br />

neppure in grado <strong>di</strong> associare una cosa ad un’altra se non possedessi<br />

apriori il principio <strong>di</strong> una loro identità specifica, e in seconda istanza<br />

numerica. L’io non sarebbe neppure un fascio <strong>di</strong> rappresentazioni<br />

ma un Gewühl, un caos indeterminato o una pluralità assoluta <strong>di</strong><br />

rappresentazioni tutte <strong>di</strong>verse le une dalle altre — anzi, <strong>di</strong> cui sarebbe<br />

contrad<strong>di</strong>ttorio fin parlarne come <strong>di</strong> rappresentazioni <strong>di</strong>verse —,<br />

se un concetto non presiedesse al loro collegamento, così come al<br />

lavoro dell’immaginazione. È nello stesso senso che Hegel può concludere<br />

che l’immagine viene liberata dalla sua imme<strong>di</strong>atezza e fatta<br />

valere <strong>di</strong> contro ad ogni ulteriore intuizione ed immagine come la<br />

rappresentazione universale e permanente.<br />

In questo, tuttavia, si celano due ambiguità. In primo luogo, vi<br />

sono due accezioni in cui si può prendere l’immagine. Da un lato, l’immagine<br />

è la rappresentazione universale permanente che funziona da


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

285<br />

pietra <strong>di</strong> paragone per confrontare, sussumere, correggere intuizioni<br />

presenti; dall’altro, immagini presenti occasionate da percezioni o fantasie<br />

puntuali sembrano sovrapporsi all’immagine consolidata come<br />

rappresentazione. Allora è problematico intendere quanto la prima<br />

immagine sia un alcunché <strong>di</strong> fisso e permanente, o quanto invece sia<br />

continuamente sfumata, corretta, ridefinita ad ogni nuovo incontro<br />

con dati non ancora assimilati. Questo, in effetti, sembra un problema<br />

presente a Hegel, che però non ci dà nessun lume ulteriore. Nell’Enciclope<strong>di</strong>a<br />

della Propedeutica (§ 145) scrive: «Nel ricordo la rappresentazione<br />

dell’intuizione passata e l’attuale si identificano imme<strong>di</strong>atamente.<br />

Io non ho davanti a me due realtà, l’intuizione e la rappresentazione,<br />

ma soltanto poiché l’ho avuta, poiché essa è già la mia, in quanto ho<br />

davanti a me la rappresentazione come <strong>di</strong>versa dall’intuizione, questa<br />

è l’immaginazione. In tal modo però intuizione e rappresentazione<br />

possono essere anche del tutto <strong>di</strong>verse».<br />

Questo passo naturalmente non ci aiuta, perché enuncia, senza<br />

commentarlo oltre, un contrasto — due <strong>di</strong>verse possibilità nella<br />

relazione tra rappresentazione e intuizione —, che lascia per<strong>di</strong>più<br />

inspiegato. E che pertanto non possiamo risolvere noi. Esso ci consente,<br />

tuttavia, <strong>di</strong> venire alla seconda ambiguità. Si è visto che, tolte<br />

al loro spazio e tempo esteriori, interiorizzate, le intuizioni acquistano<br />

idealità: ossia conservazione nella memoria, durata. Se l’immagine<br />

viene fatta valere <strong>di</strong> contro a successive immagini e intuizioni,<br />

dobbiamo chiederci se è il pensiero o l’immaginazione a tener fermo<br />

all’immagine originaria. A quanto pare <strong>di</strong> capire, sembra si tratti della<br />

funzione dell’immaginazione. Il fatto però è che questa è una domanda<br />

che avrebbe senso porre per Aristotele o per Kant, non per<br />

Hegel: per lui l’immaginazione è un’attività, e sta verso il pensiero<br />

come un suo sta<strong>di</strong>o inferiore, ma pur compreso sotto <strong>di</strong> esso, alla<br />

stregua <strong>di</strong> un suo modo provvisorio o unilaterale ( 21 ). In ogni caso, mi<br />

( 21 ) «Nell’intuire lo spirito è l’immagine» (<strong>Filosofia</strong> dello spirito 1805/06, in<br />

Gesammelte Werke, Bd. 8, cit., p. 186, tr. cit., p. 70, corsivo parzialmente mio).


286 HEGEL E ARISTOTELE<br />

sembra che dovremmo concluderne che abbiamo due funzioni <strong>di</strong>verse<br />

dell’immaginazione, che Hegel non <strong>di</strong>stingue esplicitamente:<br />

la produzione dell’immagine, e la capacità <strong>di</strong> variare, sulla base della<br />

rappresentazione, mo<strong>di</strong> e contorni dei contenuti intuìti. In questo<br />

modo la prima immagine, la rappresentazione, funge da norma della<br />

variazione sulle immagini ulteriori, che <strong>di</strong>ventano, da singolarità<br />

date, esistenze ideali. Nei termini dell’Enciclope<strong>di</strong>a del 1817, l’immagine<br />

tenuta ferma come rappresentazione è la potenza negativa con<br />

cui verrebbe smussato o levigato l’un contro l’altro il <strong>di</strong>suguale delle<br />

immagini simili (§ 376).<br />

In questo confronto, Hegel sembra pensare al tempo come funzione<br />

essenziale dell’immaginazione. Hegel non solo pone l’immaginazione<br />

tra ricordo-interiorizzazione e memoria, ma pensa insieme<br />

ricordo e immaginazione come termini correlativi. Qui però non<br />

c’entrano né il rapporto kantiano tra schemi e senso interno, né<br />

l’autoaffezione del tempo heideggeriana: il tempo ha a che fare soltanto<br />

con il rapporto tra un ideale ed una singolarità intuìta. Ma è<br />

legittimo trattare questo rapporto come quello tra un passato ed un<br />

presente? Empiricamente, è certo così che avviene ( 22 ); ma in sede <strong>di</strong><br />

( 22 ) In questo senso, nello Zusatz al § 454 dell’Enciclope<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Berlino, Hegel<br />

<strong>di</strong>ce che, per conservare vividamente nel ricordo una cosa, devo ripeterne l’intuizione;<br />

nel ripetuto richiamo <strong>di</strong> un’immagine, questa acquista tale vivacità e attualità<br />

che per ricordare non è più necessaria l’intuizione esterna. «In questo modo i<br />

bambini passano dall’intuizione al ricordo. E più un uomo è cólto, e più vive — in<br />

tutte le sue intuizioni — non tanto nell’intuizione imme<strong>di</strong>ata, quanto in ricor<strong>di</strong>,<br />

sicché vede poco <strong>di</strong> assolutamente nuovo, il contenuto sostanziale <strong>di</strong> ciò che è nuovo<br />

gli è piuttosto qualcosa <strong>di</strong> già noto». Nel prosieguo, ciò è opposto alla curiosità<br />

<strong>di</strong> chi corre <strong>di</strong>etro ad ogni novità. Poiché tra cultura ed anzianità Hegel vede una<br />

connessione stretta (cfr. ivi, § 396), è quin<strong>di</strong> nello stesso senso che va letta l’aggiunta<br />

al § 396: l’anziano non ha interessi perché non nutre speranze nel futuro, e perché<br />

ritiene <strong>di</strong> conoscere l’essenziale. Sicché «si rivolge all’universale e al passato» e «vive<br />

il sostanziale nel ricordo», ma così facendo «perde la memoria per il singolare e<br />

l’arbitrario nel presente, ad esempio per i nomi, mentre viceversa tien ben fermi nel<br />

suo spirito i saggi ammaestramenti dell’esperienza e si ritiene in dovere <strong>di</strong> fare pre<strong>di</strong>che<br />

ai più giovani». Qui si tratta della memoria per il significato e l’insegnamento<br />

pratico dell’esperienza, non della memoria meccanica come l’esistenza oggettiva


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

287<br />

analisi teorica una conclusione in tal senso sarebbe viziata da un errore.<br />

Se per l’idealizzazione abbiamo ovviarnente bisogno <strong>di</strong> un prius<br />

cronologico, questo non significa che ciò equivalga ad un più generale<br />

predominio del passato, immutabile, normativo e prioritario rispetto<br />

ad ogni esperienza presente (e ad ogni proiezione futura). Fosse<br />

solo che altrimenti Hegel avrebbe seri problemi nella connessione<br />

tra questi paragrafi e la comprensione dell’esperienza soggettiva della<br />

storia, della vita in<strong>di</strong>viduale e collettiva, dovremmo vincere ogni<br />

imbarazzo e commisurare in Hegel postulati e argomentazione concreta,<br />

per concluderne che qualcosa qui non funziona. In realtà, anche<br />

logicamente non può essere così. Infatti, se, interiorizzata, l’intuizione<br />

o «immagine fuggevole» (Enc. Berlino, § 453) viene tolta<br />

dal suo spazio e tempo e inserita nello spazio e tempo dello spirito,<br />

nel «quando e dove <strong>di</strong> essa» (ibid.), che rapporto si instaurerebbe tra<br />

spazio e tempo esterni e spazio e tempo ideali? L’unico modo possibile<br />

<strong>di</strong> concepire la soggettività come un “passato” <strong>di</strong> fronte ad un<br />

multiforme presente, il contenuto sempre nuovo che costituisce<br />

l’inesauribilità dell’esperienza soggettiva e storica, è quello <strong>di</strong> determinarla<br />

come l’essenza della Logica: un intemporale esser stato, un<br />

passato senza tempo, la <strong>di</strong>mensione del mondo dello spirito che non<br />

può essere sullo stesso piano della temporalità dell’esistenza singolare<br />

data. Insomma, il rapporto tra immagine in quanto rappresentazione<br />

e immagine in quanto intuizione presente non può configurarsi<br />

per Hegel come quello tra un passato e un presente come <strong>di</strong>mensioni<br />

dell’esteriorità, ma va inteso come la relazione tra un idea-<br />

del pensiero irriflesso <strong>di</strong> cui Hegel tratta nel § 464; perciò non è da scorgere un<br />

contrasto tra l’aggiunta appena citata e il seguente passo, anch’esso sulla connessione<br />

tra interiorizzazione ed età, tra peso del passato e presente: «Non a caso i giovani<br />

hanno miglior memoria dei vecchi, e la loro memoria non viene esercitata solamente<br />

per fini d’utilità; ma essi hanno buona memoria perché non si comportano ancora<br />

in modo riflessivo, e la loro memoria si esercita, intenzionalmente o no, per spianare<br />

il terreno della loro interiorità, facendone l’essere puro, lo spazio puro, nel quale<br />

la cosa (...) si può mantenere ed esplicare. Un ingegno solido suole essere congiunto<br />

con una buona memoria in gioventù» (tr. it. Croce, ad loc.).


288 HEGEL E ARISTOTELE<br />

le e una sua variazione intuitiva, tra un universale e la sussunzione <strong>di</strong><br />

una singolarità sotto <strong>di</strong> esso.<br />

Con ciò, naturalmente, non è detto ancor nulla <strong>di</strong> risolutivo<br />

sul vero rapporto tra spazio e tempo esteriori e idealità, o spazio e<br />

tempo spirituali. Ma è stabilito che si è così attuato il passaggio dalla<br />

passività alla libertà della connessione; le intuizioni non sono più<br />

date, ma vengono collegate arbitrariamente e liberamente dall’intelligenza.<br />

Dal primato della vista, e comunque dall’imprescin<strong>di</strong>bilità<br />

dei sensi esterni, siamo giunti così alla loro subor<strong>di</strong>nazione all’idealità<br />

— alla virtuale liberazione dell’immaginazione da essi. Ma tale liberazione<br />

non va intesa in senso spiritualista; è una liberazione, ancora<br />

una volta, dalla loro finitezza, ossia dal loro venir considerati solo<br />

in quanto finestra su un mondo dapprima trovato: è un’appropriazione<br />

dei sensi. Con il passaggio alla libertà delle connessioni e alla produzione<br />

<strong>di</strong> segni, i sensi, così come lo spazio e il tempo, sono sensi al<br />

servizio dell’idealità e dell’attività dello spirito consapevole <strong>di</strong> sé.<br />

Sono funzionali al nostro rapporto con l’esistenza esteriore che lo<br />

spirito si dà; ad esempio sono la vista e l’u<strong>di</strong>to nella misura in cui<br />

sono in rapporto con il linguaggio. Parallelamente, mutano la loro<br />

rilevanza e il loro valore <strong>di</strong> posizione gerarchico. ln quanto è me<strong>di</strong>ata<br />

dall’immaginazione produttiva e fatta segno, l’intuizione sensibile<br />

è solo in quanto è tolta: ossia, perde connotazioni spaziali per farsi<br />

esistenza temporale, suono <strong>di</strong>leguante, parola (cioè «uno sparire<br />

dell’esistenza mentre è», quin<strong>di</strong> «una seconda esistenza, più alta <strong>di</strong><br />

quella imme<strong>di</strong>ata», Enc. 1830, § 459). Così l’immaginazione produttiva<br />

— a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Leibniz, per cui era ancora una produzione<br />

caratteristica <strong>di</strong> geroglifici per gli occhi (e il calcolo non si fa senza<br />

visione <strong>di</strong> segni) —, in Hegel depone ogni priorità della vista per<br />

subor<strong>di</strong>nare a sé il senso dell’idealità, l’oralità, e farsi intelligenza<br />

manifesta nel tempo — in un me<strong>di</strong>o esso stesso <strong>di</strong>leguante.<br />

Ma, prima <strong>di</strong> arrivare all’immaginazione produttiva, restiamo<br />

sulla questione dell’immaginazione come idealizzazione. Mi sembra<br />

che, all’interno dell’orizzonte razionale della Psicologia, nell’analisi<br />

<strong>hegel</strong>iana la <strong>di</strong>mensione del trovare rivesta un interesse del tutto


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

289<br />

secondario rispetto a quello del porre o (ri)costituire. Tenendo presente<br />

questo, possiamo capire meglio perché le ambiguità che prima<br />

segnalavo sono estranee alle preoccupazioni <strong>di</strong> Hegel. Come prima<br />

la questione dell’attività dell’immaginazione in rapporto a quella del<br />

pensiero, anch’esse sono pertinenti riguardo ad Aristotele o a Kant;<br />

ad esempio, una delle due funzioni dell’immaginazione, quella del<br />

formare immagini, o venirne impressi in seguito alla sensazione —<br />

centrale in Aristotele e comunque essenziale in Kant —, apparentemente<br />

non è neppure riconosciuta da Hegel come tale. A ben vedere,<br />

si tratta <strong>di</strong> una funzione assegnata specificamente all’Er-innerung,<br />

che pone in sé un contenuto come non-essente o tolto ( 23 ). Tuttavia,<br />

qui rimane oscuro come e perché si passi da un’intuizione ad un’immagine.<br />

In altre parole, manca l’analogo <strong>di</strong> quello che in Aristotele<br />

era il punto principale, una teoria della traccia o dell’impronta del<br />

sigillo sulla cera; manca cioè qualunque <strong>di</strong>scussione sulla genesi delle<br />

immagini prima del rilievo della libertà dell’io, dell’intelligenza che<br />

«è il potere sulla massa <strong>di</strong> immagini e rappresentazioni che le appartengono»<br />

(Enc. 1830, § 456). E ciò mostra che Hegel pensa l’immaginazione<br />

— il fulcro e punto me<strong>di</strong>ano dello spirito teoretico, così come<br />

ogni altro momento <strong>di</strong> questo — all’interno dell’esclusivo contrasto<br />

tra intelligenza imme<strong>di</strong>ata e intelligenza presso <strong>di</strong> sé, e che quel che<br />

gli preme mostrare è solo il passaggio dalla prima alla seconda, ossia<br />

l’idealismo della conoscenza.<br />

Analogamente, il problema per cui anche la variazione intuitiva,<br />

la sussunzione, è un’idealizzazione — cioè la rappresentazione<br />

universale è confrontata attivamente e continuamente con intuizioni,<br />

il mio con l’essente — non trova spazio in Hegel. Hegel non fa che<br />

opporre attività e passività, l’idealizzazione al trovare un esterno come<br />

dato. Paradossalmente, quin<strong>di</strong>, la funzione della variazione eidetica<br />

in Husserl (o in Sartre), con cui la nostra immaginazione irrealizza un<br />

( 23 ) Cfr. Enc. 1830, e la <strong>Filosofia</strong> dello spirito 1805/06 (cit., p. 186, tr. cit., p. 70),<br />

dove l’interiorizzazione-ricordo e la trasformazione del dato in immagine è funzione<br />

dell’immagine rappresentatrice.


290 HEGEL E ARISTOTELE<br />

fatto per pensarlo come mero esempio <strong>di</strong> una pura possibilità <strong>di</strong> percezione<br />

e ci permette <strong>di</strong> descriverne l’essenza, è una sintesi (per<br />

antonomasia attiva nell’accezione idealista), mentre Hegel pensa la<br />

variazione sotto l’egida della passività, della finitezza. La finitezza del<br />

trovare un contenuto, come momento che lo spirito ha in sé prima <strong>di</strong><br />

conoscere speculativamente.<br />

Tutto questo ci serve a capire alcune cose importanti. Anzitutto,<br />

al contrario che per Kant, per Hegel l’immaginazione è dapprima<br />

riproduttiva, e solo poi produttiva. Ma se in ciò Hegel sembra, almeno<br />

formalmente, riprendere Aristotele, va rilevato che nella riproduzione<br />

si <strong>di</strong>spiega l’arbitrio e l’in<strong>di</strong>pendenza dell’intelligenza dalle<br />

intuizioni esterne presenti, sicché la riproduzione equivale al «venir<br />

fuori delle immagini dalla propria interiorità dell’io; il quale ormai è<br />

la potenza dominatrice <strong>di</strong> esse» (Enc. 1830, § 455). Ciò si oppone<br />

tanto alla fantasiva <strong>di</strong> Aristotele (anche se, certo, non altrettanto alla<br />

ajnavmnhsi~) quanto all’accezione kantiana, cosicché tale libertà nominalmente<br />

dovrebbe, ma sostanzialmente non può, corrispondere all’associazione<br />

empirica che in Kant definiva il momento riproduttivo.<br />

Per immaginazione produttiva, poi, Hegel intende una creazione <strong>di</strong><br />

segni (la Zeichen machende Phantasie), non un influsso schematico dell’intelletto<br />

sull’intuizione dello spazio e del tempo.<br />

Con questo momento produttivo dell’immaginazione varchiamo<br />

il punto critico dell’esposizione <strong>hegel</strong>iana. Se finora abbiamo assistito<br />

ad una progressione nell’idealizzazione, ora viceversa l’immaginazione<br />

si fa essere («fa del contenuto interno immagine e intuizione»,<br />

Enc. 1830, § 457 n.). Traspone il proprio contenuto in segni<br />

intuitivi, si dà un esser figurato (ein bildliches Dasein); ossia, pone le<br />

proprie rappresentazioni universali come identiche al particolare figurato<br />

del simbolo, del segno e del linguaggio. Se prima passavamo<br />

dal particolare esterno all’universale dell’immaginazione, l’immaginazione<br />

ora presiede anche alla ritrasformazione dell’universale in<br />

esistenza particolare. Solo che ora tale particolare <strong>di</strong>venta l’esterno<br />

che l’intelligenza si dà per intuirsi oggettivamente, e con cui acquisisce<br />

esistenza storica.


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

291<br />

Se Kant si sforzava, in polemica con l’uso nella scuola leibniziana<br />

— e per salvaguardare l’autonomia del momento schematico dell’immaginazione,<br />

chiave <strong>di</strong> volta dell’Analitica dei principi — <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinguere<br />

accuratamente usi empirici, ipotiposi schematiche, caratteristiche<br />

o simboliche ed essenza trascendentale dell’immaginazione produttiva,<br />

per Hegel non c’è eterogeneità tra tali momenti. Anzi, proprio<br />

perché l’immaginazione è tanto idealizzazione che estrinsecazione,<br />

può poi togliere ogni riferimento ad immagini e <strong>di</strong>ventare memoria,<br />

vincolo inavvertito tra segni soltanto (Enc. 1830, § 458 n. e § 459) —<br />

laddove per Aristotele immaginazione e memoria avevano a che fare<br />

solo con immagini.<br />

Un’altra cosa che tutto questo ci fa capire è perché non è il linguaggio<br />

in quanto tale, una struttura dotata <strong>di</strong> leggi proprie e vita<br />

autonoma esterna alla coscienza che se lo trova opposto come un altro,<br />

a trasformare l’imme<strong>di</strong>ato in universale, come sembrerebbe da<br />

quanto Hegel <strong>di</strong>ce sulla Certezza sensibile. L’imme<strong>di</strong>ato è già l’universale<br />

perché ogni imme<strong>di</strong>ato è in realtà me<strong>di</strong>ato dal suo essere per<br />

noi, quin<strong>di</strong> dal pensiero — e il linguaggio è appunto il prodotto del<br />

pensiero, che solo alla coscienza naturale può apparire dapprima come<br />

un opposto.<br />

In conclusione, solo perché l’io è l’in sé dell’altro, la potenza<br />

del collegamento, l’uno dei molti, e, specificamente in questi paragrafi,<br />

la Macht o forza attrattiva delle immagini (Enc. 1830, §§ 454 e<br />

455), può essere quello che Hegel chiama la libera negatività del sé:<br />

la potenza <strong>di</strong> avere un oggetto da cui può astrarre e, <strong>di</strong>stinguendosene,<br />

riconoscere se stesso come identità e con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> possibilità<br />

della tematizzazione <strong>di</strong> oggetti <strong>di</strong>versi nella continuità <strong>di</strong> un sapere<br />

e <strong>di</strong> un’esperienza. Con il ricordo, immagine interiorizzata, si comprende<br />

l’intuizione riconoscendola come ciò che già appartiene all’intelligenza<br />

in quanto rappresentazione permanente: se lo spirito<br />

nell’intuire conosceva l’intuìto, ora conosce sé nell’intuìto. E il senso<br />

<strong>di</strong> tutto questo è la scoperta dell’autocoscienza dello spirito come<br />

verità dell’immaginazione e della rappresentazione. In questa rico-


292 HEGEL E ARISTOTELE<br />

struzione, per usare l’immagine che Hegel enuncia a proposito <strong>di</strong><br />

Aristotele, l’empirico è lo speculativo appunto perché il momento<br />

attivo dell’immaginazione (nel senso, non kantiano, del conferimento<br />

<strong>di</strong> citta<strong>di</strong>nanza ideale al sensibile) è già inerente all’assunzione dell’intuizione<br />

nell’io.<br />

L’immaginazione — così come del resto la memoria — non è, come<br />

in Aristotele, un’affezione del senso comune, un residuo della sensazione.<br />

È piuttosto — in quanto rappresentazione, pensare ancora<br />

formale, ed infine e soprattutto (intesa come Phantasie in stretta connessione<br />

con la memoria semiotica) in quanto schematismo linguistico,<br />

giusta un’espressione del primo Fichte ( 24 ) — l’imme<strong>di</strong>ato presupposto<br />

soggettivo del pensiero puro. E, anziché essere autoaffezione<br />

come in Kant, l’effetto dell’intelletto sull’intuizione spazio-temporale,<br />

è momento essenziale dell’autodeterminazione e della finitizzazione<br />

del pensiero in noi.<br />

4. Conclusione — Cerchiamo <strong>di</strong> tirare le fila <strong>di</strong> questo lungo <strong>di</strong>scorso.<br />

Per Hegel c’è un primo in sè — il concetto, l’assoluto, l’autocoscienza<br />

<strong>di</strong>vina — ed un primo per noi: prima <strong>di</strong> pensare puramente, noi ci<br />

formiamo sentimenti, immagini, desideri delle cose, e solo successivamente<br />

ci eleviamo al loro concetto. Ma se queste forme inferiori <strong>di</strong><br />

tematizzazione dell’oggettività restassero escluse dal sapere, se non<br />

ne venisse tolto e inverato il contenuto nel pensare, avremmo una scissione<br />

non <strong>di</strong>alettica tra empiria e speculazione: antropologia e psicologia<br />

si opporrebbero estrinsecamente al concetto, mentre invece il<br />

vero è dapprima per noi come rappresentazione. Se il compito sistematico<br />

è quello <strong>di</strong> mostrare ogni forma nella sua verità, nel concetto,<br />

ciò significa appunto mostrarla come il momento provvisorio e finito<br />

dell’automanifestazione dello spirito.<br />

( 24 ) Von der Sprachfähigkeit und dem Ursprung der Sprache (1795), in Fichtes<br />

Werke, hrsg. v. I.H. Fichte, Berlin, De Gruyter 1971, Bd. 8, p. 322.


A. FERRARIN - Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti<br />

293<br />

In questo compito — e nella parallela trasformazione del rapporto<br />

aristotelico novmo~-fuvsi~ —, Hegel presuppone come acquisita<br />

la deduzione trascendentale kantiana. Questo non viene in piena luce<br />

nel mio libro: il fatto che, nonostante tutte le critiche <strong>hegel</strong>iane ai<br />

Paralogismi e alla circolarità dell’io, per tacere delle altre critiche<br />

anche più importanti ma secondarie in questo contesto, le forme del<br />

conoscere e del volere vanno comprese e ascritte all’unità sintetica<br />

originaria dell’appercezione intesa come autocoscienza assoluta o<br />

ragione infinita. Solo così — se il criticismo non viene interpretato<br />

come un guanciale per la pigrizia del pensare ma come un necessario<br />

punto <strong>di</strong> svolta, unilaterale ma irreversibile —, si può poi comprendere<br />

come Hegel interpreti il rapporto tra nou`~ <strong>di</strong>vino e intelletto<br />

umano come la concretizzazione dell’universale, come l’attiva presenza<br />

dell’infinito nel finito. Non fosse così, l’empirico sarebbe solo<br />

l’empirico, non sarebbe mai lo speculativo.<br />

Ma se questo è vero, va anche ricordato che è proprio contro la<br />

<strong>di</strong>stinzione kantiana tra puro ed empirico, assunta e fatta valere preliminarmente,<br />

che il <strong>di</strong>scorso <strong>hegel</strong>iano si rivolge. Soprattutto nella filosofia<br />

dello spirito soggettivo. Allora concetto e rappresentazione,<br />

sapere puro ed empirico, trascendentale e psicologico non sono ambiti<br />

<strong>di</strong>fformi, ma l’uno è la concretizzazione dell’altro. È così che Hegel<br />

inverte curiosamente il concetto kantiano <strong>di</strong> Darstellung des Begriffs,<br />

esibizione del concetto: spazio e tempo non sono più le forme della<br />

nostra intuizione, ma il Dasein, l’esistenza, del concetto. Sicché non<br />

sono io ad esibire il concetto nell’intuizione, come nella costruzione<br />

matematica <strong>di</strong> cui parlava Kant nella Disciplina della Dottrina del<br />

metodo; ma è il concetto che assume forma finita nell’esistenza fuori<br />

<strong>di</strong> sé della natura, o nei soggetti empirici finiti del conoscere e dell’agire.<br />

Così l’empirico è lo speculativo, e la fenomenicità viene salvata<br />

come essa stessa l’essere. Per citare un luogo del Vangelo secondo<br />

Giovanni, che potrebbe ben figurare come motto dell’intero pensiero<br />

<strong>di</strong> Hegel: oJ lovgo~ savrx ejgevneto, il logos si è fatto carne.


CARMELINO MEAZZA<br />

ARISTOTELE TRA HEGEL E HEIDEGGER:<br />

TRACCE PER UNA RICOSTRUZIONE<br />

1. — In un lungo saggio sul concetto aristotelico <strong>di</strong> physis Heidegger<br />

afferma: «la prima <strong>di</strong>scussione tramandataci “pensata e coerente”<br />

— per il suo modo <strong>di</strong> domandare — sull’essenza della physis è<br />

del periodo del compimento della filosofia greca» ( 1 ).<br />

( 1 ) M. HEIDEGGER, Von Wesen und Begriff der physis, Aristoteles, Physik B, 1<br />

(1939), in Wegmarken, Gesamtausgabe, Bd. 9, V. Klostermann, Frankfurt a.M. 1976,<br />

d’ora innanzi HGA; (trad. it. Sull’essenza e sul concetto della physis, Aristotele, Fisica,<br />

B 1, in Segnavia, a cura <strong>di</strong> F.-N. von Herrmann. Ed. it. a cura <strong>di</strong> F. Volpi, Adelphi<br />

E<strong>di</strong>zioni, Milano, p. 196, d’ora innanzi SV).<br />

Si vedano per una ricostruzione complessiva i corsi su Phänomenologische<br />

Interpretationen zu Aristoteles. Einführung in <strong>di</strong>e phänomenologische Forschung (1921/<br />

22), vol. 61 della Gesamtausgabe, hrsg. v. W. u. K. Bröcker, Klostermann, Frankfurt<br />

a. M. 1985, trad. it. <strong>di</strong> M. De Carolis, Interpretazioni fenomenologiche <strong>di</strong> Aristotele. Introduzione<br />

alla ricerca fenomenologica, Guida, Napoli 1990, e Ontologie (Hermeneutik<br />

der Faktizität) (1923), vol. 63 della Gesamtausgabe, hrsg. v. K. Bröcker-Oltmanns,<br />

Klostermann, Frankfurt a.M. 1988, tr. it. <strong>di</strong> G. Auletta, Ontologia. Ermeneutica della<br />

effettività, Guida, Napoli 1992.<br />

Rinviamo inoltre a M. HEIDEGGER, Phänomenologische Interpretationen zu<br />

Aristoteles, a cura <strong>di</strong> H.-U. Lessing, in «Dilthey-Jahrbuch», 6/1989, pp. 228-69, tr. it.<br />

<strong>di</strong> V. Cammarota e V. Vitiello, Interpretazioni fenomenologiche <strong>di</strong> Aristotele, in<br />

«Fenomenologia e teologia», VI, 1990, pp. 496-532.<br />

Per il confronto <strong>di</strong> Heidegger con Aristotele la letteratura è già amplissima.<br />

Rinviamo alle referenze per noi decisive: F. VOLPI, Heidegger e Aristotele,<br />

Daphne, Padova 1984; Heidegger e la storia del pensiero greco: figure e problemi del cor-


296 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Più avanti, proseguendo, attribuisce alla tra<strong>di</strong>zione postaristotelica<br />

e in particolare alla scolastica un progressivo occultamento,<br />

«un mancato riconoscimento dello stato <strong>di</strong> sospensione e<br />

<strong>di</strong> apertura, in cui Platone e Aristotele avevano lasciato i problemi<br />

centrali» ( 2 ).<br />

Si tratta, allora — sostiene Heidegger — <strong>di</strong> recuperare quella<br />

sospensione e apertura che consentirebbero, ancora, <strong>di</strong> sentire il<br />

risuono del modo originariamente greco <strong>di</strong> pensare l’essenza della<br />

physis. Alla con<strong>di</strong>zione, naturalmente, <strong>di</strong> liberarla da quella<br />

profonda rimozione a cui sarebbe stata sottoposta dalla tra<strong>di</strong>zione.<br />

Soprattutto nella Fisica aristotelica sarebbe possibile ritrovare<br />

— sostiene Heidegger — uno dei testi decisivi del pensiero greco:<br />

«La Fisica aristotelica è il libro fondamentale della filosofia occidentale,<br />

un libro occultato e quin<strong>di</strong> mai pensato sufficientemente<br />

a fondo» ( 3 ).<br />

so del semestre estivo 1926 sui «Concetti fondamentali della filosofia antica», «Itinerari»,<br />

pp. 227-268; G. MORETTI, Tecnica e filosofia della natura. Il pensiero della «Physis» in<br />

Martin Heidegger, in AA.VV., Memorie della tecnica, a cura <strong>di</strong> G. Manzi, Cadmo,<br />

Roma, pp. 53-81; C. SINI, Il naturalismo, in AA.VV., L’idea <strong>di</strong> natura, a cura dell’Enciclope<strong>di</strong>a<br />

Italiana, in «Stu<strong>di</strong>um», nn. 4-5, Roma 1987; J. TAMINIAUX, «Poesis» et<br />

«Praxis» dans l’articulation de l’ontologie fondamentale in Heidegger et l’idée de la<br />

phénoménologie, in Phenomenologica 108, Dordrecht 1988, pp. 107-125; particolarmente<br />

rilevante la ricostruzione delle influenze <strong>di</strong> Aristotele in alcune categorie <strong>di</strong><br />

Essere e Tempo.<br />

Più in particolare in relazione al nostro approccio: cfr. E. CALETTI, Bewegtheit<br />

und Rückkehr, Rheinfelden 1987. Ve<strong>di</strong> tra gli altri contributi <strong>di</strong> F. CHIEREGHIN: Physis<br />

e Ethos, La fenomenologia dell’agire in Heidegger, in «Archivio <strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong>», LVII,<br />

1989, n. 1-3, pp. 445-463.<br />

Per quanto riguarda, in Aristotele, le “oscillazioni metaforiche” del concetto<br />

<strong>di</strong> logos come <strong>di</strong>svelamento e logos come “notificazione vocale” cfr. A. CAZZULLO,<br />

La verità della parola. Ricerca sui fondamenti filosofici della metafora in Aristotele e nei<br />

contemporanei, Jaca Book, Milano 1987.<br />

Dello stesso Autore cfr. Il concetto e l’esperienza. Aristotele, Cassirer, Heidegger<br />

e Ricoeur, Jaca Book, Milano 1988.<br />

( 2 ) M. HEIDEGGER, Sull’essenza e sul concetto della physis ..., cit. p. 193.<br />

( 3 ) Ivi, p. 196.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

297<br />

Heidegger prova a delimitare ciò che si presenta decisivo nella<br />

definizione aristotelica <strong>di</strong> physis. Qui deve esserci quell’apertura<br />

della domanda che ancora prolungherebbe la tra<strong>di</strong>zione antica. La<br />

definizione che Aristotele dà della physis, secondo Heidegger, pone<br />

al centro la questione del movimento o della motilità: «L’ente che<br />

proviene dalla physis, o tutto o una parte, è qualcosa <strong>di</strong> mosso (cioè<br />

<strong>di</strong> determinato dalla motilità)» ( 4 ). Per la prima volta, il movimento<br />

non è una cosa tra le altre, ma, come esser mosso, viene fatto <strong>di</strong>ventare<br />

il centro <strong>di</strong> una domanda che apre verso la comprensione essenziale<br />

del concetto <strong>di</strong> physis.<br />

Heidegger, inoltre, sottolinea, a proposito dell’essenza della<br />

physis, il fatto che Aristotele, in modo inequivocabile, l’abbia posta<br />

come causa originaria. Ma con questa fondamentale avvertenza: così<br />

come l’esser mosso o la motilità non deve essere inteso nell’accezione<br />

or<strong>di</strong>naria <strong>di</strong> semplice movimento, così la causa originaria non<br />

ha nulla a che fare con il concetto della ragione scientifica moderna<br />

per la quale la causa è sempre qualcosa che produce causalmente<br />

<strong>degli</strong> effetti.<br />

Così come essere nel movimento non vuole <strong>di</strong>re essere necessariamente<br />

in movimento così essere causati non vuol <strong>di</strong>re avere la<br />

causa come esterna a sé.<br />

Aristotele, quin<strong>di</strong>, secondo Heidegger, ci conduce alla definizione<br />

essenziale <strong>di</strong> un ente che è in quanto ha il suo essere come<br />

sostegno per il suo esser posto o esser avviato. Appartenere alla<br />

motilità pertanto vuole <strong>di</strong>re essere <strong>di</strong>sposti nella motilità.<br />

Il problema <strong>di</strong> Heidegger che affronta Aristotele è, in sostanza,<br />

la questione del che cos’è l’ente in quanto ente. La risposta è che<br />

l’ente è un ente in quanto è <strong>di</strong>sposto nel suo essere e avviato nel<br />

seno del suo essere. L’essenzialità <strong>di</strong> questo avvio è la motilità che a<br />

questo punto <strong>di</strong>venta il carattere fondamentale dell’ente. Heidegger<br />

sollecita a non <strong>di</strong>sperdere tra le convinzioni ere<strong>di</strong>tate dalla cul-<br />

( 4 ) Ivi, p. 197.


298 HEGEL E ARISTOTELE<br />

tura scientifica moderna la visione essenziale che i Greci possedevano<br />

del movimento. Egli <strong>di</strong>ce: «dobbiamo imparare a vedere<br />

come, per i Greci, il movimento, in quanto modalità dell’essere, ha<br />

il carattere dell’arrivare a presentarsi» ( 5 ).<br />

Heidegger vuole però precisare un punto molto importante,<br />

un punto che sembra portarlo in prossimità alla lettura <strong>hegel</strong>iana<br />

<strong>di</strong> Aristotele. Egli ci avverte che la <strong>di</strong>sposizione che avvia la motilità<br />

<strong>di</strong> qualcosa che è mosso non resta al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> ciò che è mosso.<br />

Lo aveva già precisato nel <strong>di</strong>stinguere la semplice causa dalla causa<br />

essenziale. Qui però è ancora più preciso perché vuole rendere<br />

più evidente che ciò che muove, ciò che avvia, si <strong>di</strong>spone nel <strong>di</strong>sposto<br />

e si annida conservandosi nel <strong>di</strong>sposto. Ciò che muove, quin<strong>di</strong>, e<br />

ciò che è mosso sono raccolti in questo modo nell’essenza del movimento.<br />

Per spiegare e inoltrarci meglio nella sua interpretazione <strong>di</strong><br />

Aristotele, Heidegger, ci conduce per una strada che, anche nella<br />

sintassi concettuale (lo vedremo), sembra del tutto analoga con<br />

quella <strong>hegel</strong>iana.<br />

Dice Heidegger: «(...) ciò che è così determinato dalla physis,<br />

non solo nella sua motilità resta in esso stesso, ma, <strong>di</strong>spiegandosi<br />

secondo la sua motilità (il suo cambiare), ritorna proprio in esso<br />

stesso» ( 6 ).<br />

Aveva detto Hegel nel capitolo de<strong>di</strong>cato ad Aristotele nelle<br />

Lezioni sulla storia della filosofia: «L’immoto che muove è l’idea che<br />

rimane identica a se stessa, e che, mentre muove, rimane in relazione<br />

a se stessa» ( 7 ). Sembra <strong>di</strong> trovarsi sullo stesso piano.<br />

( 5 ) Ivi, p. 204.<br />

( 6 ) Ivi, p.<br />

( 7 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni sulla storia della filosofia, trad. it. E. Co<strong>di</strong>gnola e G.<br />

Sanna, II, La Nuova Italia, Firenze 1930, 1981, p. 306. È noto come l’e<strong>di</strong>zione italiana<br />

<strong>di</strong> E. Co<strong>di</strong>gnola e G. Sanna abbia come testo <strong>di</strong> riferimento la seconda e<strong>di</strong>zione<br />

del Michelet (Berlino 1840/44). Le imprecisioni che contiene non sono, nel nostro<br />

caso, influenti.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

299<br />

In Hegel l’idea giunge a se stessa nel suo compimento e il<br />

suo compimento è originariamente il movimento del suo farsi.<br />

Il farsi nel movimento è movimento del concetto che si pone<br />

in relazione al fine.<br />

Hegel ritiene che la filosofia del suo tempo abbia smarrito<br />

proprio una delle principali acquisizione della filosofia aristotelica<br />

e cioè l’idea che la natura proceda nel generare se stessa. E con<br />

questo abbia smarrito l’idea aristotelica che l’organico sia il modo<br />

<strong>di</strong> essere dell’ente naturale. La natura della conformazione organica<br />

è infatti quella <strong>di</strong> conservarsi e il conservarsi <strong>di</strong> qualcosa nel<br />

suo movimento è la riflessione che compie in sé ogni ente naturale.<br />

Tutto ciò perché la forma come scopo è la causa finale in vista<br />

della quale tutto si muove e si conforma. Solo Kant, secondo<br />

Hegel, ha avuto il merito <strong>di</strong> introdurre nella filosofia moderna il<br />

concetto <strong>di</strong> finalismo anche se in Kant ha soltanto «quella forma<br />

soggettiva, che in generale costituisce l’essenza della filosofia<br />

kantiana quasi che la vita fosse determinata in questo dato modo<br />

soltanto mercé il nostro ragionare soggettivo; ma tuttavia esso<br />

contiene la perfetta verità, che la conformazione organica è quella<br />

che si conserva» ( 8 ).<br />

Mentre Hegel, però, ritiene l’idea dell’organico come una riconquista<br />

<strong>di</strong> fronte al prevalere <strong>di</strong> una visione meccanicistica,<br />

Per il ruolo <strong>di</strong> Aristotele nella storia e nella filosofia della storia <strong>di</strong> Hegel<br />

almeno cfr. W. KERN, Aristoteles in Hegels Philosophiegeschichte: Eine Antinomie, in<br />

«Scholastik», XXII, 3, 1957, pp. 321-46; K. DÜSING Hegel und <strong>di</strong>e Geschichte der<br />

Philosophie, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1983; Id., Lineamenti <strong>di</strong><br />

ontologia e teologia in Aristotele e Hegel, in «Il Pensiero», XXIII, 1982, pp. 5-32; tra gli<br />

stu<strong>di</strong> in Italia cfr. L. SAMONÀ, Dialettica e Metafisica. Prospettiva su Hegel e Aristotele,<br />

L’Epos, Palermo 1988, in partic. pp. 5-50; A. FERRARIN, Hegel interprete <strong>di</strong> Aristotele,<br />

ETS, Pisa 1990.<br />

Per il rapporto Heidegger-Hegel segnaliamo: V. VITIELLO, Dialettica ed<br />

ermeneutica: Hegel e Heidegger, Guida, Napoli 1979; M. KNAUPP, Gewissheit und<br />

Gegenwart: das Selbstbegründungsproblem der Philosophie bei Hegel und Heidegger,<br />

Kassel, Gesamthochsch. Diss. 1983.<br />

( 8 ) Ivi, p. 322.


300 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Heidegger avverte: «Forse ci vorrà ancora molto tempo per renderci<br />

conto che l’idea <strong>di</strong> “organismo” e <strong>di</strong> “organico” è un concetto<br />

puramente moderno, meccanico-tecnico, per cui anche ciò che<br />

cresce naturalmente da sé è interpretato come un artefatto che fa<br />

se stesso» ( 9 ). Prima ancora Heidegger aveva affermato : «Eppure<br />

si tenderebbe a cadere nell’opinione che l’ente determinato dalla<br />

physis sia ciò che si fa da sé» ( 10 ). Non è <strong>di</strong>fficile scorgere una presa<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza ra<strong>di</strong>cale dalla lettura <strong>hegel</strong>iana. Per Heidegger,<br />

dunque, la physis è certamente un restare in se stessa nella sua<br />

motilità e un <strong>di</strong>spiegarsi che ritorna in se stessa, tuttavia, questo<br />

permanere nel cambiamento non può essere letto come un’autoproduzione.<br />

Nel momento in cui Heidegger procede tentando <strong>di</strong> mostrare<br />

più da vicino il concetto greco-aristotelico <strong>di</strong> physis incrocia<br />

seppure su un altro piano un’espressione <strong>di</strong> Hegel, che appare<br />

molto ricca <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni. Hegel aveva detto, sempre nelle Lezioni:<br />

«E così nell’o<strong>di</strong>erna filosofia della natura si adopera anche<br />

l’espressione sorgere» ( 11 ). Per Hegel non c’è niente <strong>di</strong> più lontano<br />

dal concetto aristotelico <strong>di</strong> natura, sorgere per lui è sempre un<br />

svolgersi scevro da pensiero.<br />

Ebbene la traduzione <strong>di</strong> Heidegger <strong>di</strong> physis si avvicina proprio<br />

all’area semantica <strong>di</strong> sorgere, schiudersi anche se avverte: «non<br />

siamo in grado <strong>di</strong> conferire imme<strong>di</strong>atamente a questa parola<br />

quella pienezza e quella determinatezza che qui sarebbero necessarie»<br />

( 12 ).<br />

Il sorgere come un venire nella presenza dell’entità dell’ente,<br />

come ousia, è per Heidegger il modo più adeguato <strong>di</strong> concepire la<br />

motilità come essenza originaria dell’ente. L’ousia è physis in quan-<br />

( 9 ) M. HEIDEGGER, Segnavia, cit. p. 209.<br />

( 10 ) Ivi, p. 209.<br />

( 11 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni ..., cit. p. 320.<br />

( 12 ) M. HEIDEGGER, Segnavia, p. 214.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

301<br />

to essere dell’ente e più in particolare <strong>di</strong> un ente che fin dall’inizio<br />

ha il carattere dell’ente in movimento.<br />

Per chiarire e giungere così più vicino alla natura <strong>di</strong> questo<br />

concetto Heidegger ritiene che non solo si debba tener conto del<br />

pensiero autenticamente greco intorno all’eternità e alla temporalità<br />

della durata ma, soprattutto, per afferrare appieno l’essenza<br />

dell’ousia, occorra passare attraverso la contrapposizione tra svelatezza<br />

e apparenza.<br />

Ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong>ce Heidegger: «Da questo sapere <strong>di</strong>pende in<br />

generale la comprensione della concezione aristotelica della<br />

physis» ( 13 ). Evidentemente l’apparire <strong>di</strong> ciò che appare introduce<br />

per una via che si allontana dalla determinazione essenziale della<br />

svelatezza, la quale, — Heidegger lo ha già rilevato — è il modo<br />

con il quale il termine stesso physis può essere tradotto. Evidentemente<br />

l’apparire introduce come un movimento <strong>di</strong> <strong>di</strong>aspora rispetto<br />

a ciò <strong>di</strong> cui si <strong>di</strong>ce apparenza. Per una certa tra<strong>di</strong>zione a cui<br />

Aristotele si contrapporrebbe l’apparire è sempre legato all’apparire<br />

in una forma, nella costituzione <strong>di</strong> una forma. Ma tutto ciò<br />

che appare in una costituzione formale, in quanto tale, appartiene<br />

al mutamento e quin<strong>di</strong> si allontana dall’ente che non muta e non<br />

muta in quanto ente che perdura come semplice e puro essere.<br />

Aristotele si oppone a questa tra<strong>di</strong>zione e vi si oppone perché allontana<br />

il concetto <strong>di</strong> forma da quello <strong>di</strong> semplice apparenza ed<br />

eleva la forma a determinazione essenziale della physis. Tuttavia<br />

questa elevazione <strong>di</strong> rango della forma in cui è impegnato Aristotele<br />

non è semplice — avverte Heidegger — non è semplice proprio<br />

perché sono numerosi i frainten<strong>di</strong>menti che ne ricoprono il<br />

senso autentico .<br />

La forma non è semplice apparenza nel senso, ad esempio,<br />

<strong>di</strong> Antifonte. Così pure occorre chiedersi se possa essere determinata<br />

a partire da quella <strong>di</strong>stinzione <strong>di</strong>alettica che si è sempre più<br />

( 13 ) Ivi, p. 225.


302 HEGEL E ARISTOTELE<br />

imposta nel pensiero occidentale nella determinazione concettuale<br />

<strong>di</strong> forma e materia. Con questa <strong>di</strong>stinzione e soprattutto attraverso<br />

la traduzione operata dai Romani <strong>di</strong> u{lh e morϕhv in materia e forma.<br />

Se, in questo caso, si supera il pericolo <strong>di</strong> ridurre la forma a<br />

semplice apparenza (acquisizione <strong>di</strong> non poco conto) si rischia<br />

però <strong>di</strong> sfuggire all’autentica comprensione dell’essenza della forma.<br />

La traduzione <strong>di</strong> u{lh in materia in<strong>di</strong>rizza verso la determinazione<br />

della forma come attività che produce; materia infatti in<strong>di</strong>ca<br />

una materia per il produrre. Tuttavia — avverte Heidegger —: «Ma<br />

la morϕhv non significa “produzione”, ma al massimo “configurazione”,<br />

e la configurazione è appunto la “forma” che viene data alla<br />

“materia” modellandola e plasmandola, cioè formandola» ( 14 ). Secondo<br />

Heidegger dobbiamo lasciarci guidare dallo stesso Aristotele<br />

il quale in<strong>di</strong>cherebbe chiaramente che la morϕhv deve essere intesa<br />

a partire dall’ei\doı. L’ei\doı è ciò che si dà nella vista, cioè si offre<br />

nella presenza che si dà a vedere a partire da se medesima.<br />

La forma è in questo senso l’aspetto dell’ente, l’installarsi <strong>di</strong><br />

un ente nell’aspetto <strong>di</strong> una veduta.<br />

È il modo attraverso il quale la forma può essere pensata<br />

come essenziale alla physis, come appartenente all’essenza della<br />

physis. Poiché era stato già chiarito che l’ousia è essenzialmene<br />

compresa nella motilità, (è un venire nella presenza a partire dalla<br />

motilità) evidentemente la forma deve essere essenziale proprio<br />

per spiegare la motilità. Innanzi tutto, per Heidegger, occorre riprendere<br />

la <strong>di</strong>stinzione tra motilità e movimento; occorre nuovamente<br />

ricordare che la motilità non è semplicemente un movimento<br />

inteso come uno spostamento <strong>di</strong> luogo e, in questo senso,<br />

non è il contrario <strong>di</strong> quiete; è piuttosto l’essenza da cui sia la quiete<br />

che il movimento sono determinati. Heidegger invita insomma<br />

a guardare alla motilità come il luogo essenziale nel quale il movimento<br />

accade nella quiete o nella quiete può celarsi il movi-<br />

( 14 ) Ivi, p. 229.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

303<br />

mento: «La motilità <strong>di</strong> un movimento consiste allora eminentemente<br />

nel fatto che il movimento <strong>di</strong> ciò che è mosso si riprende nella<br />

sua fine, nel suo telos, e in quanto così ripreso nella fine si ha l’aversi<br />

nella fine» ( 15 ). Il fine o la fine dunque è ciò a partire da cui si<br />

svela l’essenza dell’ente come appartenente alla motilità. L’ente sta<br />

nella motilità in quanto si apre a partire dalla sua fine, si manifesta<br />

nella sua fine. Il fine dunque è il farsi aspetto dell’ente, il manifestarsi<br />

originario dell’ente, l’atto o la forma del suo svelarsi.<br />

La forma è dunque il manifestarsi in un aspetto e non a caso<br />

poco più avanti Heidegger traduce energheia come stare in opera. La<br />

forma e la fine si richiamano l’un l’altra, nel senso che il fine è il<br />

manifestarsi nell’aperto <strong>di</strong> una forma. La sua convinzione è che la<br />

rimozione originaria del mondo greco si incominciò a compiere nel<br />

momento in cui il concetto <strong>di</strong> energheia come svelamento <strong>di</strong>venne<br />

actus, agere e la dynamis semplicemente potenza. Del resto i due<br />

concetti sono intimamente correlati e l’occultamento dell’uno non<br />

può portarsi <strong>di</strong>etro che l’occultamento dell’altro. Così come la traduzione<br />

dell’energheia in atto procede nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> trasformare<br />

la forma in un motore interno dell’ente (come ha detto innanzi<br />

Heidegger) riducendo la forma ad un’intima azione creativa dell’entità<br />

dell’ente. Un trapasso che sposta il peso dell’essenza dell’entità<br />

dell’ente sull’azione creativa della forma.<br />

È come se la forma <strong>di</strong>venisse improvvisamente l’essenza dell’ente,<br />

non più ciò che compie l’essenza dell’ente, la via in cui lo svelamento<br />

dell’ente giunge nell’apertura <strong>di</strong> un aspetto, ma ciò che assume su <strong>di</strong> sé<br />

la generazione originaria dell’essenzialità dell’ente. La forma da via in<br />

cui qualcosa raggiunge il suo compimento <strong>di</strong>venta la via in cui la<br />

cosa si produce. Heidegger avverte che per evitare tutto questo<br />

occorre mostrare attenzione a non tra<strong>di</strong>re proprio ciò che nella<br />

traduzione <strong>di</strong> forma in actus si rischia <strong>di</strong> far scomparire del tutto e<br />

<strong>di</strong> assorbire nel moto della sua essenzialità, cioè la dynamis.<br />

( 15 ) Ivi, p. 238.


304 HEGEL E ARISTOTELE<br />

«Dynamis l’abbiamo già tradotta con attitu<strong>di</strong>ne, con essereadatto-a...,<br />

solo che anche così persiste il pericolo che ancora non si<br />

pensi in modo abbastanza greco, e preferiamo evitare la fatica <strong>di</strong><br />

chiarirci che l’attitu<strong>di</strong>ne a... è il modo <strong>di</strong> quel venire fuori nell’aspetto<br />

che ancora si tiene in<strong>di</strong>etro e in sé, e nel quale si compie<br />

l’attitu<strong>di</strong>ne» ( 16 ).<br />

Quello che è in gioco, evidentemente, su cui Heidegger<br />

vuole insistere con particolare attenzione, è qualcosa <strong>di</strong> originario<br />

che ancora in Aristotele non sarebbe stato occultato. Ebbene se<br />

volessimo tradurre in estrema sintesi si potrebbe <strong>di</strong>re che ciò <strong>di</strong><br />

cui si tratta riguarda Ciò a cui appartiene l’essenza del puro venire<br />

alla presenza. È come se chiedessimo, in altri termini, a Chi appartenga<br />

originariamente l’essenza della motilità. In un punto<br />

Heidegger spiega così questo <strong>di</strong>fficile passaggio: la dynamis e<br />

l’energheia non si contrappongono per essenza. Egli spiega infatti<br />

che l’energheia «realizza l’essenza del puro venire alla presenza in<br />

modo più originario (....)» ( 17 ) ma anche la dynamis ha come essenza<br />

quello <strong>di</strong> venire alla presenza; la <strong>di</strong>stinzione che li riguarda<br />

evidentemente non coinvolge fino in fondo la natura dell’essenza<br />

in quanto tale.<br />

Heidegger raggiunge qui un momento molto ricco <strong>di</strong> implicazioni<br />

e si aggira non a caso con molta <strong>di</strong>screzione e prudenza. È<br />

un punto delicato perché ci si trova <strong>di</strong> fronte un incrocio teorico<br />

per certi versi paradossale. La forma e la materia hanno la stessa<br />

essenza e ci si trova nella brutta situazione <strong>di</strong> determinare l’essenza<br />

della physis a partire dal concorrere <strong>di</strong> una duplice essenza <strong>di</strong><br />

fronte alla quale non è facile decidere chi, alla fine, sia la più essenziale.<br />

Entrambi infatti sono un movimento <strong>di</strong> venir alla presenza,<br />

un procedere verso l’installarsi in un aspetto, e tuttavia l’una, la<br />

forma, sembra all’inizio dover essere la più originaria. Si tratta <strong>di</strong><br />

( 16 ) Ivi, p. 241.<br />

( 17 ) Ivi, p. 241.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

capire però — insiste Heidegger — se ciò che è più originario è<br />

insieme più essenziale o comunque in che cosa consista il carattere<br />

della sua originarietà.<br />

Che la cosa non sia semplice è mostrato dal fatto che se la<br />

forma come aspetto è più originaria della dynamis nel suo essere ciò<br />

che pone nell’aspetto, l’essenza della dynamis, tuttavia — sottolinea<br />

Heidegger —, a sua volta, non può prescindere da essere essa<br />

stessa aspetto.<br />

Se la privazione o la dynamis deve dunque essere, in se stessa,<br />

un venire avanti nell’aspetto e, in questo, essere in qualche modo,<br />

essa stessa, nella forma dell’aspetto la traduzione dei Romani,<br />

<strong>di</strong>ce Heidegger, <strong>di</strong> stevrhsiı con privatio sembra essere inadeguata.<br />

O per lo meno è inadeguata se si guarda con attenzione a quel<br />

carattere della privazione che secondo Heidegger in<strong>di</strong>ca il movimento<br />

<strong>di</strong> un negare che in quanto tale afferma. Se la energheia in<strong>di</strong>cava<br />

esplicitamente il cammino <strong>di</strong> una via, <strong>di</strong> uno slargarsi nell’aperto<br />

<strong>di</strong> una presenza la dynamis sembra in<strong>di</strong>care un semplice<br />

prender-via, un assentarsi, un non essere ancora nella presenza,<br />

o un trattenersi al <strong>di</strong> là della presenza. È quin<strong>di</strong> un essere via,<br />

non qui, un mancare che non apre, però, il silenzio del nulla <strong>di</strong> una<br />

assenza ra<strong>di</strong>cale; l’assenza <strong>di</strong> un mancare infatti è un non essere<br />

qui che tuttavia in qualche modo avanza essa stessa in una presenza.<br />

Così allora conclude Heidegger: «In quanto assentarsi, la<br />

privazione non è semplicemente assenza, ma un presentarsi, e precisamente<br />

quel presentarsi in cui si presenta l’assentarsi e non già<br />

l’assente» ( 18 ).<br />

Più avanti Heidegger rilascia un’affermazione decisiva e<br />

conclusiva dell’orientamento del saggio, egli <strong>di</strong>ce: «nella privazione,<br />

infatti, si nasconde l’essenza della physis» ( 19 ).<br />

( 18 ) Ivi, p. 251.<br />

( 19 ) Ibidem.<br />

305


306 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Dopo averci lasciato in una vaga incertezza Heidegger si<br />

avvia, quin<strong>di</strong>, verso una <strong>di</strong>rezione ben precisa e lascia alle spalle<br />

l’incrocio che ci aveva posto davanti. Ricor<strong>di</strong>amo la domanda<br />

centrale: è più essenziale l’essenza della forma o l’essenza della<br />

materia? Heidegger si sforza <strong>di</strong> mostrare come la via <strong>di</strong> uno svolgersi<br />

nel venire all’aperto e la via <strong>di</strong> un sottrarsi in questo venire<br />

all’aperto sono alla fine l’acca<strong>di</strong>mento dell’essenza della physis.<br />

L’essenza della physis si raccoglie, seppure celandosi, nella<br />

privazione. Se sollecitiamo ancora, con altre in<strong>di</strong>cazioni che il testo<br />

suggerisce, quel nascondersi, troviamo che, alla fine, l’essenza<br />

della physis si nasconde nel gioco dell’assentarsi del venire nella<br />

presenza. Nascondersi qui sembra in<strong>di</strong>care il luogo nel quale la<br />

physis trova la ra<strong>di</strong>ce della sua essenza, il luogo da cui il venir alla<br />

presenza trae il proprio avvio. Per quanto l’avvio venga sviato e si<br />

assenti nel presentarsi e si sottragga ad ogni presa, è nel cuore<br />

della privazione che Heidegger lo trattiene. Se dunque l’essenza<br />

della physis è la <strong>di</strong>sposizione che avvia la motilità <strong>di</strong> un mosso e<br />

se l’essenza della physis si nasconde nella privazione dobbiamo<br />

concludere, con Heidegger, che nella privazione sta la <strong>di</strong>sposizione<br />

che avvia la motilità.<br />

Ripetiamo, ora, ancora una volta la domanda centrale: chi<br />

avvia la motilità del mosso? La forma come fine è sembrata essere<br />

ciò che muovendo permane nello svolgimento del mosso: identità<br />

<strong>di</strong> movente e <strong>di</strong> mosso. Movimento in cui l’ideale della forma<br />

mette in atto, attualizza e mette in forma la possibilità della materia.<br />

Ma Heidegger aveva messo in guar<strong>di</strong>a dal non lasciarsi fuorviare<br />

nella lettura scolastica per la quale la forma sembra configurarsi<br />

come un motore interno alla materia, un «motore — aveva<br />

detto — che applicato da qualche parte mette in moto qualcosa».<br />

E aveva anche spiegato che il telos non va inteso semplicemente<br />

come uno scopo e neppure semplicemente come il fine. Tutto ciò<br />

infatti riabilita l’idea <strong>di</strong> un farsi avanti verso un fine in una misu-


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

307<br />

ra per la quale è il fine che genera la motilità del movimento,<br />

come se il fine muovesse se stesso verso se stesso. Heidegger ha<br />

spiegato che il fine invece va letto come la fine o l’aspetto in cui la<br />

motilità viene ad esporsi. È quin<strong>di</strong> come se il fine non fosse altro<br />

che il venire avanti <strong>di</strong> uno svolgersi che trattiene in sé l’avvio della<br />

motilità. Può trattenerla in sé perché la conformazione è sempre<br />

una risposta ad un richiamo che non può consegnarsi totalmente<br />

nell’aspetto, che si tra<strong>di</strong>sce proprio nell’aspetto. Heidegger<br />

non lo <strong>di</strong>ce ma è evidente che lo sostenga, perché questo avvio<br />

possa consegnarsi in una sottrazione occorre che il Chi della motilità<br />

non sia identico con la forma; ancora una volta occorre che se<br />

<strong>di</strong> un Chi della motilità, un Chi come avvio che sosta nell’avviato<br />

si deve parlare, occorre che questo sia l’essenza della physis, e ancora<br />

<strong>di</strong> più occorre che l’essenza più essenziale della physis appartenga<br />

alla privazione. Ecco perché la frase <strong>di</strong> Heidegger secondo<br />

cui “nella privazione si nasconde l’essenza della physis” non ci<br />

sorprende. Esplicitata ancora più heideggerianamente essa vuole<br />

<strong>di</strong>re nient’altro che l’essenza della physis sta nell’essere dell’ente.<br />

2. — Hegel osserva e sottolinea come Aristotele sia stato il primo<br />

nella storia del pensiero a qualificare l’indagine filosofica come la<br />

conoscenza del fine. E soprattuto a concepire il fine come il bene<br />

<strong>di</strong> ciascuna cosa. Le determinazioni che consentono ad Aristotele<br />

<strong>di</strong> sviluppare questo passaggio sono, secondo Hegel, innanzi tutto,<br />

la potenza e l’atto; in particolare l’atto, in quanto entelechia, è il<br />

fine in sè, telos, fine che realizza se stesso e compie se stesso.<br />

È noto come Hegel incominci a tradurre Aristotele nella<br />

propria grammatica concettuale già a partire dalla traduzione del<br />

termine energheia. La traduzione in Bewegung lo trasla in un movimento<br />

per cui <strong>di</strong>viene attività che si autodetermina compiendosi<br />

nel fine e realizzandosi in esso. Il concetto <strong>di</strong> Bewegung, in quanto<br />

essenzialmente attività, consente ad Hegel <strong>di</strong> forzare l’energheia


308 HEGEL E ARISTOTELE<br />

verso il principio <strong>di</strong> soggettività come negatività che si riferisce a<br />

sé.<br />

Abbiamo innanzi già visto come il saggio <strong>di</strong> Heidegger contenga<br />

impliciti ed espliciti contrappunti alla posizione <strong>hegel</strong>iana.<br />

Possiamo ora osservarli ad una <strong>di</strong>stanza ravvicinata. Dice<br />

Hegel:<br />

«Tutto ciò che esiste contiene certamente materia, ogni mutamento<br />

presuppone un sostrato nel quale si compie; ma poiché<br />

la materia stessa è soltanto una potenza, non l’atto, che spetta alla<br />

forma, così <strong>di</strong>pende dall’attività della forma, che la materia sia<br />

veramente» ( 20 ). Per Hegel la forma è ciò che essenzialmente si<br />

determina in relazione al fine, si autodetermina nel movimento<br />

verso il fine. La grandezza che Hegel nelle Lezioni attribuisce ad<br />

Aristotele è proprio l’idea che il fine contenga in sé la determinazione<br />

<strong>di</strong> porsi ed effettuarsi.<br />

Quando Hegel, pertanto, sottolinea la soggettività come intimo<br />

principio <strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduazione attribuisce ad Aristotele un<br />

principio concettuale che consente <strong>di</strong> unificare il movimento contenuto<br />

nello specificarsi attraverso la forma e il principio <strong>di</strong> questo<br />

movimento.<br />

Per Heidegger, invece, lo abbiamo visto, la forma compie una<br />

potenzialità attualizzando una determinazione formale e la forma<br />

attuata è il compimento <strong>di</strong> una materia, l’atto vivente <strong>di</strong> questa materia;<br />

e l’atto ha il suo originario limite non solo nel suo <strong>di</strong>venire<br />

semplice aspetto, ma, anche, nell’avvio che accade per così <strong>di</strong>re<br />

nell’orizzonte della potenza. In questo senso <strong>di</strong>cevamo che l’atto è<br />

come se restasse nell’ambito <strong>di</strong> un principio <strong>di</strong> esecuzione.<br />

Quando Hegel attribuisce ad Aristotele il momento della<br />

negatività come principio della soggettività dell’idea trasforma<br />

questo momento <strong>di</strong> esecuzione nella forma <strong>di</strong> una determinazione<br />

che assume in sé il principio del movimento. La determinazione<br />

( 20 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni ..., cit. p. 297.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

309<br />

formale assume in sé il principio della propria attuazione e il<br />

principio della propria attuazione comporta l’assunzione del movimento.<br />

Non a caso Hegel ricostruisce l’or<strong>di</strong>ne delle sostanze in<br />

Aristotele sotto la misura <strong>di</strong> una semplice implicita domanda che<br />

ripropone ad ogni passaggio: a chi appartiene essenzialmente<br />

l’attività e quin<strong>di</strong> il movimento?<br />

«Ma l’attività è l’unità della forma e della materia; Aristotele<br />

non ci spiega però più precisamente in qual maniera queste due<br />

sono in quella» ( 21 ). Dobbiamo però ancora lasciare in sospeso<br />

questa domanda che abbiamo anche incontrato come uno dei centri<br />

della lettura heideggeriana.<br />

3. — In qual maniera si chiede Hegel dunque la forma e la materia<br />

appartengono al movimento? Per Hegel la con<strong>di</strong>zione della circolarità<br />

è l’attività; è l’attività in quanto coincidente con il principio <strong>di</strong><br />

soggettività della forma. In questo senso la forma è il principio <strong>di</strong><br />

attività; è forma dell’attività e, in questo senso, è principio <strong>di</strong> essenziale<br />

unità. Tutto questo alla con<strong>di</strong>zione che l’attività e la forma si<br />

coappartengano e contengano il principio della loro immanenza,<br />

siano totalmente immanenti a se stessi.<br />

Per Hegel dunque la forza speculativa <strong>di</strong> Aristotele si raggiunge<br />

nel momento in cui, a <strong>di</strong>fferenza dell’idealismo <strong>di</strong> Platone,<br />

l’unità dell’identità non è concepita che semplice unità <strong>degli</strong> opposti,<br />

quin<strong>di</strong> con un’astrazione che ipostatizza, ma è concepita come<br />

intero, come “essenzialmente negativa” che conserva l’identità nel<br />

procedere <strong>di</strong> una <strong>di</strong>fferenza che mantiene l’universalità nella specificazione<br />

delle determinazioni.<br />

La forza speculativa <strong>di</strong> Aristotele consisterebbe proprio nel<br />

fatto che la sostanza conserverebbe l’identità <strong>di</strong> una <strong>di</strong>fferenza<br />

proprio in quanto è, a un tempo, universale e particolare. L’uni-<br />

( 21 ) Ivi, p. 301.


310 HEGEL E ARISTOTELE<br />

versale, non ciò che è comune, ma ciò che muove se stesso verso<br />

la propria <strong>di</strong>fferenza e si riprende in questa <strong>di</strong>fferenza in se stesso.<br />

Perché questa unità della <strong>di</strong>fferenza sia possibile occorre però che<br />

l’universale che muove se stesso contenga in se stesso l’avvio del<br />

proprio movimento. Potremmo <strong>di</strong>re la seità <strong>di</strong> questo movimento.<br />

Sia cioè attività. Contenere in se stesso l’avvio per il proprio movimento<br />

vuole <strong>di</strong>re essere per mezzo <strong>di</strong> un’assoluta negatività cioè<br />

movimento che si nega per negare questa negazione, che si nega<br />

per giungere al proprio sé. Il giungere alla propria forma è avviato<br />

dalla stessa forma. La forma quin<strong>di</strong> non ha nulla a che fare con un<br />

semplice venire in un’aspetto non è fine come un venire a porsi nella<br />

fine <strong>di</strong> una forma che definisce, è, per Hegel, avviarsi nel proprio<br />

avvio, avviarsi verso la posizione del fine. La forma è in questo senso<br />

originariamente ed essenzialmente telos. Nel suo intimo, anche<br />

quando cioè siamo nella sfera più semplice <strong>degli</strong> enti naturali, la<br />

forma muove verso il suo fine. La forma vuole nel suo intimo non<br />

semplicemente il suo fine, non vuole cioè semplicemente pervenire<br />

verso il fine, ma vuole porre il suo fine come proprio fine.<br />

Occorre capire bene questo passaggio perché si tratta <strong>di</strong> un<br />

punto in cui sono in gioco molte questioni e molte mosse teoriche<br />

determinanti e fondamentali.<br />

La forma dunque si muove verso il fine, si avvia verso il<br />

fine, ma la pienezza del suo compimento nel momento in cui l’avvio<br />

del movimento le appartiene è il suo proprio avvio, è quello<br />

non solo <strong>di</strong> conseguire il fine o <strong>di</strong> raggiungere il fine. Se fosse così<br />

saremmo seppure su un piano <strong>di</strong>slocato nell’ambito <strong>di</strong> uno svolgersi<br />

della forma verso un venire nell’aspetto. Non si tratta quin<strong>di</strong><br />

solo <strong>di</strong> una forma che si avvia verso un fine o una fine. Perché<br />

tra forma e fine non si apra nessuna <strong>di</strong>stanza occorre che la forma<br />

che procede verso il fine sia contemporaneamente la forma che<br />

produce il proprio fine, realizza il fine nella misura in cui lo determina.<br />

Se la forma è ciò che si avvia e ciò che si avvia assolutamente,<br />

occorre che il fine le appartenga non come ciò che deve


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

311<br />

compiersi ma, nella sua essenziale originarietà, come ciò che deve<br />

prodursi e crearsi nell’attualità del movimento. Non è un caso che<br />

ciò che determina l’appropriazione del fine da parte della forma<br />

sia proprio il sapere. Il livello del sapere misura il grado <strong>di</strong> compimento<br />

della determinazione del fine da parte del principio formale,<br />

il momento del compimento della produzione del fine da<br />

parte della forma. Fin dal primo livello della sostanza per Hegel<br />

che legge Aristotele, pertanto, la forma tende verso la determinazione<br />

e la produzione del proprio fine, quin<strong>di</strong> non a svolgersi<br />

verso il fine ma a compiersi nel fine, quin<strong>di</strong> ad assumere il fine<br />

come determinazione della volontà.<br />

Questo è il livello che Hegel attribuisce ad Aristotele come<br />

terzo modo della sostanza, il momento per eccellenza in cui la teoria<br />

della sostanza troverebbe la sua unità sistematica.<br />

Il momento in cui si mostra quella sostanza che «gli scolastici<br />

hanno giustamente visto come definizione <strong>di</strong> Dio».<br />

4. — Siamo nel punto più alto della serie in cui, come <strong>di</strong>ce Hegel,<br />

sono congiunte «potenza, attività e entelechia, la sostanza assoluta,<br />

che Aristotele determina in generale come l’in sé e per sé, che è<br />

immobile ma a un tempo muove, e la cui essenza è pura attività<br />

senza materia» ( 22 ). È il momento decisivo della trasfigurazione <strong>di</strong><br />

Aristotele. La sostanza assoluta <strong>di</strong>venta pura attività. La domanda<br />

con cui Hegel misurava la gerarchia delle sostanze trova ora la<br />

sua risposta. Apparentemente Hegel approfon<strong>di</strong>sce l’in<strong>di</strong>cazione<br />

<strong>di</strong> Aristotele <strong>di</strong> un atto puro, <strong>di</strong> un atto che nella sua purezza è<br />

sgombro della materia e della passività. Hegel però quando accentua<br />

la forma pura dell’atto continua nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> una reciproca<br />

immanenza <strong>di</strong> atto e potenza, <strong>di</strong> soggetto ed oggetto. Concepire<br />

l’assoluta sostanza come semplice atto puro per Hegel è giu-<br />

( 22 ) Ivi, p. 302.


312 HEGEL E ARISTOTELE<br />

sto alla con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> una correzione decisiva, quell’atto puro non<br />

può librarsi sulla materia concependosi senza la passività <strong>di</strong> questa.<br />

Per Hegel la purezza dell’atto va compresa non tanto nella sua<br />

esclusiva separatezza dalla materia ma nella sua sovranità. Un<br />

atto che, in quanto tale, deve essere totalità <strong>di</strong> forma e materia.<br />

L’atto è sovrano perché nel suo movimento è contenuta anche la<br />

passività della materia. Hegel lo esprime magistralmente in questo<br />

modo: «ma la materia è precisamente nient’altro che quel momento<br />

dell’essenza immobile» ( 23 ). È il momento in cui la materia<br />

appartiene totalmente al movimento della forma; potremmo <strong>di</strong>re:<br />

al suo punto <strong>di</strong> stasi. Il momento in cui la forma attua il proprio<br />

contenuto, si esibisce nel contenuto. La forma non esegue il destino<br />

della materia, piuttosto si manifesta producendosi nel contenuto.<br />

La materia in questo senso è un momento necessario del suo<br />

<strong>di</strong>namismo. È il punto <strong>di</strong> quiete del suo <strong>di</strong>namismo. Perché questo<br />

sia possibile Hegel doveva congiungere ciò che in Aristotele è<br />

inesorabilmente separato, la forma e il principio del movimento.<br />

Solo se la forma contiene in sé ra<strong>di</strong>calmente il principio del movimento<br />

il mosso e il movente possono appartenere ad un medesimo<br />

circolo, l’assoluto può essere quiete solo in quanto è attività,<br />

può rimanere presso <strong>di</strong> sé nel cambiamento. Il celebre abbaglio<br />

della traduzione <strong>hegel</strong>iana che consente <strong>di</strong> identificare il Dio<br />

aristotelico con il primo cielo eterno e quin<strong>di</strong> cancellare nell’immanenza<br />

del movimento circolare il punto <strong>di</strong> appoggio del movimento<br />

aristotelico ha in queste mosse la sua con<strong>di</strong>zione teorica. È<br />

il momento in cui Hegel non interpreta ma trasforma e plasma nel<br />

suo sistema uno dei centri <strong>di</strong>namici della filosofia aristotelica.<br />

5. — Quando Hegel rimprovera Aristotele <strong>di</strong> non spiegare il<br />

modo attraverso cui la forma e la materia appartengano all’unità<br />

( 23 ) Ivi, p. 303.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

313<br />

dell’attività non si riferisce semplicemente al primo livello <strong>di</strong> determinazione<br />

della sostanza. In<strong>di</strong>ca contemporaneamente il problema<br />

speculativo centrale nell’aristotelismo e il punto in cui si<br />

inserisce il suo tentativo <strong>di</strong> concepirlo nel quadro della sua grammatica<br />

filosofica e speculativa.<br />

Tra l’altro uno dei punti <strong>di</strong> maggiore insistenza e continuità<br />

del sistema aristotelico.<br />

Un punto che si può fissare a partire dalla seguente domanda:<br />

su che cosa poggia il movimento? O Chi attiva il movimento?<br />

È noto come per la Fisica aristotelica uno dei compiti più<br />

importanti consista nella determinazione della natura del movimento<br />

e del cambiamento che Aristotele ritiene essere il fenomeno<br />

fondamentale della natura, sino al punto <strong>di</strong> sottolineare che<br />

chi non lo intende è incapace <strong>di</strong> intendere la natura stessa.<br />

Secondo Aristotele ogni movimento naturale implica il muoversi<br />

essendo mosso. Il movimento pertanto si compone <strong>di</strong> due momenti:<br />

il muoversi e l’essere mosso. Questa <strong>di</strong>stinzione consente ad<br />

Aristotele <strong>di</strong> combattere quell’opinione <strong>di</strong> Platone per la quale è invece<br />

del tutto ammissibile che qualcosa possa muoversi da sé in<br />

quanto è mosso nella sua totalità. Per Aristotele ogni processo naturale<br />

si trova a cooperare alla realizzazione <strong>di</strong> un fine, si muove e si<br />

sviluppa nell’orizzonte <strong>di</strong> un fine e il suo movimento compie la<br />

possibilità <strong>di</strong> raggiungere una forma e una struttura. Tuttavia, e<br />

questo è un punto molto importante, se al movimento appartiene<br />

l’attuazione della forma come realizzazione della capacità della sostanza,<br />

la forma realizza la potenza e la compie ma non contiene il<br />

principio del movimento. Non a caso Aristotele per garantire l’unità<br />

funzionale del suo sistema deve ammettere sin dalle prime opere<br />

un vertice al mutamento, il proton kinoun akineton. E quando Aristotele<br />

introduce questo vertice è pienamente consapevole della sua<br />

innovazione e soprattutto della sua necessità:<br />

«Se non accettiamo la mia soluzione, ci troviamo ancora<br />

una volta <strong>di</strong> fronte al problema <strong>di</strong> Parmenide. L’essere si genere-


314 HEGEL E ARISTOTELE<br />

rebbe dal non essere, e noi sappiamo che questo è impossibile.<br />

Esiste dunque un primo mosso, e cioè il primo cielo, e un principio<br />

del movimento, eterni entrambi» ( 24 ).<br />

Il Proton kinoun ha in Aristotele un doppio registro, si colloca,<br />

per così <strong>di</strong>re, nella sintesi dei due estremi <strong>di</strong> un movimento<br />

possibile, è una sintesi del prima e del poi, è infatti il primo eterno,<br />

fuori del tempo e del mutamento, punto <strong>di</strong> appoggio del mutamento<br />

e contemporaneamente telos, ciò che orienta il compimento<br />

del mutamento, fine ultimo a cui tutto l’universo tende.<br />

Se il movimento appartenesse intimamente al principio formale<br />

non sarebbe necessario ammettere accanto a forma e materia<br />

un terzo principio. È solo e unicamente per il fatto che il movimento<br />

non appartiene all’intimità della forma che Aristotele deve<br />

contestare il <strong>di</strong>namismo <strong>degli</strong> opposti e ritiene che per spiegare il<br />

movimento sia necessaria una sorta <strong>di</strong> appoggio e punto <strong>di</strong> avvio<br />

e <strong>di</strong> consistenza del movimento. Questo terzo principio infatti,<br />

non solo consente l’appoggio eterno per l’avvio <strong>di</strong> un movimento<br />

ma conserva il movimento nella consistenza <strong>di</strong> una tendenza,<br />

orientandolo come un fine; infatti, impe<strong>di</strong>sce che possa svanire. È<br />

come se, per usare un’immagine, gli estremi del movimento non<br />

accadessero nella pienezza del circolo ma si collocassero per così<br />

<strong>di</strong>re nella sua tangenza.<br />

6. — Se rinnoviamo dunque la domanda del Chi sostenga il movimento<br />

e se il Chi appartenga o no alla forma o se vi appartenga in<br />

che modo vi appartenga ci troviamo <strong>di</strong> fronte al punto centrale<br />

del confronto <strong>di</strong> Hegel con Aristotele. L’insieme della rilettura<br />

<strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> Aristotele grava sul principio della forma. Hegel ci<br />

in<strong>di</strong>rizza subito verso la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un ingente mutamento <strong>di</strong><br />

( 24 ) Cit. ripresa da I. DÜRING, Aristotele, Mursia, Milano, trad. it. <strong>di</strong> P. Donini,<br />

p. 243.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

315<br />

prospettiva nel momento in cui ci fa osservare che in Aristotele vi<br />

sarebbe una specie superiore <strong>di</strong> sostanza e questa sostanza sarebbe<br />

quella nella quale l’attività contiene già ciò che deve <strong>di</strong>venire.<br />

Non solo. Questa sostanza contiene a tal punto ciò che deve <strong>di</strong>venire<br />

da dover essere pensata nella sua assoluta essenza come<br />

pura attività. Hegel naturalmente non si azzarda a riferire che<br />

questo sia stato pensato da Aristotele pienamente e alla luce <strong>di</strong><br />

tutti i suoi risvolti, <strong>di</strong>ce però che la verità verso cui Aristotele è in<br />

cammino, <strong>di</strong>ciamolo così, è una via nella quale la forma non è<br />

semplice attualità <strong>di</strong> una potenza ma è essenza assoluta come<br />

pura attività. Per sostenere questa rilettura Hegel ricorre ad un<br />

soccorso storico. Contro quella che lui chiama una certa <strong>di</strong>ffidenza<br />

dell’età moderna verso Aristotele Hegel richiama invece la<br />

consapevolezza <strong>degli</strong> Scolastici. «Invece gli scolastici videro esattamente<br />

in questo concetto la definizione <strong>di</strong> Dio, ch’essi designarono<br />

appunto come actus purus; e non si dà idealismo più elevato<br />

<strong>di</strong> questo» ( 25 ).<br />

7. — Commentando il De anima Hegel osserva:<br />

«Che la forma attiva sia la vera sostanza, e la materia invece<br />

sia soltanto in potenza, è un concetto veramente speculativo» ( 26 ).<br />

In particolare Aristotele avrebbe raggiunto un momento<br />

molto alto nel pensiero speculativo laddove giunge a definire<br />

l’anima come essere causa proprio in quanto è fine, cioè universalità<br />

autodeterminantesi. Questa natura originaria dell’anima si<br />

( 25 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni ..., p. 303.<br />

( 26 ) Ivi, p. 347.<br />

Cfr. almeno W. KERN, Die Aristotelesdeutung Hegels. Die Aufhebung des<br />

Aristotelischen «Nous» in Hegels «Geist», in «Philosophisches Jahrbuch», 78, 1971,<br />

pp. 237-259; G. MOVIA, in ARISTOTELE, L’anima, testo greco a fronte, a cura <strong>di</strong> G.M.,<br />

Rusconi, Milano 1996, pp. 7-48. Sull’identificazione <strong>hegel</strong>iana del Dio aristotelico<br />

con il primo cielo eterno cfr. E. CORETH, Das Dialektische Sein in Hegels Logik, Herder,<br />

Wien 1952, 136-57.


316 HEGEL E ARISTOTELE<br />

esprimerebbe compiutamente nel suo grado più alto, nel pensiero.<br />

Mentre nel sentire si <strong>di</strong>pende da un altro e il movimento o l’avvio o<br />

il chi possiede l’avvio viene dall’esterno nel pensare, nota Hegel citando<br />

(o meglio parafrasando) Aristotele, «ciascuno può pensare<br />

da sé, quando vuole e appunto perciò è libero» ( 27 ) .<br />

Il concepire questo avviarsi <strong>di</strong> se stesso nel pensare è dunque<br />

il principale livello speculativo raggiunto da Aristotele. L’esito coerente<br />

del modo attraverso il quale Aristotele mostrerebbe la natura<br />

essenziale dell’intelletto in potenza. Mentre una cosa determinata<br />

ha come unica possibilità quella <strong>di</strong> essere ciò che è secondo la sua<br />

natura, il pensare proprio in quanto possibilità deve essere concepito<br />

come possibilità universale, cioè possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare tutto<br />

il pensabile, ed è così che Hegel trapassa il concetto <strong>di</strong> potenza in<br />

quello <strong>di</strong> attività. In quanto possibilità <strong>di</strong> essere tutto l’anima è essenzialmente<br />

attività. Non solo Hegel compie questo passaggio,<br />

ma l’intelletto, in quanto essenzialmente attivo, rende la sua passività<br />

un atto della sua stessa attività. Infatti <strong>di</strong>ce Hegel, «Il pensiero<br />

si fa intelletto passivo, perché si fa oggetto per esso» ( 28 ).<br />

La trasfigurazione <strong>di</strong> Aristotele in questi passaggi non poteva<br />

essere più profonda. Hegel rispetta Aristotele sino al momento in<br />

cui sottolinea il fatto che l’intelletto non può avere materia. Ma<br />

questo lo porta imme<strong>di</strong>atamente dopo ad una <strong>di</strong>varicazione ra<strong>di</strong>cale.<br />

Il non aver materia per Hegel non può che significare un essere<br />

nella forma <strong>di</strong> non essere in sé. Un non essere in sé che <strong>di</strong>venta<br />

però come il lato interno <strong>di</strong> un essere che si dà essere facendosi essere.<br />

Non a caso precisa in questo modo la relazione intimamente<br />

<strong>di</strong>alettica tra universale possibilità dell’intelletto passivo e attività<br />

dell’intelletto attivo: «l’anima è <strong>di</strong> per sé l’universale possibilità,<br />

senza materia, perché la sua essenza è l’attività» ( 29 ). Questo pas-<br />

( 27 ) Ivi, p. 351.<br />

( 28 ) Ivi, p. 358.<br />

( 29 ) Ibidem.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

317<br />

saggio consente ad Hegel <strong>di</strong> unificare i due momenti (la passività e<br />

l’attività dell’intelletto che in Aristotele restano in<strong>di</strong>scutibilmente<br />

<strong>di</strong>stinti) come lati <strong>di</strong> un unico movimento. L’intelletto passivo in<br />

questo modo <strong>di</strong>venta un momento dell’attività dell’intelletto attivo.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo, per comprendere meglio, che per Aristotele la<br />

facoltà intellettiva presenta le caratteristiche principali <strong>di</strong> non essere<br />

mischiata ad altro e l’impassibilità. L’impassibilità non in<strong>di</strong>ca,<br />

naturalmente, l’impossibilità <strong>di</strong> una qualche forma <strong>di</strong> mutamento<br />

in relazione a qualcosa <strong>di</strong> attivo, ma, ed è importante, la possibilità<br />

<strong>di</strong> un “patire” senza che, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto può accadere nell’ambito<br />

strettamente fisico, possa impe<strong>di</strong>re che l’essere del soggetto<br />

non si conservi nel suo essere. In questo modo la facoltà conoscitiva<br />

patisce senza perdere la propria essenza, anzi, ad<strong>di</strong>rittura la<br />

perfeziona. Così l’intelletto può restare impassibile ricevendo le<br />

forme intelligibili. Ciò vuol <strong>di</strong>re che può restare se stesso pur <strong>di</strong>venendo<br />

la forma intelligibile (in questo senso resta anche non mischiato).<br />

È in questo modo che l’intelletto, alla fine, è la potenzialità<br />

<strong>di</strong> ricevere essenzialmente tutte le forme. Come si vede però è tutt’altro<br />

che l’in sé del per sé dell’attività dell’intelletto attivo. Se i due<br />

momenti possono in qualche modo trovarsi nella forma <strong>di</strong> una unità<br />

della <strong>di</strong>fferenza questo è dovuto alla insopprimibile e originaria<br />

natura dell’impassibilità dell’intelletto passivo e non dall’essere<br />

momento dell’attività del pensare. Non è <strong>di</strong>fficile scorgere in questo<br />

momento in cui la trasfigurazione <strong>di</strong> Aristotele è particolarmente<br />

profonda il gioco <strong>di</strong>alettico della grammatica della logica <strong>di</strong><br />

Hegel.<br />

Nel passaggio delle Lezioni che abbiamo riportato, la possibilità<br />

e l’essere <strong>di</strong> questa possibilità giunge a coincidere con il nulla;<br />

è una possibilità ideale <strong>di</strong> contenere tutto: «un libro secondo la<br />

possibilità può contenere tutto, ma realmente nulla, prima d’essere<br />

scritto» ( 30 ). Solo nel pensare attivo l’intelletto passa quin<strong>di</strong> dal<br />

( 30 ) Ivi, p. 359.


318 HEGEL E ARISTOTELE<br />

niente della potenzialità alla verità della realtà. È come se Hegel<br />

trascinasse Aristotele nel movimento che ritroviamo all’esor<strong>di</strong>o<br />

del cominciamento della logica. Un punto che ha il sostegno in un<br />

passaggio che Hegel sottolinea per il quale «la materia per sé è<br />

niente» dove l’essere è in quanto movimento dell’attività della<br />

forma. Non solo occorre <strong>di</strong>re che la materia è niente senza la forma.<br />

Per Hegel occorre sviluppare questa affermazione <strong>di</strong> Aristotele<br />

sino al suo estremo. La materia è niente non solo nel senso<br />

che non ha ancora forma, ma è niente in senso ra<strong>di</strong>cale, tanto<br />

niente da non poter che essere attraverso il movimento della forma.<br />

Hegel — lo abbiamo visto — aveva detto chiaramente, sempre<br />

nel commento ad Aristotele, che la materia è il punto <strong>di</strong> quiete<br />

del movimento dell’attività della forma. Ma occorre proceder ancora<br />

più avanti. Il niente della materia, il nulla senza la forma della<br />

materia evidentemente non appartiene alla materia. Questo è<br />

un punto delicato e decisivo. Il niente appartiene alla forma come<br />

movimento della negatività interna. Perché la materia accada<br />

come attività della forma, come punto <strong>di</strong> quiete dell’attualità della<br />

forma occorre che il niente appartenga originariamente al movimento<br />

della forma. Potremmo <strong>di</strong>re, senza correre troppi rischi<br />

<strong>di</strong> abusi, che si coappartengono <strong>di</strong>aletticamente così come all’esor<strong>di</strong>o<br />

della logica essere e niente si appartengono e si compiono<br />

nel <strong>di</strong>venire.<br />

La definizione che Hegel dà del pensiero, attribuendola ad<br />

Aristotele, è la conseguenza <strong>di</strong> questo or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> mosse concettuali:<br />

Hegel <strong>di</strong>ce: «Il pensiero è <strong>di</strong>fatti piuttosto il non essere in sé» ( 31 ).<br />

Siamo nel livello più compiuto dell’anima. Così come l’anima<br />

nella forma deve assumere intimamente il niente dell’essere,<br />

così il pensiero ora è intimamente non essere in sé.<br />

Anzi nel pensare l’inseità come niente, come essere niente<br />

<strong>di</strong> ciascuna cosa è contemporaneamente attività, essere e nulla<br />

( 31 ) Ivi, p. 357.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

319<br />

coincidono pienamente nell’attività. Ecco che in questo modo è<br />

più chiaro quello che <strong>di</strong>cevamo all’inizio:<br />

«Dire che l’anima è questo libro non scritto significa adunque<br />

<strong>di</strong>re ch’essa è tutto in sé, ma non è questa totalità in se stessa: allo<br />

stesso modo un libro secondo la possibilità può contenere tutto, ma<br />

realmente nulla, prima d’essere scritto».<br />

L’intelletto passivo è dunque l’intelletto che è capace <strong>di</strong> ricevere<br />

tutto e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare tutto; ricor<strong>di</strong>amo che è capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare<br />

tutto perché è essenzialmente niente <strong>di</strong> tutto, ma come abbiamo visto<br />

il niente dell’essente in sé è imme<strong>di</strong>atamente partecipe dell’essenza<br />

della forma. Ecco perché è facile, per Hegel, il passaggio successivo<br />

dell’identità con quell’intelletto che come forza attiva è in<br />

grado <strong>di</strong> produrre tutto. Il niente è il punto <strong>di</strong> comunione tra l’intelletto<br />

passivo e l’intelletto attivo.<br />

8. — Abbiamo sinora fatto scorrere parallelamente la lettura <strong>di</strong><br />

Heidegger e quella <strong>di</strong> Hegel. Dobbiamo ora tentare <strong>di</strong> stringere più<br />

prossimamente possibile la fondamentale <strong>di</strong>varicazione che li allontana<br />

l’uno dall’altro.<br />

In Heidegger ciò che avvia il movimento si svolge nel venire<br />

avanti nell’aspetto della forma. Ciò che avvia si manifesta nel venire<br />

avanti nell’aspetto ma si manifesta nella modalità <strong>di</strong> un’assenza.<br />

È come se Heidegger <strong>di</strong>cesse: la forma è lo slargarsi del venire<br />

avanti ma è una forma che esegue il ciò che avvia. La forma è la<br />

manifestazione <strong>di</strong> un acca<strong>di</strong>mento che la precede e proprio per<br />

questo non accade mai del tutto. La forma in questo senso sta nell’opera<br />

della motilità perché è il modo della sua esecuzione. Alla<br />

fine si può <strong>di</strong>rlo in questo modo: la forma è l’ente dell’essere e riceve<br />

dall’esser dell’ente la sua consistenza e la sua custo<strong>di</strong>a.<br />

In questo senso Heidegger ci ha più volte posto nell’avviso<br />

che in Aristotele la forma non è un actus purus, non è cioè il Chi<br />

che conduce, il ciò che avvia.


320 HEGEL E ARISTOTELE<br />

In Hegel, lo abbiamo visto, l’essere dell’ente è niente senza<br />

l’attualità della forma, nell’atto della forma accade ra<strong>di</strong>calmente<br />

l’essere dell’ente. La forma cioè attua se stessa nell’atto del suo<br />

farsi e il suo essere accade nel momento del suo farsi, nell’attualità<br />

del suo atto. La forma non esegue, non accade per eseguire ma<br />

è intimamente farsi, o, comunque, intimamente, anche nei livelli<br />

più elementari dell’essere, tende a farsi nel suo fare. Il ciò che avvia<br />

dunque appartiene all’attualità dell’atto della forma. In questo<br />

senso Hegel e Heidegger si <strong>di</strong>varicano ra<strong>di</strong>calmente.<br />

Se volessimo, per fini <strong>di</strong>dattici, darci una figurazione <strong>di</strong><br />

questa <strong>di</strong>varicazione potremmo <strong>di</strong>re: per Heidegger il ciò che avvia<br />

l’attualità dell’atto non appartiene alla forma ma appartiene a<br />

ciò che si avvia nella forma, in Hegel ciò che avvia appartiene all’impulso<br />

logico intimo della forma.<br />

Tuttavia questa <strong>di</strong>varicazione non può essere pienamente<br />

compresa almeno in relazione ad Aristotele se non ci facciamo sorprendere<br />

da una contiguità originaria che stringe insieme Hegel ed<br />

Heidegger. Che qui dobbiamo però delineare in estrema sintesi.<br />

Questa contiguità possiamo ricostruirla anche (ma i luoghi <strong>di</strong><br />

questa contiguità sono assai <strong>di</strong>ffusi) a partire da quel gesto quasi<br />

ammiccante a cui Heidegger si lascia andare in Che cos’è la Metafisica.<br />

Heidegger riporta la seguente affermazione <strong>di</strong> Hegel contenuta<br />

nel I libro della Scienza della logica: «Il puro essere e il puro niente è,<br />

dunque, lo stesso» ( 32 ). Alla fine la commenta, come è noto, in questo<br />

modo: «Questa sentenza dello Hegel è giusta». Anche a partire<br />

da qui evidentemente, ma non solo, dobbiamo prestare attenzione<br />

al perché il problema del niente stabilisca una familiarità originaria<br />

tra Hegel e Heidegger. Una familiarità da cui inizialmente è giusto<br />

farsi sorprendere dal momento che abbiamo verificato, anche in relazione<br />

alla rilettura <strong>di</strong> Aristotele, una ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong>varicazione.<br />

( 32 ) M. HEIDEGGER, Che cos’è la metafisica, trad. it. <strong>di</strong> A. Carlini, La Nuova Italia,<br />

Firenze 1979, p. 30.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

321<br />

Ricor<strong>di</strong>amo però, per maggiore precisione e per continuare a<br />

seguire alcune movenze concettuali, quello che Heidegger precisa<br />

intorno all’esperienza del niente: «L’essenza dell’originario niente<br />

nientificante è qui: esso porta l’essere esistenziale originariamente<br />

innanzi all’essente come tale. Solo sul fondamento dell’originario<br />

rivelarsi del niente, l’essere esistenziale dell’uomo può <strong>di</strong>rigersi<br />

verso ciò che è, e penetrare in esso» ( 33 ). È come se Heidegger <strong>di</strong>cesse:<br />

l’essere viene nell’aspetto della forma in un avvio che si assenta<br />

a partire dal nulla che si rivela come assenza <strong>di</strong> una presenza.<br />

Nel saggio Sull’essenza e sul concetto della Physis, il modo con cui<br />

Heidegger traduce concettualmente privazione rimanda non casualmente<br />

a questa modalità dell’assentarsi. Così contesta, ad esempio<br />

— lo abbiamo visto — il senso che stevrhsiı ha assunto nella traduzione<br />

dei Romani in privatio: «I Romani tradussero stevrhsiı con<br />

privatio; questa è considerata una specie della negatio» ( 34 ). Lo sforzo<br />

<strong>di</strong> Heidegger è invece quello <strong>di</strong> mostrare che per la via <strong>di</strong> questa<br />

traduzione si perde <strong>di</strong> vista ciò che <strong>di</strong> autenticamente greco deve<br />

essere pensato in stevrhsiı: «Solo che la stevrhsiı non è semplicemente<br />

assenza, ma, come assentarsi, la stevrhsiı è proprio la<br />

stevrhsiı del presentarsi. Che cos’è allora la stevrhsiı? Quando noi<br />

<strong>di</strong>ciamo, per esempio, che qualcosa “è via”, non vogliamo <strong>di</strong>re soltanto<br />

che non è più qui, ma vogliamo <strong>di</strong>re che manca. Se qualcosa<br />

manca, ciò che manca è sì via, ma proprio questo via, cioè il mancare,<br />

ci irrita e ci inquieta, e tutto ciò il “mancare” lo può provocare<br />

solo se esso è “presente”, cioè è, ossia costituisce un essere» ( 35 ).<br />

Non è <strong>di</strong>fficile scorgere che ci troviamo sullo stesso piano <strong>di</strong><br />

quel passaggio riportato da Che cos’è la Metafisica.<br />

Anche qui l’attenzione <strong>di</strong> Heidegger è tutta protesa a renderci<br />

evidente che il nulla è ciò che assentandosi avvia una pre-<br />

( 33 ) Ivi, p. 33.<br />

( 34 ) M. HEIDEGGER, Segnavia, cit., p. 249.<br />

( 35 ) Ivi, p. 251.


322 HEGEL E ARISTOTELE<br />

senza nell’aspetto <strong>di</strong> una forma. Ciò che avvia il soggetto sull’oggetto,<br />

ciò che apre l’uno nell’altro, ciò che apre il logos entro cui<br />

<strong>di</strong>morano l’aspetto dell’ente e il pensiero che può riguardarlo. Ciò<br />

che, in ultima analisi, avvia lo sguardo del soggetto a cui la presenza<br />

è presente. Rileggiamo infatti l’affermazione <strong>di</strong> Heidegger:<br />

«Solo sul fondamento dell’originario rivelarsi del niente, l’essere<br />

esistenziale dell’uomo può <strong>di</strong>rigersi verso ciò che è, e penetrare in<br />

esso» ( 36 ).<br />

Il nulla è dunque il ciò che avvia la presenza <strong>di</strong> un oggetto ad<br />

un soggetto. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> Hegel e in <strong>di</strong>varicazione ra<strong>di</strong>cale con<br />

Hegel, Heidegger precisa che il nulla originariamente appartiene<br />

all’essenza dell’essere, quando in Hegel possiamo <strong>di</strong>re anche così:<br />

appartiene originariamente e intimamente all’impulso logico dell’attualità<br />

dell’atto. Abbiamo visto che l’essere in sè è niente se non<br />

è preso dall’attualità della forma ed è la forma che contiene o custo<strong>di</strong>sce<br />

il niente nell’attualità del suo atto.<br />

La negazione del niente appartiene all’attualità <strong>di</strong> un atto che<br />

si apre in una <strong>di</strong>fferenza e si raccoglie nell’unità della <strong>di</strong>fferenza.<br />

Sia in Hegel che in Heidegger, tuttavia, il nulla si trova per così<br />

<strong>di</strong>re nello stesso punto <strong>di</strong> un movimento che pure procede a partire<br />

da <strong>di</strong>rezioni che sono <strong>di</strong>varicate. Il nulla si trova come punto <strong>di</strong> flessione<br />

in cui l’essere si riflette in uno sguardo del soggetto. È come se<br />

per entrambi il niente garantisse il pensiero dell’essere e il circolo<br />

della loro coappartenza.<br />

Da questo punto <strong>di</strong> vista la comune rilettura <strong>di</strong> Aristotele è<br />

sorprendentemente affine.<br />

8.1 — Questa contiguità tra Hegel e Heidegger è ancora più<br />

evidente se la ripercorriamo a partire dalla natura del circolo<br />

ermeneutico.<br />

( 36 ) M. HEIDEGGER, Che cos’è la Metafisica?, cit., p. 33.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

323<br />

E in particolare se la seguiamo a partire da quell’inquieto traffico<br />

logico che si sviluppa nel momento in cui enunciamo la parousia<br />

dell’Assoluto nella forma <strong>di</strong> un pensiero che si pensa o più semplicemente<br />

nella forma del pensiero dell’essere.<br />

Pensiero dell’essere: ripetiamolo, e affrontiamo subito la<br />

<strong>di</strong>ffrazione che ci viene incontro nel momento in cui incominciamo<br />

a pensare muovendoci tra gli specchi <strong>di</strong> quel doppio genitivo<br />

entro il quale siamo inse<strong>di</strong>ati imme<strong>di</strong>atamente.<br />

Doppio genitivo, nel senso appunto <strong>di</strong> un genitivo soggettivo<br />

e <strong>di</strong> un genitivo oggettivo. Pensiero dell’essere infatti chiama<br />

nello stesso atto il pensiero dell’essere e l’essere del pensiero, oppure,<br />

detto in altro modo, l’essere che giunge a sé nel pensarsi del<br />

pensiero e il pensiero che nel pensarsi è pensiero dell’essere che si<br />

pensa. Hegel e Heidegger circolano entrambi nel cuore della<br />

<strong>di</strong>ffrazione <strong>di</strong> questo doppio genitivo e devono incontrarsi, non a<br />

caso, in quel punto in cui il nulla si afferma <strong>di</strong>aletticamente con<br />

l’essere come la metafora portante della flessione dell’essere verso<br />

la sua riflessione o manifestazione. Non solo, ma se scrutiamo più<br />

a fondo osserviamo che la <strong>di</strong>varicazione <strong>di</strong> Hegel-Heidegger riguardo<br />

la lettura <strong>di</strong> Aristotele ha in questo movimento la sua intima<br />

<strong>di</strong>namica teorica.<br />

Per comprendere appieno, almeno nei risvolti più <strong>di</strong>rompenti,<br />

questa interna tensione occorre però soffermarci sulla trama<br />

<strong>di</strong> questo circolo anche perché dobbiamo ancora mostrare la<br />

relazione che stringe insieme la contiguità del nulla come punto<br />

<strong>di</strong> flessione e il movimento <strong>di</strong>fratto del circolo ermeneutico.<br />

Il circolo ermeneutico, nel suo fondo, non è altro che la forma<br />

del sapere che la temporalizzazione dell’essere deve assumere. Se<br />

l’essere si avanza e si avvia nel tempo, è perché nel tempo è come<br />

se compisse il movimento della riflessione <strong>di</strong> se stesso, è come se si<br />

destinasse in un sapere che chiama sempre un sapere del Dasein.<br />

Quello però che dobbiamo comprendere nella sua ra<strong>di</strong>cale<br />

tensione teorica è che l’essere che accade nel tempo del sapere è


324 HEGEL E ARISTOTELE<br />

sempre il sapere <strong>di</strong> Colui che sa. Ed è la pretesa <strong>di</strong> Colui che sa che<br />

alimenta le vertigini del movimento riflessivo. Pensiamo ad Hegel,<br />

e in particolare all’Hegel della Fenomenologia. Qui si svolge un<br />

movimento paradossale in cui la domanda <strong>di</strong> Chi avanza nel sapere<br />

si svolge già nell’orizzonte <strong>di</strong> ciò che viene cercato; dove<br />

quin<strong>di</strong>, il movimento <strong>di</strong> un’intenzione <strong>di</strong> sapere procede verso il<br />

punto da cui deve allontanarsi. Fusione monistica quella <strong>hegel</strong>iana<br />

che mette in tensione la tra<strong>di</strong>zione spinoziana con quella cartesiana<br />

in un decorso pieno <strong>di</strong> acrobatiche torsioni del pensiero<br />

dove l’infinito e il finito si svolgono in una stessa scena e dove la<br />

scena è il movimento stesso del loro acca<strong>di</strong>mento. Quando parliamo<br />

del circolo ermeneutico dobbiamo tenere sempre davanti a<br />

noi questo movimento e stare all’altezza delle vertenze logiche<br />

che vi si giocano. Dobbiamo innanzi tutto comprendere, e qui sta<br />

una originaria contiguità che stringe insieme Hegel e Heidegger,<br />

che il circolo ermeneutico è soprattutto il circolo della totalità, totalità<br />

come infinito, perché nulla deve sottrarsi; potremmo <strong>di</strong>re:<br />

neppur il niente del nulla. Nulla perché la <strong>di</strong>fferenza che si apre è<br />

la <strong>di</strong>fferenza dell’essere, così come il pensiero che sa nel tempo è<br />

il pensiero dell’essere.<br />

Stiamo sempre scorrendo nel registro del doppio genitivo e<br />

ne stiamo subendo le movenze. Ma proviamo ad addentrarci più<br />

a fondo in questa necessaria <strong>di</strong>ffrazione che ci si impone. In questo<br />

movimento il soggetto è l’acca<strong>di</strong>mento dell’assoluto, l’assoluto<br />

può congiungersi a sé e riconoscersi nel Dasein <strong>di</strong> un soggetto,<br />

deve riflettersi nella riflessione del sé del soggetto, anzi il soggetto<br />

stesso avrà eseguito il suo compito se il suo pensare sarà pensiero<br />

dell’assoluto. Hegel per primo aveva visto quanta vertigine<br />

ci fosse in questo movimento in cui l’assoluto si guarda e si riconosce<br />

attraverso lo sguardo del soggetto, vertigine complicata ulteriormente<br />

dal fatto che lo sguardo del soggetto deve, in questo<br />

movimento, esaurire ogni estraneità, ogni <strong>di</strong>fferenza, sino al punto<br />

che il sé deve <strong>di</strong>ventare il sé della sostanza. È l’Idea che <strong>di</strong>venta


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

325<br />

spirito nel farsi soggetto della sostanza. Il Ci del Dasein compie la<br />

stessa flessione. Il Ci si sporge verso la sua provenienza sino a <strong>di</strong>ventare<br />

<strong>di</strong>afano. Ecco, Hegel e Heidegger, <strong>di</strong>varicati nella lettura<br />

<strong>di</strong> Aristotele, partecipano <strong>di</strong> una contiguità essenziale e giocano<br />

con comuni movenze nello stesso circolo ermeneutico.<br />

Partecipano <strong>di</strong> una scena che alla fine è quella della modernità<br />

per la quale finito e infinito vorticano nella stessa scena, anzi la<br />

scena essenziale è la partecipazione del finito all’infinito e poiché<br />

hanno la contiguità nella essenziale partecipazione a questa movenza<br />

che sono accomunati dall’ossessione moderna per eccellenza.<br />

Un’ossessione che dopo Spinoza doveva <strong>di</strong>ventare sempre più<br />

centrale. Cioè l’ossessione del metodo.<br />

Ci troviamo in un punto decisivo e dobbiamo precisare bene<br />

questo passaggio. Se il pensiero è pensiero dell’essere come il finito<br />

è finito dell’infinito il metodo deve <strong>di</strong>ventare il percorso <strong>di</strong> riduzione<br />

della sporgenza dello sguardo del soggetto che avanza nella ricerca.<br />

In Heidegger il soggetto si allarga nell’aperto <strong>di</strong> un ascolto,<br />

in Hegel deve aderire al movimento della cosa stessa, potremmo<br />

<strong>di</strong>re: ascolto della cosa stessa. Il percorso è obbligato perché il ciò che<br />

muove il movimento della temporalizzazione dell’essere o del farsi<br />

soggetto della sostanza, intimamente, non appartiene e non<br />

può appartenere, in nessun modo, all’intensità dello sguardo <strong>di</strong><br />

una domanda troppo singolare. Anzi in questa prospettiva filosofica<br />

più lo sguardo brucia <strong>di</strong> luce propria (basterebbe ricordare il<br />

rimprovero <strong>di</strong> Hegel a Fichte) più occlude il movimento del riflettersi<br />

dell’essere.<br />

Non a caso solo il linguaggio <strong>di</strong>alettico può raccontare questa<br />

messinscena <strong>di</strong> un movimento della cosa che vuole sottrarsi<br />

alla prensione o alla testimonianza <strong>di</strong> uno sguardo. La domanda<br />

decisiva a cui conduce la stessa domanda del circolo ermeneutico,<br />

<strong>di</strong>ciamo pure la domanda della domanda è la seguente: possiamo<br />

abolire la testimonianza del Chi nel circolo ermeneutico? La que-


326 HEGEL E ARISTOTELE<br />

stione non è semplice, anzi, forse è tra le cose più complicate che<br />

possiamo avere sotto mano. Non a caso il problema del metodo, o<br />

meglio il metodo della filosofia, <strong>di</strong>venta centrale nell’idealismo<br />

tedesco, proseguendo la svolta <strong>di</strong> Spinoza, dopo che l’essere arriva<br />

sempre più immanentemente a coincidere con la verità. Se essere<br />

e verità coincidono il metodo della filosofia <strong>di</strong>venta sempre<br />

più problematico e persino equivoco. Non può essere semplicemente<br />

un mezzo o uno strumento <strong>di</strong> conoscenza, non può restare<br />

in<strong>di</strong>fferente al suo oggetto (pensiamo ancora al rimprovero <strong>di</strong><br />

Hegel a Spinoza) perché altrimenti la verità resterebbe semplicemente<br />

sul piano <strong>di</strong> mere rappresentazioni e continuerebbe a sostare<br />

fuori dallo spazio del racconto filosofico. Il metodo deve<br />

aderire al suo oggetto fino al punto <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventare la forma logica<br />

del raccontarsi della verità, logica dell’essere e il Chi o Colui che<br />

agita la domanda e attiva il metodo deve seguire il calvario <strong>di</strong><br />

morte e resurrezione a cui il metodo viene chiamato dalla <strong>di</strong>alettica.<br />

Il Metodo e il Chi sono chiamati a estinguersi nel movimento<br />

della cosa stessa e la triangolazione <strong>di</strong>alettica non è altro che lo<br />

sforzo più grande sia stato compiuto <strong>di</strong> ridurre e riassorbire la<br />

sporgenza <strong>di</strong> un’eccedenza <strong>di</strong> questo Chi. Ma perché sia in Hegel<br />

che in Heidegger può esserci questa pretesa? E perché questa pretesa<br />

è comune e proviene dal punto <strong>di</strong> originaria contiguità che li<br />

stringe insieme nella stessa tra<strong>di</strong>zione? Perché entrambi proprio<br />

rispetto ad Aristotele offrono una comune risposta alla questione<br />

del Chi del movimento? E quin<strong>di</strong>, possiamo <strong>di</strong>rlo, si intravvede,<br />

alla fine, una comune risposta alla questione fondamentale della<br />

Fisica <strong>di</strong> Aristotele?<br />

In Heidegger e in Hegel Chi è dunque il ciò che avvia il movimento?<br />

Alla fine il ciò che avvia il movimento è il niente. Il<br />

niente come identico all’essere, il niente come punto <strong>di</strong> flessione<br />

dell’essere, il niente che flette l’essere verso la <strong>di</strong>fferenza, lo apre<br />

nella <strong>di</strong>fferenza in cui i <strong>di</strong>fferenti sono identici nel <strong>di</strong>fferire <strong>di</strong><br />

questa <strong>di</strong>fferenza; e questo è naturalmente possibile perché il


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

327<br />

niente è, alla fine, sempre <strong>di</strong>aletticamente identico e non identico<br />

all’essere. Solo il linguaggio <strong>di</strong>alettico può raccontare la finzione<br />

dell’identità del non identico e può provare ad ascoltare questo<br />

movimento in cui il ciò che muove coincide con il mosso in cui<br />

movente e mosso sono anch’essi identici nella <strong>di</strong>fferenza.<br />

9. — Non è inoltre certo casuale che la contiguità <strong>di</strong> Hegel e Heidegger<br />

si prolunghi anche nell’accezione ampia che il logos viene<br />

ad assumere rispetto alla stessa ratio aristotelica. Il logos in<br />

Heidegger <strong>di</strong>viene più ampiamente Rede, <strong>di</strong>scorso, e, più in generale<br />

linguaggio, mentre in Aristotele circoscrive l’ambito del <strong>di</strong>scorso<br />

cui inerisce l’esser vero e l’essere falso. Heidegger, quin<strong>di</strong>,<br />

si sposta dall’attenzione alla struttura formale <strong>degli</strong> enunciati a<br />

ciò che per mezzo dell’enunciazione <strong>degli</strong> enunciati si mostra nell’apparire.<br />

Il logo apofantico pertanto si sottrae alla semplice alternativa<br />

tra concordanza e <strong>di</strong>scordanza <strong>di</strong> un enunciato con l’oggetto<br />

per vertere intorno a ciò che nel parlare o nel <strong>di</strong>scorrere giunge<br />

alla manifestatività dell’apparire. Se il logo pertanto è un attendere<br />

l’apparire <strong>di</strong> ciò che appare, un porsi nell’attesa <strong>di</strong> una esibizione<br />

dell’ente che si mostra in lui stesso, la logica non può che essere<br />

fenomenologia; e, soprattutto, non può non avere una portata<br />

ontologica. Così in Hegel la logica è ontologica, cioè pensiero che<br />

si <strong>di</strong>rige verso la propria essenziale costituzione ontologica, pensiero<br />

dell’essere come <strong>di</strong>cevamo prima. In entrambi la logica non<br />

può, per così <strong>di</strong>re, essere extrasistematica; deve cessare la funzione<br />

<strong>di</strong> metro misurante <strong>di</strong> Organon, proprio perché il pensare può<br />

aprirsi verso la propria essenziale manifestatività quanto minore<br />

è la sporgenza della misura che uno sguardo può esercitare. Il<br />

pensiero pensa da sé e pensa da sé perché è pensiero dell’assoluto;<br />

è l’assoluto che si pensa e non può essere sottoposto alla misura<br />

<strong>di</strong> un metodo. Questa misura Hegel la concepiva, sempre,<br />

come l’ingombro <strong>di</strong> un’eccesso <strong>di</strong> intenzione e <strong>di</strong> sguardo sui con-


328 HEGEL E ARISTOTELE<br />

tenuti e sul movimento del pensiero stesso, questo eccesso è per<br />

così <strong>di</strong>re extrasistematico e secondo lui impe<strong>di</strong>sce che il pensare<br />

pensi da se stesso e in se stesso. Quando egli afferma che non si<br />

può accedere al pensare con un metodo perché il pensare dà a se<br />

stesso il proprio metodo, non <strong>di</strong>ce altro che il pensiero deve poter<br />

fare a meno <strong>di</strong> quel Chi in quanto sguardo che muove dall’esterno.<br />

Possiamo <strong>di</strong>re in fondo che il metodo o il suo bisogno è originariamente<br />

ed essenzialmente la via <strong>di</strong> questo sguardo.<br />

Così, in Aristotele, (abusiamo ancora una volta delle licenze<br />

che in un Convegno è possibile prendersi) la Logica è per così <strong>di</strong>re<br />

un’eccedenza extrasistematica per eccellenza.<br />

Su questo però non voglio addentrarmi perché ci porterebbe<br />

lontano e voglio invece riprendere perché siamo pronti per farlo<br />

la questione centrale a cui siamo partiti. Chi è il chi del movimento?<br />

Possiamo trasformarlo in questo modo: chi è il Chi del<br />

pensiero?<br />

10. — È la forma, in Hegel, che si attua nel riconoscersi; in Heidegger<br />

è l’essere che avanza nell’aspetto; in entrambi questo implica<br />

le insi<strong>di</strong>e <strong>di</strong> un circolo nel quale il soggetto <strong>di</strong>venta <strong>di</strong>afano<br />

e il metodo si sottrae <strong>di</strong>sseminando tra l’altro le filosofie del sospetto<br />

sulle orme che il suo movimento inevitabilmente lascia anche<br />

quando ammutolisce e si sottrae (anche il suo sottrarsi getta<br />

sempre un’ombra che fa ingombro).<br />

Chi muove il movimento in Aristotele? Detto nei termini<br />

più vicini a questi ultimi passaggi: chi muove il pensiero in Aristotele?<br />

È probabile che Aristotele si sottragga alle filosofie che hanno<br />

risposto all’abisso della creazione dell’esperienza giudaico-cristiana,<br />

alla fine, con l’estinzione del metodo.<br />

In Aristotele non è la flessione del nulla e il gioco <strong>di</strong>alettico<br />

dell’essere e il nulla il Chi del movimento. Anzi si può <strong>di</strong>re che il


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

329<br />

Chi del movimento proprio in quanto extrasistematico, impe<strong>di</strong>sce<br />

la totalità del sistema e in questo salva l’originaria natura o meglio<br />

la sorgente del metodo. In Aristotele l’Organon è il corrispettivo<br />

del motore immobile su cui poggia il Chi del movimento. Così<br />

come nel pensare il pensiero pensa raccogliendo una spinta o un<br />

appoggio che non gli appartiene intimamente e non appartiene<br />

neppure alla cosa che pensa.<br />

Riflettiamo ancora su Chi muove il pensiero. Così come il<br />

Chi del movimento viene da fuori e ha per così <strong>di</strong>re un punto <strong>di</strong><br />

appoggio, un eterno punto <strong>di</strong> appoggio, così l’intelletto attivo viene<br />

da fuori e solo esso è attivo. In Hegel il pensiero pensa se stesso<br />

perché originariamente è pensiero che si avvia come forma assoluta<br />

che si attua nel riconoscersi. In Heidegger sembrerebbe <strong>di</strong><br />

assistere ad un movimento che descrive la provenienza a partire<br />

da un invio. Il pensare sembrerebbe <strong>di</strong>slocato in un invio che si<br />

sottrae alla presa <strong>di</strong> uno sguardo ; tuttavia il ciò che invia, pur sottraendosi<br />

come tema <strong>di</strong> un’intenzione, appartiene al mostrarsi<br />

dell’aspetto dell’essere. Il Chi muove appartiene all’essere così<br />

come all’essere ra<strong>di</strong>calmente e totalmente appartiene l’esser dell’esserci.<br />

In Aristotele il Chi muove, <strong>di</strong>ciamolo in questo modo, almeno<br />

per un istante, non appartiene al mosso. Occorre che, per<br />

un attimo, dall’eternità si sottragga o sia sottratto al movimento.<br />

Impassibilità segnala anche questo: ciò che a sua volta non subisce<br />

un invio e che nessuna storia può mutare o trasformare, un’eternità<br />

che attiva il tempo ma è impassibile al consumo del tempo<br />

ed è quin<strong>di</strong> garanzia dell’eternità stessa del tempo.<br />

Pensiamo solo al fatto, per marcare ancora la <strong>di</strong>stanza Hegel-<br />

Aristotele, che l’eterno <strong>hegel</strong>iano, si consegna a tal punto nel tempo<br />

da giocare nel tempo tutta la sua eternità fino al punto da sottoporre<br />

al consumo tutte le configurazioni che può assumere. La<br />

forma come atto, in Hegel, è infatti a tal punto carne del tempo, da<br />

consegnarsi al consumo e al mutamento del suo svolgimento.<br />

Così anche in Heidegger la temporalizzazione del tempo può


330 HEGEL E ARISTOTELE<br />

riconfigurare ogni epoca e la forma dell’epoca e dell’esserci dell’epoca.<br />

11. — Ma rinnoviamo ancora la domanda: chi muove il pensiero<br />

dell’essere?<br />

Le alternative che vengono incontro sia che il Chi appartenga<br />

all’attualità dell’atto della forma, sia che il Chi appartenga allo<br />

svolgersi dell’essere che si temporalizza nel sapere del Dasein,<br />

sono le seguenti: se l’atto del Chi non avesse una <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> natura<br />

rispetto al circolo, il circolo si troverebbe a non avere più un<br />

punto <strong>di</strong> appoggio. In questo senso la <strong>di</strong>afania del Chi della domanda<br />

(che è sempre — come insiste Levinas— inesorabilmente<br />

altro dal Chi della forma o dal Chi dell’essere) alla fine conduce il<br />

circolo nel buio del silenzio.<br />

Per provare a chiarire ulteriormente, proviamo a trasformare<br />

la domanda precedente, nella seguente: Chi muove il circolo?<br />

Chi è il Chi dal cui appoggio si <strong>di</strong>parte il movimento? Aristotele<br />

rinvia sempre ad una misura che concorra ma non si estingua in<br />

ciò a cui concorre. La stessa misura che Aristotele in<strong>di</strong>viduava nel<br />

tempo. Leggiamo nella traduzione <strong>di</strong> A. Russo: «L’esistenza del<br />

tempo non è possibile senza quella del cangiamento; quando, infatti,<br />

noi non mutiamo nulla entro il nostro animo o non avvertiamo<br />

<strong>di</strong> mutar nulla, ci pare che il tempo non sia trascorso affatto».<br />

E ancora: «quando abbiamo determinato il movimento me<strong>di</strong>ante<br />

la <strong>di</strong>stinzione del prima e del poi, conosciamo anche il tempo, e<br />

allora noi <strong>di</strong>ciamo che il tempo compie il suo percorso, quando<br />

abbiamo percezione del prima e del poi nel movimento». Saltiamo<br />

alcuni notissimi passaggi e giungiamo alla conclusione:<br />

«(...) se non si ammette l’esistenza del numerante, è anche<br />

impossibile quella del numerabile, sicché, ovviamente, neppure il<br />

numero ci sarà. Numero, infatti è o ciò che è stato numerato o il<br />

numerabile. Ma se è vero che nella natura delle cose soltanto


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

331<br />

l’anima o l’intelletto che è nell’anima hanno la capacità <strong>di</strong> numerare,<br />

risulta impossibile l’esistenza del tempo senza quella dell’anima<br />

(...)» ( 37 ).<br />

Punto <strong>di</strong> appoggio, dunque, o, meglio, misura senza la quale<br />

il tempo non accadrebbe così come senza la misura dell’appoggio<br />

dell’impassibilità non accadrebbe il movimento. Una misura, come<br />

l’istante <strong>di</strong> Levinas, che appartiene al tempo ma, contemporaneamente,<br />

è verticale rispetto al tempo: giunge da una provenienza<br />

che non è il tempo stesso ( 38 ). Aristotele non sembra darci tregua su<br />

questo punto. Perché la misura sia una misura occorre che provenga<br />

dall’al <strong>di</strong> là rispetto a ciò <strong>di</strong> cui è misura. È inesorabilmente<br />

un’al<strong>di</strong> là nell’al <strong>di</strong> qua, misura che non <strong>di</strong>legua nello scorrimento,<br />

che non si consuma nel <strong>di</strong>leguare, in questo senso impassibile alla<br />

temporalità. Nel trapasso della modernità le cui tracce sono già in<br />

Agostino, l’anima tende a coincidere con il tempo, così come la totalità<br />

converge nell’infinito e quin<strong>di</strong> l’istante della misura appartiene<br />

esso stesso al <strong>di</strong>leguare, assume in se stesso la potenza del <strong>di</strong>leguare<br />

e <strong>di</strong>venta essenzialmente niente. L’istante è solo niente, apertura<br />

del niente in seno all’essere della temporalità. Quella sporgenza<br />

della misura che per essere tale deve provenire dall’al <strong>di</strong> là <strong>di</strong> ciò<br />

<strong>di</strong> cui è misura si <strong>di</strong>stende nell’istante e l’istante <strong>di</strong>legua come niente<br />

del tempo. Non è un caso che proprio questo punto facesse resistenza<br />

alla presa filosofica <strong>di</strong> Heidegger.<br />

( 37 ) Phys. D 11, 218 b 21-23; 219 a 22-25; 14, 223 a 21-26.<br />

( 38 ) In un passaggio <strong>di</strong> Totalità e Infinito Levinas si riferisce in questo modo<br />

ad Aristotele: «Questa presenza nel pensiero <strong>di</strong> un’idea il cui Ideatum va al <strong>di</strong> là<br />

della capacità del pensiero, è attestata non solo dalla teoria dell’intelletto attivo <strong>di</strong><br />

Aristotele ma molto spesso anche da Platone» [E. LEVINAS, Totalità e Infinito, trad. it.<br />

A. Dell’Asta, Jaca Book, Milano 1986, p. 47].<br />

Per un’in<strong>di</strong>cazione sulla verticalità dell’istante nel tempo in Levinas: «Prima<br />

<strong>di</strong> essere in relazione con quelli che lo precedono o lo seguono, l’istante nasconde<br />

un atto attraverso cui esso acquisisce per sé l’esistenza. Ogni istante è un<br />

cominciamento, una nascita» [E. LEVINAS, Dall’Esistenza all’Esistente, trad. <strong>di</strong> F.<br />

Sossi, Marietti, Genova 1986, p. 69].


332 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Ricor<strong>di</strong>amoci quello che a questo proposito Heidegger osserva<br />

in Essere e tempo:<br />

«Quale sarà dunque la definizione del tempo quale si manifesta<br />

nell’orizzonte dell’uso dell’orologio, uso ambientalmente preveggente,<br />

prendente tempo e prendente cura del tempo? Esso è il<br />

numerato manifestantesi nell’osservazione presentante e numerante<br />

dell’in<strong>di</strong>ce mobile, tale che la presentazione si temporalizza in<br />

unità estatica col ritenere e con l’aspettarsi orizzontalmente aperti<br />

secondo il prima e il dopo. Ma questa definizione è null’altro che<br />

l’interpretazione ontologico-esistenziale della definizione del tempo<br />

dataci da Aristotele» ( 39 ). E ancora «La sua interpretazione del<br />

tempo si muove invece nell’ambito della comprensione “naturale”<br />

dell’essere» ( 40 ). È un punto questo in cui la messa in mostra del<br />

<strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o non sarà mai sufficiente. Un <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong>o talmente ra<strong>di</strong>cale che<br />

lo stesso Heidegger si ritrova a liquidarlo come la banalità <strong>di</strong> una<br />

tesi or<strong>di</strong>naria del tempo. Se proviamo a farne, ancora una volta,<br />

l’anatomia ci ritroveremo nel circolo della stessa questione nella<br />

quale ci stiamo avvolgendo a spirale: la misura del misurante del<br />

tempo è come il punto <strong>di</strong> appoggio del tempo, come il Chi insopprimibile<br />

<strong>di</strong> uno sguardo che vive nel tempo ma proviene dalla <strong>di</strong><br />

là del tempo, motore immobile del tempo che in Heidegger <strong>di</strong>venta,<br />

nella logica necessaria del circolo, il ci dell’esser-ci. Lo sguardo<br />

che prende la misura o che misura in Heidegger e ancora più marcatamente<br />

in Hegel, è sempre eco dell’esporsi e del venire a sé dell’essere.<br />

Tanto è vero che il movimento del circolo ermeneutico<br />

come abbiamo visto, per uscire dall’or<strong>di</strong>nario inautentico deve ac-<br />

( 39 ) M. HEIDEGGER, Essere e Tempo, tr. it. <strong>di</strong> P. Chio<strong>di</strong>, Longanesi, Milano 1982,<br />

p. 598.<br />

Come è noto Heidegger si è soffermato sulla concezione aristotelica del<br />

tempo nel corso del semestre estivo 1927 Die Grundprobleme der Phänomenologie<br />

(HGA XXIV, § 19a). Si era occupato del rapporto tra tempo e anima in Aristotele<br />

anche nel semestre 1926 su Grundbegriffe der antiken Philosophie.<br />

( 40 ) Ibidem.


C. MEAZZA - Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

333<br />

ceccare quell’occhio, farlo <strong>di</strong>ventare niente, punto <strong>di</strong> flessione del<br />

venire nell’aperto dell’essere. Quel Chi deve ridursi a niente perché<br />

solo così la verità accade. Come insiste Levinas (riproponendo in<br />

questo la reazione al nichilismo <strong>di</strong> Rosenzweig), alla fine, la verità<br />

accade nel punto in cui la stessa narrazione filosofica deve spegnersi;<br />

quella misura, infatti, è il Chi su cui il movimento della<br />

stessa narrazione prende il suo appoggio. La scomparsa del testo è<br />

la conseguenza della <strong>di</strong>ssoluzione del chi, in fin dei conti della <strong>di</strong>ssoluzione<br />

del metodo a cui giunge l’esito estremo delle filosofie postspinoziane<br />

in cui finito ed infinito si trovano nella convivialità <strong>di</strong><br />

una stessa scena che non ha nulla o niente fuori <strong>di</strong> sé ma che assume<br />

il niente come messa in scena del proprio movimento.<br />

Ecco perché la <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> Heidegger e per quelle intime<br />

connivenze che li accomuna anche <strong>di</strong> Hegel dalla eccentricità della<br />

misura sul misurato si prolunga nella <strong>di</strong>stanza dalla consistenza<br />

extrasistematica della logica aristotelica.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo anche l’affermazione <strong>di</strong> Hegel: «Aristotele si è<br />

limitato ad esporre in modo determinato il pensiero nella sua applicazione<br />

finita, sicché la sua logica è una storia naturale del<br />

pensiero finito» ( 41 ).<br />

E l’ultima sentenza nella quale Hegel osserva: «Come tutta la<br />

filosofia, così anche la sua logica ha bisogno essenzialmente d’essere<br />

rifusa, per modo che la serie delle sue determinazioni vengano<br />

recate in un necessario complesso sistematico, non già un complesso<br />

sistematico che si limiti a ripartire or<strong>di</strong>natamente, non <strong>di</strong>mentichi<br />

alcuna parte, ed esponga ogni parte nel suo or<strong>di</strong>ne esatto; ma<br />

un sistema che ne faccia un tutto vivo ed organico, in cui ogni parte<br />

valga come parte, e soltanto il tutto come tutto abbia verità» ( 42 ).<br />

Aristotele dunque sembra <strong>di</strong>sporsi <strong>di</strong> fronte alla presa delle<br />

filosofie del circolo e del pensiero dell’essere, con una <strong>di</strong>slocazio-<br />

( 41 ) G.W.F. HEGEL, Lezioni ..., cit., p. 374.<br />

( 42 ) Ivi, p. 387.


334 HEGEL E ARISTOTELE<br />

ne <strong>di</strong> eccedenze. La misura del tempo, la misura del chi del movimento<br />

in cui il movente e il mosso non fanno circolo, lo spazio del<br />

metodo vivono <strong>di</strong> una sovrabbondanza <strong>di</strong> misura che non va però<br />

ridotta e progressivamente consumata come in Hegel e Heidegger<br />

perché ne è per così <strong>di</strong>re la sua vita più intima ed essenziale.<br />

La stessa logica <strong>di</strong> Aristotele è garantita da eccedenze che rinviano<br />

sempre ad un punto che eccede il movimento del suo procedere<br />

(soprattutto possiamo <strong>di</strong>re quando si fa sillogismo scientifico)<br />

e rimanda e richiama un punto extrasistemico del movimento stesso.<br />

A un punto in cui l’argomentazione poggia, o appoggia come<br />

motore immobile del suo procedere.<br />

Difficilmente riusciamo ad abbracciare l’enorme <strong>di</strong>stanza che<br />

rimane aperta tra Aristotele da un lato e Hegel e Heidegger dall’altro,<br />

se rimane in ombra il fatto centrale che l’eccedenza <strong>di</strong> ciò che<br />

muove rispetto al movimento in Aristotele, si ritrova su un’altra<br />

sponda, rispetto alla necessità che dopo Spinoza (in particolare) si<br />

è imposta <strong>di</strong> fare del niente dell’essere, la metafora portante dell’identità<br />

della <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> finito e infinito.


GIANCARLO MOVIA<br />

L’UNO E I MOLTI.<br />

SULLA LOGICA HEGELIANA DELL’ESSERE PER SÉ<br />

SOMMARIO: I. Premessa — II. In<strong>di</strong>cazioni bibliografiche — 1. E<strong>di</strong>zioni delle opere<br />

<strong>di</strong> Hegel e della Scienza della logica in particolare — 2. Traduzioni complete<br />

o parziali della Scienza della logica — 3. Altre opere <strong>di</strong> Hegel — 4.<br />

Opere <strong>di</strong> altri autori — 5. Scritti su Hegel — 6. Altra letteratura critica —<br />

III. Il “compimento” della qualità: l’Essere per sé — 1. L’Essere per sé<br />

come tale: a) Rappresentazione e concetto dell’Essere per sé. Coscienza e<br />

autocoscienza; b) Essere, Essere determinato ed Essere per sé. L’Essere<br />

per sé come Essere determinato; c) L’essere per uno; d) Idealità e idealismo:<br />

da Spinoza a Kant e Fichte; e) L’Uno; f) La contrad<strong>di</strong>ttorietà dell’Uno<br />

— 2. L’Uno e i molti: a) L’Uno in lui stesso; b) L’Uno e il vuoto; c) La<br />

concezione atomistica della natura. L’atomismo politico; d) I molti uno e<br />

la repulsione. Ancora sulla natura contrad<strong>di</strong>ttoria dell’Uno; e) Ancora<br />

sull’idealismo leibniziano e l’atomismo — 3. Repulsione e attrazione: a)<br />

L’escludere dell’Uno; b) La libertà astratta (il male) e la riconciliazione<br />

con l’altro. La <strong>di</strong>alettica platonica del Parmenide; c) L’unico Uno dell’attrazione;<br />

d) La relazione <strong>di</strong> repulsione e attrazione; e) Critica alla costruzione<br />

kantiana della materia — IV. La critica <strong>di</strong> Trendelenburg alla categoria<br />

dell’Essere per sé — 1. Attrazione e repulsione e legame con l’intuizione<br />

sensibile — 2. La repulsione e il concetto <strong>di</strong> negazione — 3. L’attrazione<br />

e il concetto d’identità — V. Considerazione conclusive<br />

I. Premessa<br />

Occuparsi, in un Convegno de<strong>di</strong>cato all’interpretazione <strong>hegel</strong>iana<br />

<strong>di</strong> Aristotele, <strong>di</strong> un capitolo della Scienza della logica in cui<br />

lo Stagirita non viene mai espressamente nominato, potrebbe sem-


336 HEGEL E ARISTOTELE<br />

brare, a prima vista, una scelta assai stravagante. Tuttavia, specialmente<br />

alla luce dell’ultima parte <strong>di</strong> questa relazione, nonostante la<br />

sua stringatezza, si potrà constatare che il legame tra Hegel e Aristotele<br />

(come quello tra Hegel e Platone) riguardo al tema cruciale<br />

dell’Uno e dei molti non è per nulla estrinseco, sia pure nella limitata<br />

prospettiva in cui quel tema viene affrontato nel nostro capitolo.<br />

Per il resto, effettivamente, questa relazione si presenta come un<br />

ulteriore saggio <strong>di</strong> commento analitico alla Scienza della logica, che<br />

viene così ad aggiungersi a due miei precedenti tentativi (riguardanti<br />

rispettivamente la prima triade e l’Essere determinato) <strong>di</strong> verificare<br />

la portata storico-teoretica dell’influsso della metafisica<br />

classica sulla logica <strong>hegel</strong>iana.<br />

II. In<strong>di</strong>cazioni bibliografiche<br />

1. E<strong>di</strong>zioni delle opere <strong>di</strong> Hegel e della Scienza della logica in particolare.<br />

JA G.W.F. HEGEL, Sämtliche Werke. Jubiläumsausgabe, a cura <strong>di</strong> H.<br />

Glockner, 20 voll., Stuttgart 1927 sgg. (più volte ristampata); IV-V:<br />

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GW G.W.F. HEGEL, Gesammelte Werke, XI: Wissenschaft der Logik, I: Die<br />

objektive Logik (1812-13), a cura <strong>di</strong> Fr. Hogemann e W. Jaeschke,<br />

Hamburg 1978; XII: Wissenschaft der Logik, II: Die subjective Logik<br />

(1816), a cura <strong>degli</strong> stessi, ivi 1981; XXI: Wissenschaft der Logik, I: Die<br />

Lehre vom Sein (1832), a cura <strong>degli</strong> stessi, ivi 1985 (abbr.: HEGEL, GM,<br />

XI, XII, XXI).<br />

SW G.W.F. Hegel, Sämtliche Werke, III-IV: Wissenschaft der Logik, a cura<br />

<strong>di</strong> G. Lasson, Leipzig 1923 (abbr.: HEGEL, SW, III, IV).<br />

W G.W.F. HEGEL,Werke, V-VI: Wissenschaft der Logik, a cura <strong>di</strong> E. Moldenhauer<br />

e K.M. Michel, Frankfurt a.M. 1990 2 (abbr.: HEGEL, WdL,<br />

I, II).


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

2. Traduzioni complete o parziali della Scienza della logica.<br />

Sdl G.W.F. HEGEL, Scienza della logica, trad. <strong>di</strong> A. Moni, rev. e Nota <strong>di</strong> C.<br />

Cesa, introd. <strong>di</strong> L. Lugarini, 2 voll., Roma-Bari 1981 2 (abbr.: MONI).<br />

337<br />

G.W.F. HEGEL, Science de la logique, trad. <strong>di</strong> St. Jankélévitch, 2 voll.,<br />

Paris 1947-49.<br />

G.W.F. HEGEL, Science de la logique, I, 1: L’être (1812), 2: La doctrine de<br />

l’essence; II: La logique subjective ou Doctrine du concept, trad., present.<br />

e note a cura <strong>di</strong> P.-J. Labarrière e G. Jarczyk, Paris 1972, 1976, 1981<br />

(abbr.: LABARRIÈRE-JARCZYK).<br />

G.W.F. HEGEL, La théorie de la mesure, trad. e commento a cura <strong>di</strong> A.<br />

Doz, Paris 1970 (abbr.: DOZ, La théorie).<br />

3. Altre opere <strong>di</strong> Hegel.<br />

Enc. Enciclope<strong>di</strong>a delle scienze filosofiche in compen<strong>di</strong>o, trad., pref. e note<br />

<strong>di</strong> B. Croce, introd. <strong>di</strong> C. Cesa, glossario e in<strong>di</strong>ce dei nomi a cura<br />

<strong>di</strong> N. Merker, Roma-Bari 1989 (1ª ed., 1907).<br />

Enciclope<strong>di</strong>a delle scienze filosofiche in compen<strong>di</strong>o con le Aggiunte, I: La<br />

Scienza della logica, a cura <strong>di</strong> V. Verra, Torino 1981.<br />

Encyclopé<strong>di</strong>e des sciences philosophiques, I: La Science de la logique, a<br />

cura <strong>di</strong> B. Bourgeois, Paris 1979 2 .<br />

Fen. Fenomenologia dello spirito, trad. <strong>di</strong> E. De Negri, 2 voll., Firenze<br />

1969 2 .<br />

LMJ Logica e metafisica <strong>di</strong> Jena (1804/05), a cura <strong>di</strong> F. Chiereghin, Trento<br />

1982.<br />

Lez. filos. Lezioni sulla filosofia della religione, a cura <strong>di</strong> E. Oberti e G. Borruso,<br />

rel. 3 voll., Roma-Bari 1983 (1ª ed., 2 voll., Bologna 1973-74).<br />

Lez. st. Lezioni sulla storia della filosofia, trad. <strong>di</strong> E. Co<strong>di</strong>gnola e G. Sanna, 3<br />

filos.<br />

voll., Firenze 1964 (1ª ed. 1930-45).<br />

Prop. Propedeutica filosofica, trad., introd. e note <strong>di</strong> G. Radetti, Firenze<br />

1977.


338 HEGEL E ARISTOTELE<br />

VGPh Vorlesungen über <strong>di</strong>e Geschichte der Philosophie, rist. della 2ª ed. <strong>di</strong> K.L.<br />

Michelet, a cura <strong>di</strong> G.J.P.J. Bolland, Leiden 1908 (abbr.: BOLLAND).<br />

4. Opere <strong>di</strong> altri autori.<br />

ARISTOTELE: Metafisica, saggio introdutt., testo greco con trad. e commentario<br />

a cura <strong>di</strong> G. Reale, ed. maggiore rinnovata, 3 voll., Milano 1993.<br />

ARISTOTELE: L’Anima, trad., introd. e commento <strong>di</strong> G. Movia, Napoli 1979;<br />

19922 .<br />

ARISTOTELE: L’Anima, introd., trad., note e apparati <strong>di</strong> G. Movia, testo greco a<br />

fronte, Milano 1996 (abbr.: MOVIA, in ARIST., L’Anima2 ).<br />

PLATONE: Tutti gli scritti, a cura <strong>di</strong> G. Reale, Milano 1991 (traduzioni <strong>di</strong> G. Reale,<br />

M.L. Gatti, C. Mazzarelli, M. Migliori, M.T. Liminta, R. Ra<strong>di</strong>ce).<br />

S. THOMAE AQUINATIS: Quaestiones <strong>di</strong>sputatae, I: De Veritate, a cura <strong>di</strong> R. Spiazzi,<br />

Torino-Roma 1964.<br />

5. Scritti su Hegel.<br />

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del finito, in E.B., Stu<strong>di</strong> aristotelici, pp. 353-61.<br />

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voll., Paris 1981, 1983, 1987 (abbr. BIARD).<br />

CASSIRER, E.: Storia della filosofia moderna, trad. <strong>di</strong> E. Arnaud, III: Il problema<br />

della conoscenza nei sistemi postkantiani, Torino 1963.<br />

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giovanile alla “Fenomenologia dello spirito”, Trento 1980.<br />

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III. Il “compimento” della qualità: l’Essere per sé<br />

Hegel esor<strong>di</strong>sce affermando che l’Essere per sé è la terza e ultima<br />

categoria della determinatezza o qualità, dopo l’Essere (comprensivo<br />

anche del Nulla e del Divenire) e l’Essere determinato ( 1 );<br />

«nell’essere per sé l’essere qualitativo è compiuto» ( 2 ); in lui la qualità<br />

trova la sua sintesi o, ancor meglio, raggiunge il «suo culmine»<br />

( 3 ) e, appunto, il suo compimento e perfezione ( 4 ). L’essere<br />

qualitativo si compie nell’Essere per sé giacché quest’ultimo, come<br />

negazione dell’alterità, è l’imme<strong>di</strong>ato ritorno in sé ( 5 ), «è l’essere infinito»<br />

( 6 ), o, piuttosto, è la prima forma ( 7 ) in cui si presenta l’infini-<br />

( 1 ) Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 106.<br />

( 2 ) Sdl, p. 161. Cfr. Enc., § 96 agg.: «l’essere per sé è la qualità compiuta e<br />

contiene, come tale, in sé l’essere e l’essere determinato come suoi momenti ideali<br />

(ideell)» trad. Verra, p. 279).<br />

( 3 ) Sdl, p. 162.<br />

( 4 ) LAKEBRINK, I, p. 137; VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 106.<br />

( 5 ) ELEY, p. 114.<br />

( 6 ) Sdl, p. 161. Cfr. LANDUCCI, La contrad<strong>di</strong>zione, p. 29 n. 8: «l’esser-per-sé è<br />

riservato al livello dov’è presente l’infinità».<br />

( 7 ) LAKEBRINK, I, p. 133.


344 HEGEL E ARISTOTELE<br />

tà affermativa, il vero infinito ( 8 ); «è l’infinità ricaduta nel semplice<br />

essere» ( 9 ), l’infinito qualitativo ( 10 ).<br />

Come già sappiamo, se l’Essere iniziale è l’essere assolutamente<br />

indeterminato ( 11 ), l’Essere puro identico al Nulla, l’Essere<br />

determinato è il superamento (ma solo imme<strong>di</strong>ato) dell’Essere<br />

iniziale ( 12 ). L’Essere determinato, che <strong>di</strong>ce sempre relazione ad altro<br />

( 13 ), è la prima (imme<strong>di</strong>ata) negazione (‘A non è B’) ( 14 ), la negazione<br />

semplice (negazione come mera determinazione) ( 15 ), ossia<br />

l’unità semplice dell’essere e della negazione (‘A è A e non B’) ( 16 ).<br />

«Appunto perciò» l’Essere e il Nulla, nell’Essere determinato,<br />

«sono in sé ancora <strong>di</strong>suguali l’uno all’altro, e la loro unità non è ancora<br />

posta» ( 17 ); nell’Essere determinato, l’unità <strong>di</strong> Essere e Nulla<br />

è contenuta implicitamente, ma non è posta esplicitamente ( 18 ).<br />

«L’essere determinato è... la sfera della <strong>di</strong>fferenza, del dualismo, il<br />

( 8 ) RADEMAKER, p. 59.<br />

( 9 ) Sdl, p. 163. Cfr. LAKEBRINK, I, p. 134.<br />

( 10 ) Cfr. Sdl, p. 102, e DOZ, La logique, p. 69.<br />

( 11 ) Sdl, p. 161.<br />

( 12 ) VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 106.<br />

( 13 ) Ibid.<br />

( 14 ) Sdl, p. 161. Cfr. p. 103: «l’essere determinato è il semplice esser uno<br />

dell’essere e del nulla. A causa <strong>di</strong> questa semplicità, ha la forma <strong>di</strong> un imme<strong>di</strong>ato.<br />

La sua me<strong>di</strong>azione, il <strong>di</strong>venire, si trova <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> lui. Essa si è superata, e perciò<br />

l’essere determinato appare quale un primo da cui s’inizi».<br />

( 15 ) LANDUCCI, La contrad<strong>di</strong>zione, p. 29.<br />

( 16 ) Sdl, pp. 161 e 103 s.; cfr. MOVIA, Finito, p. 120 n. 32.<br />

( 17 ) Sdl, pp. 161 e 103: «l’essere determinato è il semplice esser uno dell’essere<br />

e del nulla»; 103 s.: «l’essere determinato è in generale, conformemente al suo<br />

<strong>di</strong>venire, un essere con un non essere, cosicché questo non essere è accolto in semplice<br />

unità con l’essere».<br />

( 18 ) Ivi, p. 109: «la negazione sta imme<strong>di</strong>atamente <strong>di</strong> contro alla realtà»; il<br />

negativo «nella realtà come tale rimane ancora nascosto»; nella qualità, «in quanto<br />

essente, è la <strong>di</strong>fferenza, - la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> realtà e negazione».


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

345<br />

campo della finitezza» ( 19 ), della contrad<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> essere e non<br />

essere ( 20 ). La determinatezza del Dasein non è quin<strong>di</strong> assoluta, ma<br />

relativa ( 21 ); una qualità è determinata ed è quin<strong>di</strong> se stessa solo in<br />

quanto si <strong>di</strong>stingue da un’altra; ad es., il rosso è quello che è solo in<br />

quanto non è il giallo; la sua ‘determinatezza relativa’ non è che la<br />

«relazione a un essere determinato altro da lui» ( 22 ).<br />

Al contrario, «nell’essere per sé la <strong>di</strong>fferenza fra l’essere e la<br />

determinatezza o negazione è posta e pareggiata», ovvero la <strong>di</strong>fferenza<br />

è posta, ma insieme risolta nell’identità ( 23 ). Nella categoria<br />

dell’Essere determinato c’è ancora la <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> essere e negazione<br />

( 24 ); anzi, nell’Essere determinato la negazione è ciò che assicura<br />

l’essere nella sua positività ( 25 ). Ma, al termine della categoria della<br />

finitezza ( 26 ), la negazione, ovvero l’alterità, è passata nell’infinità,<br />

nella «negazione della negazione posta», ossia nell’affermativo ( 27 ),<br />

nell’infinito, appunto, in cui la relazione ad altro è dominata dalla<br />

relazione a sé ( 28 ). A questo proposito va osservato che, <strong>di</strong>versamente<br />

da p. 110, la nozione <strong>di</strong> ‘negazione della negazione’ ha qui<br />

un significato categoriale, non trascendentale; me<strong>di</strong>ante questa nozione<br />

l’Essere per sé si trova specificamente definito ( 29 ). In ogni<br />

( 19 ) Ivi, p. 161.<br />

( 20 ) Ivi, p. 128. Cfr. LAKEBRINK, I, p. 123; LÉONARD, pp. 71 s.<br />

( 21 ) Sdl, p. 161. WAHL, Commentaires, p. 99, ci ricorda che il vero ‘per sé’<br />

(assoluto) non ci si presenterà che alla fine della Scienza della logica! Ve<strong>di</strong> anche<br />

LÉONARD, p. 82.<br />

( 22 ) Sdl, p. 164. Cfr. LAKEBRINK, I, p. 137.<br />

( 23 ) Sdl, p. 161. Cfr. HARRIS, Hegel’s Logic, p. 228.<br />

( 24 ) Sdl, p. 161.<br />

( 25 ) Cfr. LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 125 n. 1.<br />

( 26 ) Sdl, pp. 137 s.<br />

( 27 ) Ivi, p. 138.<br />

( 28 ) Ivi, pp. 161 s. Cfr. LANDUCCI, La contrad<strong>di</strong>zione, pp. 28 ss., che rinvia<br />

anche a Fen., I, pp. 207 s.<br />

( 29 ) LANDUCCI, La contrad<strong>di</strong>zione, p. 81.


346 HEGEL E ARISTOTELE<br />

caso, la negazione della negazione, l’infinità, l’Essere per sé è «relazione<br />

semplice a sé» ( 30 ), e dunque, nell’Essere per sé, la negazione<br />

s’identifica con l’essere ( 31 ); l‘Essere per sé è «esser-determinato<br />

(Bestimmtsein) assoluto» ( 32 ). Ciò significa che l’Essere per sé è l’essere<br />

che ritorna in sé a partire dalla negazione <strong>di</strong> quella negazione<br />

che è la determinatezza; nell’Essere per sé, la determinatezza è <strong>di</strong>venuta<br />

infinita o rapportata a sé ( 33 ). L’Essere per sé come infinito,<br />

come l’«altro dell’altro» ( 34 ), come negazione della negazione, non<br />

ha dunque l’altro, inteso come principio determinante, al <strong>di</strong> fuori<br />

<strong>di</strong> sé (come il ‘rosso’ ha il ‘giallo’ fuori <strong>di</strong> sé!), ma in lui stesso. In tal<br />

modo, è «esser-determinato assoluto», che, per così <strong>di</strong>re, non ha bisogno<br />

<strong>di</strong> aspettare un altro a lui esterno per poter essere il suo sé<br />

determinato ( 35 ).<br />

1. L’Essere per sé come tale<br />

a) Rappresentazione e concetto dell’Essere per sé. Coscienza e autocoscienza<br />

— Se la filosofia ha il compito peculiare <strong>di</strong> trasformare le<br />

rappresentazioni in pensieri o concetti ( 36 ), tale compito deve<br />

( 30 ) Sdl, p. 162. Cfr. ivi, p. 154: «l’infinità è ritorno in sé, relazione a se stesso»;<br />

Enc., § 96: «l’essere per sé» è «relazione a se stesso» (trad. Verra, p. 279).<br />

( 31 ) Sdl, pp. 154: «l’infinità è ritorno in sé, relazione a se stesso, essere»;<br />

163: «l’essere per sé è l’infinità ricaduta nel semplice essere»; Enc., § 95: «l’essere<br />

è ristabilito, ma come negazione della negazione, ed è l’essere per sé» (trad.<br />

Verra, p. 277); § 96 agg.: «l’essere per sé, come essere, è relazione semplice a sé»<br />

(trad. Verra, p. 279). Cfr. anche TAYLOR, Hegel, p. 245: Hegel ci avvisa che ci troviamo<br />

ancora al livello dell’essere, non a quello dell’essenza!<br />

( 32 ) Sdl, p. 162.<br />

( 33 ) BIARD, I, p. 94. Cfr. Hegel, GW, XI, p. 83, e trad. LABARRIÈRE-JARCZYK, I,<br />

1, pp. 121 s.<br />

( 34 ) Sdl, p. 114; Enc., § 95.<br />

( 35 ) LAKEBRINK, I, p. 137.<br />

( 36 ) Enc., § 5.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

347<br />

adempiersi anche nel caso dell’Essere per sé. Con una movenza che<br />

ricorda l’analisi aristotelica dei phainòmena (che includono anche i<br />

legòmena) ( 37 ), Hegel si richiama all’uso dell’espressione ‘essere per<br />

sé’ nel linguaggio or<strong>di</strong>nario (wir sagen, dass ecc.). Essa in<strong>di</strong>ca la segregazione<br />

e la chiusura, l’essere soltanto con sé, l’aver rotto le relazioni<br />

col prossimo ( 38 ). Trasformare questa rappresentazione in<br />

concetto significa portare allo scoperto la <strong>di</strong>alettica dell’Essere per<br />

sé. Se la ‘rottura’ o la lacerazione corrisponde alla negazione delle<br />

relazioni all’altro in generale, inteso come il negativo <strong>di</strong> noi stessi,<br />

la negazione del negativo, sia esso il Qualcosa o il mondo nel<br />

suo complesso, fa emergere l’infinitamente affermativo del proprio<br />

sé ( 39 ). L’alterità viene superata nel ‘risucchio’, per così <strong>di</strong>re, <strong>di</strong> questa<br />

negazione; l’altro è per l’Essere per sé «soltanto come un superato,<br />

come un suo momento» ( 40 ). L’altro, dunque, non sta più accanto<br />

e al <strong>di</strong> fuori del limite e della limitazione, come avveniva nel<br />

Qualcosa; l’Essere per sé, come rimozione dell’altro, è «infinito ritorno<br />

in sé» ( 41 ).<br />

( 37 ) Cfr. OWEN, Tithenai, pp. 83 ss., e MOVIA, in ARISTOTELE, L’Anima, pp. 92<br />

ss.<br />

( 38 ) Sdl, p. 162. Cfr. LAKEBRINK, I, p. 133, ed anche DOZ, La logique, p. 69;<br />

RADEMAKER, p. 59; inoltre NEDEL, Die Fürsichsein-Kategorie, p. 259.<br />

( 39 ) Sdl, p. 162. Cfr. LAKEBRINK, I, pp. 133 ss.<br />

( 40 ) Sdl, p. 162. Cfr. LAKEBRINK, I, pp. 134 s., ed anche SCHMIDT, Hegels<br />

Wissenschaft, p. 95.<br />

( 41 ) Sdl, p. 162. Cfr. LAKEBRINK, I, pp. 134 s., ed anche BIARD, I, p. 98;<br />

LANDUCCI, La contrad<strong>di</strong>zione, p. 81; VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 106 s.; TAYLOR,<br />

Hegel, p. 244; MASSOLO, Logica, p. 31; VERRA, Letture, pp. 153 s.: «l’essere per sé<br />

come tale in<strong>di</strong>ca... l’infinito ritorno dell’essere in se stesso [cfr. Sdl, p. 162] dalla<br />

sfera dell’essere determinato come sfera della <strong>di</strong>fferenza, del dualismo, della<br />

finitezza [ivi, p. 161], o, ancora, il superamento dell’alterità caratterizzante la<br />

sfera dell’essere determinato [ivi, p. 162]. Come <strong>di</strong>ce anche il linguaggio comune,<br />

qualcosa è per sé in quanto ha superato l’alterità, la relazione e comunità con<br />

altro e l’altro è per lui soltanto come un suo momento [ibid.]. Se dunque, nel suo<br />

primo momento, l’essere per sé è, a sua volta, come essere determinato, in quanto<br />

la natura negativa dell’infinità vi è posta in modo imme<strong>di</strong>ato [ivi, p. 163], tale


348 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Un primo esempio che Hegel adduce dell’Essere per sé è la<br />

coscienza ( 42 ). La coscienza, infatti, contiene in sé, ossia implicitamente<br />

( 43 ), l‘Essere per sé, in quanto si rappresenta l’oggetto, lo ha<br />

in lei come qualcosa <strong>di</strong> ‘ideale’ (Ideelles), pur rimanendo, al tempo<br />

stesso, presso <strong>di</strong> sé ( 44 ). La coscienza è, dunque, caratterizzata<br />

dall’intenzionalità, dal fatto che è <strong>di</strong>retta verso l’oggetto, l’alterità,<br />

e, insieme, dall’interiorità o ipseità, dal ritorno in sé in quanto soggetto<br />

( 45 ). Nell’ aver coscienza, il soggetto s’identifica intenzionalmente<br />

con l’oggetto; Aristotele <strong>di</strong>rebbe: «non è la pietra che si trova<br />

nell’anima, ma la sua forma» ( 46 )! Il soggetto assimila a sé l’oggetto,<br />

lo riduce ad una sua rappresentazione, nel senso che la coscienza è<br />

un’attività immanente ( 47 ). Pertanto l’ Essere per sé è il rapporto negativo<br />

contro l’altro, è la negazione dell’alterità, e, al tempo stesso,<br />

la riflessione in sé me<strong>di</strong>ante questa relazione ( 48 ). Il conoscere è un<br />

fieri aliud in quantum aliud; anche qui, Aristotele <strong>di</strong>rebbe: «l’anima è<br />

modo <strong>di</strong> essere determinato dell’essere per sé è però sempre un momento interno<br />

dell’essere per sé, e, così, quel rapporto che nella sfera precedente, quella<br />

dell’essere determinato, si configurava come alterità, si è qui ripiegato nell’unità<br />

infinita dell’essere per sé e si configura come essere für Eines [ibid.]».<br />

( 42 ) Pace WAHL, Commentaires, p. 109, non si può negare che, almeno in<br />

questo punto, ci sia una certa analogia tra l’Essere per sé <strong>hegel</strong>iano e la nozione<br />

sartriana del ‘per-sé’.<br />

( 43 ) JOHNSON, The Critique, p. 28.<br />

( 44 ) Sdl, p. 162 (e pp. 160 s.: sull’ ‘idealismo’).<br />

( 45 ) WAHL, Commentaires, pp. 97 e 99 (riferimento alla dottrina dell’intenzionalità<br />

nel pensiero me<strong>di</strong>evale e in Husserl).<br />

n. 2.<br />

( 46 ) De An., III 8, 431 B 29. Cfr. MOVIA, in ARISTOTELE, L’Anima, pp. 188 e 392<br />

( 47 ) VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 107. Cfr. anche HEGEL, LMJ, p. 137; Enc.,<br />

§ 399 agg., e CHIEREGHIN, L’ere<strong>di</strong>tà, pp. 241, 259 ss.<br />

( 48 ) Sdl, p. 162. Cfr. anche LAKEBRINK, I, pp. 135 s.: la «relazione del negativo<br />

a se stesso» (Enc., § 96; trad. Verra, p. 279) significa che l’Essere per sé si rivolge<br />

polemicamente (Sdl, p. 162) contro l’ ‘altro’, per ottenere il suo ‘esser riflesso<br />

in sé’. Ve<strong>di</strong> anche LÉONARD, p. 83.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

349<br />

in certo modo tutti gli esseri» ( 49 ); il fieri aliud si compie però nel<br />

soggetto cosciente, pur lasciando l’altro nella sua alterità ( 50 ). In<br />

ogni caso, la coscienza ‘apparente’, nel senso della Fenomenologia<br />

dello spirito ( 51 ), è il dualismo <strong>di</strong> soggetto e oggetto, <strong>di</strong> sapere ed essere<br />

( 52 ).<br />

Se nella coscienza l’Essere per sé è contenuto implicitamente,<br />

nell’autocoscienza l’Essere per sé è compiuto e posto esplicitamente;<br />

in lei, il lato della relazione all’altro è rimosso ( 53 ). La vera coscienza<br />

è autocoscienza, ossia coscienza che ha riconosciuto sé nell’oggetto<br />

( 54 ); si potrebbe <strong>di</strong>re, schematicamente, che, mentre la coscienza<br />

segna il prevalere dell’oggetto, l’autocoscienza realizza la<br />

prevalenza del soggetto ( 55 ). L’autocoscienza è così l’esempio più<br />

vicino (nächste), più imme<strong>di</strong>ato, ma anche il più perfetto, della presenza<br />

dell’infinità ( 56 ); lì il finito o l’altro viene trasceso e si realizza<br />

( 49 ) De An., III 8, 431 B 20. Cfr. MOVIA, in ARISTOTELE, L’Anima, pp. 188 e 392<br />

n. 2; VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 107; inoltre HEGEL, Lez. st. filos., II, p. 361;<br />

FERRARIN, Hegel, pp. 132 ss.<br />

( 50 ) Sdl, pp. 162 s. Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 107.<br />

( 51 ) Fen., I, pp. 81 ss. Cfr. anche Enc., § 413.<br />

( 52 ) Sdl, p. 163. Cfr. VANNI ROVIGHI, La scienza, p. 107.<br />

( 53 ) Sdl, p. 163. Cfr. HARTMANN, La filosofia, p. 429.<br />

( 54 ) Enc., § 423. Cfr. VANNI ROVIGHI, p. 107.<br />

( 55 ) Fen., II, p. 3. Cfr. LANDUCCI, Hegel, p. 26 e n. 40.<br />

( 56 ) Cfr. Sdl, p. 163, e HARTMANN, La filosofia, p. 429; JOHNSON, The Critique,<br />

p. 29. Ve<strong>di</strong> anche Enc., § 96 agg.: «l’esempio <strong>di</strong> essere per sé più alla nostra portata<br />

lo abbiamo nell’Io. Noi ci sappiamo essenti in modo determinato anzitutto<br />

come esseri <strong>di</strong>stinti da un altro essere essente in modo determinato e in relazione<br />

ad esso. Ma poi, noi conosciamo anche questa latitu<strong>di</strong>ne dell’essere determinato<br />

come appuntitasi quasi a forma semplice dell’essere per sé. Quando <strong>di</strong>ciamo:<br />

Io, questa è l’espressione della relazione a sé, infinita e insieme negativa. Si<br />

può <strong>di</strong>re che l’uomo si <strong>di</strong>stingue dall’animale, e quin<strong>di</strong> dalla natura in generale,<br />

proprio perché concepisce sé come Io; il che significa, al tempo stesso, che le<br />

cose naturali non portano al libero essere per sé, ma, in quanto limitate all’essere<br />

determinato, sono sempre soltanto essere per altro» (trad. Verra, p. 280). Cfr.<br />

inoltre MURE, A Study, pp. 52 s.


350 HEGEL E ARISTOTELE<br />

il ritorno in sé ( 57 ). Come nel caso della coscienza, Hegel non pretende<br />

— come, invece, crede Trendelenburg ( 58 ) — che, col ricorso<br />

all’Essere per sé, il fenomeno dell’autocoscienza venga concettualmente<br />

e logicamente esaurito. Si tratta sempre e solo <strong>di</strong> esempi <strong>di</strong><br />

riflessione in sé; l’esperienza dell’autocoscienza troverà il suo fondamento<br />

solo nelle determinazioni logiche dell’autorelazionalità<br />

proposte nella logica dell’essenza e del concetto ( 59 ). Se, dunque,<br />

l’infinità dell’autocoscienza è astratta rispetto alla ragione e allo<br />

spirito, è invece concreta rispetto all’Essere per sé e alla sua natura<br />

qualitativa e imme<strong>di</strong>ata ( 60 ). L’infinità si <strong>di</strong>mostra affermativamente<br />

nell’autocoscienza e nell’Io; nella sfera semplicemente ontologica<br />

della qualità non siamo ancora a questo punto ( 61 ).<br />

b) Essere, Essere determinato ed Essere per sé. L’Essere per sé come Essere<br />

determinato — L’Essere per sé è, anzitutto, «l’infinità ricaduta nel<br />

semplice essere» ( 62 ). L’infinità, come negazione della negazione,<br />

( 57 ) JOHNSON, The Critique, p. 29. Si leggano anche le belle osservazioni, teoreticamente<br />

impegnate, <strong>di</strong> MOSCHETTI, L’unità, I, p. 171, che avvicina l’autocoscienza<br />

alla ‘categoria’ dell’unità (l’Uno, come subito vedremo, è la prima figura logica,<br />

dell’Essere per sé <strong>hegel</strong>iano!), interme<strong>di</strong>a, secondo Moschetti, fra la ‘metacategoria’<br />

dell’Essere e le ‘postcategorie’: «il più decisivo contributo alla chiarificazione<br />

del nostro concetto <strong>di</strong> unità ci è dato dall’esperienza interna: dall’interiorità della<br />

vita autocosciente. E invero, nel mondo invisibile <strong>di</strong> sensazioni, <strong>di</strong> affetti, <strong>di</strong> idee,<br />

<strong>di</strong> ricor<strong>di</strong>, che costituisce l’in me <strong>di</strong> ciascuno <strong>di</strong> noi, si rivela un centro sussistente,<br />

che permane in<strong>di</strong>viso, semplice, identico a se stesso quanto è attivo e fecondo nella<br />

molteplicità delle più ricche operazioni... L’Io è quin<strong>di</strong> la tipica e più alta realizzazione<br />

della nostra categoria: unità per sé; sostanza intrisecamente attiva: unitàunificante».<br />

( 58 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 60 (trad. Morselli, p. 36).<br />

( 59 ) SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 135.<br />

( 60 ) Sdl, p. 163.<br />

( 61 ) HARTMANN, La filosofia, p. 429.<br />

( 62 ) Sdl, p. 163. Cfr. anche ivi, pp. 154 e 185 s.; inoltre Enc., § 96 agg.: «l’essere<br />

per sé, come essere, è relazione semplice a sé» (trad. Verra, p. 279).


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

351<br />

dà luogo, come alla sua forma iniziale, all’affermativo o all’imme<strong>di</strong>atezza<br />

dell’Essere. Come identità con sé o relazione a se stesso,<br />

l’infinito è dapprima l’Essere o l’imme<strong>di</strong>ato ( 63 ). È questa la ragione<br />

per cui si chiama non già il ‘per sé’ (assoluto) ma l’‘essere per sé’. In<br />

realtà l’infinito qualitativo è confinato nella sfera dell’essere, benché<br />

sia altrettanto vero che, a <strong>di</strong>fferenza dell’Essere puro dell’inizio,<br />

in lui resta sempre presente il movimento <strong>di</strong> negazione della negazione<br />

( 64 ).<br />

Inoltre l’Essere per sé, in quanto negazione (o determinazione<br />

esplicita), ricade nella categoria dell’Essere determinato, ma, in<br />

quanto negazione della negazione e determinatezza infinita (o<br />

autodeterminazione), ha l’Essere determinato solo come suo momento<br />

( 65 ). Perciò, come l’Essere-per-sé esprime quello che è stato<br />

l’essere-in-sé, così l’‘essere-per-uno’ (come subito vedremo) riprende,<br />

al livello <strong>di</strong> una determinatezza più piena, quello che, nell’Essere<br />

determinato, è stato l’essere-per-altro ( 66 ).<br />

Mentre, dunque, nella relazione del Qualcosa con l’Altro (ad<br />

es., del rosso col giallo!), il Qualcosa è determinato dal suo Altro,<br />

ovvero la natura positiva dell’Altro è essenziale alla sua determinazione,<br />

nel caso dell’Essere per sé tutto quello che importa è che ci<br />

( 63 ) Enc., § 96: «l’essere per sé, come relazione a se stesso, è imme<strong>di</strong>atezza»<br />

(trad. Verra, p. 279). Cfr. LAKEBRINK, I, p. 134.<br />

( 64 ) LÉONARD, p. 82. Cfr. anche MURE, A Study, p. 52; MASSOLO, Logica, p. 31<br />

(la ‘ricaduta’ nell’imme<strong>di</strong>atezza non è una ‘ripetizione’ <strong>di</strong> quello che è già stato);<br />

HARRIs, An Interpretation, p. 119 (contro TAYLOR, Hegel, p. 245): l’imme<strong>di</strong>atezza dell’Essere<br />

per sé è me<strong>di</strong>ata!).<br />

( 65 ) Sdl, p. 163. Cfr. anche ivi, pp. 154 e 186; inoltre, Enc., § 96 agg.: «l’essere<br />

per sé, ... come essere determinato, è in modo determinato; questa determinatezza<br />

però non è più la determinatezza finita del qualcosa nella sua <strong>di</strong>stinzione dall’altro,<br />

ma è la determinatezza infinita che contiene dentro <strong>di</strong> sé la <strong>di</strong>stinzione come<br />

superata» (trad. Verra, pp. 279 s.). Ve<strong>di</strong> anche WAHL, Commentaires, p. 99; HARRIS,<br />

An Interpretation, p. 115.<br />

( 66 ) Sdl, p. 163. Cfr. LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 126 n. 6; VERRA, Letture, pp.<br />

153 s.


352 HEGEL E ARISTOTELE<br />

sia qualcos’altro che non sia l’Essere per sé, me<strong>di</strong>ante cui l’Essere<br />

per sé possa determinarsi. L’‘altro’ dell’Essere per sé è insomma la<br />

sua interna <strong>di</strong>fferenziazione, costitutiva <strong>di</strong> quello che esso è. Pertanto,<br />

l’Essere per sé gode <strong>di</strong> una accresciuta in<strong>di</strong>pendenza rispetto<br />

al Qualcosa, in conseguenza della maggiore in<strong>di</strong>vidualità e centralità<br />

del Sé ( 67 ). Il fatto, poi, che l’Essere per sé, nella sua autodeterminazione,<br />

abbia superato ogni alterità qualitativa, fa comprendere<br />

come ormai ci stiamo incamminando verso la <strong>di</strong>alettica della<br />

quantità ( 68 ).<br />

c) L’essere per uno — L’essere per uno — spiega Hegel — è il momento<br />

finito, ‘ideale’, non autonomo dell’Essere per sé inteso come<br />

l’infinito, la vera realtà o il ‘concreto’ ( 69 ). Nell’Essere per sé c’è bensì<br />

una relazione, ma, a <strong>di</strong>fferenza dell’Essere determinato, non una<br />

relazione a qualcosa che sia, in senso vero e proprio, l’‘altro’ dall’Essere<br />

per sé ( 70 ). In altre parole: nella <strong>di</strong>alettica dell’Essere determinato,<br />

la negazione non è ancora unificata dal suo raddoppiamento,<br />

ma rimane in qualche modo sud<strong>di</strong>visa ( 71 ) tra l’interno e<br />

l’esterno dell’esserci, opponendosi un Qualcosa a un altro Qualcosa.<br />

Adesso, invece, l’alterità è integrata nell’Essere per sé, e l’Altro<br />

si esprime nel momento dell’essere per uno, ossia in una determinazione<br />

che lo or<strong>di</strong>na pienamente all’Essere per sé ( 72 ).<br />

( 67 ) Cfr. Sdl, pp. 163 s. e MCTAGGART, A Commentary, pp. 35 ss.; HARRIS, An<br />

Interpretation, p. 115; LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 127 n. 10.<br />

( 68 ) LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 127 n. 10. Cfr. anche BIARD, I, pp. 98 s. (sull’interiorizzazione<br />

dell’alterità e la determinazione come autodeterminazione).<br />

( 69 ) Sdl, p. 164. Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 109 s.; BIARD, I, pp. 99 s.<br />

( 70 ) Sdl, p. 164. Cfr. MCTAGGART, A Commentary, p. 36; RADEMAKER, p. 60;<br />

LAKEBRINK, I, p. 137.<br />

( 71 ) HEGEL, GW, XI, p. 87: verteilt.<br />

( 72 ) LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 127 n. 11; BIARD, I, p. 99.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

353<br />

Tuttavia, aggiunge Hegel, se non c’è più il Qualcosa, neppure<br />

siamo ancora autorizzati a parlare dell’Uno; c’è l’essere per uno, ma<br />

non c’è ancora l’Uno. Potremmo designare con X la realtà che è stata<br />

chiamata in precedenza Qualcosa, che ora abbiamo chiamato Essere<br />

per sé, ma che sta per manifestarsi come Uno, e con non-X l’essere<br />

per uno. Allora, se l’Essere per sé non è ancora <strong>di</strong>venuto Uno, X<br />

(per cui non-X è) è esso stesso momento, è essere per uno; non c’è<br />

che un solo essere-per-altro (non più un Qualcosa e un Altro, che è<br />

esso stesso Qualcosa) e una sola ‘idealità’, quella <strong>di</strong> X e non-X, dell’Essere<br />

per sé e dell’essere per uno ( 73 ). «Così l’essere per uno e l’essere<br />

per sé non costituiscono vere e proprie determinatezze una<br />

contro l’altra» ( 74 ); è il pensiero rappresentativo che fa ricadere i<br />

due momenti dell’Essere per sé nei momenti dell’Essere determinato,<br />

conferendo loro la forma <strong>di</strong> essenti ( 75 ). Ora, Hegel <strong>di</strong>mostra<br />

l’unità <strong>di</strong> Essere per sé ed essere per uno nella ‘idealità’, prendendo<br />

per ipotesi ( 76 ) proprio l’opposizione <strong>di</strong> Essere per sé ed essere per<br />

uno; quest’opposizione viene superata dall’analisi stessa <strong>di</strong> ciò che<br />

essi implicano ( 77 ). In realtà, come l’Essere per sé, nel superamento<br />

dell’altro, si riferisce a se stesso, ed è dunque (si potrebbe <strong>di</strong>re: per<br />

identità) ‘per uno’, così l’‘ideale’, l’essere per uno è (per identità)<br />

l’Uno stesso ( 78 ).<br />

Come esempi para<strong>di</strong>gmatici <strong>di</strong> idealità e infinità, e quin<strong>di</strong><br />

dell’identità <strong>di</strong> Essere per sé ed essere per uno, Hegel cita l’Io, lo<br />

( 73 ) Sdl, p. 164. Cfr. MCTAGGART, A Commentary, p. 36.<br />

( 74 ) Sdl, p. 164.<br />

( 75 ) BIARD, I, pp. 102 s.<br />

( 76 ) Sdl, p. 164: «in quanto la <strong>di</strong>fferenza venga ammessa ecc.».<br />

( 77 ) LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 132 n. 41.<br />

( 78 ) Sdl, p. 164. Cfr. BIARD, I, p. 103; HARRIS, An Interpretation, pp. 111 e 115<br />

(ed anche VERRA, Letture, p. 154, su Sdl, p. 164: «in quanto das Ideelle è necessariamente<br />

für-Eines e tuttavia non per un altro, essendo essere per sé, l’Eines, per il<br />

quale esso è, è soltanto esso stesso»). Nell’ultima frase <strong>di</strong> p. 164 l’identità <strong>di</strong>venta<br />

però soltanto ‘inseparabilità’.


354 HEGEL E ARISTOTELE<br />

spirito e Dio ( 79 ). ‘Ideale’, infatti, non è solo il momento <strong>di</strong> un reale,<br />

<strong>di</strong> un concreto, ma ideale, anzi la vera ‘idealità’ è la stessa infinità,<br />

il concreto come unità dei suoi momenti, e in particolare il soggetto<br />

autocosciente. Le determinazioni ‘superate’ da ciò <strong>di</strong> cui sono determinazioni<br />

sono ideali perché possono essere pensate come <strong>di</strong>stinte<br />

da ciò <strong>di</strong> cui sono determinazioni, mentre il reale (l’Essere per sé)<br />

è il soggetto inseparabile dalle sue determinazioni (l’essere per<br />

uno) ( 80 ). L’Essere per sé conserva in lui l’alterità che gli è essenziale;<br />

l’unità verso cui ci incamminiamo è quella <strong>di</strong> una ‘totalità’ ( 81 ).<br />

Dio stesso non sarebbe che un Qualcosa tra altri Qualcosa, se ammettesse<br />

un’esteriorità ra<strong>di</strong>cale in rapporto a lui ( 82 ).<br />

Hegel, dunque, può concludere che «l’esser per sé e l’esser<br />

per uno non sono... significati <strong>di</strong>versi dell’idealità, ma sono momenti<br />

essenziali, inseparabili <strong>di</strong> essa» ( 83 ).<br />

d) Idealità e idealismo: da Spinoza a Kant e Fichte — Nella nota successiva,<br />

Hegel (come fa spesso) chiarisce il senso teorico dell’espressione<br />

‘essere per uno’, richiamandosi all’uso della locuzione tedesca<br />

was für ein (‘che specie <strong>di</strong>...?’) ( 84 ). Quest’espressione stabilisce<br />

una relazione non già fra due cose, ma fra due stati della stessa<br />

cosa, colti nell’identità originaria dell’Essere per sé. Il merito <strong>di</strong> tale<br />

locuzione è <strong>di</strong> esprimere la determinatezza non in un rapporto con<br />

qualcosa <strong>di</strong> esterno, ma come una determinatezza riflessa in sé. C’è<br />

( 79 ) Sdl, p. 164<br />

( 80 ) VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 110.<br />

( 81 ) Sdl, p. 169.<br />

( 82 ) LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 133 n. 44. Cfr. anche TAYLOR, Hegel, pp. 244 s.<br />

( 83 ) Sdl, p. 164. Cfr. BIARD, I, pp. 101 s.<br />

( 84 ) HEGEL, GW, XXI, p. 147; trad. in VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 200 n. 18, e<br />

VERRA, Letture, p. 153 n. 11. Cfr. anche Sdl, p. 10 (su linguaggio e logica) e<br />

RADEMAKER, p. 60.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

355<br />

dunque un’identità tra ‘ciò che una cosa è’ e ‘ciò per cui è’, e questa<br />

identità coincide con la stessa idealità ( 85 ).<br />

A quest’ultimo proposito Hegel spiega, ancora una volta, che<br />

l’idealità caratterizza innanzitutto il superamento delle determinazioni<br />

finite. In quanto però queste vengano assunte come <strong>di</strong>stinte<br />

da quello in cui sono superate, quest’ultimo può «esser preso come<br />

il reale». In questo modo, ideale e reale sarebbero due determinazioni<br />

contrapposte e in<strong>di</strong>pendenti ( 86 ). Bisogna ritenere, invece, che<br />

la vera idealità (coincidente con la realtà effettiva: Wirklichkeit) ha<br />

entrambe le determinazioni (il reale e l’ideale) solo come suoi ‘momenti’<br />

(sono entrambi ‘essere per uno’); la vera e unica idealità è in<strong>di</strong>stintamente<br />

realtà ( 87 ). Hegel ritorna agli esempi <strong>di</strong> prima (l’Io, lo<br />

spirito e Dio), per mostrare ancora che l’identità <strong>di</strong> reale e ideale si<br />

100.<br />

( 85 ) Sdl, p. 165. Cfr. LABARRIÈRE-JARCZYK, I, p. 128 n. 16, ed anche BIARD, I, p.<br />

( 86 ) Sdl, p. 165. Cfr. Enc., § 96 agg.: «inoltre l’essere per sé in generale va ora<br />

colto come idealità, mentre l’essere determinato è stato dapprima definito realtà<br />

[ve<strong>di</strong> § 91; Sdl, p. 106]. Realtà e idealità vengono spesso considerate come una<br />

coppia <strong>di</strong> determinazioni tra loro contrapposte e dotate <strong>di</strong> uguale in<strong>di</strong>pendenza<br />

reciproca, e si <strong>di</strong>ce quin<strong>di</strong> che, oltre alla realtà, ci sarebbe anche un’idealità» (trad.<br />

Verra, p. 280).<br />

( 87 ) Sdl, p. 165. Cfr. Enc., § 96 agg.: «l’idealità non è qualcosa che ci sia anche<br />

al <strong>di</strong> fuori e accanto alla realtà, bensì il concetto dell’idealità consiste espressamente<br />

nell’essere la verità della realtà, e cioè la realtà, posta [esplicitamente] come<br />

ciò che essa è in sé [= implicitamente], mostra <strong>di</strong> essere idealità. Non si può quin<strong>di</strong><br />

pensare <strong>di</strong> aver tributato il doveroso riconoscimento all’idealità, quando ci si limita<br />

ad ammettere che non tutto è finito con la realtà, ma al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> essa si deve<br />

ancora riconoscere un’idealità. Una tale idealità, accanto, oppure anche al <strong>di</strong> sopra<br />

della realtà, sarebbe in effetti soltanto un nome vuoto. L’idealità ha invece un contenuto<br />

soltanto in quanto è l’idealità <strong>di</strong> qualcosa; questo qualcosa poi non è soltanto<br />

un questo o un quello indeterminato [cfr. Fen., I, pp. 81 ss.], bensì l’essere determinato<br />

come realtà, il quale essere, tenuto fisso per sé, non ha alcuna verità»<br />

(trad. Verra, p. 280). Ve<strong>di</strong> anche LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 129 nn. 19 (l’‘ideale’<br />

esprime ciò che la realtà è nelle sue strutture ideali) e 21 (l’Idea, nel suo significato<br />

concreto e oggettivo, è la verità <strong>di</strong> ciò che è reale); BIARD, I, p. 101 (l’idealità come<br />

totalità).


356 HEGEL E ARISTOTELE<br />

attua pienamente solo nel soggetto autocosciente ( 88 ). Esso è l’ideale’<br />

in quanto «relazione infinita puramente a sé», e non ad altro ( 89 );<br />

l’alterità non è nell’Essere per sé che come superantesi, ed è per<br />

questo motivo che l’Essere per sé si rapporta infinitamente a sé ( 90 ).<br />

Tutto ciò si verifica in modo para<strong>di</strong>gmatico in Dio, nel quale c‘è<br />

identità perfetta tra Essere per sé ed essere per uno, o, come si<br />

esprime la filosofia classica, tra natura e attributi (o attività) ( 91 ).<br />

Quando invece, aggiunge Hegel, si assume il punto <strong>di</strong> vista della<br />

coscienza ( 92 ), ossia della scissione tra l’idealità e la rappresentazione<br />

da un lato e l’oggetto conosciuto inteso come un esterno ‘essere<br />

determinato’ dall’altro, allora si ricade nella contrapposizione intellettualistica<br />

<strong>di</strong> ideale come alcunché <strong>di</strong> meramente immaginario o<br />

‘concettuale’ e <strong>di</strong> reale come ‘duro fatto’ od oggetto non concettualizzato<br />

( 93 ).<br />

A questo punto Hegel, richiamandosi alla nota <strong>di</strong> pp. 159 ss.,<br />

ricorda il «principio dell’idealismo», che consiste nell’affermare che<br />

il finito è ideale, non è un vero essere, e, quin<strong>di</strong>, ‘svanisce’ nell’infinito.<br />

Si tratta, ora, <strong>di</strong> determinare in quale misura l’idealismo trovi<br />

attuazione nelle <strong>di</strong>verse filosofie, se cioè nell’Essere per sé e nell’infinito<br />

sia già posto il momento dell’essere per uno, cosicché l’Essere<br />

per sé, nell’altro, si rapporti a sé, oppure se il finito sussista in<strong>di</strong>pendentemente<br />

dall’Essere per sé ( 94 ).<br />

A tale scopo Hegel ripercorre brevemente alcune tappe decisive<br />

della storia della filosofia. Egli conferma, innanzitutto, il<br />

( 88 ) Sdl, p. 165. Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 110.<br />

( 89 ) Sdl, p. 165.<br />

( 90 ) BIARD, I, p. 100.<br />

( 91 ) TOMMASO D’AQUINO, De verit., q. I, a. 11. Cfr. BUSA, Dio, coll. 481 ss.;<br />

VANNI ROVIGHI, Introduzione a Tommaso, p. 65.<br />

( 92 ) Cfr. già Sdl, pp. 162 s.<br />

( 93 ) Ivi, p. 165. Cfr. MURE, A Study, p. 53; MARCONI, Hegel’s Definition, p. 97.<br />

( 94 ) Sdl, p. 165. Cfr. anche BIARD, I, pp. 101 s.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

357<br />

proprio giu<strong>di</strong>zio severo sugli Eleati e Spinoza. Come sappiamo,<br />

per Hegel l’Essere <strong>di</strong> Parmenide è l’essere indeterminato, senza<br />

relazione ad altro e senza <strong>di</strong>stinzioni in sé; solo l’Essere o l’Assoluto<br />

è relazione a sé, e a ciò non può conseguire che il panteismo<br />

e l’acosmismo ( 95 ). Del pari, la sostanza spinoziana è affermazione<br />

assolta; per Spinoza solo il finito è determinatezza, e questa è negazione<br />

( 96 ). Tanto l’Essere <strong>degli</strong> Eleati quanto la sostanza <strong>di</strong><br />

Spinoza sono la negazione astratta della determinatezza, giacché<br />

tale negazione non comporta l’idealità della determinatezza stessa,<br />

il suo essere ricompresa come un ‘momento’ dell’assoluto ( 97 ).<br />

In particolare, la sostanza e l’essere infinito <strong>di</strong> Spinoza, proprio<br />

perché unità immobile, non è ancora Essere per sé, soggetto e spirito:<br />

non è ancora pensiero e autocoscienza ( 98 ).<br />

A Malebranche, invece, Hegel riconosce un idealismo più<br />

esplicito e concreto. Per quest’autore, in Dio l’essenza e l’esistenza<br />

delle cose sono ideali, sono pensieri <strong>di</strong> Dio, inteso come ‘idealità’,<br />

sapere e autocoscienza assoluta, benché esse siano ideali già per<br />

noi, per il nostro pensiero e la nostra coscienza ( 99 ). Al contrario, gli<br />

attributi e i mo<strong>di</strong> della sostanza spinoziana sono <strong>di</strong>stinzioni opera-<br />

( 95 ) Sdl, pp. 71 ss., 84 s., 89 (l’apparenza e l’opinione). Cfr. LANDUCCI, La<br />

contrad<strong>di</strong>zione, p. 31. Ma ve<strong>di</strong> MOVIA, Essere, pp. 536 ss.<br />

( 96 ) Sdl, pp. 166, 108 e 275.<br />

( 97 ) Ivi, p. 166.<br />

( 98 ) Ibid. Cfr. LANDUCCI, La contrad<strong>di</strong>zione, pp. 31 s. e VANNI ROVIGHI, La<br />

Scienza, p. 110 (ve<strong>di</strong> inoltre Fen., I, p. 13: «tutto <strong>di</strong>pende dall’intendere e dall’esprimere<br />

il vero non come sostanza, ma altrettanto decisamente come soggetto»;<br />

WAHL, Commentaires, p. 101; ma anche MOVIA, Essere, pp. 542 s.). A maggior<br />

ragione, nessuna delle cose finite, essendo «del tutto determinate nel loro essere<br />

e nel loro agire dalla sostanza <strong>di</strong>vina», può «rappresentare un centro <strong>di</strong> attività,<br />

un soggetto, dotato <strong>di</strong> un benché minimo margine <strong>di</strong> iniziativa» (FAGGIOTTO, Il<br />

problema, I, p. 151).<br />

( 99 ) Sdl, p. 166. Citazione dei passi <strong>di</strong> MALEBRANCHE, in HEGEL, GW, XXI, p.<br />

421. Ve<strong>di</strong> anche Lez. st. filos., III, 2, pp. 144 ss., 223; JA, XIX, p. 413: per<br />

Malebranche, «in Gott sind <strong>di</strong>e Dinge intellektuell, geistig»; inoltre VANNI<br />

ROVIGHI, La Scienza, p. 107; WAHL, Commentaires, p. 101; GIACON, La causalità, pp.<br />

224 ss. (l’ontologismo moderato <strong>di</strong> Malebranche).


358 HEGEL E ARISTOTELE<br />

te da un intelletto esterno ( 100 ). Quello che in Malebranche fa <strong>di</strong>fetto,<br />

secondo Hegel, è la compiuta determinazione dei contenuti <strong>di</strong><br />

pensiero, per <strong>di</strong> più mescolati con le rappresentazioni religiose,<br />

nonché lo sviluppo logico dell’infinità, che dovrebbe costituire il<br />

fondamento <strong>di</strong> quei contenuti ( 101 ).<br />

A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Malebranche, che, per l’ appunto, ai<br />

concetti mescola contenuti assunti imme<strong>di</strong>atamente dalla rappresentazione,<br />

«l’idealismo leibniziano sta più dentro i confini del<br />

concetto astratto» ( 102 ). «Il soggetto leibniziano della rappresentazione,<br />

la monade, è essenzialmente qualcosa <strong>di</strong> ideale. Il rappresentare<br />

è un essere per sé, in cui le determinatezze non sono limiti,<br />

e così non sono un esserci, ma soltanto momenti» ( 103 ). La rappresentazione<br />

(Vorstellung) (che, evidentemente, va intesa qui non già<br />

nell’accezione <strong>hegel</strong>iana, come una determinazione della coscienza<br />

contrapposta al concetto, ma nel contesto del <strong>di</strong>scorso leibniziano)<br />

connota essenzialmente la monade, nel senso che questa, chiusa in<br />

se stessa nella sua piena autosufficienza, non implica alcuna<br />

alterità reale, ma sviluppa, a partire da sé, il mondo nel quale si<br />

trova. In questo modo la rappresentazione (che non <strong>di</strong>pende affatto<br />

dal conoscere, giacché caratterizza tanto l’uomo, monade cosciente,<br />

quanto la cosa, monade inconscia) sembra, a prima vista, apparentata<br />

alla «pienezza ideale» ( 104 ) che l’Essere per sé riveste per Hegel.<br />

( 100 ) Sdl, pp. 166 e 108. Cfr. MOVIA, Essere, pp. 542 s. e Finito, pp. 127 ss.;<br />

FAGGIOTTO, Il problema, I, p. 145: «la considerazione dei due attributi [pensiero ed<br />

estensione] è introdotta... non... per deduzione dal concetto <strong>di</strong> sostanza, ma per<br />

sussunzione dall’esperienza»; la stessa cosa vale anche per i mo<strong>di</strong> (cfr. ivi, pp. 148<br />

s.).<br />

( 101 ) Sdl, p. 166.<br />

( 102 ) Ibid.<br />

( 103 ) Ibid. Cfr. anche Lez. st. filos., III, 2, pp. 191 s., e MORETTO, Hegel, pp. 312<br />

s. (possibilità, per Leibniz, <strong>di</strong> una molteplicità, anche infinita, compresa nell’unità;<br />

il concetto <strong>di</strong> funzione). Citazione dei testi <strong>di</strong> Leibniz cui Hegel si riferisce nelle<br />

pp. 166 ss., in HEGEL, GW, XXI, pp. 421 s.<br />

( 104 ) LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 130 n. 24.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

359<br />

In realtà, Hegel mostra che questa ‘idealità’ è esteriore alla monade<br />

stessa ( 105 ). Infatti, il superamento dell’alterità non è il movimento<br />

proprio della monade, ma risulta da un intervento esterno, dall’armonia<br />

prestabilita da Dio ( 106 ). L’alterità e la molteplicità delle<br />

mona<strong>di</strong> sono presupposte (me<strong>di</strong>ante il concetto <strong>di</strong> creazione) e<br />

conservate come tali, e la monade è sottratta ad ogni rapporto col<br />

molteplice unicamente per l’intervento esterno <strong>di</strong> Dio ( 107 ).<br />

Altrettanto imperfetto, per Hegel, è l’idealismo kantiano e fichtiano.<br />

Il soggetto, in Kant e Fichte, non è realmente libero dall’oggettività<br />

esterna del mondo, perché il mondo, sotto forma <strong>di</strong> ‘cosa<br />

in sé’, lo è troppo (libero <strong>di</strong> una libertà che è alterità ra<strong>di</strong>cale) ( 108 ).<br />

L’Io è certo posto, in questi autori, come ‘ideale’, nella misura in cui<br />

la cosa in sé è soltanto per lui, e in quanto l’Io, in ciò, si rapporta<br />

infinitamente a se stesso. Ma l’idealismo trascendentale lascia sussistere<br />

la cosa in sé nella sua esteriorità e alterità ra<strong>di</strong>cale in rapporto<br />

al soggetto. Anche in questo caso, il lato dell’essere per uno non<br />

si realizza me<strong>di</strong>ante un proprio processo, e l’idealità del soggetto è<br />

meramente postulata o rimane un puro dover essere, un ‘ideale’<br />

irraggiungibile ( 109 ).<br />

( 105 ) Cfr. Sdl, pp. 166 s. e LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 130 n. 24.<br />

( 106 ) «Monade delle mona<strong>di</strong>» lo chiama Hegel (Sdl, p. 167; Lez. st. filos.,<br />

III, 2, p. 196), ma, a rigore, Dio è monade come substantia primitiva, opposto alla<br />

monade come substantia derivativa. Documentazione in HEGEL, GW, XXI, p. 421.<br />

( 107 ) Sdl, pp. 167 s. Cfr. anche ivi, pp. 175 s.; Enc., § 194; Lez. st. filos., III, 2,<br />

pp. 191 ss., 201 ss.; inoltre BIARD, I, p. 102. Ve<strong>di</strong> anche CASSIRER, Storia, III, p. 426;<br />

HARTMANN, La filosofia, p. 429; MURE, A Study, p. 55; FLEISCHMANN, La logica, pp. 68<br />

s.; JOHNSON, The Critique, p. 29; FAGGIOTTO, Il problema, II, pp. 35 ss.: sul concetto<br />

<strong>di</strong> monade e l’armonia prestabilita; GUYER, Hegel, PPR, 1979-80, pp. 75 ss.: secondo<br />

Hegel, l’armonia prestabilita non sana la contrad<strong>di</strong>zione tra l’in<strong>di</strong>pendenza e<br />

molteplicità reale delle mona<strong>di</strong> e la loro natura rappresentativa della totalità<br />

dell’universo (natura rappresentativa fondata sul principio della ‘inerenza del<br />

pre<strong>di</strong>cato nel soggetto’); GIACON, La causalità, p. 329: sul pregiu<strong>di</strong>zio fenomenistico<br />

delle percezioni e idee come oggetto terminale dell’atto conoscitivo.<br />

( 108 ) Sdl, p. 168. Cfr. LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 131 n. 34 (e p. 21 n. 76).<br />

( 109 ) BIARD, I, p. 102. Citazioni <strong>di</strong> Kant e Fichte, riguardo al dover essere e<br />

al progresso infinito, in HEGEL, GW, XXI, p. 422.


360 HEGEL E ARISTOTELE<br />

e) L’Uno — Hegel mostra che l’Essere per sé, come essente per sé, è<br />

l’Uno ( 110 ). Infatti, «l’essere per sé è l’unità semplice <strong>di</strong> se stesso e<br />

del suo momento, l’essere per uno» ( 111 ). Si tratta, però, <strong>di</strong> un’unità<br />

e semplicità <strong>di</strong>venuta, un’unità prodottasi dallo sviluppo precedente.<br />

L’unità qualitativa, ora posta, non è tale che in rapporto all’opposizione<br />

iniziale delle sue <strong>di</strong>fferenze, dei suoi due momenti: l’Essere<br />

per sé e l’essere per uno, la relazione a sé e l’alterità ( 112 ). A<br />

questo punto, «non si ha che una sola determinazione, la relazione<br />

a sé del superare» ( 113 ); come si legge nella prima e<strong>di</strong>zione: «il<br />

superamento dell’alterità e la relazione a se stesso sono la stessa<br />

cosa» ( 114 ); qui, non si tratta più della determinatezza qualitativa,<br />

ma del superamento <strong>di</strong> ogni determinatezza ( 115 ). I momenti dell’Essere<br />

per sé, ovvero la relazione a sé e l’essere per uno (ossia l’alterità)<br />

«sono caduti insieme nell’in<strong>di</strong>stinzione» ( 116 ), il che era necessario<br />

perché si potesse passare alla quantità ( 117 ). Tale in<strong>di</strong>stinzione<br />

«è imme<strong>di</strong>atezza o essere, ma una imme<strong>di</strong>atezza che si fonda<br />

sul negare, il quale è posto come sua (= dell’Essere per sé) determinazione»<br />

( 118 ). L’Essere per sé si è affermato come relazione a se<br />

stesso, cioè come essere. In quanto tale è imme<strong>di</strong>atezza. Tuttavia,<br />

nell’Essere per sé, rimane sempre presente il momento <strong>di</strong> autode-<br />

( 110 ) RADEMAKER, p. 60.<br />

( 111 ) Sdl, p. 168. Cfr. Enc., § 96: «l’essere per sé, come relazione a se stesso,<br />

ecc.» (trad. Verra, p. 279).<br />

( 112 ) LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 133 n. 46; BIARD, I, p. 104.<br />

( 113 ) Sdl, p. 168.<br />

( 114 ) HEGEL, GW, XI, p. 91; trad. LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 133. Cfr. anche<br />

Enc., § 96: la «relazione del negativo a se stesso» (trad. Verra, p. 279).<br />

( 115 ) BIARD, I, p. 104; NIKOLAUS, Begriff, p. 60: un siffatto ‘superamento’ non<br />

ci riporta alla situazione del puro Essere dell’inizio (ve<strong>di</strong> anche sopra n. 64).<br />

( 116 ) Sdl, p. 168. Cfr. Enc., § 96: l’Uno è «ciò che in se stesso è privo <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinzioni»<br />

(trad. Verra, p. 279).<br />

( 117 ) Sdl, p. 186. Cfr. WAHL, Commentaires, p. 103.<br />

( 118 ) Sdl, p. 168. Cfr. anche ivi, p. 169 e Enc., § 96: «l’essere per sé è imme<strong>di</strong>atezza»<br />

(trad. Verra, p. 279).


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

361<br />

terminazione, <strong>di</strong> negazione della negazione, benché tale movimento<br />

si superi nell’imme<strong>di</strong>atezza del medesimo Essere per sé ( 119 ).<br />

«L’essere per sé è così un essente per sé» ( 120 ); in altre parole, in<br />

quanto relazione del negativo a se stesso, l’Essere per sé non è soltanto<br />

imme<strong>di</strong>atezza in generale, ma, più specificamente, un essente<br />

per sé. Si ha qui un passaggio analogo a quello dell’Essere determinato<br />

nell’essente determinato o nel Qualcosa, ovvero un processo<br />

<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduazione che ha luogo me<strong>di</strong>ante l’unità negativa con sé,<br />

la negazione della negazione ( 121 ). Mentre, però, l’imme<strong>di</strong>atezza<br />

dell’essente per sé porta ancora le tracce della sua genesi — il movimento<br />

infinito dell’Essere per sé —, nell’uno questo «significato<br />

interno» (innere Bedeutung) ( 122 ) svanisce; l’Uno non conserva che il<br />

momento dell’assoluta autolimitazione dell’essente per sé. L’essente<br />

per sé non è ormai che l’Uno puro, nella sua puntualità e in<strong>di</strong>vidualità<br />

assoluta e in<strong>di</strong>fferenziata ( 123 ). Si potrebbe avvicinare ( 124 )<br />

questa concezione <strong>hegel</strong>iana dell’Uno all’Uno trascendentale della<br />

filosofia classica, la cui essenza consiste nell’essere in<strong>di</strong>visum in se (e<br />

nell’essere ‘misura prima’) ( 125 ).<br />

( 119 ) LÉONARD, p. 82. Cfr. anche NIKOLAUS, Begriff, p. 60.<br />

( 120 ) Sdl, p. 168.<br />

( 121 ) LÉONARD, p. 82. Cfr. anche NIKOLAUS, Begriff, p. 60.<br />

( 122 ) Sdl, p. 168.<br />

( 123 ) Ibid. Cfr. Enc., § 96: «l’essere per sé..., come relazione del negativo a se<br />

stesso, è un essente per sé, è l’uno» (trad. Verra, p. 279), e Léonard, p. 83. Ve<strong>di</strong><br />

anche LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 134 n. 50; BIARD, I, pp. 95 e 105; LAKEBRINK, I, p.<br />

135; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 118; NIKOLAUS, Begriff, pp. 59 s.; MASSOLO, Logica,<br />

pp. 31 s. e 35; VERRA, Letture, p. 154; WAHL, Commentaires, p. 122 (riferimento a<br />

Parmenide, Fichte e all’unità in<strong>di</strong>fferenziata <strong>di</strong> Schelling). Sull’unità fichtiana<br />

come esclusione della molteplicità (assolutezza) e su quella <strong>hegel</strong>iana come inclusione<br />

della molteplicità (totalità) cfr. i lavori <strong>di</strong> KAREN GLOY richiamati da VERRA,<br />

Letture, p. 147 n. 1 (ve<strong>di</strong> anche ivi, p. 161).<br />

( 124 ) Con VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 108 e 110. Ve<strong>di</strong> anche LÉONARD, p. 83.<br />

( 125 ) PLATONE, Resp., VI, 504 A 4 ss., 507 A 7 ss.; Pol., 284 A 1 ss.; ARISTOTELE,<br />

Metaph. X 1, 1052 B 1 ss. Cfr. REALE, Per una nuova interpretazione, pp. 336 ss., 343 s.,<br />

409 ss., 449 ss.


362 HEGEL E ARISTOTELE<br />

f) La contrad<strong>di</strong>ttorietà dell’Uno — Lo sviluppo successivo dell’Uno<br />

mostrerà, poi, la contrad<strong>di</strong>zione speculativa, <strong>di</strong> identità e opposizione,<br />

che caratterizza questa categoria ( 126 ). In realtà, i momenti<br />

costitutivi dell’Uno come essere per sé, ovvero da una parte la negazione,<br />

l’alterità, la <strong>di</strong>fferenza, la determinazione, e dall’altra parte<br />

la doppia negazione, la relazione a sé, l’autodeterminazione, si<br />

separano l’uno dall’altro, e cadono l’uno fuori dell’altro, spezzando<br />

così l’infinita me<strong>di</strong>azione dell’Essere per sé, e ciò a motivo dell’essere<br />

e dell’imme<strong>di</strong>atezza che connotano l’essente per sé. Ma, al<br />

tempo stesso, quei due momenti sono anche inseparabili, e, anzi,<br />

sono la stessa cosa; l’Uno esterno all’Uno è identico a questo ( 127 ).<br />

2. L’Uno e i molti — A questo punto, si potrebbe <strong>di</strong>re ( 128 ) che Hegel<br />

passa dall’Uno trascendentale all’uno categoriale, e precisamente<br />

all’uno che introduce alla categoria della quantità ( 129 ). Hegel ricorda<br />

che all’Uno si è arrivati attraverso i momenti dell’Essere per sé e<br />

dell’essere per uno; ora questi momenti sono <strong>di</strong>ventati <strong>degli</strong> essenti.<br />

L’Essere per sé, che era il momento della compiutezza in sé, <strong>di</strong>venta<br />

un essente, <strong>di</strong>venta l’Uno che si contrappone all’altro, che è<br />

esclusivamente uno, mentre l’essere per uno <strong>di</strong>venta un altro essente,<br />

un altro Uno ( 130 ).<br />

In questo processo, l’infinita autodeterminazione dell’Essere<br />

per sé è certamente conservata, ma, a motivo dell’imme<strong>di</strong>atezza<br />

( 126 ) Sdl, p. 169.<br />

( 127 ) Ibid. Cfr. LÉONARD, pp. 83 s., 86 s. Ve<strong>di</strong> anche LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p.<br />

133 n. 47, 134 n. 50: BIARD, I, pp. 104 s.; TAYLOR, Hegel, p. 246; MASSOLO, Logica, p. 31.<br />

( 128 ) Daccapo, con VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 107 s., 110.<br />

( 129 ) Sull’uno nel senso della quantità, che in<strong>di</strong>ca qualcosa <strong>di</strong> in<strong>di</strong>visibile<br />

nella quantità, cioe avente una determinata quantità, cfr. ARISTOTELE, Metaph., X<br />

2, 1053 B 24 ss., 1054 A 13 ss.; 1, 1052 B 15 s., e BERTI, Il problema, p. 192; L’uno, p.<br />

168.<br />

( 130 ) Sdl, p. 169. Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 110 s.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

363<br />

dell’Uno, ricade nella ‘realtà’ e nell’esteriorità ( 131 ). Nell’infinita autodeterminazione<br />

dell’Essere per sé, nella sua ‘idealità’ come totalità,<br />

si trovano uniti due momenti: la relazione ad altro (determinazione)<br />

e la relazione a sé (autodeterminazione, o ritorno a sé della<br />

determinazione). Nell’esclusione da sé, dall’Uno, <strong>di</strong> un altro uno,<br />

questi due aspetti non sono più i due momenti ideali <strong>di</strong> un unico<br />

movimento <strong>di</strong> autodeterminazione, ma ricadono nell’imme<strong>di</strong>atezza,<br />

sono posti come essenti. La negazione, la determinazione,<br />

l’alterità non è più interna all’Uno, non è più ‘in sé’, ma soltanto ‘in<br />

lui’: gli è <strong>di</strong>ventata esteriore ( 132 ).<br />

a) L’Uno in lui stesso — L’Uno considerato in lui stesso, prima (per<br />

così <strong>di</strong>re) della relazione con l’altro uno, semplicemente è ( 133 ). Non<br />

è un essere determinato, ossia una determinatezza come relazione<br />

ad altro, e neppure una <strong>di</strong>sposizione, ovvero una determinatezza<br />

come rapporto con qualcosa <strong>di</strong> esterno, giacché l’Uno ha negato<br />

o superato tutte le categorie della qualità e dell’Essere determinato<br />

( 134 ). Non c’è nulla al <strong>di</strong> fuori dell’Uno che da lui resti escluso o<br />

a lui sia opposto ( 135 ). L’Uno, quin<strong>di</strong>, non è più passibile <strong>di</strong> alcun<br />

‘<strong>di</strong>venire altro’, non può esser soggetto al processo infinito <strong>di</strong> alte-<br />

( 131 ) Cfr. VERRA, Letture, pp. 154 s.: «l’ulteriore sviluppo della nozione <strong>di</strong><br />

Eins... segna il completo capovolgimento del rapporto tra idealità e realtà (Realität)<br />

o, più precisamente, il fatto che l’idealità dell’essere per sé come totalità si rovescia<br />

anzitutto nella realtà e, appunto, nella forma più astratta e fissa <strong>di</strong> realtà che è<br />

l’Eins [Sdl, p. 163]».<br />

( 132 ) Sdl, pp. 169 s. (e 116). Cfr. anche Enc., §§ 96: «l’uno... escludente da sé<br />

l’altro» (trad. Verra, p. 279) e 97, e LÉONARD, p. 86. Ve<strong>di</strong> inoltre LABARRIÈRE-JARCZYK,<br />

I, 1, p. 133 n. 44; MASSOLO, Logica, pp. 33, 35 s.; HARRIS, An Interpretation, p. 116.<br />

( 133 ) Sdl, p. 170.<br />

( 134 ) Ibid., e pp. 122 (sulla ‘<strong>di</strong>sposizione’). Cfr. LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p.<br />

135 n. 54; HARRIS, An Interpretation, p. 116; VERRA, Letture, p. 155.<br />

( 135 ) Sdl, p. 170 e HARRIS, An Interpretation, p. 116.


364 HEGEL E ARISTOTELE<br />

razione; è immutabile e inalterabile, conserva sempre la sua identità,<br />

è solo se stesso ( 136 ).<br />

Derivato dal processo <strong>di</strong> superamento dell’alterità qualitativa,<br />

l’Uno, daccapo, viene definito da Hegel come ‘indeterminato’.<br />

Tale indeterminatezza non ci riconduce tuttavia al puro Essere dell’inizio.<br />

L’indeterminatezza <strong>di</strong> cui qui si parla è il prodotto del movimento<br />

<strong>di</strong> superamento e <strong>di</strong> riflessione dentro <strong>di</strong> sé della determinatezza<br />

( 137 ).<br />

Nell’Uno, come semplice imme<strong>di</strong>atezza, è svanita la me<strong>di</strong>azione<br />

dell’Essere determinato e dell’idealità, e quin<strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>versità<br />

e varietà ( 138 ); analogamente all’Essere puro l’Uno esclude da sé<br />

ogni molteplicità e <strong>di</strong>versità ( 139 ). L’unità della relazione a sé e della<br />

relazione all’altro è <strong>di</strong>ventata semplice relazione a sé; nell’Uno non<br />

c’è nulla, non c’è la relazione ad altro; l’Uno non ha nulla in sé ( 140 ).<br />

Piu precisamente: nell’Uno bisogna <strong>di</strong>stinguere tra l’astratta relazione<br />

a sé, tra il vuoto in cui ogni <strong>di</strong>fferenza è svanita, e il suo concreto<br />

esser dentro <strong>di</strong> sé. L’Uno così si rapporta a se stesso come al<br />

vuoto. Non c’è più l’opposizione <strong>di</strong> un Qualcosa a un altro Qualcosa,<br />

ma il vuoto è ‘posto’ dall’Uno (come ‘esser in sé’), è una sua qualità<br />

o un suo momento ( 141 ).<br />

( 136 ) Sdl, p. 170. Cfr. FLEISCHMANN, La logica, p. 68; VANNI ROVIGHI, La Scienza,<br />

p. 111; DOZ, La logique, p. 70; RADEMAKER, p. 60; VERRA, Letture, p. 155.<br />

( 137 ) Sdl, p. 170. Cfr. BIARD, I, pp. 105 s.; inoltre VERRA, Letture, p. 155: «l’indeterminatezza<br />

dell’Eins è... relazione a sé, negazione che si riferisce a sé avendo<br />

in sé la <strong>di</strong>stinzione, tendenza ad andare da sé verso altro; ma tale tendenza inverte<br />

imme<strong>di</strong>atamente la propria <strong>di</strong>rezione poiché nell’Eins non c’è ‘altro’ verso cui andare<br />

[Sdl, p. 170]».<br />

( 138 ) Sdl, p. 170. Cfr. VERRA, Letture, p. 155.<br />

( 139 ) VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 111.<br />

( 140 ) Sdl, p. 170. Cfr. JOHNSON, The Critique, p. 29.<br />

( 141 ) Sdl, p. 170. Cfr. HARRIS, An Interpretation, p. 116; LABARRIÈRE-JARCZYK, I,<br />

1, p. 135 n. 56; BIARD, I, p. 106; inoltre MASSOLO, Logica, p. 36; MCTAGGART, A<br />

Commentary, p. 38; VERRA, Letture, p. 155: nell’uno «non c’è ‘nulla’; ma si tratta qui<br />

<strong>di</strong> un nulla che, a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quello correlativo all’essere, è un nulla che è posto,


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

365<br />

b) L’Uno e il vuoto — La <strong>di</strong>alettica dell’Uno e del vuoto costituisce<br />

un processo <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziazione e <strong>di</strong> esteriorizzazione a sé dell’unità<br />

iniziale, me<strong>di</strong>ante il quale l’Essere per sé si pone come un esserci<br />

( 142 ). Sviluppandosi, però, nella forma della ‘totalità riflessa’,<br />

caratteristica del presente momento logico, questo processo non ci<br />

riconduce alla <strong>di</strong>alettica dell’Essere determinato. Hegel afferma, infatti,<br />

che «l’Uno e il vuoto hanno per loro comune, semplice terreno<br />

la negativa relazione a sé» ( 143 ). In altre parole, essi si situano<br />

nell’elemento della negatività, che si è esplicitato come negazione<br />

della negazione. Sennonché questa negatività si presenta dapprima<br />

nella determinazione dell’essere, cosicché ciascuno dei suoi momenti<br />

si cristallizza nella forma <strong>di</strong> un essente ( 144 ). Come, dunque,<br />

l’Essere si oppone al Nulla, così l’Uno si oppone al vuoto; mentre,<br />

però, l’Essere iniziale s’identifica col suo opposto nel Divenire, qui<br />

il nulla (il vuoto) resta fuori dell’essere (l’Uno) ( 145 ).<br />

che è risultato <strong>di</strong> una complessa me<strong>di</strong>azione; tale nulla è il vuoto, e, come tale,<br />

costituisce la qualità dell’Eins nella sua imme<strong>di</strong>atezza [Sdl, p. 170]». Ve<strong>di</strong> anche<br />

Enc., § 98 n.: «il vuoto... è la repulsione stessa» (trad. Verra, p. 282) e LÉONARD,<br />

p. 91: per Hegel, «il vuoto non è altro che la repulsione stessa dell’Uno, cioè la sua<br />

relazione negativa a sé, la sua auto<strong>di</strong>fferenziazione. Esso è dunque l’energia negativa<br />

che si trova nell’Uno e me<strong>di</strong>ante cui lo respinge da sé».<br />

( 142 ) Sdl, p. 171. Cfr. BIARD, I, p. 106.<br />

( 143 ) Sdl, p. 171. Cfr. BIARD, I, p. 107.<br />

( 144 ) Sdl, p. 171. Cfr. BIARD, I, p. 107.<br />

( 145 ) Sdl, p. 171. Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, p. 111; inoltre MASSOLO, Logica,<br />

p. 36; FINDLAY, Hegel, p. 173 (per i Pitagorici, il vuoto separa gli uno materiali;<br />

ma sulle ragioni della collocazione <strong>hegel</strong>iana della problematica dell’Uno e dei<br />

molti nell’ambito dell’atomismo e non del pitagorismo cfr. HEGEL, JA, XVII, pp.<br />

260, 296; Lez. st. filos., I, pp. 235 s., 263; Enc., § 104 agg. 3, e VERRA, Letture, p. 156);<br />

VERRA, Letture, p. 155: «in quanto il nulla è qui il vuoto come relazione astratta a se<br />

stesso [Sdl, p. 170], da un lato il vuoto è posto come <strong>di</strong>verso ed esterno rispetto al<br />

carattere affermativo dell’Eins, ma dall’altro, tra Eins e vuoto c’è una relazione negativa<br />

reciproca che si svolge su un terreno comune. In tal modo i momenti<br />

costitutivi dell’essere per sé escono dalla loro unità e si pongono come esterni<br />

l’uno all’altro, il primo come essere determinato in senso affermativo (das Eins), il<br />

secondo come essere determinato in senso negativo (il vuoto) [Sdl, p. 171]. La comune<br />

matrice <strong>di</strong> tale contrapposizione è poi quello che ne consente il superamen-


366 HEGEL E ARISTOTELE<br />

c) La concezione atomistica della natura. L’atomismo politico — La categoria<br />

dell’Uno, nella forma dell’esserci che ha acquistato nello sviluppo<br />

logico, corrisponde alla filosofia atomistica <strong>di</strong> Leucippo e<br />

Democrito, secondo i quali l’essenza delle cose sono l’atomo e il<br />

vuoto: «to àtomon oppure ta àtoma kai to kenòn» ( 146 ). Il principio atomistico<br />

ha una maggiore determinatezza rispetto all’Essere astratto<br />

<strong>di</strong> Parmenide e anche al Divenire <strong>di</strong> Eraclito ( 147 ) . Esso costituisce<br />

un avanzamento nell’elevazione e purificazione del pensiero (in<br />

quanto l’infinita molteplicità del reale viene ricondotta alla semplice<br />

opposizione <strong>degli</strong> atomi e del vuoto) e nell’autodeterminazione<br />

del pensiero stesso (giacché il pensiero coglie le categorie dell’Uno<br />

e del vuoto come proprie specificazioni) ( 148 ).<br />

Tuttavia, secondo Hegel, l’atomismo fisico può prestare il<br />

fianco a due obiezioni. In primo luogo, la coppia atomo-vuoto può<br />

to e consente pure <strong>di</strong> vedere come la nozione <strong>di</strong> Vieles non sopravvenga né si contrapponga<br />

affatto dall’esterno a quella <strong>di</strong> Eins, ma ne scaturisca <strong>di</strong>aletticamente<br />

dall’interno».<br />

( 146 ) Sdl, p.171. Ve<strong>di</strong> DEMOCRITO, DK 68 B 9, B 125, A 1, A 49; LEUCIPPO, DK<br />

67 A 15, A 32, e HEGEL, Enc., § 98 n.: «la filosofia atomistica costituisce questo punto<br />

<strong>di</strong> vista, dove l’assoluto [= il fondamento assoluto <strong>di</strong> tutto; cfr. NIKOLAUS, Begriff,<br />

p. 61] si determina come essere per sé, come ‘uno’ e come molti ‘uno’», e agg. 1: «la<br />

filosofia atomistica costituisce un momento essenziale nello sviluppo storico dell’idea,<br />

e il principio <strong>di</strong> questa filosofia in generale è l’essere per sé nella figura del<br />

molteplice» (trad. Verra, pp. 282 s.); Lez. st. filos., I, pp. 332: l’atomo e il vuoto, per<br />

Leucippo e Democrito, «costituiscono l’assoluto, ciò che è in sé e per sé» (cfr. anche<br />

HEGEL, JA, XVII, p. 383); 331: Leucippo come iniziatore del sistema atomistico.<br />

Cfr. VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 107 s.; BIARD, I, p. 107; LAKEBRINK, I, p. 138;<br />

DÜSING, Hegel, p. 53. Ma ve<strong>di</strong> anche JOHNSON, The Critique, pp. 30 s.: i principi<br />

dell’atomismo non sono l’atomo e il vuoto, ma piuttosto gli atomi e il vuoto, ossia<br />

non già l’Uno, ma i molti uno. Un cenno sulla posizione <strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> fronte alla<br />

proposta atomistica, dalla Dissertatio del 1801, alla logica jenese (cfr. LMJ, pp. 12<br />

ss.) e alla Scienza della logica, in MORETTO, Hegel, p. 101 n. ss.<br />

( 147 ) Sdl, p. 171. Cfr. anche HEGEL, JA, XVII, p. 383, e Lez. st. filos., I, p. 333;<br />

VASA, La deduzione, p. 678; inoltre VERRA, Letture, pp. 156 s.<br />

( 148 ) Sdl, p. 171. Cfr. anche Enc., § 98 agg. 1: «l’atomo... è una nozione <strong>di</strong><br />

pensiero (Gedanke)» (trad. Verra, p. 283); Lez. st. filos., I, pp. 334 s.; inoltre BIARD,<br />

I, p. 107; VERRA, Letture, pp. 155 s.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

367<br />

restare nell’orbita della rappresentazione, ed è questo che ha fatto<br />

la fortuna dell’atomismo. Il pensiero atomistico rimane al <strong>di</strong> qua<br />

della coppia puramente speculativa Uno/vuoto, nella misura in<br />

cui si rappresenta la relazione tra atomo e vuoto in modo oggettivante<br />

e spazializzante: «qui gli atomi e lì accanto il vuoto» ( 149 ). In<br />

secondo luogo, la costituzione del reale a partire dall’atomo e dal<br />

vuoto può avere l’aspetto <strong>di</strong> una ‘composizione’ estrinseca. Non cogliendo<br />

nell’Essere per sé che l’Uno fisso su <strong>di</strong> sé, che si pone come<br />

escludente l’alterità, la rappresentazione non può concepire la determinazione<br />

dell’Uno che sotto la forma <strong>di</strong> una relazione estrinseca<br />

( 150 ).<br />

L’atomismo, specialmente quello antico, ha però dato, secondo<br />

Hegel, alla storia del pensiero un apporto speculativo essenziale.<br />

Esso consiste nel fatto <strong>di</strong> aver posto il vuoto non già come qualcosa<br />

<strong>di</strong> estrinseco e <strong>di</strong> contrapposto agli atomi, ma come la fonte, il<br />

principio (arché) e il fondamento (Grund) del movimento ( 151 ). Parlare<br />

qui <strong>di</strong> fondamento, e non solo <strong>di</strong> presupposto o con<strong>di</strong>zione del<br />

movimento significa che, mentre per la rappresentazione il vuoto e<br />

il movimento sono delle entità date, esteriori l’una all’altra, cosicché<br />

il movimento è una determinazione delle cose (le cose semplice-<br />

( 149 ) Sdl, p. 171. Cfr. anche Enc., § 98 n.: «il vuoto che viene assunto come<br />

l’altro principio rispetto all’atomo, è la repulsione stessa rappresentata come il<br />

nulla essente tra gli atomi» (trad. Verra, p. 282); Lez. st. filos., I, pp. 336 s.; inoltre<br />

BIARD, I, p. 108.<br />

( 150 ) Sdl, pp. 171 s. Cfr. anche Enc., § 98 n.: «in quanto l’uno è fissato come<br />

uno, certamente il suo con-venire con altri dev’essere considerato come qualcosa<br />

<strong>di</strong> completamente estrinseco» (trad. Verra, p. 282); Lez. st. filos., I, 336 s.; inoltre<br />

BIARD, I, p. 108.<br />

( 151 ) Sdl, p. 172. Ve<strong>di</strong> DEMOCRITO, DK 68 A 58, A 43; LEUCIPPO, DK 67 A 16, A<br />

7, A 1, A 14, e HEGEL, Lez. st. filos., I, p. 336; VERRA, Letture, p. 156. Tuttavia, secondo<br />

Aristotele (Metaph., I 4, 985 B 4 ss.), il vuoto (e l’atomo), per Leucippo e<br />

Democrito (cfr. LEUCIPPO, DK 67 A 6), era la causa materiale, e non finale o efficiente,<br />

delle cose. Cfr. anche JOHNSON, The Critique, p. 30 (sulla sopravvalutazione, da<br />

parte <strong>di</strong> Hegel, <strong>degli</strong> Atomisti); BERTI, La critica <strong>di</strong> Aristotele, p. 145 (sulla<br />

confutazione metafisica compiuta da Aristotele della teoria atomistica del vuoto).


368 HEGEL E ARISTOTELE<br />

mente si muovono nel vuoto), per il pensiero speculativo il vuoto,<br />

coincidente col negativo, è il fondamento del <strong>di</strong>venire ( 152 ). Il vuoto<br />

non va abbassato al rango <strong>di</strong> un nulla imme<strong>di</strong>ato o essente situato<br />

tra gli atomi, ma è la relazione negativa dell’Uno a se stesso, ossia,<br />

per così <strong>di</strong>re, l’energia negativa che si trova nell’Uno e che lo respinge<br />

da sé, originando così un altro Uno ( 153 ).<br />

Hegel denuncia, poi, l’arbitrarietà ed esteriorità <strong>degli</strong> ulteriori<br />

caratteri attribuiti dagli antichi agli atomi: figura, posizione e <strong>di</strong>rezione<br />

del movimento ( 154 ). Implicitamente egli critica la tendenza a<br />

spiegare i mutamenti della natura me<strong>di</strong>ante semplici spostamenti <strong>di</strong><br />

corpuscoli in se stessi immobili, tendenza proveniente dall’incapacità<br />

<strong>di</strong> concepire una vera e propria trasformazione sostanziale ( 155 ).<br />

Hegel, anzi, si pronuncia contro la tendenza ‘non concettuale’ della<br />

fisica moderna a sud<strong>di</strong>videre gli enti naturali in molecole ( 156 ). Per<br />

( 152 ) Sdl, p. 172. Cfr. anche Fen., I, p. 29.<br />

( 153 ) Sdl, p. 172. Cfr. anche HEGEL, GW, XII, p. 93; Enc., § 98 n. (ve<strong>di</strong> sopra n.<br />

149); inoltre VERRA, Letture, p. 156; LÉONARD, p. 91 (ve<strong>di</strong> sopra n. 141); LAKEBRINK, I,<br />

p. 139; HARTMANN, La filosofia, p. 429 («il principio del negativo, dal quale risulta<br />

l’affermativo»); DOZ, La logique, p. 70 (la negatività repulsiva dell’Uno);<br />

FLEISCHMANN, La logica, p. 68 («l’uno produce da se stesso il molteplice, proprio per<br />

poter restare uno»); TAYLOR, Hegel, p. 246. Il concetto <strong>di</strong> vuoto come principio del<br />

movimento è speculativamente significativo, ma ancora troppo semplice. Come<br />

subito si vedrà, Hegel, per descrivere il rapporto genetico, processuale tra l’Uno e<br />

i molti, il ‘frantumarsi’ o articolarsi dell’Uno nei molti, ricorre alle nozioni più<br />

complesse <strong>di</strong> repulsione e attrazione. Cfr. VERRA, Letture, p. 149.<br />

( 154 ) Sdl, p. 172. Cfr. Lez. st. filos., I, pp. 339 s.; inoltre VERRA, Letture, p. 156:<br />

per Hegel, «vanno considerate come arbitrarie ed estrinseche altre posizioni<br />

dell’atomismo antico come quelle volte a spiegare il movimento e la natura dei<br />

corpi con la figura, la posizione e la <strong>di</strong>rezione <strong>degli</strong> atomi, ossia con determinazioni<br />

che si trovano in <strong>di</strong>retta contrapposizione alla determinazione fondamentale<br />

dell’atomo», l’uno (cfr. Sdl, p. 172).<br />

( 155 ) Cfr. Enc., § 282 agg. e GRÉGOIRE, Etudes, p. 84 n. 2; LAKEBRINK, I, p. 139;<br />

GIACON, Le gran<strong>di</strong> tesi, p. 39.<br />

( 156 ) Sdl, pp. 172 s. Cfr. anche Enc., § 98 n.: «la concezione atomistica moderna<br />

— e la fisica conserva ancor sempre questo principio — ha rinunciato agli<br />

atomi in quanto si attiene alle piccole particelle, alle molecole; in tal modo si è av-


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

369<br />

<strong>di</strong> più, egli respinge l’atomismo politico e l’origine contrattualistica<br />

dello Stato teorizzati da Hobbes e Rousseau, che prendono «per<br />

punto <strong>di</strong> partenza il singolo volere <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>vidui» ( 157 ). Per Hegel<br />

lo Stato, come fine ultimo e universale concreto, s’impone moralmente<br />

al volere umano ( 158 ).<br />

d) I molti uno e la repulsione. Ancora sulla natura contrad<strong>di</strong>ttoria dell’Uno<br />

— Ci si presenta ora il momento della repulsione, cioè del<br />

prodursi della molteplicità a partire dall’Uno. Il rapporto negativo<br />

a sé dell’Uno si esplicita come rapporto escludente; è il momento<br />

più propriamente negativo della <strong>di</strong>alettica dell’Uno: il momento<br />

della scissione e della <strong>di</strong>fferenziazione ( 159 ).<br />

Ciascuno dei momenti dell’Essere per sé (l’Uno e il vuoto) ha<br />

per sua determinazione la negazione: «l’uno è la negazione nella<br />

determinazione dell’essere, il vuoto la negazione nella determinazione<br />

del non essere» ( 160 ). Come totalità o unità negativa, l’Uno è<br />

esso stesso ciò che è l’altro (il vuoto), è l’‘idealità’ dell’altro; nell’altro,<br />

si riferisce soltanto a sé. Tuttavia, in quanto l’Uno è essente per<br />

vicinata al quadro della rappresentazione sensibile, ma ha abbandonato la determinazione<br />

<strong>di</strong> pensiero» (trad. Verra, p. 282). Ma ve<strong>di</strong> LAKEBRINK, I, p. 139, sulla<br />

matematizzazione della fisica moderna, e inoltre K.F. BLOCH, Die Atomistik bei<br />

Hegel und <strong>di</strong>e Atomtheorie der Physik, Kastellaun 1979, cit. da VERRA, Letture, p. 157<br />

n. 17.<br />

( 157 ) Sdl, p. 173. Cfr. anche Enc., § 98 n.: «la concezione atomistica nei tempi<br />

più recenti è <strong>di</strong>venuta ancor più importante in campo politico che in quello della<br />

fisica. Secondo tale concezione, la volontà dei singoli come tali è il principio dello<br />

Stato; il fattore <strong>di</strong> attrazione e la particolarità dei bisogni, delle inclinazioni, e<br />

l’universale, lo Stato, è il rapporto esterno del contratto» (trad. VERRA, p. 283).<br />

( 158 ) Enc., § 535; Lin. filos. <strong>di</strong>r., §§ 75 e 258 n. Cfr. GRÉGOIRE, Etudes, pp. 280 s.;<br />

inoltre LAKEBRINK, I, p. 140; LÉONARD, p. 91; BOURGEOIS, in HEGEL, Enc., I, p. 362 n. 9;<br />

RADEMAKER, p. 61; HARTMANN, La filosofia, p. 429; FLEISCHMANN, La logica, pp. 69 s.<br />

( 159 ) BIARD, I, pp. 108 s.<br />

( 160 ) Sdl, p. 173.


370 HEGEL E ARISTOTELE<br />

sé ed è imme<strong>di</strong>ato, la sua relazione negativa a sé è relazione a un<br />

essente, a un esserci, a un ‘altro’. Sennonché quest’altro è lui stesso,<br />

è un Essere per sé, un uno. Infatti, la relazione dell’Uno a sé come a<br />

un altro è una relazione a se stesso. L’altro dall’Uno non può essere<br />

un altro Qualcosa che si <strong>di</strong>stingua dal primo per una determinazione<br />

qualitativa. In realtà, l’altro, che è altrettanto essenzialmente relazione<br />

a se stesso, «non è la negazione indeterminata, come vuoto,<br />

ma è ugualmente un uno». Dunque «l’uno è... un <strong>di</strong>venire molti<br />

uno» ( 161 ).<br />

Hegel spiega che il prodursi dei molti uno, o del molteplice<br />

(un’espressione che non deve ancora far pensare al numero<br />

quantitativo, ma piuttosto alla molteplicità indeterminata, a ta pollà<br />

<strong>degli</strong> antichi) ( 162 ), non è, propriamente, un ‘<strong>di</strong>venire’. Infatti, mentre<br />

il Divenire è il passaggio dell’Essere nel suo contrario (il Nulla),<br />

invece nella repulsione da sé dell’Uno, l’Uno, ponendo i molti, <strong>di</strong>viene<br />

soltanto Uno; come rapporto infinito a sé, l’Uno non <strong>di</strong>viene<br />

che se stesso, e quin<strong>di</strong> non <strong>di</strong>viene affatto ( 163 ).<br />

Hegel però <strong>di</strong>stingue una prima repulsione, la repulsione secondo<br />

il concetto (‘in sé’ o intrinseca), ovvero l’autorepulsione dell’Uno<br />

che genera o pone i molti, i quali sono essi stessi <strong>degli</strong> uno,<br />

dalla seconda repulsione, la repulsione secondo la rappresentazione<br />

della riflessione esterna ( 164 ). La relazione negativa a sé dell’Uno,<br />

( 161 ) Ibid. Ve<strong>di</strong> anche Enc., § 97 e agg.; inoltre BIARD, I, pp. 109 s.; NIKOLAUS,<br />

Begriff, pp. 60 s.; LÉONARD, p. 85, ed anche LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 138 n. 77;<br />

MCTAGGART, A Commentary, pp. 38 s.; MASSOLO, Logica, p. 37; VERRA, Letture, p.<br />

158: dalla «<strong>di</strong>alettica tra l’Eins e il vuoto... risulta come la repulsione dell’Eins da<br />

se stesso non sia altro che l’esplicitazione <strong>di</strong> quello che è l’Eins in sé [Sdl, p.<br />

175]».<br />

( 162 ) LÉONARD, pp. 85. Cfr., ad es., ARISTOTELE, Metaph., V 6, 1017 A 3 ss.; X<br />

6, 1056 B 3 ss. e BERTI, L’uno, pp. 165 s., 171 s.<br />

( 163 ) Sdl, pp. 173 s. Cfr. Enc., § 97; inoltre LÉONARD, p. 86 n. 4; LABARRIÈRE-<br />

JARCZYK, I, 1, p. 138 n. 77; BIARD, I, pp. 109 s.; MCTAGGART, A Commentary, p. 39;<br />

MASSOLO, Logica, p. 37; VERRA, Letture, p. 159.<br />

( 164 ) Sdl, p. 174.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

371<br />

ossia la sua repulsione (prima), è la posizione <strong>di</strong> un altro lui stesso,<br />

<strong>di</strong> un altro uno, il quale ne pone a sua volta un altro, e così via ( 165 ).<br />

Invece la seconda (estrinseca) repulsione, la repulsione reciproca, si<br />

ha tra i molti uno in quanto essenti imme<strong>di</strong>ati o entità date. Si tratta<br />

<strong>degli</strong> uno presupposti gli uni agli altri, assolutamente chiusi in<br />

se stessi, senza che in essi si affermi in alcun modo la relazione ad<br />

altro ( 166 ).<br />

( 165 ) LÉONARD, p. 85.<br />

( 166 ) Sdl, p. 174. Cfr. LÉONARD, p. 87; BIARD, I, p. 110; MASSOLO, Logica, p. 38<br />

(la negazione «entificata in sé»). Si legga l’intero § 97 dell’Enciclope<strong>di</strong>a (trad.<br />

Verra, p. 281), con le spiegazioni <strong>di</strong> LÉONARD, pp. 84 ss.: l’Essere per sé, come «relazione<br />

del negativo a sé» [relazione a sé = imme<strong>di</strong>atezza; relazione del negativo<br />

a sé = imme<strong>di</strong>atezza dell’Uno esclusivo o escludente l’altro], «è una relazione negativa»<br />

a sé [= separazione, autoesclusione; cfr. anche Sdl, p. 948], «e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>stinzione<br />

dell’uno da se stesso [= auto<strong>di</strong>fferenziazione negativa dell’Uno], la repulsione<br />

[immagine ricavata dalla fisica del tempo!] dell’uno [l’Uno imme<strong>di</strong>ato<br />

si rapporta negativamente a sé respingendosi da sé (cfr. Sdl, p. 174), uscendo<br />

fuori <strong>di</strong> sé, (ibid.)], ossia il porre [non il <strong>di</strong>venire <strong>di</strong>!] molti uno [ve<strong>di</strong>, nel testo, il<br />

passo che precede il rinvio alla n. 165]. Secondo l’imme<strong>di</strong>atezza dell’essente per<br />

sé [= dell’uno] questi molti sono essenti, e la repulsione <strong>degli</strong> uno essenti <strong>di</strong>venta<br />

in tal modo la loro repulsione reciproca come entità date o esclusione reciproca<br />

[= <strong>di</strong>scontinuità assoluta]». Si legga anche l’aggiunta al medesimo § 97 (trad.<br />

Verra, p. 281): «quando si parla dell’uno, viene usualmente da pensare anzitutto<br />

ai molti, e sorge allora la questione <strong>di</strong> dove vengano. A livello <strong>di</strong> rappresentazione<br />

tale questione non trova risposta, perché la rappresentazione considera i<br />

molti come imme<strong>di</strong>atamente presenti, e l’uno unicamente come uno tra i molti;<br />

ma secondo il concetto invece l’uno costituisce il presupposto dei molti e la nozione<br />

dell’uno implica il suo porsi come molteplice. In altri termini, l’uno essente<br />

per sé, come tale, non è qualcosa <strong>di</strong> irrelato come l’essere, ma è relazione, proprio<br />

come lo è l’essere determinato; ma l’uno non si riferisce come qualcosa a un<br />

altro, bensì come unità del qualcosa e dell’altro, è relazione a se stesso, e, precisamente,<br />

questa relazione è relazione negativa. L’uno si mostra così come ciò che<br />

è assolutamente incompatibile con se stesso, come ciò che respinge sé da se stesso,<br />

ponendosi precisamente come il molteplice [cfr. BIARD, I, p. 110: l’Uno non<br />

passa nella molteplicità, ma è in se stesso molteplice]. Possiamo chiamare questa<br />

parte del processo dell’essere per sé con l’espressione figurata <strong>di</strong> repulsione... Del<br />

resto non si deve intendere il processo <strong>di</strong> repulsione come se l’unità fosse ciò che<br />

respinge e il molteplice ciò che viene respinto; piuttosto l’unità, come prima abbiamo<br />

osservato, consiste proprio soltanto nell’escludere sé da se stessa, e nel<br />

porsi come molteplice».


372 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Resta, però, da vedere in che modo la prima repulsione si determini<br />

a repulsione seconda ( 167 ). Ora, noi sappiamo anzitutto che<br />

il ‘porre’ (Setzen) e l’‘esser posto’ (Gesetzsein) sono propriamente categorie<br />

dell’Essenza, e non dell’Essere. Se, dunque, i molti uno portassero<br />

esplicitamente la traccia della loro posizione da parte dell’Uno,<br />

apparterrebbero alla sfera dell’Essenza. Hegel, dunque, afferma<br />

che, nella misura in cui gli uno sono essenti, «il <strong>di</strong>venir molti,<br />

o il prodursi dei molti, svanisce imme<strong>di</strong>atamente come venir posto»,<br />

ovvero questo esser-posto svanisce nella sua stessa posizione<br />

e, per così <strong>di</strong>re, si cancella nell’imme<strong>di</strong>atezza della presupposizione<br />

( 168 ). Così i molti uno sono posti, «me<strong>di</strong>ante la repulsione dell’uno<br />

da se stesso», e tuttavia, in quanto sono essenti imme<strong>di</strong>ati, «sono<br />

posti come non posti», ovvero sono presupposti gli uni agli altri,<br />

senz’alcuna relazione ad altro e senz’alcuna <strong>di</strong>fferenza tra loro ( 169 ).<br />

In questo modo la molteplicità <strong>degli</strong> uno, in quanto ciascuno è<br />

pura relazione a sé, non è un’alterità, ma completa esteriorità reciproca;<br />

al limite che, al tempo stesso, congiungeva e separava il<br />

Qualcosa e l’Altro, cosicché ciascuno aveva in sé un essere-per-altro,<br />

si sostituisce qui il vuoto, una relazione tra i molti «che non è<br />

una relazione» ( 170 ). L’unilateralità <strong>di</strong> questo momento della repulsione<br />

si manifesta qui nella maniera più esplicita ( 171 ).<br />

Infine Hegel mostra la natura speculativamente contrad<strong>di</strong>ttoria<br />

dell’infinità e dell’Uno, nel prodursi dei molti. L’autorepulsione<br />

dell’Uno, o la posizione dei molti, e l’‘esplicazione’ o il <strong>di</strong>spiegarsi,<br />

al livello dell’imme<strong>di</strong>atezza e dell’esteriorità, <strong>di</strong> ciò che l’Uno è in<br />

( 167 ) Sdl, p. 174.<br />

( 168 ) Ibid. e LÉONARD, p. 87 n. 8.<br />

( 169 ) Ibid. e LÉONARD, p. 87. Cfr. anche WAHL, Commentaires, p. 110;<br />

MASSOLO, Logica, pp. 38 ss.; NIKOLAUS, Begriff, p. 61.<br />

( 170 ) Sdl, pp. 174 s. Cfr. anche BIARD, I, pp. 110 s.; MCTAGGART, A<br />

Commentary, p. 39.<br />

( 171 ) BIARD, I, p. 111.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

373<br />

sé ( 172 ). Nella sua esteriorizzazione sotto forma <strong>di</strong> molti, l’Uno supera<br />

quest’alterità e non si rapporta che a sé, e tuttavia lascia fuori<br />

<strong>di</strong> sé i molti come un non-essere esterno. Pertanto il prodursi della<br />

molteplicità da parte dell’Uno definisce quest’ultimo come una<br />

processualità in se stessa ‘contrad<strong>di</strong>ttoria’, ‘neutrale’, per così <strong>di</strong>re,<br />

rispetto ai suoi due lati: l’Uno si costituisce come uguale o identico a<br />

se stesso nella sua esteriorizzazione o auto<strong>di</strong>fferenziazione. In questa<br />

fase i molti non si sono ancora posti nella determinazione dell’Uno,<br />

cioè come quella totalità infinita che l’Uno è per sé ( 173 ).<br />

e) Ancora sull’idealismo leibniziano e l’atomismo — Nella nota seguente<br />

Hegel denuncia ancora una volta, in rapporto alla trattazione<br />

speculativa del problema dell’Uno e del molteplice, le insufficienze<br />

della filosofia <strong>di</strong> Leibniz e del pensiero atomistico ( 174 ).<br />

A Leibniz Hegel rivolge due obiezioni. In primo luogo<br />

Leibniz si è attenuto unicamente al momento della repulsione o<br />

della posizione dei molti uno nella loro in<strong>di</strong>fferenza reciproca. Ciascuna<br />

monade è uguale a sé e chiusa in se stessa, ‘ideale’ in quanto<br />

sottratta a ogni rapporto con l’altro: «la monade è per sé l’intero<br />

mondo compiuto; nessuna ha bisogno delle altre» ( 175 ). Ora, in<br />

quanto la varietà (Mannigfaltigkeit) non è in essa ideale se non nel<br />

senso che è puramente interna (innen), questa idealità non appare<br />

come il suo proprio processo e, viceversa, l’uguaglianza a sé della<br />

( 172 ) Sdl, p. 175. Cfr. LÉONARD, p. 86; VERRA, Letture, p. 159.<br />

( 173 ) Sdl, p. 175. Cfr. BIARD, I, p. 109 e n. 31; 111; inoltre MASSOLO, Logica,<br />

p. 41; VERRA, Letture, p. 160: «la molteplicità <strong>degli</strong> Eins è l’infinità come prodursi<br />

della contrad<strong>di</strong>zione, una contrad<strong>di</strong>zione che sarà superata nella terza ed ultima<br />

sezione [Sdl, pp. 176 ss.], mostrando come in repulsione ed attrazione si determini<br />

ulteriormente la <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong> Eins und Vieles in modo da superarne gli<br />

aspetti qualitativi e portare alla unità in<strong>di</strong>fferente, quantitativa».<br />

( 174 ) Sdl, pp. 175 s. Cfr. BIARD, I, p. 111.<br />

( 175 ) Sdl, pp. 175 s. Cfr. LEIBNIZ, Monad., §§ 7-9; FAGGIOTTO, Il problema, II,<br />

pp. 32 s., e sopra n. 107.


374 HEGEL E ARISTOTELE<br />

monade non è il prodotto del processo <strong>di</strong> superamento dell’alterità<br />

( 176 ). In secondo luogo, Leibniz si trova nell’impossibilità <strong>di</strong> dar<br />

conto della molteplicità e <strong>di</strong> spiegare perché la posizione <strong>di</strong> una<br />

monade implica la posizione <strong>di</strong> una molteplicità <strong>di</strong> altre. Così<br />

Leibniz ammette come un fatto la molteplicità già data, ma non<br />

comprende che essa, per essere intelligibile e fondata, presuppone<br />

la posizione dell’Uno (o della monade), in quanto la molteplicità è<br />

conseguenza dell’infinito respingersi dell’Uno da se stesso. In altre<br />

parole, Leibniz non coglie la molteplicità che come pura esteriorità,<br />

senza comprendere quest’ultima come il risultato <strong>di</strong> un processo <strong>di</strong><br />

esteriorizzazione dell’Uno, processo che è altrettanto il suo rapporto<br />

infinito a se stesso ( 177 ).<br />

Per quanto riguarda l’atomismo, Hegel è <strong>di</strong>sposto a riconoscere<br />

che il principio dell’Uno o dell’atomo è del tutto ideale (ideell),<br />

appartiene interamente al pensiero, e che la filosofia <strong>di</strong> Leucippo<br />

non è affatto empiristica, ma è ‘idealismo’ in senso superiore, non<br />

in quello soggettivo, ossia nel senso che, per Leucippo, la vera essenza<br />

delle cose è il pensiero ( 178 ). Cionon<strong>di</strong>meno Hegel afferma<br />

che «l’atomistica non ha il concetto dell’idealità» ( 179 ), ossia non coglie<br />

l’Essere per sé nella sua verità ultima, cioè la sua idealità vera e<br />

propria. Quello che, anche in questo caso, manca è il carattere processuale<br />

dell’Essere per sé, ovvero il fatto che esso si pone come<br />

identità dei suoi momenti costitutivi, l’essere per sé e l’essere per<br />

lui. Tuttavia l’atomismo — ed è qui che si ha un progresso speculativo<br />

rispetto a Leibniz — «oltrepassa la molteplicità puramente in<strong>di</strong>fferente»<br />

( 180 ); esso s’innalza all’idea <strong>di</strong> un rapporto reciproco dei<br />

( 176 ) Sdl, pp. 175 s. Cfr. BIARD, I, pp. 111 s.<br />

( 177 ) Sdl, p. 176. Cfr. BIARD, I, p. 112; inoltre LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, pp.<br />

140 s. nn. 87-88.<br />

( 178 ) Cfr. HEGEL, JA, XVII, pp. 385 s.; Lez. st. filos., I, pp. 334 s.; inoltre<br />

VERRA, Letture, p. 157.<br />

( 179 ) Sdl, p. 176.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

375<br />

molti (benché in maniera incoerente rispetto alla dottrina, cioè col<br />

ricorso a qualcosa <strong>di</strong> esteriore, come il caso o il clinamen) ( 181 ), ossia<br />

all’idea <strong>di</strong> una determinazione della molteplicità come processo<br />

proprio dell’unità, rapporto che, in Leibniz, è posto soltanto in una<br />

riflessione esterna: quella della Monade delle mona<strong>di</strong> (Dio) o quella<br />

del filosofo ( 182 ).<br />

La critica a Leibniz e all’atomismo mostra, dunque, l’unilateralità<br />

del momento della repulsione e la necessità <strong>di</strong> coglierne ora il<br />

processo nella sua reciprocità <strong>di</strong>alettica con l’attrazione ( 183 ).<br />

3. Repulsione e attrazione<br />

a) L’escludere dell’Uno — Nella terza ed ultima sezione dell’Essere<br />

per sé Hegel mostra come la <strong>di</strong>alettica dell’Uno e dei molti superi<br />

gli aspetti qualitativi me<strong>di</strong>ante le nozioni (più complesse del concetto<br />

<strong>di</strong> vuoto come principio <strong>di</strong> movimento) <strong>di</strong> repulsione e attrazione<br />

( 184 ), un rapporto che, in fisica, è attribuito alle forze, che,<br />

come sappiamo, risale ad<strong>di</strong>rittura a Empedocle (che lo introduce<br />

sotto forma <strong>di</strong> Amore e Discor<strong>di</strong>a), ma che qui ha il senso puramente<br />

logico <strong>di</strong> ‘esclusione’ e ‘inclusione’ ( 185 ).<br />

Trattando anzitutto del momento <strong>di</strong> esclusione interno alla<br />

repulsione ( 186 ), Hegel rileva che l’Uno respinge da sé i molti uno<br />

( 180 ) Ibid.<br />

( 181 ) Cfr. Enc., § 98 n.; Lez. st. filos., II, p. 461, e WAHL, Commentaires, p. 111;<br />

VERRA, Letture, pp. 157 s.<br />

( 182 ) Sdl, p. 176. Cfr. BIARD, I, p. 112; inoltre LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 141<br />

nn. 92, 93, 96; VERRA, Letture, pp. 157 ss. e n. 23.<br />

( 183 ) Cfr. BIARD, I, p. 112.<br />

( 184 ) VERRA, Letture, pp. 149 s., 160.<br />

( 185 ) FLEISCHMANN, La logica, pp. 68 s. e n. 1.<br />

( 186 ) VERRA, Letture, p. 160.


376 HEGEL E ARISTOTELE<br />

da lui non generati, non posti. C’è una mutua e imme<strong>di</strong>ata repulsione<br />

dei molti uno. L’essere per sé dei molti uno si mostra come la<br />

loro autoconservazione, attraverso la me<strong>di</strong>azione della loro repulsione<br />

reciproca ( 187 ).<br />

In questa struttura processuale, in cui ciascuno dei molti uno<br />

si comporta, riguardo agli altri, come escludente, ossia non si conserva<br />

che respingendo gli altri e, quin<strong>di</strong>, entrando con essi in una<br />

relazione negativa, <strong>di</strong> modo che essi non si pongono che nella negazione<br />

del rapporto con l’altro, riemerge innanzitutto la figura<br />

<strong>di</strong>alettica dell’Essere determinato ( 188 ).<br />

Infatti, l’Uno non è per sé che nella misura in cui pone i molti<br />

come un momento <strong>di</strong> alterità, il cui superamento costituisce il suo<br />

rapporto infinito a sé: essi, così, rappresentano per lui il momento<br />

dell’essere per uno. Ma, così facendo, lui stesso appare, in rapporto<br />

ai termini che esso pone, come un altro essente determinato: in<br />

quanto si rapporta ai molti che esclude da sé, è un essere-per-altro.<br />

I molti acquistano così la consistenza dell’essere determinato, la determinatezza;<br />

il momento dell’alterità non è soltanto ‘ideale’, non è<br />

solo contenuto nell’essere per sé dell’Uno, ma, per così <strong>di</strong>re, ri<strong>di</strong>venta<br />

reale. Per il fatto che la repulsione è reciproca o relazionale,<br />

ciascun termine non è più solo un momento del rapporto a sé dell’altro;<br />

i molti «respingono questa loro idealità e sono»; i momenti<br />

dell’essere per sé e dell’essere per uno, «che nell’idealità sono assolutamente<br />

uniti», ri<strong>di</strong>ventano ‘separati’, <strong>di</strong>vengono i molti uno ( 189 ).<br />

Si produce così una scissione dell’unità che definiva l’Essere per sé<br />

nella sua idealità, ossia una posizione nell’esteriorità dei momenti<br />

costitutivi <strong>di</strong> quest’ultima ( 190 ).<br />

( 187 ) Sdl, pp. 176 s. Cfr. RADEMAKER, p. 61, ed anche LÉONARD, p. 87 n. 8 (in<br />

quanto sono ancora essenti, l’esser-posti dei molti uno si cancella nell’imme<strong>di</strong>ateza<br />

della presupposizione) .<br />

( 188 ) Sdl, pp. 176 s. Cfr. BIARD, I, pp. 113 s.<br />

( 189 ) Sdl, p. 177. Cfr. BIARD, I, p. 114.<br />

( 190 ) BIARD, I, p. 114.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

377<br />

Sennonché questa risorgenza dell’Essere determinato e dell’alterità<br />

qualitativa è subito da Hegel ricompresa nel significato<br />

conferitole dall’elemento in cui si sviluppa la <strong>di</strong>alettica dell’Essere<br />

per sé: quello del superamento <strong>di</strong> ogni determinazione qualitativa<br />

( 191 ). Infatti i molti uno si superano reciprocamente, cosicché ciascuno<br />

è un semplice essere-per-altro, ma, nello stesso tempo, si<br />

conservano come tali che non siano per altro. Una siffatta contrad<strong>di</strong>zione<br />

è all’origine della loro <strong>di</strong>ssoluzione ( 192 ).<br />

In effetti, in primo luogo, i molti uno, nel loro essere in sé,<br />

sembrano <strong>di</strong>versi, sembrano essere solo relazione a sé e non relazione<br />

ad altro, ma in realtà sono identici: «tutti sono uno» ( 193 ). Come<br />

il Qualcosa e l’Altro erano tutt’e due <strong>degli</strong> Altri puri e semplici,<br />

assolutamente in<strong>di</strong>scernibili e dunque interamente identici, così<br />

qui i molti, dal momento che ciascuno è uno dei molti allo stesso<br />

titolo <strong>degli</strong> altri, sono la stessa cosa ( 194 ). In secondo luogo, i molti<br />

uno sono identici nel loro porsi, nel loro negarsi reciproco, nella<br />

loro ‘idealità’, ossia nel loro contenere in sé gli altri come ‘ideali’,<br />

come momenti ( 195 ). Ne deriva che gli uno non sono che «un’unica<br />

unità affermativa» ( 196 ).<br />

C’è, però, una seconda via proposta da Hegel alla speculazione.<br />

Questa via non è più quella <strong>di</strong> un confronto esteriore <strong>degli</strong> uno<br />

tra loro, <strong>di</strong> una nostra riflessione esterna su <strong>di</strong> essi, ma quella <strong>di</strong><br />

una considerazione oggettiva («occorre vedere [sehen] ecc.») <strong>di</strong> ciò<br />

che la repulsione è in se stessa ( 197 ).<br />

( 191 ) Ibid.<br />

( 192 ) Sdl, p. 177 (e 176).<br />

( 193 ) Ivi, p. 177.<br />

( 194 ) Enc., § 98: «i molti... sono l’uno quello che è l’altro; ciascuno è uno, o<br />

anche uno dei molti; perciò sono la stessa cosa» (trad. Verra, p. 282). Cfr.<br />

LÉONARD, p. 88.<br />

( 195 ) Sdl, pp. 177 s.<br />

( 196 ) Ivi, p. 178.<br />

( 197 ) Ibid. Cfr. Enc., § 98: «la repulsione considerata in se stessa, come rapporto<br />

negativo dei molti uno l’uno rispetto all’altro, è altrettanto essenzialmente


378 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Ora, considerata in se stessa, la repulsione, in quanto esclusione<br />

reciproca <strong>degli</strong> uno, è il rapporto negativo dei molti uno gli<br />

uni contro gli altri. Questo rapporto è certamente negativo, e tuttavia<br />

è un rapporto, e pertanto la repulsione, in quanto rapporto negativo<br />

dei molti uno gli uni contro gli altri, è altrettanto essenzialmente<br />

la loro relazione gli uni agli altri. Si tratta <strong>di</strong> vedere quale<br />

relazione l’Uno, nel suo stesso atto <strong>di</strong> respingere, intrattenga con i<br />

molti uno che egli respinge. Ora, i termini a cui l’Uno si riferisce<br />

nel suo respingere sono essi stessi <strong>degli</strong> uno. Dunque, in essi l’Uno<br />

si riferisce a se stesso. La repulsione è perciò altrettanto essenzialmente<br />

attrazione. O, ancora, la repulsione è altrettanto non-repulsione,<br />

e l’esclusione è inclusione o continuità assoluta. Di conseguenza<br />

l’Uno esclusivo, nel quale culminava l’Essere per sé, e dunque<br />

l’Essere per sé con lui, si supera; non sparisce senz’altro, ma <strong>di</strong>venta<br />

un momento ‘ideale’ del continuo, dell’unità continua che è<br />

posta nell’unico Uno dell’attrazione. Infatti l’attrazione, come rapporto<br />

positivo d’identità <strong>degli</strong> uno esclusivi, non è altro che questo<br />

porsi in un unico Uno dei molti uno ( 198 ).<br />

b) La libertà astratta (il male) e la riconciliazione con l’altro. La <strong>di</strong>alettica<br />

platonica del Parmenide — Nella nota Hegel in primo luogo applica<br />

al mondo spirituale la concezione atomistica (ma anche il pensiero<br />

<strong>di</strong> Kant e Fichte), e la condanna in nome della riconciliazione (Ver-<br />

la loro relazione reciproca» (trad. VERRA, p. 282; inoltre LÉONARD, p. 88. Ve<strong>di</strong> anche<br />

Fen., I, p. 75: «ma non solo secondo questo lato per cui concetto e oggetto, la misura<br />

e ciò che si deve esaminare, si trovano nella coscienza stessa, <strong>di</strong>viene superflua<br />

una nostra aggiunta, ma noi veniamo anche <strong>di</strong>spensati dalla fatica della comparazione<br />

dei due elementi e del vero e proprio esame; cosicché, mentre la coscienza<br />

esamina se stessa, anche per questo lato a noi resta soltanto il puro stare a vedere<br />

(das reine Zusehen)», e CHIEREGHIN, Dialettica, p. 255, col richiamo a quello che<br />

Cézanne <strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> Monet: «Monet, ce n’est qu’un oeil, mais quel oeil!».<br />

( 198 ) Enc., § 98 e Sdl, p. 178. Cfr. LÉONARD, pp. 88 s.; inoltre LABARRIÈRE-<br />

JARCZYK, I, 1, p. 144 n. 105; BIARD, I, p. 115; MCTAGGART, A Commentary, p. 40.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

379<br />

söhnung) con l’altro. ‘Atomismo’ vuol <strong>di</strong>re in<strong>di</strong>pendenza dell’in<strong>di</strong>viduo,<br />

libertà in<strong>di</strong>viduale astratta e, in ultima analisi, ‘male’ (das<br />

Böse) ( 199 ). Se l’in<strong>di</strong>viduo si oppone alla società, o, più in generale, a<br />

quella totalità che è la sua essenza, nega se stesso, si <strong>di</strong>strugge ( 200 ).<br />

Hegel ricorda poi l’«antica proposizione» che l’Uno è molteplice<br />

e il molteplice Uno ( 201 ), una proposizione che compen<strong>di</strong>a la<br />

posizione assunta dai pluralisti Empedocle, Anassagora e Democrito<br />

contro il monismo della scuola eleatica (‘il tutto è uno’) ( 202 ), e<br />

che è stata ripresa con ben maggiore intensità speculativa nel<br />

Parmenide <strong>di</strong> Platone. Hegel si richiama però a un’osservazione fatta<br />

in precedenza ( 203 ), notando che la verità dell’Uno e dei molti, se<br />

viene espressa in proposizioni, appare in una forma inadeguata.<br />

Tale verità va invece espressa soltanto come un <strong>di</strong>venire, come un<br />

processo, “repulsione e attrazione” per l’appunto, e non come l’essere<br />

«come esso è posto in una proposizione, quale quieta unità» ( 204 ),<br />

ossia quale copula che esprime solo l’identità del soggetto e del<br />

( 199 ) Si ricor<strong>di</strong>, in Anassimandro, l’‘ingiustizia’ cosmica della scissione dei<br />

contrari, a cui corrisponde, in campo giuri<strong>di</strong>co, lo smodato possesso. Cfr. TODE-<br />

SCAN, Considerazioni, pp. 420 ss., 423.<br />

( 200 ) Sdl, p. 179. Cfr. VANNI ROVIGHI, pp. 111 s .; inoltre RADEMAKER, pp. 61 s. e<br />

n. 84. Rademaker osserva che alla posizione esposta e criticata in Sdl, p. 179, si oppone<br />

Sdl, p. 178: «il negativo rapportarsi reciproco <strong>degli</strong> uno è così nient’altro che<br />

un fondersi con se stesso. Questa identità, in cui trapassa il loro respingersi, è il<br />

superamento della loro <strong>di</strong>versità ed esteriorità, che essi invece, come esclusivi,<br />

dovrebbero affermare l’uno contro l’altro». Egli cita anche Prop., p. 236: «il rapporto<br />

morale con l’Altro in generale, si fonda sull’originaria identità della natura<br />

umana». Ve<strong>di</strong> inoltre WAHL, Commentaires, pp. 114 s.; MASSOLO, Logica, pp. 41 s.;<br />

LAKEBRINK, I, p. 135 (coi riman<strong>di</strong> a Fen., II, pp. 184 ss.; Enc., § 512; Lez. filos. rel., III,<br />

p. 150: «la finitezza, nel suo essere-per-sé contro Dio, è il male (das Böse)»; ve<strong>di</strong> JA,<br />

XVI, pp. 301, 346).<br />

( 201 ) Sdl, p. 179.<br />

( 202 ) Cfr. JOHNSON, The Critique, p. 29, con il richiamo alla critica antieleatica<br />

del Sofista e del Parmenide.<br />

( 203 ) Sdl, p. 80.<br />

( 204 ) Ivi, p. 179. Cfr. VERRA, Letture, p. 150 n. 6.


380 HEGEL E ARISTOTELE<br />

pre<strong>di</strong>cato e prescinde dalla loro <strong>di</strong>fferenza ( 205 ). Hegel riconosce la<br />

grandezza della trattazione platonica del problema del rapporto<br />

tra Uno e molti nel Parmenide, là dove viene evidenziato come la<br />

questione concerne quello che accade all’Uno quando necessariamente<br />

si rovescia nel molteplice o viceversa ( 206 ). Tuttavia, come<br />

sappiamo ( 207 ), Hegel non nasconde le sue riserve specialmente riguardo<br />

allo sviluppo <strong>di</strong>alettico della seconda ipotesi del Parmenide ‘<br />

se l’Uno è’, in quanto processo <strong>di</strong> osservazione o riflessione esterna,<br />

che presuppone come <strong>di</strong>stinte le due nozioni <strong>di</strong> ‘Uno’ e <strong>di</strong> ‘è’ e<br />

stabilisce tra loro un confronto ( 208 ). Secondo Platone ( 209 ), la proposizione<br />

‘l’Uno è’ contiene la molteplicità per il fatto che il verbo ‘è’ è<br />

<strong>di</strong>fferente dall’Uno ( 210 ). Ora, per Hegel, la <strong>di</strong>alettica platonica non<br />

è «del tutto pura» ( 211 ) non tanto perché la proposizione ‘l’Uno è’<br />

non sembra necessaria, bensì arbitraria ( 212 ), ma piuttosto perché la<br />

molteplicità non viene dedotta dall’Uno stesso, ma dall’analisi<br />

grammaticale della proposizione. Il legame ( 213 ) tra l’Uno e il molteplice<br />

non sarebbe, dunque, essenziale, ma semplicemente linguistico<br />

( 214 ).<br />

( 205 ) Sdl, p. 80.<br />

( 206 ) Lez. st. filos., II, pp. 213 s.; Enc., § 81 agg. 1 (trad. Verra, p. 251). Cfr.<br />

VERRA, Letture, p. 149, ed anche WAHL, Commentaires, p.115.<br />

( 207 ) MOVIA, Essere, p. 518.<br />

( 208 ) Sdl, pp. 179 e 92; Lez. st. filos., II, pp. 214 s. Cfr. VERRA, Letture, p. 149 e<br />

n. 5.<br />

( 209 ) Parm., 142 B-C.<br />

( 210 ) Cfr. MIGLIORI, Dialettica, p. 225: «il passaggio del verbo ‘essere’ dalla<br />

funzione <strong>di</strong> copula [prima ipotesi: ‘se l’Uno è Uno’] a quella <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>cato verbale<br />

comporta l’uscita dall’unicità dell’Uno-Uno e l’affermazione dell’Uno-Ente».<br />

( 211 ) Lez. st. filos., II, p. 215.<br />

( 212 ) Così, invece, crede GADAMER, La <strong>di</strong>alettica, p. 11.<br />

( 213 ) Lez. st. filos., II, p. 215.<br />

( 214 ) VIEILLARD-BARON, Platon, pp. 318 s. (e 314). Ve<strong>di</strong>, dello stesso, Le Même<br />

et l’Autre, pp. 133 s.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

381<br />

Qualcosa <strong>di</strong> simile, avverte Hegel, si verifica anche nella proposizione<br />

‘il molteplice è uno’ <strong>di</strong> cui qui ci si occupa. È, infatti, la<br />

riflessione esterna che mostra che ciascuno dei molti (ognuno esterno<br />

all’altro) è uno, che gli uno esclusivi s’identificano ( 215 ). Paradossalmente,<br />

la repulsione è ciò che pone gli uno come identici ( 216 ).<br />

Ora, l’attrazione non è altro che la presa <strong>di</strong> coscienza <strong>di</strong> questo fatto,<br />

senza che (come si vedrà), a motivo <strong>di</strong> questo fatto, si debba trascurare<br />

la <strong>di</strong>fferenza tra gli uno ( 217 ).<br />

c) L’unico Uno dell’attrazione — Se il momento <strong>di</strong> esclusione, interno<br />

alla repulsione, costituisce la realtà <strong>degli</strong> uno, all’inverso l’attrazione,<br />

quale concentrazione e raccolta dei molti uno in un unico Uno,<br />

ne rappresenta l’idealità ( 218 ). L’Uno (o, meglio, l’unità), che è il risultato<br />

dell’attrazione in quanto posizione dell’in<strong>di</strong>stinzione dei<br />

molti uno, non è più l’Uno imme<strong>di</strong>ato ed esclusivo da cui siamo<br />

partiti, ma è l’Uno me<strong>di</strong>ato, «l’Uno posto come Uno», che ha trasfigurato<br />

la realtà in idealità, l’Uno in cui si idealizza la realtà finita<br />

dei molti uno ( 219 ).<br />

Come la repulsione è un escludere dell’Uno che si riferisce<br />

sempre ad altri uno, e quin<strong>di</strong> una relazione dell’Uno a se stesso, e,<br />

in questo senso, è essa stessa attrazione, la include come suo momento<br />

costitutivo, altrettanto l’attrazione è il porre la <strong>di</strong>stinzione<br />

( 215 ) Sdl, p. 179.<br />

( 216 ) LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 144 n. 111. Cfr. anche LÉONARD, p. 88.<br />

( 217 ) Sdl, pp. 179 s. Cfr. LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 144 n. 111; WAHL,<br />

Commentaires, p. 115.<br />

( 218 ) Sdl, p.180. Cfr. VERRA, Letture, p. 160; inoltre MCTAGGART, A Commentary,<br />

p. 40; LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 144 nn. 111 e 113; BIARD, I, p. 96; LÉONARD,<br />

p. 89.<br />

( 219 ) Sdl, pp. 180 s. Cfr. LÉONARD, pp. 89 s.; inoltre HARTMANN, La filosofia, p.<br />

430; LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, pp. 145 n. 114; 146 nn. 119-21; BIARD, I, pp. 117 s.;<br />

MASSOLO, Logica, p. 43.


382 HEGEL E ARISTOTELE<br />

<strong>degli</strong> uno <strong>di</strong> cui essa è l’unità, «l’idealità realizzata». L’attrazione<br />

non ‘inghiotte’ gli uno che attrae in un solo punto, che sarebbe la<br />

morte stessa dell’attrazione, l’estinguersi della sua tendenza in una<br />

«quiete inerte». In altri termini, l’attrazione non nega, «non supera<br />

astrattamente» gli uno che attrae, ma in tanto li può attrarre «in<br />

quanto contiene nella sua determinazione» interna «la negazione<br />

<strong>di</strong> se stessa», la repulsione come suo momento costitutivo ( 220 ).<br />

d) La relazione <strong>di</strong> repulsione e attrazione — Come il rapporto tra Uno<br />

e molteplice, così anche quello tra repulsione e attrazione non si lascia<br />

ridurre all’interpretazione patrocinata dall’intelletto, secondo<br />

la quale si tratta <strong>di</strong> termini tra loro in<strong>di</strong>pendenti e rispetto ai quali<br />

il rapporto «sopravviene estrinsecamente» ( 221 ). In particolare, la<br />

repulsione non è soltanto il vuoto; benché sia negativa, essa è essenzialmente<br />

relazione. Il collegamento per cui gli uno si oppongono<br />

tra loro non è altro che l’attrazione, che si trova quin<strong>di</strong> nella repulsione<br />

stessa ( 222 ). Se, dunque, ciascuna <strong>di</strong> queste due determinazioni<br />

presuppone dapprima solo se stessa, non si riferisce che a sé,<br />

tale presupporsi <strong>di</strong> entrambe le determinazioni implica, poi, che<br />

«ciascuna contiene in sé l’altra come suo momento», ed è in ciò che<br />

consiste la loro unità o identità speculativa ( 223 ).<br />

L’unico Uno dell’attrazione si <strong>di</strong>mostra così come il culmine<br />

dell’Essere per sé e della qualità ( 224 ). Questo nuovo Uno afferma,<br />

( 220 ) Sdl, pp. 181 s. Cfr. VERRA, Letture, pp. 160 s.; inoltre LABARRIÈRE-JARCZYK,<br />

I, pp. 145 n. 116; 146 nn. 119-21.<br />

( 221 ) Sdl, pp. 181 s. Cfr. VERRA, Letture, pp. 148 s.; inoltre MASSOLO, Logica,<br />

p. 42.<br />

( 222 ) Sdl, p. 182, e Enc., § 98. Cfr. VERRA, Letture, p. 159 n. 23; inoltre<br />

MASSOLO, Logica, p. 42; MCTAGGART, A Commentary, p. 41: se A è se stesso solo a<br />

con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> non essere B, allora l’esistenza <strong>di</strong> B è essenziale ad A e la relazione è<br />

tanto positiva quanto negativa.<br />

( 223 ) Sdl, pp. 182 ss. Cfr. BIARD, I, p. 120; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 136.<br />

( 224 ) Sdl, p. 184. Cfr. LAKEBRINK, I, p. 137.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

383<br />

nei riguar<strong>di</strong> del molteplice, la sua infinità concreta; esso, a <strong>di</strong>fferenza<br />

dell’Uno iniziale e imme<strong>di</strong>ato, è la negazione della negazione<br />

posta come tale, cioè, per l’appunto, come infinità concreta e me<strong>di</strong>ata.<br />

L’Uno, che si è negato nei molti uno, nega questa negazione e<br />

si pone così come infinita relazione a sé, come assoluta autome<strong>di</strong>azione,<br />

in cui si idealizza la realtà finita dei molti uno ( 225 ). In altri<br />

termini, l’Uno, come Essere per sé compiuto, è la me<strong>di</strong>azione per<br />

cui, negandosi, ovvero superando l’altro, i molti, si riferisce a se<br />

stesso e si congiunge con sé in una nuova imme<strong>di</strong>atezza semplice:<br />

la quantità ( 226 ).<br />

Il passaggio dalla qualità alla quantità si effettua precisamente<br />

perché il presupporsi reciproco <strong>di</strong> repulsione ed attrazione ( 227 )<br />

ha consumato ogni residuo <strong>di</strong> alterità qualitativa tra i momenti<br />

dell’Essere per sé, tra l’Uno e il molteplice, e «ha innalzato il qualitativo<br />

a vera unità, cioè ad unità non più imme<strong>di</strong>ata, ma posta<br />

come concordante con sé» ( 228 ). Il quantitativo, dunque, può emergere<br />

solo perché la qualità o la determinatezza in generale si conclude<br />

con l’Uno. Dal punto <strong>di</strong> vista ontologico la qualità precede<br />

così la quantità, benché nella natura, che si presenterà successivamente,<br />

avvenga il contrario ( 229 ).<br />

L’unità, che si è appena descritta, è essere affermativo o imme<strong>di</strong>atezza<br />

me<strong>di</strong>ata (a <strong>di</strong>fferenza dell’Essere iniziale), è essere de-<br />

( 225 ) Sdl, pp. 184 s. Cfr. LÉONARD, pp. 89 s.<br />

( 226 ) Sdl, p. 185.<br />

( 227 ) Ivi, p. 184.<br />

( 228 ) Ivi, p. 185. Cfr. VERRA, Letture, p. 161.<br />

( 229 ) Cfr. MOVIA, Essere, p. 519 n. 39. Ve<strong>di</strong> anche Enc., § 254 n.: «la natura...<br />

comincia non col qualitativo, ma col quantitativo, perché la sua determinazione<br />

non è, come l’essere logico, il primo astratto e l’imme<strong>di</strong>ato, ma è già essenzialmente<br />

il me<strong>di</strong>ato in sé, l’essere che è esteriormente ed è altro» (trad. Croce, p.<br />

230) e LAKEBRINK, I, pp. 137 s.; inoltre MCTAGGART, A Commentary, p. 41 (per<br />

Hegel, la quantità costituisce un avanzamento rispetto alle forme più semplici e<br />

ru<strong>di</strong>mentali <strong>di</strong> qualità, ma è una categoria inadeguata rispetto alle determinazioni<br />

qualitative più complesse); WAHL, Commentaires, pp. 96 s.


384 HEGEL E ARISTOTELE<br />

terminato assoluto (a <strong>di</strong>fferenza dell’Essere determinato tematizzato<br />

nel secondo capitolo), ed è essere per sé ( 230 ); come Hegel si esprime<br />

nell’Enciclope<strong>di</strong>a, «la determinatezza qualitativa... ha raggiunto<br />

nell’Uno il suo essere determinato in sé e per sé» ( 231 ). La determinatezza<br />

qualitativa ha nell’Uno il suo essere determinato, perché<br />

l’Uno è la relazione del negativo a se stesso. Essa ha nell’Uno il suo<br />

essere determinato in sé e per sé, giacché l’Uno è la relazione del negativo<br />

a se stesso, vale a <strong>di</strong>re non più la vuota astrazione dell’esserein-sé<br />

della determinatezza qualitativa, e neppure la relatività finita<br />

del suo essere-per-altro, ma è la vera infinità della sua identità con<br />

sé (essere-in-sé) come relazione negativa (essere-per-altro, essereper-uno)<br />

a se stesso (essere-per-sé) ( 232 ). Ora, nell’attrazione, «l’Uno<br />

esclusivo o l’essere per sé si supera» ( 233 ). In tal modo la determinatezza<br />

qualitativa, ovvero la qualità, «è... passata nella determinatezza<br />

come superata» ( 234 ), cioè non nella pura indeterminazione,<br />

ma nella determinazione che non determina più l’essere qualitativo,<br />

cioè nel «limite che non è un limite» ( 235 ), ovvero nella determinatezza<br />

in<strong>di</strong>fferente all’essere qualitativo e alla quale l’essere qualitativo<br />

è in<strong>di</strong>fferente ( 236 ).<br />

Questa determinatezza superata e quest’essere che è in<strong>di</strong>fferente<br />

rispetto alla sua determinatezza, è l’essere che si continua<br />

nella sua uguaglianza a sé attraverso la determinatezza e nonostante<br />

questa: è l’essere come quantità ( 237 ). Ad es., un campo resta<br />

( 230 ) Sdl, pp. 185 s.<br />

( 231 ) Enc., § 98 (trad. Verra, p. 282).<br />

( 232 ) LÉONARD, p. 90.<br />

( 233 ) Enc., § 98 (trad. Verra, p. 282).<br />

( 234 ) Ibid.<br />

( 235 ) Sdl, p. 186.<br />

( 236 ) Ibid. e p. 195.<br />

( 237 ) Enc., § 98 e agg. 2; Sdl, p. 186. Cfr. LÉONARD, p. 90; inoltre LAKEBRINK, I,<br />

p. 137.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

385<br />

un campo in<strong>di</strong>pendentemente dalle sue determinazioni quantitative.<br />

Le sue variazioni <strong>di</strong> grandezza sono bensì determinazioni, ma<br />

determinazioni in<strong>di</strong>fferenti ed estrinseche all’essere del campo. La<br />

quantità limita il campo, ma non come campo; per l’appunto: è un<br />

limite che non è un limite ( 238 ).<br />

e) Critica alla costruzione kantiana della materia — Nella nota successiva<br />

Hegel critica la rappresentazione, proposta dalla fisica moderna,<br />

dell’attrazione e della repulsione come forze separate e in<strong>di</strong>pendenti,<br />

che si applicano dall’esterno ad un “terzo” (als in einem<br />

Dritten), la materia, costituendola come tale ( 239 ); non si può non ricordare<br />

qui l ‘espressione platonica trìton ti, usata ad esempio nel<br />

Filebo per designare il genere del ‘misto’ come unità <strong>di</strong> limite e illimitato<br />

( 240 ). Ora, è merito <strong>di</strong> Kant, con la sua cosiddetta costruzione<br />

<strong>di</strong>namica della materia, <strong>di</strong> aver riven<strong>di</strong>cato l’unità necessaria <strong>di</strong> repulsione<br />

e attrazione, nonostante che tale riconoscimento non elimini,<br />

in Kant, la loro reciproca esteriorità e autosussistenza; la<br />

manchevolezza principale della dottrina kantiana al riguardo è,<br />

anzi, che tali forze vengono postulate come date e non vengono dedotte<br />

( 241 ). O, per meglio <strong>di</strong>re, la deduzione kantiana delle forze ha<br />

il consueto significato <strong>di</strong> ‘legittimazione’ dell’uso <strong>di</strong> un concetto, e<br />

non ancora il senso <strong>hegel</strong>iano <strong>di</strong> ‘esposizione’ <strong>di</strong> ciò che è contenuto<br />

in un concetto ( 242 ). Per Hegel, le due forze «sono soltanto mo-<br />

( 238 ) Sdl, p. 196. Cfr. Enc., §§ 92 agg., 98 agg. 2; inoltre LÉONARD, p. 90 n. 8.<br />

( 239 ) Sdl, p. 186. Cfr. WAHL, Commentaires, p. 119; RADEMAKER, p. 62; BIARD,<br />

I, p. 97.<br />

( 240 ) PLATONE, Phil., 23 C 12-D 1. Cfr. WAHL, Commentaires, p. 119.<br />

( 241 ) Sdl, pp. 187 ss., 190; Enc., § 98 e agg. 1 (e le note <strong>di</strong> VERRA, pp. 283 s.),<br />

§ 262 n.; inoltre VERRA, Letture, p. 158; BIARD, I, pp. 127 s. Ve<strong>di</strong> i passi dei Primi<br />

principi metafisici della scienza della natura <strong>di</strong> Kant citati in HEGEL, GW, XXI, p. 422.<br />

( 242 ) LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, pp. 153 s. nn. 154-57. Labarrière-Jarczyk (I, 1,<br />

pp. 154 n. 156, 160 n. 190) rilevano anche che Kant ‘deduce’ bensì l’attrazione e la


386 HEGEL E ARISTOTELE<br />

menti, che passano l’uno nell’altro», e questo, secondo Hegel, è inconsapevolmente<br />

ammesso dallo stesso Kant ( 243 ); «la materia risulta<br />

da quelle forze soltanto come da momenti concettuali, ma<br />

essa è il presupposto per la loro apparizione» ( 244 ).<br />

IV. La critica <strong>di</strong> Trendelenburg alla categoria dell’Essere per sé<br />

1. Attrazione e repulsione e legame con l’intuizione sensibile — Anche<br />

nel caso della categoria dell’Essere per sé la critica <strong>di</strong> Trendelenburg<br />

intende colpire tanto il concetto <strong>hegel</strong>iano <strong>di</strong> negazione quanto<br />

quello d’identità ( 245 ). Per il primo aspetto egli si occupa della<br />

nozione <strong>di</strong> ‘repulsione’, cominciando peraltro col rilevare, da un<br />

punto <strong>di</strong> vista generale, che l’attrazione e la repulsione non costituiscono<br />

delle determinazioni logiche, ma delle «specie del movimento<br />

nelle quali si è ancora soltanto espressa l’opposizione della <strong>di</strong>rezione»;<br />

è impossibile intendere queste due nozioni «senza il movimento<br />

spaziale universale» ( 246 ). Ritorna qui la ben nota obiezione<br />

<strong>di</strong> Trendelenburg alla logica <strong>hegel</strong>iana che pretende <strong>di</strong> essere priva<br />

<strong>di</strong> presupposti, mentre invece, per generare il processo <strong>di</strong>alettico,<br />

repulsione a partire dal concetto <strong>di</strong> materia (impenetrabilità) derivato dall’esperienza<br />

(cfr. Sdl, pp. 188, 192), ma non deduce, come crede Hegel (ivi, p. 187), la<br />

materia a partire dalle due forze in questione. Cfr. anche BIARD, I, pp. 125 e 130:<br />

Kant presuppone una materia già data, precostituita, e semplicemente messa in<br />

movimento dalle due forze (cfr. Sdl, p. 192; Enc., § 98 n.); Hegel teorizza invece<br />

l’unità <strong>di</strong>alettica <strong>di</strong> materia e movimento.<br />

( 243 ) Sdl, pp. 190, 192. Cfr. LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 159 n. 187; BIARD, I,<br />

p. 129: nello stesso <strong>di</strong>scorso ‘intellettualistico’ kantiano si manifesta l’identità<br />

<strong>di</strong>alettica delle due forze.<br />

( 244 ) Enc., § 262 n.; trad. Croce, p. 241.<br />

( 245 ) Cfr. MOVIA, Finito, pp. 646 ss.<br />

( 246 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 41 s. (cfr. trad. Verra, p. 63 n. 10; trad.<br />

Morselli, p. 11; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, pp. 87 e 95).


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

387<br />

deve desumere surrettiziamente la rappresentazione del movimento,<br />

ricavata dall’intuizione sensibile ( 247 ).<br />

Bisogna però ricordare ( 248 ) che la repulsione, per Hegel,<br />

esprime solo il fatto che l’Uno si respinge da sé, esclude da sé l’altro<br />

e, quin<strong>di</strong>, implica la molteplicità, mentre l’attrazione esprime il fatto<br />

che l’Uno, nella sua repulsione dell’altro uno, si riferisce solo a se<br />

stesso. Con i concetti <strong>di</strong> repulsione e attrazione Hegel non intende<br />

altro che questo stato <strong>di</strong> cose logico. Non si tratta <strong>di</strong> proprietà o <strong>di</strong><br />

principi dell’essere materiale. Certamente, come abbiamo visto,<br />

queste determinazioni possono servire alla comprensione concettuale<br />

<strong>di</strong> contenuti reali, come quello della materia spazio-temporale<br />

( 249 ). Tuttavia, in quanto determinazioni logiche, non traggono<br />

da lì la loro vera origine. La loro connessione con i contenuti della<br />

realtà viene da Hegel espressa in questi termini: «un’esistenza<br />

come la materia sensibile non è certo un oggetto della logica, non<br />

più che lo spazio e le determinazioni spaziali. Ma anche le forze attrattiva<br />

e repulsiva, in quanto si considerano come forze della materia<br />

sensibile, hanno per fondamento le determinazioni pure dell’Uno<br />

e dei molti qui considerate e quelle loro relazioni reciproche<br />

che (essendo questi i nomi più alla mano) ho chiamato repulsione e<br />

attrazione» ( 250 ). La logica <strong>hegel</strong>iana, insomma, non considera la<br />

‘materia’ se non nella misura in cui in essa si esprimono le «determinazioni<br />

pure dell’Uno e del molteplice», e non in rapporto a ciò<br />

che in essa ha la caratteristica dell’imme<strong>di</strong>atezza sensibile ( 251 ). Anche<br />

in questo caso si potrebbe <strong>di</strong>re che, se le due forze fisiche costituiscono<br />

il presupposto genetico o conoscitivo <strong>di</strong> quelle determina-<br />

( 247 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 42 (cfr. trad. Morselli, p. 12; inoltre<br />

BERTI, La critica, p. 354; MOVIA, Essere, pp. 520 s.).<br />

( 248 ) Con SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 88.<br />

( 249 ) Cfr. Enc., § 262.<br />

( 250 ) Sdl, p. 187. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 88.<br />

( 251 ) LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 152 n. 151.


388 HEGEL E ARISTOTELE<br />

zioni logiche, esse, peraltro, trovano in queste ultime il loro presupposto<br />

validativo e veritativo ( 252 ).<br />

2. La repulsione e il concetto <strong>di</strong> negazione — Per ciò che riguarda più<br />

specificamente il concetto <strong>hegel</strong>iano <strong>di</strong> repulsione e il ruolo in esso<br />

esercitato dalla negazione, Trendelenburg affronta innanzitutto il<br />

problema della plausibilità della deduzione della ‘repulsione’, ossia<br />

dell’auto<strong>di</strong>fferenziazione dell’Uno in molti uno. Il punto <strong>di</strong> partenza<br />

è il concetto dell’Essere per sé. Esso significa ‘autorelazione’, che<br />

è il necessario risultato concettuale della <strong>di</strong>alettica del Qualcosa e<br />

dell’Altro. L’Essere per sé è relazione a se stesso ( 253 ); non è più relazione<br />

ad altro, ma ha ormai assunto l’altro come suo momento.<br />

Quello che, per Trendelenburg ( 254 ), non si riesce a comprendere è<br />

come “la relazione del negativo a sé” <strong>di</strong>venga una “relazione negativa”<br />

a sé ( 255 ). Nella <strong>di</strong>alettica del Qualcosa e dell’Altro, me<strong>di</strong>ante<br />

la negazione della negazione ( 256 ), è stata guadagnata la ‘posizione’<br />

dell’Essere per sé; «non si vede come ora all’improvviso la relazione<br />

del negativo a sé, <strong>di</strong>menticando questo suo significato, si volga contro<br />

se stessa e <strong>di</strong>venti una relazione negativa che ‘frantuma’ ( 257 ) dentro<br />

<strong>di</strong> sé il tutto (das Ganze) appena prodotto» ( 258 ). L’Essere si riferisce<br />

a se stesso e con ciò forma l’unità <strong>di</strong> un tutto. Com’è che compare<br />

la relazione negativa, la «<strong>di</strong>stinzione dell’Uno da se stesso»? ( 259 ).<br />

( 252 ) Cfr. MOVIA, Essere, p. 521 n. 66, e HÖSLE, Hegel, p. 27.<br />

( 253 ) Enc., § 96.<br />

( 254 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 49 (cfr. trad. Verra, p. 64; trad.<br />

Morselli, p. 21; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96).<br />

( 255 ) Cfr. Enc., § 97.<br />

( 256 ) Ivi, § 95.<br />

( 257 ) Sdl, p. 180: l’autoframmentazione o l’autofrantumarsi dell’Uno.<br />

( 258 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 49 (cfr. trad. Verra, p. 64; trad.<br />

Morselli, p. 21; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96).<br />

( 259 ) Ibid. Ve<strong>di</strong> Enc., § 97.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

389<br />

In secondo luogo, Trendelenburg riba<strong>di</strong>sce che, mentre la negazione<br />

è un concetto logico, la repulsione è un concetto ricavato<br />

dall’intuizione. Da un punto <strong>di</strong> vista logico è chiaro cosa sia la negazione,<br />

ed anche la negazione della negazione, ovvero la ‘relazione<br />

negativa a se stesso’ ( 260 ). Invece, «che l’‘Uno si nega in se stesso’<br />

è del tutto incomprensibile, se non s’interpola (sich... unterschiebt)<br />

l’intuizione che <strong>di</strong>ce: ‘l’Uno respinge sé da sé’» ( 261 ). Certo, tra negazione<br />

logica (od opposizione tra contrad<strong>di</strong>ttori) ( 262 ) e repulsione<br />

sussiste «una vaga analogia», ma l’una non può «essere scambiata»<br />

con l’altra senza far intervenire l’intuizione sensibile ( 263 ).<br />

Trendelenburg aggiunge ancora che il modo in cui Hegel<br />

comprende concettualmente la repulsione contiene un presupposto<br />

teorico che, a questo livello della logica, è privo <strong>di</strong> qualunque giustificazione:<br />

«nel concetto ‘l’Uno respinge sé da se stesso’ è contenuta<br />

non una semplice rappresentazione tratta dalla meccanica,<br />

come potrebbe sembrare, ma già la <strong>di</strong>fficile nozione <strong>di</strong> una libera<br />

attività che opera in virtù <strong>di</strong> se stessa, <strong>di</strong> una sostanza che agisce<br />

puramente da sé e su stessa». L’argomentazione <strong>hegel</strong>iana si basa,<br />

dunque, su un concetto che non deriva né dalla negazione logica<br />

né dal fatto della repulsione ottenuto tramite l’intuizione, ma che<br />

avrebbe bisogno <strong>di</strong> una trattazione più ampia. «Concetti <strong>di</strong> tale<br />

portata — conclude Trendelenburg — sono forse ottenibili così facilmente?»<br />

( 264 ).<br />

( 260 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 49 s. (cfr. trad. Verra, p. 64; trad.<br />

Morselli, p. 22; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96).<br />

( 261 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 49 (cfr. trad. Verra, p. 64; trad.<br />

Morselli, p. 22; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96).<br />

( 262 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 43 (cfr. trad. Verra, p. 59; trad.<br />

Morselli, p. 13).<br />

( 263 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 49 s. (cfr. trad. Verra, pp. 64 s.; trad.<br />

Morselli, p. 22; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96) .<br />

( 264 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 50 (cfr. trad. Verra, p. 65; trad.<br />

Morselli, pp. 22 s.; SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 96).


390 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Ora, riguardo alla critica <strong>di</strong> Trendelenburg, che ritiene illegittimo<br />

il passaggio dall’autorelazione all’auto<strong>di</strong>fferenziazione dell’Uno,<br />

bisogna osservare ( 265 ) che, nel concetto <strong>di</strong> relazione a sé, c’è<br />

anche un momento negativo. ‘Ciò che si riferisce a sé’ deve anzitutto<br />

esser contrapposto a sé, altrimenti quell’espressione non avrebbe<br />

senso. Ma se si contrappone a sé, non può contrapporsi a sé che<br />

come un tutto. Non si tratta <strong>di</strong> due parti che si integrano a vicenda,<br />

che si riferiscono l’una all’altra, e neppure <strong>di</strong> un Qualcosa che si<br />

rapporta ad un Altro, ma della relazione a sé del tutto come un tutto.<br />

Nella contrapposizione, dunque, la negazione interessa ugualmente<br />

il tutto. Ciò che si riferisce a sé si nega, «respinge sé da se<br />

stesso» ( 266 ). Quella che Hegel chiama ‘repulsione’ non è altro che il<br />

momento negativo dell’autorelazione dell’Essere per sé. Trendelenburg,<br />

invece, pensa il negativo come qualcosa che è già dato e che<br />

solo successivamente si riferisce a sé ( 267 ).<br />

Diciamo meglio ( 268 ): l’unità dell’Essere per sé è, secondo<br />

Hegel, il ‘luogo logico’ della determinazione, interamente astratta,<br />

dell’ ‘unità’ o dell’ ‘Uno’ ( 269 ). Nella relazione a sé il riferimento all’Altro,<br />

e quin<strong>di</strong> il mutamento, è superato. Pertanto, ciò che si riferisce<br />

a sé non si può più intendere come il precedente Qualcosa,<br />

non ha più un Altro al <strong>di</strong> fuori <strong>di</strong> sé: è ‘per sé’. Ma, per quanto venga<br />

pensato come ‘privo <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinzioni’ e ‘imme<strong>di</strong>ato’, per l’appunto<br />

come ‘Uno’ astratto ( 270 ), tuttavia nel ‘per sé’, da cui ciò che si riferisce<br />

a sé è determinato, c’è la negazione. È la negazione che conduce<br />

il pensiero a concepire la pluralità <strong>degli</strong> uno in<strong>di</strong>fferenziati. Non si<br />

( 265 ) Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 117.<br />

( 266 ) Sdl, p. 174.<br />

( 267 ) SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 118.<br />

( 268 ) Ancora con Schmidt.<br />

( 269 ) SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 118.<br />

( 270 ) Sdl, p. 168; Enc., § 96.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

391<br />

può pensare o, meglio, pensare a fondo l’Uno senza pensare insieme<br />

la pluralità <strong>degli</strong> uno ( 271 ).<br />

Il rifiuto, poi, <strong>di</strong> Trendelenburg <strong>di</strong> ammettere la negazione<br />

all’interno dell’autorelazione <strong>di</strong>venta comprensibile solo se lo si<br />

connette alla sua tesi generale della <strong>di</strong>pendenza dei concetti dall’intuizione<br />

sensibile ( 272 ). In questo modo la repulsione viene intesa<br />

come un evento che si verifica tra cose reali. Indubbiamente i termini<br />

‘repulsione’ o ‘autoframmentazione’ sono legati alla sensibilità<br />

e, quin<strong>di</strong>, la loro scelta da parte <strong>di</strong> Hegel può non essere stata molto<br />

felice. Tuttavia egli ha sottolineato con grande chiarezza che, in<br />

questo contesto, non si tratta <strong>di</strong> ‘cose’, del loro frammentarsi e simili,<br />

ma delle “pure determinazioni” considerate per sé, che, in prima<br />

istanza, non hanno nulla da spartire con l’intuizione sensibile ( 273 ).<br />

Hegel, anzi, mette esplicitamente in guar<strong>di</strong>a contro un’interpretazione<br />

pesantemente realistica <strong>di</strong> tali nozioni, rilevando il carattere<br />

figurato e simbolico del termine repulsione ( 274 ).<br />

( 271 ) SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 118.<br />

( 272 ) Ibid. Come sappiamo, la filosofia classica non ha mai negato che gli<br />

stessi concetti metafisici siano permeati da esperienze fisiche! Cfr. GIACON, Le gran<strong>di</strong><br />

tesi, pp. 129 ss. (sull’origine e il valore delle idee).<br />

( 273 ) Sdl, p. 187 (cfr. anche ivi, p. 174: «la repulsione secondo il concetto»).<br />

( 274 ) Enc., § 97 n. (ve<strong>di</strong> sopra n. 166). Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, pp.<br />

118 s.; inoltre HARRIS, Hegel’s Logic, p. 237: risposta all’obiezione, d’ispirazione<br />

trendelenburghiana, <strong>di</strong> Rosenkranz (ve<strong>di</strong> però in SAMONÀ, Dialettica, un cenno sulla<br />

critica <strong>di</strong> Rosenkranz all’«empiria astratta» <strong>di</strong> Trendelenburg); MCTAGGART, A<br />

Commentary, p. 41; MURE, A Study, p. 56 n. 3; LABARRIÈRE-JARCZYK, I, 1, p. 152 n. 151;<br />

VANNI ROVIGHI, La Scienza, pp. 111 e 113 (per Hegel, <strong>di</strong>versamente da Kant, bisogna<br />

partire dalla logica per determinare a quali con<strong>di</strong>zioni la materia possa esistere);<br />

RADEMAKER, p. 61; LAKEBRINK, I, p. 136 (l’atto negatore del negativo, in quanto si <strong>di</strong>rige<br />

verso se stesso, mette capo alla <strong>di</strong>stinzione dell’Uno da se stesso, ossia alla<br />

posizione dei molti uno); BIARD, I, p. 124 (i <strong>di</strong>versi livelli del <strong>di</strong>scorso <strong>hegel</strong>iano:<br />

forza attrattiva/forza repulsiva, coppia speculativa attrazione/repulsione, livello<br />

logico delle pure determinazioni Uno/molteplice); JOHNSON, The Critique, p. 33.


392 HEGEL E ARISTOTELE<br />

3. L’attrazione e il concetto d’identità — Nell’affrontare la tematica <strong>hegel</strong>iana<br />

dell’attrazione e della sua unità con la repulsione, Trendelenburg<br />

( 275 ) ricorda che, per Hegel, l’attrazione è il movimento con<br />

cui la repulsione, determinata come negazione, viene ad identificarsi:<br />

«la repulsione è... altrettanto essenzialmente attrazione» ( 276 ).<br />

Ma proprio questo punto, secondo Trendelenburg, non è per nulla<br />

convincente. Perché mai la repulsione deve includere in sé l’attrazione?<br />

Infatti, in primo luogo — sostiene Trendelenburg —, anche se<br />

i molti uno sono identici in rapporto alla loro origine, ossia all’unico<br />

Uno dalla cui auto<strong>di</strong>stinzione tutti derivano ( 277 ), tale identità<br />

secondo un determinato aspetto non autorizza a parlare <strong>di</strong> un’identità<br />

in senso assoluto ( 278 ).<br />

Inoltre, pur se ciascuno dei molti uno esercita la medesima<br />

attività, ossia la negazione reciproca ( 279 ), non per questo è legittimo<br />

affermare la loro concordanza e identità. Anche in questo caso<br />

si tratta unicamente <strong>di</strong> un’identità sotto un aspetto particolare. Per<br />

<strong>di</strong> più, non si comprende per quale motivo, in base a quest’identità,<br />

si possa parlare <strong>di</strong> attrazione ( 280 ).<br />

Infine, l’identità <strong>degli</strong> uno, che risulta dal fatto che «i termini<br />

a cui l’Uno si riferisce nel suo respingere, sono <strong>degli</strong> uno» ( 281 ), è<br />

l’identità in un termine <strong>di</strong> paragone. Gli uno che si escludono sono<br />

uguali in quanto sono tutti uno. Ma quest’identità non è un «fon-<br />

( 275 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 61 s., 302 ss.<br />

( 276 ) Enc., § 98. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 125.<br />

( 277 ) Enc., § 97-98.<br />

( 278 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, 302 s. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p.<br />

125.<br />

( 279 ) Sdl, p. 177.<br />

( 280 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, p. 303. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft,<br />

p. 125.<br />

( 281 ) Enc., § 98; trad. Verra, p. 282.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

393<br />

dersi con se stesso» ( 282 ), non è un’‘attrazione’. Si ritrova qui, conclude<br />

Trendelenburg, la medesima <strong>di</strong>mostrazione dell’identità del<br />

Qualcosa e dell’Altro ( 283 ).<br />

Bisogna rispondere ( 284 ) che l’interpretazione <strong>di</strong> Trendelenburg<br />

dell’attrazione <strong>hegel</strong>iana è una conseguenza pressoché inevitabile<br />

della reificazione che egli opera della molteplicità <strong>degli</strong> uno ( 285 ).<br />

Sennonché le determinazioni della Scienza della logica non esprimono<br />

rapporti tra cose già date; il concetto dei ‘molti uno’ non va inteso<br />

come una moltitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> ‘cose’. I concetti <strong>di</strong> ‘Uno’ e <strong>di</strong> ‘molti uno’<br />

devono esser considerati come determinazioni logiche e come<br />

membri <strong>di</strong> una connessione logica. Di qui la loro mutua implicazione<br />

o, per esprimere la cosa in maniera più <strong>di</strong>namica, il ‘passare<br />

l’una nell’altra’ <strong>di</strong> entrambe le determinazioni ( 286 ).<br />

Si è già visto sopra che il concetto <strong>di</strong> Uno, per Hegel, non si<br />

può pensare senza quello della pluralità <strong>degli</strong> uno, senza la «<strong>di</strong>stinzione<br />

dell’Uno da se stesso» ( 287 ), e dunque senza la ‘repulsione’<br />

<strong>degli</strong> uno. Il concetto <strong>di</strong> Uno postula quello dei molti uno e lo racchiude<br />

già in sé. Tuttavia con questo la <strong>di</strong>alettica dell’Uno e dei<br />

molti non è giunta ancora alla fine. Infatti la <strong>di</strong>stinzione dell’Uno<br />

da sé, come relazione negativa, è ugualmente relazione, cioè connessione<br />

e unità in questa <strong>di</strong>stinzione ( 288 ). La relazione, come unità<br />

nella mutua <strong>di</strong>stinzione <strong>degli</strong> uno, è l’attrazione; senza quest’ul-<br />

( 282 ) Sdl, p. 178.<br />

( 283 ) TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 303 s. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft,<br />

pp. 125 s.<br />

( 284 ) Sempre con SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, I, pp. 135 s.<br />

( 285 ) Cfr. TRENDELENBURG, Log. Unt., I, pp. 61: «la comparazione sospesa sopra<br />

le cose» (ve<strong>di</strong> trad. Morselli, p. 37); 304 s.: l’esempio delle formiche che escono<br />

dal nido!<br />

( 286 ) SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, pp. 135 s.<br />

( 287 ) Enc., § 97; trad. Verra, p. 281.<br />

( 288 ) Ivi, § 98.


394 HEGEL E ARISTOTELE<br />

tima il concetto <strong>di</strong> molteplicità non trova un’adeguata spiegazione<br />

( 289 ).<br />

V. Considerazioni conclusive<br />

1) L’Essere per sé è la prima forma, la forma imme<strong>di</strong>ata, in<br />

cui, per Hegel, si presenta il vero infinito. Come negazione della<br />

negazione ha, dunque, l’altro in lui stesso. Quali ‘esempi’ dell’Essere<br />

per sé Hegel adduce la coscienza e l’autocoscienza; la prima, in<br />

quanto, nel rappresentarsi l’oggetto, essa rimane presso <strong>di</strong> sé; la seconda,<br />

in quanto essa esplicitamente riconosce sé nell’oggetto.<br />

L’ere<strong>di</strong>tà aristotelica presente in questi spunti <strong>hegel</strong>iani si palesa<br />

specialmente nella nozione della coscienza come attività immanente.<br />

2) Come infinità ricaduta nel semplice essere, l’Essere per sé<br />

ha il suo altro (l’essere per uno) come una sua integrazione o <strong>di</strong>fferenziazione<br />

interna; il superamento dell’alterità qualitativa conduce<br />

ormai verso la <strong>di</strong>alettica della quantità.<br />

3) L’Essere per sé è l’unità <strong>di</strong> se stesso e del suo momento,<br />

l’essere per uno. Anzi, tanto l’essere per sé quanto l’essere per uno,<br />

come momenti <strong>di</strong> un’unica idealità e infinità coincidente con la realtà<br />

effettiva, sono entrambi ‘essere per uno’. Esempi para<strong>di</strong>gmatici<br />

d’idealità e infinità, e quin<strong>di</strong> dell’idealità <strong>di</strong> essere per sé ed essere<br />

per uno, sono, per Hegel, daccapo, l’Io, lo spirito e Dio; l’identità <strong>di</strong><br />

reale e ideale si attua pienamente solo nella struttura autoriflessiva<br />

dello spirito. In un senso analogo, la metafisica classica ha sempre<br />

affermato l’identità, in Dio, <strong>di</strong> natura e attributi (o ‘nomi’) e attività.<br />

( 289 ) Sdl, p. 184. Cfr. SCHMIDT, Hegels Wissenschaft, p. 136.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

395<br />

4) Hegel mostra che il ‘principio dell’idealismo’, ossia dell’<br />

‘idealità del finito’ e dell’immanenza dell’essere per uno nell’Essere<br />

per sé non si trova ancora in Parmenide e in Spinoza, giacché l’essere<br />

eleatico e la sostanza spinoziana, come unità immobili, sono la<br />

negazione astratta e non compiuta della determinatezza e quin<strong>di</strong><br />

non si elevano ancora al piano della soggettività spirituale. Più<br />

concreto ed esplicito, benché mescolato a contenuti assunti dalle<br />

rappresentazioni religiose, è invece l’idealismo <strong>di</strong> Malebranche,<br />

con la sua concezione delle cose create come pensieri <strong>di</strong> Dio. Teoricamente<br />

più rigoroso è, per Hegel, l’idealismo <strong>di</strong> Leibniz, sebbene<br />

l’idealità della monade, come soggetto della rappresentazione, rimanga<br />

esteriore, <strong>di</strong>pendendo dall’intervento <strong>di</strong>vino. Infine l’idealismo<br />

<strong>di</strong> Kant e Fichte è meramente esigenziale e postulatorio, giacché<br />

lascia sussistere la cosa in sé nella sua alterità ra<strong>di</strong>cale.<br />

5) L’Essere per sé, come unità semplice <strong>di</strong> se stesso e del suo<br />

momento, l’essere per uno, è l’essente per sé, e quest’ultimo, assunto<br />

nell’in<strong>di</strong>stinzione dei suoi momenti, è l’uno; l’Uno — afferma<br />

Hegel — è ciò che in se stesso è privo <strong>di</strong> <strong>di</strong>stinzioni, un’in<strong>di</strong>stinzione<br />

necessaria perché poi si possa passare alla categoria della quantità.<br />

Si può avvicinare questa concezione <strong>hegel</strong>iana dell’Uno all’Uno<br />

trascendentale della metafisica classica, tanto nella versione<br />

platonica quanto in quella aristotelica, ossia all’Uno la cui essenza<br />

consiste nell’in<strong>di</strong>visibilità ( 290 ).<br />

6) In un movimento logico che segna il passaggio, si potrebbe<br />

<strong>di</strong>re, dall’Uno trascendentale a quello categoriale, ossia all’Uno che<br />

introduce ormai <strong>di</strong>rettamente alla categoria della quantità, Hegel<br />

fa vedere che, a motivo dell’imme<strong>di</strong>atezza dell’Uno essente, i suoi<br />

( 290 ) PLATONE, Resp., VI, 507 A 7 ss.; ARISTOTELE, Metaph., V 6, 1016 B 3 ss.; X<br />

1, 1052 B 15 ss. Cfr. REALE, Per una nuova interpretazione, pp. 336 ss., 452; BERTI,<br />

L’uno, p. 166, e Il problema, p. 192.


396 HEGEL E ARISTOTELE<br />

due momenti, che, nonostante l’in<strong>di</strong>stinzione dell’Uno, purtuttavia<br />

gli sono costitutivi (la relazione a sé e l’alterità), a loro volta ricadono<br />

nell’imme<strong>di</strong>atezza, sono posti come essenti. L’idealità si rovescia<br />

così nella realtà, e all’Uno si contrappone un altro Uno.<br />

7) Anzitutto, però, l’Uno considerato in se stesso, come semplice<br />

imme<strong>di</strong>atezza, esclude da sé ogni <strong>di</strong>versità e molteplicità;<br />

l’unica sua qualità o momento è il ‘vuoto’. Lo stesso vuoto, poi, si<br />

cristallizza nella forma <strong>di</strong> un essente e si oppone all’Uno, resta fuori<br />

dell’Uno, pur situandosi entrambi (l’Uno e il vuoto) nell’elemento<br />

della negatività che ne consentirà il superamento. Hegel riporta<br />

le categorie dell’Uno e del vuoto all’atomismo antico, cui non esita<br />

ad attribuire un’affermazione speculativamente assai rilevante: che<br />

cioè il vuoto non è qualcosa <strong>di</strong> estrinseco agli atomi, ma il fondamento<br />

del loro movimento. Il vuoto <strong>degli</strong> atomi <strong>di</strong>venta così un’anticipazione<br />

del concetto <strong>hegel</strong>iano <strong>di</strong> negatività, che è all’origine<br />

dell’autoframmentarsi dell’Uno.<br />

8) E in effetti, la relazione del negativo a sé, propria dell’Essere<br />

per sé e dell’Uno, si esplicita come relazione negativa o rapporto<br />

escludente; l’autorepulsione dell’Uno genera i molti uno; lungi dall’essere,<br />

come crederà Trendelenburg, semplicemente un concetto<br />

ricavato dall’intuizione sensibile, la repulsione è un termine figurato<br />

che designa il momento negativo dell’autorelazione dell’Essere<br />

per sé. È, infatti, la stessa nozione dell’Uno — sostiene Hegel —<br />

che implica il suo porsi come molteplice, e lo è a motivo della negatività<br />

a lui già da sempre immanente, nonostante l’imme<strong>di</strong>atezza e<br />

l’in<strong>di</strong>stinzione con cui dapprima Hegel lo aveva caratterizzato. Di<br />

qui si comprende la critica che Hegel rivolge a Leibniz: <strong>di</strong> aver ammesso<br />

la molteplicità delle mona<strong>di</strong> come già data e, per l’appunto,<br />

<strong>di</strong> non averla concepita come una conseguenza necessaria dell’infinito<br />

respingersi dell’Uno da se stesso, un’idea a cui invece, secondo<br />

Hegel, si è avvicinato l’atomismo antico.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

397<br />

9) La repulsione, però, pur essendo un rapporto negativo dei<br />

molti uno, è tuttavia sempre un rapporto, ed anzi un rapporto positivo<br />

d’identità <strong>degli</strong> uno esclusivi. Da qui il loro porsi in un unico<br />

Uno, la loro attrazione. Quest’attrazione, però, non va intesa, come<br />

farà Trendelenburg, come un’identità tra molte ‘cose’, ma come<br />

quel processo <strong>di</strong>alettico per cui la mutua <strong>di</strong>stinzione <strong>degli</strong> uno è, al<br />

tempo stesso, la loro unità.<br />

È a questo punto che Hegel fa riferimento alla <strong>di</strong>alettica platonica<br />

del Parmenide. Nelle Lezioni sulla storia della filosofia egli riconosce<br />

a Platone il grande merito, specialmente nello sviluppo della<br />

seconda ipotesi del <strong>di</strong>alogo, <strong>di</strong> aver formulato la vera ed esatta <strong>di</strong>alettica<br />

dell’Uno e dei molti, secondo la quale l’Uno è insieme tanto<br />

Uno quanto molteplice, e viceversa. Nel nostro capitolo, tuttavia,<br />

ma anche nelle Lezioni, egli rimprovera Platone per aver dedotto il<br />

molteplice dall’Uno con una riflessione esterna, basata sulla mera<br />

<strong>di</strong>stinzione linguistica tra l’‘è’ e l’‘Uno’ ( 291 ).<br />

Ora, noi sappiamo che, per Platone ( 292 ), ogni ente, intelligibile<br />

e sensibile, costituendosi come una sorta <strong>di</strong> ‘misto’ o <strong>di</strong> ‘sintesi’,<br />

ha per fondamenti ultimativi i due principi, originari e coeterni,<br />

dell’Uno e della <strong>di</strong>ade indefinita, i quali si implicano reciprocamente.<br />

Il primo principio (gerarchicamente superiore, in virtù del<br />

para<strong>di</strong>gma metafisico henologico che Platone adotta: una cosa è, in<br />

quanto è una) è causa formale <strong>di</strong> determinazione, il secondo è causa<br />

‘materiale’ <strong>di</strong> molteplicità e gradazione <strong>degli</strong> enti. Secondo Platone,<br />

però, l’Uno in sé e per sé, come principio in<strong>di</strong>visibile e assolutamente<br />

semplice, non è il molteplice, e, viceversa, la <strong>di</strong>ade, come<br />

principio <strong>di</strong> pluralità, non è l’Uno. Ciascun principio, al fine della<br />

costituzione <strong>degli</strong> enti, esige l’altro in maniera strutturale; non c’è<br />

unità che non sia unità <strong>di</strong> una molteplicità, e, viceversa, nessuna<br />

( 291 ) Lez. st. filos., II, pp. 212 ss.; Sdl, p. 179.<br />

( 292 ) REALE, L’‘henologia’, pp. 113 ss.; Per una nuova interpretazione, pp. 214<br />

ss., 336 ss., 449 ss.; in ARISTOTELE, Metafisica, I, pp. 218 ss., 303 ss.


398 HEGEL E ARISTOTELE<br />

molteplicità (che non sia puramente caotica e indeterminata) è<br />

pensabile senza la partecipazione all’unità. Tuttavia, ciascun principio<br />

non è l’altro, ma è l’opposto polare (o, <strong>di</strong>ciamo, contrario) dell’altro.<br />

È, anche, assai importante ricordare tanto la polisemia (davvero<br />

protoaristotelica!) dei termini ‘uno’ e ‘molti’ che risulta dal<br />

Parmenide ( 293 ), quanto i mo<strong>di</strong> analogici, e non identici, in cui la<br />

<strong>di</strong>ade indefinita si esplica nei <strong>di</strong>versi gra<strong>di</strong> della realtà ( 294 ), sebbene<br />

l’unità e la stabilità <strong>di</strong> significato <strong>di</strong> quei termini non siano date,<br />

come per Aristotele, dal riferimento alla sostanza in<strong>di</strong>viduale, ma<br />

vengano ultimamente garantite dai primi principi come sostanze<br />

assolute e universali e come primi ‘concetti’ metafisici ( 295 ). Se tutto<br />

questo è vero, la tesi <strong>hegel</strong>iana che l’Uno, a motivo della negatività<br />

che gli è immanente, è in se stesso molteplice, e che, viceversa, il<br />

molteplice è in se stesso uno, non è applicabile ai primi principi <strong>di</strong><br />

Platone.<br />

D’altra parte, a Hegel basta trovare nel Parmenide l’affermazione<br />

che, <strong>di</strong>cendo ‘l’Uno è’, io <strong>di</strong>co già i molti, per poter attribuire<br />

a Platone la tesi che in ogni determinazione è contenuta la contraria,<br />

che ciascuna <strong>di</strong> esse, anzi, ‘trapassa’ nel suo contrario e che la<br />

verità è soltanto nella loro unità ( 296 ). In tal modo, per Hegel, Platone<br />

si muoverebbe già nella <strong>di</strong>rezione della dottrina dell’opposizione<br />

immanente o costitutiva e della contrad<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>alettica ( 297 ).<br />

Hegel, in tutto il capitolo de<strong>di</strong>cato all’Essere per sé, non nomina<br />

mai, invece, Aristotele. Sul tema dell’Uno e dei molti in Aristotele<br />

e in Hegel, limitatamente alla problematica del nostro capi-<br />

( 293 ) Cfr. MIGLIORI, Dialettica, pp. 226 n. 1, 304 s., 452 ecc.<br />

( 294 ) Cfr. REALE, Per una nuova interpretazione, pp. 628<br />

( 295 ) Cfr. MOVIA, Apparenze, p. 184 e n. 31.<br />

( 296 ) Lez. st. filos., II, p. 213 ss. Cfr. anche BEIERWALTES, Pensare l’Uno, pp. 198<br />

s.; ISNARDI PARENTE, Noterelle, pp. 159 ss.<br />

( 297 ) Critica <strong>di</strong> quest’interpretazione <strong>hegel</strong>iana <strong>di</strong> Platone, per quanto riguarda<br />

non solo il Parmenide, ma anche il Sofista, in BERTI, Contrad<strong>di</strong>zione, pp. 96 ss.<br />

Cfr. anche LANDUCCI, La contrad<strong>di</strong>zione, p. 76, e MOVIA, Apparenze, p. 421.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

399<br />

tolo, si potrebbero tuttavia fare almeno tre osservazioni. In primo<br />

luogo, Hegel con<strong>di</strong>vide il para<strong>di</strong>gma metafisico ontologico (primato<br />

dell’essere sull’uno: una cosa è una, in quanto è) proposto dallo<br />

Stagirita in alternativa a quello henologico <strong>di</strong> Platone, e, poi, sviluppatosi<br />

con gli Arabi e con la scolastica me<strong>di</strong>evale sino all’età<br />

moderna (mentre, in Grecia, è rimasto predominante il para<strong>di</strong>gma<br />

henologico) ( 298 ). Per Hegel, come sappiamo, la prima categoria<br />

della logica, fondamento e base <strong>di</strong> tutte le categorie successive ( 299 ),<br />

non è l’Uno (che è già una nozione più complessa e concreta), ma<br />

l’Essere, benché si tratti dell’Essere assolutamente indeterminato e<br />

non certo dell’ente in quanto ente, ossia dell’ente polivoco <strong>di</strong> Aristotele.<br />

In secondo luogo, a motivo delle convertibilità (ovvero coestensività<br />

e, insieme, connessione intensionale) dell’essere e dell’uno,<br />

Aristotele, come può affermare l’imme<strong>di</strong>ata e originaria molteplicità<br />

dell’essere, che si <strong>di</strong>vide anzitutto nell’essere per sé e nell’essere<br />

per accidente, la stessa cosa può affermare dell’uno, esso<br />

pure originariamente e imme<strong>di</strong>atamente molteplice, una molteplicità,<br />

peraltro, che non esclude, ma anzi esige l’unità, ossia, e nel<br />

caso dell’essere e in quello dell’uno, la relazione ad un termine unico:<br />

la sostanza ( 300 ). L’imme<strong>di</strong>ata, intrinseca, originaria molteplicità<br />

dell’Uno è affermata anche da Hegel, con la <strong>di</strong>fferenza essenziale,<br />

rispetto ad Aristotele, che, per lui, la molteplicità dell’Uno non dà<br />

luogo ad una pluralità <strong>di</strong> significati: secondo Hegel, i termini a cui<br />

l’Uno si riferisce nella sua autoframmentazione sono essi stessi, per<br />

identità, <strong>degli</strong> uno, cosicché, in essi, l’Uno si riferisce soltanto a se<br />

stesso. Certamente, per Hegel, l’identità <strong>degli</strong> uno (attrazione) è inseparabile<br />

dalla loro <strong>di</strong>stinzione (repulsione), ma il presupporsi re-<br />

ss.<br />

( 298 ) REALE, L’‘henologia’, pp. 113 ss.; in ARISTOTELE, La Metafisica, I, pp. 303<br />

( 299 ) Cfr. MOVIA, Essere, p. 524.<br />

( 300 ) BERTI, L’uno, pp. 173 s., 158, 168.


400 HEGEL E ARISTOTELE<br />

ciproco <strong>di</strong> questi due momenti non comporta una molteplicità <strong>di</strong><br />

significati dell’uno aventi un comune termine <strong>di</strong> riferimento, ma<br />

piuttosto, come sappiamo, la posizione <strong>di</strong> quell’unico Uno dell’attrazione<br />

il quale, superando i molti, si congiunge con sé in una<br />

nuova imme<strong>di</strong>atezza: la quantità.<br />

In terzo luogo, non sarà inopportuno richiamare brevemente<br />

il punto <strong>di</strong> vista <strong>hegel</strong>iano sul cruciale tema dell’‘istante’ (to nyn) in<br />

Aristotele, che ha un notevole rilievo anche per la problematica del<br />

nostro capitolo ( 301 ). Hegel riferisce che lo Stagirita concepisce<br />

l’istante (allo stesso modo del punto e del limite in generale) ( 302 )<br />

tanto come uno quanto come molti. Infatti, al tempo stesso, esso è<br />

sia l’unione sia la separazione del prima e del poi. Come si esprime<br />

Aristotele, nell’istante la <strong>di</strong>visione e l’unificazione (o continuità)<br />

sono la stessa cosa, ma la loro ‘essenza’ (to éinai) è <strong>di</strong>versa. Come in<br />

altri casi ( 303 ), anche qui la dottrina aristotelica dell’identità reale e<br />

della <strong>di</strong>fferenza logica <strong>di</strong> due determinazioni opposte è sufficiente<br />

a Hegel per attribuire ad Aristotele (come aveva fatto per Platone)<br />

il superamento del principio intellettualistico d’identità e per ritrovare<br />

anche nello Stagirita la contrad<strong>di</strong>zione <strong>di</strong>alettica: «identità e<br />

non identità sono per lui una sola e medesima cosa» ( 304 ).<br />

( 301 ) Cfr. ARISTOTELE, Phys., IV 13, 222 A 10 ss. e HEGEL, Lez. st. filos., II, pp.<br />

334 s. Nel corso del Convegno ha attirato la mia attenzione su questi passi l’amico<br />

Prof. Renato Milan, che qui ringrazio. Sul problema ve<strong>di</strong> anche OWEN,<br />

Tithenai, pp. 83 ss.; WIELAND, La fisica, pp. 408 ss.; RUGGIU, Tempo, pp. 238 ss.;<br />

SAMONÀ, Dialettica, pp. 101 ss., 145 ss.; STEVENS, De l’analogie, p. 167 (convergenza<br />

<strong>di</strong> Aristotele e Hegel nella nozione <strong>di</strong> alterità essenziale del limite).<br />

( 302 ) Sulla concezione <strong>hegel</strong>iana del limite cfr. MOVIA, Finito, pp. 342 ss.<br />

( 303 ) Cfr., ad es., Lez. st. filos., II, pp. 326 s. (sull’attività e la passività nel<br />

movimento), 331 (sull’unità e <strong>di</strong>versità della materia), 354 s. (sulla sensazione e<br />

il sensibile; ve<strong>di</strong> MOVIA, in ARIST., L’Anima2 , p. 30), ecc.<br />

( 304 ) Lez. st. filos., II, p. 335. Critica dell’interpretazione <strong>di</strong>alettica<br />

dell’exàiphnes platonico e del nyn aristotelico in BERTI, Struttura, pp. 317 s. e Contrad<strong>di</strong>zione,<br />

p. 203.


G. MOVIA - L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’essere per sé<br />

401<br />

10) Allo stesso modo, dunque, che la repulsione include l’attrazione,<br />

ovvero la relazione dell’Uno a se stesso, come suo momento<br />

costitutivo, altrettanto l’attrazione, per non estinguersi in<br />

una quiete inerte, è essa stessa repulsione, in quanto non può non<br />

porre la <strong>di</strong>stinzione <strong>degli</strong> uno <strong>di</strong> cui essa è l’unità. Me<strong>di</strong>ante il presupporsi<br />

reciproco <strong>di</strong> repulsione e attrazione (che, secondo Hegel,<br />

lo stesso Kant, nella sua costruzione <strong>di</strong>namica della materia, ha,<br />

sia pure inconsapevolmente, ammesso), me<strong>di</strong>ante la loro unità e<br />

identità speculativa, l’unico Uno dell’attrazione, come Essere per<br />

sé compiuto e concluso, nel superare e ‘idealizzare’ i molti, si riferisce<br />

a se stesso in una nuova imme<strong>di</strong>atezza semplice, la quantità:<br />

ovvero l’unità in<strong>di</strong>fferente, quantitativa.


APPENDICE


(*) Docente <strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong> nei Licei.<br />

G.W.F. HEGEL<br />

«CHI PENSA ASTRATTO?»<br />

traduzione e commento <strong>di</strong><br />

FRANCA MASTROMATTEO (*) e LEONARDO PAGANELLI (**)<br />

1. INTRODUZIONE<br />

«Astrazioni, queste sono solo astrazioni!». Quante volte ci<br />

siamo sentiti ripetere questa frase? Esiste nel grosso pubblico (chiamiamolo<br />

«opinione pubblica», «maggioranza dei benpensanti», o<br />

simili) una profonda <strong>di</strong>ffidenza, anzi un forte <strong>di</strong>sprezzo nei riguar<strong>di</strong><br />

del pensiero astratto. Questa <strong>di</strong>ffidenza e questo <strong>di</strong>sprezzo si<br />

esprimono nella critica nei confronti della filosofia (in particolare,<br />

della metafisica) e — più in generale — <strong>di</strong> qualsiasi scienza che<br />

non sia applicata. Tale atteggiamento è certo caratteristico dell’èra<br />

contemporanea, così infatuata per tutto ciò che è «tecnico» o «pratico».<br />

Però è sorprendente notare che un simile habitus mentale non<br />

è affatto un prodotto dei mass me<strong>di</strong>a contemporanei, ma era già frequente<br />

ai tempi <strong>di</strong> Hegel: a tal punto, che Hegel stesso sentì il bisogno<br />

<strong>di</strong> satireggiare questo atteggiamento, stigmatizzando quel che<br />

egli definiva — nella sua terminologia — la «cattiva» astrazione.<br />

(**) Professore associato <strong>di</strong> Storia della lingua greca nell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Genova;<br />

Perito Traduttore presso il Tribunale <strong>di</strong> Bologna.


406 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Hegel scrisse questo articolo a trentasei anni, quando era redattore<br />

<strong>di</strong> un piccolo giornale locale: la «Bamberger Zeitung» (aprile-luglio<br />

1807). Contemporaneamente, egli portava a compimento<br />

la Fenomenologia dello Spirito, data alle stampe a Jena, poco dopo la<br />

celebre battaglia vinta da Napoleone. Questo breve saggio fu poi<br />

ripubblicato nel 1835, nell’Opera omnia <strong>hegel</strong>iana ( 1 ); ma solo nel<br />

1969, A. Bennhold-Thomsen e G. Schüler ne hanno dato alle stampe<br />

un’e<strong>di</strong>zione critica, basata sul manoscritto autografo custo<strong>di</strong>to<br />

nella Biblioteca Nazionale <strong>di</strong> Berlino ( 2 ). Per un singolare destino,<br />

questo breve scritto è stato spesso sottovalutato dagli interpreti <strong>di</strong><br />

Hegel: esso piacque a Rosenkranz, a Bloch e a Löwith ( 3 ), ma fu<br />

considerato non più <strong>di</strong> un «Feuilleton» da H. Glockner ( 4 ). In Italia,<br />

esso è stato tradotto da Togliatti ( 5 ), ma nessuno dei commentatori<br />

italiani lo ha incluso, né nelle bibliografie, né nelle antologie<br />

<strong>hegel</strong>iane. È forse giunto il momento per una rilettura critica.<br />

2.TESTO<br />

Pensare? Astratto? — Sauve qui peut! Si salvi chi può! — Già<br />

sento gridare da una spia venduta al nemico, che va spifferando<br />

che in questo articolo si parlerà <strong>di</strong> metafisica. Giacché «metafisica»,<br />

come «astratto» e ad<strong>di</strong>rittura «pensiero», è la parola da cui ciascu-<br />

( 1 ) G.W.F. HEGEL, Werke, edd. D.F. FÖRSTER-D.L. BOUMANN, XVII, Berlin 1835,<br />

pp. 400-405; cfr. ID., Sämtliche Werke (Jubiläumsausgabe), ed. H. GLOCKNER, XX,<br />

Stuttgart 1930, pp. 445-450.<br />

( 2 ) G.W.F. HEGEL, Wer denkt abstract?, ed. G. SCHÜLER, «Hegel-Stu<strong>di</strong>en», V<br />

(1969), pp. 161-164; A. BENNHOLD-THOMSEN, Hegels Aufsatz: Wer denkt abstract?,<br />

ibid., pp. 165-199 (su questa e<strong>di</strong>tio critica è basata la nostra traduzione).<br />

( 3 ) K. ROSENKRANZ, Vita <strong>di</strong> Hegel, trad.it., Milano 1974, pp. 371-372; E. BLOCH,<br />

Soggetto-Oggetto. Commento a Hegel, trad.it., Bologna 1975, pp. 27-28; K. LÖWITH,<br />

Hegel e il Cristianesimo, trad.it., Roma-Bari 1976, pp. 101-102.<br />

( 4 ) GLOCKNER, op. cit., XX, p. XIX.<br />

( 5 ) G.W.F. HEGEL, Chi pensa in astratto?, trad.it. <strong>di</strong> P. TOGLIATTI, «Rinascita», XIV<br />

1-2 (1957), pp. 34-35 (senza note né commento); un commento storico-politico-letterario<br />

a Wer denkt abstract? è contenuto in R. RACINARO, Sul concetto <strong>hegel</strong>iano <strong>di</strong> «astratto»:<br />

la riconciliazione alla Kotzebue, «Critica marxista», X (5) (1972), pp. 78-107.


G.W.F. HEGEL - Chi pensa astratto?<br />

407<br />

no si tiene lontano, più o meno come da un soggetto affetto da peste<br />

( 6 ).<br />

Ma non abbiamo intenzioni tanto cattive, da voler qui spiegare<br />

che cosa sia il pensiero o che cosa sia l’astratto. Al bel mondo,<br />

niente riesce intollerabile quanto le spiegazioni. Io stesso sono abbastanza<br />

atterrito quando qualcuno comincia a spiegare, perché —<br />

in caso <strong>di</strong> bisogno — capisco tutto da me ( 7 ). Comunque, lo spiegare<br />

qui che cosa sia il pensiero e che cosa sia l’astratto ci è sembrato<br />

completamente superfluo: il bel mondo, nella misura in cui conosce<br />

che cosa sia l’astratto, proprio perciò ne sta lontano. Nessuno<br />

può desiderare — così come nessuno può o<strong>di</strong>are — ciò che non conosce<br />

( 8 ).<br />

E non abbiamo nemmeno l’intenzione <strong>di</strong> riconciliare il bel<br />

mondo col pensiero o con l’astratto me<strong>di</strong>ante uno stratagemma, e<br />

quasi <strong>di</strong> contrabbandare il pensiero e l’astratto sotto l’apparenza <strong>di</strong><br />

una conversazione frivola: così da introdurre il pensiero e l’astratto<br />

in società surrettiziamente e senza destare alcun sospetto, e da farlo<br />

accogliere o — come <strong>di</strong>cono gli Svevi — da «infiltrarlo» (herein-<br />

( 6 ) Il saggio si apre con un attacco vivace, ironico e polemico. Dai tempi <strong>di</strong><br />

Hegel ad oggi, le cose non sono cambiate: l’atteggiamento collettivo nei confronti<br />

della «metafisica», del «pensiero», dell’«astratto», è negativo, quasi che si trattasse<br />

<strong>di</strong> attività devianti, patologiche.<br />

( 7 ) Hegel polemizza contro un vizio tipico dell’opinione pubblica moderna,<br />

cioè contro il <strong>di</strong>sprezzo nei confronti della metafisica e delle astrazioni, ma anche<br />

del pensiero stesso e delle spiegazioni. Quello che Hegel chiama ironicamente<br />

«bel mondo» (il pubblico dei me<strong>di</strong>a dei suoi tempi, cioè la buona società che leggeva<br />

i giornali e assisteva alle conferenze) prova una istintiva repulsione per le spiegazioni,<br />

in quanto ritiene <strong>di</strong> sapere già abbastanza e <strong>di</strong> dover solo approfon<strong>di</strong>re<br />

quello che già sa. Un simile pubblico non accetta spiegazioni, perché crede <strong>di</strong> poter<br />

«capire tutto da sé», anzi <strong>di</strong> aver già «capito tutto».<br />

( 8 ) Con questa massima lapidaria, <strong>di</strong> derivazione platonica, Hegel vuol <strong>di</strong>re<br />

due cose: il «bel mondo» crede <strong>di</strong> o<strong>di</strong>are l’astratto, perché crede <strong>di</strong> conoscerlo; in<br />

realtà non lo conosce, e perciò non è in grado né <strong>di</strong> desiderarlo, né <strong>di</strong> o<strong>di</strong>arlo. Il<br />

tono generale <strong>di</strong> polemica contro l’ignorante — che non si sente attratto da ciò che<br />

non conosce, e perciò è nel contempo «ignaro» e «ignavo» — è chiaramente<br />

desunto dai <strong>di</strong>aloghi <strong>di</strong> Platone (cfr. Symp. 200 a-e, 204 a).


408 HEGEL E ARISTOTELE<br />

gezäunselt werden) in società senza che questa stessa se ne accorga:<br />

in modo che ora l’autore <strong>di</strong> questo stratagemma sveli l’ospite sinora<br />

sconosciuto, ossia l’astratto, che la società intera avrebbe sinora<br />

trattato e riconosciuto — sotto un altro titolo — come un in<strong>di</strong>viduo<br />

ben noto. Simili scene <strong>di</strong> riconoscimento, me<strong>di</strong>ante le quali il bel<br />

mondo dovrebbe essere istruito contro la sua volontà, hanno in sé<br />

un imperdonabile <strong>di</strong>fetto: esse mirano a produrre confusione, e nel<br />

contempo il loro regista mira a procurarsi un po’ <strong>di</strong> notorietà: sicché<br />

quella confusione e questa vanità ne annullano l’effetto, in<br />

quanto inducono a respingere un’istruzione pagata a così caro<br />

prezzo ( 9 ).<br />

Comunque, la realizzazione <strong>di</strong> un simile progetto è già andata<br />

a monte: giacché, per la sua attuazione, è necessario che la parola-chiave<br />

dello stratagemma non sia rivelata. Ma questa è già stata<br />

svelata dal titolo dell’articolo. Se questo articolo fosse stato scritto<br />

con quell’intenzione nascosta, quelle parole non avrebbero dovuto<br />

essere nominate sin dall’inizio: ma — come il ministro della comme<strong>di</strong>a<br />

— per tutto il tempo della rappresentazione avrebbero dovuto<br />

rimanere con la finanziera abbottonata, e solo all’ultima scena<br />

avrebbero dovuto sbottonarla, e lasciar risplendere la stella al merito<br />

della saggezza ( 10 ). Qui, la sbottonatura <strong>di</strong> una finanziera metafisica<br />

non sarebbe stata così gustosa come la sbottonatura <strong>di</strong> una fi-<br />

( 9 ) Anche la satira delle «conversazioni frivole», attraverso le quali «il bel<br />

mondo dovrebbe venire istruito surrettiziamente», appare estremamente attuale:<br />

ma Hegel non avrebbe potuto immaginare che due secoli dopo <strong>di</strong> lui, tanti programmi<br />

ra<strong>di</strong>otelevisivi sarebbero stati de<strong>di</strong>cati all’intento <strong>di</strong> «istruire contro volontà»,<br />

cioè <strong>di</strong> trasmettere contenuti più o meno culturali, sotto specie <strong>di</strong> «conversazioni<br />

frivole». In verità, Hegel osserva che si tratta comunque <strong>di</strong> operazioni<br />

fraudolente, che non portano lode, ma biasimo all’autore della frode.<br />

( 10 ) Hegel fa riferimento a una comme<strong>di</strong>a, al termine della quale un ministro<br />

si sbottona la finanziera e mostra una stella al merito, simbolo della sua saggezza,<br />

ma anche del suo potere politico ed economico. Secondo A. BENNHOLDT-<br />

THOMSEN, op. cit., pp. 166-167, n. 5, si tratta della comme<strong>di</strong>a Die Deutschen<br />

Kleinstädter («I provinciali») <strong>di</strong> A. VON KOTZEBUE, autore citato da Hegel in questo<br />

stesso articolo. Alla stessa comme<strong>di</strong>a allude E.T.A. HOFFMANN, Gli elisir del <strong>di</strong>avolo,


G.W.F. HEGEL - Chi pensa astratto?<br />

409<br />

nanziera ministeriale, dato che quel che sarebbe apparso alla luce<br />

del giorno, non sarebbe stato altro che un paio <strong>di</strong> parole, e dato che<br />

— per l’appunto — la parte più <strong>di</strong>vertente dello scherzo sarebbe<br />

stata necessariamente riposta nel fatto che esso <strong>di</strong>mostrava che la<br />

società era già in possesso dell’oggetto stesso. Così, alla fin fine, la<br />

società avrebbe guadagnato soltanto una parola, mentre invece la<br />

stella al merito del ministro significava qualcosa <strong>di</strong> reale: una borsa<br />

piena d’oro.<br />

Il fatto che ogni persona presente sappia che cosa sia il pensiero,<br />

che cosa sia l’astratto, è scontato in partenza nella buona società:<br />

e in questa ci troviamo. Pertanto, la sola questione è: chi è che<br />

pensa astratto? La nostra intenzione — come <strong>di</strong>anzi ricordato —<br />

non è <strong>di</strong> riconciliare la buona società con quest’oggetto, <strong>di</strong> indurla<br />

ad occuparsi <strong>di</strong> un argomento <strong>di</strong>fficile, <strong>di</strong> insinuare nella sua coscienza<br />

che sia cosa sconsiderata trascurare ciò che è degno — per<br />

rango e con<strong>di</strong>zione — <strong>di</strong> un essere dotato della ragione. Piuttosto,<br />

è nostra intenzione riconciliare il bel mondo con sé stesso, in quanto<br />

esso non si dà coscienza <strong>di</strong> questa trascuratezza, ma del resto ha<br />

— perlomeno nel suo intimo — un cosciente rispetto del pensiero<br />

astratto, come <strong>di</strong> qualcosa <strong>di</strong> sublime. E pertanto se ne guarda, non<br />

perché gli sembri una cosa troppo umile, ma perché gli sembra una<br />

cosa troppo sublime; non perché gli sembri una cosa troppo or<strong>di</strong>naria,<br />

ma perché gli sembra una cosa troppo <strong>di</strong>stinta; o viceversa,<br />

perché il pensiero astratto gli sembra una Espèce («singolarità»),<br />

un’originalità, qualcosa con cui non ci si può mettere in mostra nella<br />

società comune, come con una nuova toeletta, o piuttosto qualcosa<br />

con cui ci si può far scacciare dalla società o far ridere <strong>di</strong>etro,<br />

come con un vestito miserabile, o anche con un vestito costoso che<br />

trad.it., Torino 1979, p. 134. È evidente un’intenzione satirica nei riguar<strong>di</strong> della burocrazia<br />

(lo strip-tease del ministro ha un chiaro significato comico-caricaturale).<br />

Hegel ha scelto <strong>di</strong> non seguire questo metodo: cioè <strong>di</strong> non svelare il segreto del<br />

suo articolo solo al termine del saggio. Prosegue la polemica contro la «buona società»,<br />

che crede <strong>di</strong> possedere la conoscenza e <strong>di</strong>sprezza l’astrazione filosofica.


410 HEGEL E ARISTOTELE<br />

— pur contenendo antiche pietre preziose e un costoso ricamo —<br />

abbia preso l’aspetto <strong>di</strong> una vecchia cineseria ( 11 ).<br />

Il solo problema è: chi pensa astratto? L’uomo ignorante, non<br />

l’uomo colto ( 12 ). Per questo la buona società non pensa astratto:<br />

perché ciò è troppo futile, perché ciò è troppo umile (umile non per<br />

il ceto sociale); e non per una vuota forma <strong>di</strong> esaltazione, che <strong>di</strong>sprezza<br />

ciò che non può fare, bensì per l’intrinseca bassezza della<br />

cosa.<br />

Il pregiu<strong>di</strong>zio e l’allarme nei confronti del pensiero astratto<br />

sono così gravi, che gli in<strong>di</strong>vidui dal naso fino cominceranno a subodorare<br />

qui una sorta <strong>di</strong> satira o <strong>di</strong> ironia; ma proprio perché essi<br />

sono lettori abituali del «Corriere del Mattino» (Morgenblatt), sanno<br />

che c’è un premio in palio per la satira, e che pertanto io farei meglio<br />

a concorrere per cercare <strong>di</strong> guadagnarmelo, piuttosto che mettere<br />

in piazza qui, senz’altro, i fatti miei.<br />

( 11 ) Qui Hegel corregge il tiro. Egli non sta accusando la «buona società» <strong>di</strong><br />

«trascurare il pensiero astratto»: se così fosse, questo scritto avrebbe il carattere <strong>di</strong><br />

una esortazione morale rivolta al «bel mondo», che crede <strong>di</strong> sapere che cos’è la<br />

«filosofia astratta», e perciò la trascura. Ma Hegel non ha questa intenzione<br />

moralistica. Egli si rende conto che il pubblico del suo tempo trascura la «filosofia<br />

astratta» perché non serve a «mettersi in mostra in società». In una collettività<br />

infatuata per l’immagine, per il look, il pensiero è moneta fuori corso, perché non<br />

rende più appariscenti, ma ri<strong>di</strong>coli. Dai tempi <strong>di</strong> Hegel ad oggi, il filosofo è immaginato<br />

dai benpensanti vestito da «miserabile» come Socrate e Diogene, oppure<br />

vestito <strong>di</strong> «cineserie» come un maître à penser settecentesco: insomma, come un<br />

soggetto impresentabile in società. L’autore lascia intendere che l’atteggiamento <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>sinteresse del «bel mondo» nei confronti della «filosofia astratta» nasce in parte<br />

anche da un complesso <strong>di</strong> inferiorità.<br />

( 12 ) Con questo aforisma, Hegel scopre le carte. L’astrazione (s’intende, la<br />

«cattiva» astrazione) non è prerogativa del dotto, ma dell’ignorante. In effetti, l’intero<br />

saggio è una demistificazione della «cattiva» astrazione, vista come opinione<br />

tipica <strong>degli</strong> ignoranti, che sono poi la maggioranza (hoi pollói), come affermava<br />

Platone. Quanto al pubblico dei me<strong>di</strong>a, l’autore osserva beffardamente che esso,<br />

nella sua ignoranza, crede <strong>di</strong> non «pensare astratto», ma in realtà quanto più è<br />

ignorante, tanto più pensa astrattamente, cioè per categorie fasulle, per clichés, per<br />

stereotipi. La tesi <strong>di</strong>mostrata da Hegel è paradossale, esattamente come certe<br />

asserzioni dei <strong>di</strong>aloghi platonici, e il paradosso è duplice. La gente ignorante ha in<br />

o<strong>di</strong>o l’«astrazione filosofica»; eppure fa continuamente uso <strong>di</strong> «cattive» astrazioni.


G.W.F. HEGEL - Chi pensa astratto?<br />

411<br />

Mi è sufficiente portare solo <strong>degli</strong> esempi alla mia asserzione,<br />

e poi tutti ammetteranno che essa è <strong>di</strong>mostrata. Dunque, un omicida<br />

viene condotto al patibolo. Per il popolo or<strong>di</strong>nario, egli non è<br />

nient’altro che un omicida. Forse, le gentildonne notano che egli è<br />

un uomo aitante, bello, interessante. Il popolo or<strong>di</strong>nario trova mostruosa<br />

questa osservazione: «Come?! Bello, un omicida? Come si<br />

può essere così malpensanti, da chiamare bello un omicida? Certo,<br />

voi non siete molto meglio <strong>di</strong> lui!» «Tale è la depravazione dei costumi<br />

che regna fra la gente altolocata», soggiunge magari il sacerdote,<br />

che conosce i cuori e l’intimo delle cose.<br />

Un conoscitore dell’antropologia stu<strong>di</strong>a il modo in cui si è<br />

svolta la formazione <strong>di</strong> questo criminale, e nella sua storia privata,<br />

trova: una cattiva educazione; un cattivo rapporto fra il padre e la<br />

madre in famiglia; per un piccolo precedente <strong>di</strong> questo in<strong>di</strong>viduo,<br />

una severità ad<strong>di</strong>rittura mostruosa, che lo ha riempito <strong>di</strong> amarezza<br />

nei riguar<strong>di</strong> dell’or<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co; un primo fallo <strong>di</strong> reazione,<br />

che lo ha spinto contro questo or<strong>di</strong>namento, e ha fatto sì che egli<br />

potesse sostentarsi solo per mezzo del crimine ( 13 ). — Certo, c’è<br />

gente che quando sentirà ciò, <strong>di</strong>rà: «Costui vuole giustificare questo<br />

omicida!» Ebbene, io mi ricordo <strong>di</strong> aver u<strong>di</strong>to, nella mia gioventù,<br />

un borgomastro che si lamentava che gli scrittori della carta<br />

stampata vanno troppo in là, e cercano <strong>di</strong> affossare il Cristianesimo<br />

e la legalità: ce n’era uno che aveva scritto un’apologia del suici<strong>di</strong>o:<br />

terribile, davvero terribile! Alla domanda successiva, saltò fuori<br />

che si riferiva ai Dolori del giovane Werther ( 14 ).<br />

( 13 ) Secondo Hegel, <strong>di</strong> fronte all’esempio vivente dell’«omicida» vi sono<br />

due atteggiamenti possibili. Da un lato, per la «cattiva» astrazione, l’«omicida» è<br />

sempre e solo un criminale, e se ne sta là, trafitto da uno spillo e convenientemente<br />

etichettato dal benpensante, che si rifiuta <strong>di</strong> esaminarne l’esistenza in modo<br />

«critico», ma lo giu<strong>di</strong>ca in modo dogmatico. D’altro canto — osserva Hegel,<br />

precorrendo la criminologia positivista — l’«omicida» è innanzitutto un essere ragionevole,<br />

che ha agito razionalmente, anche se la sequenza delle sue azioni lo ha<br />

condotto fuori dall’or<strong>di</strong>namento razionale del <strong>di</strong>ritto.<br />

( 14 ) Con questa boutade, Hegel vuol <strong>di</strong>fendersi dall’obiezione volgare, secondo<br />

cui chi spiega il movente <strong>di</strong> un delitto lo giustifica. Ma l’autore non mira a


412 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Questo significa pensare astratto: nell’omicida non vedere<br />

nient’altro che questo concetto astratto, ossia che egli è un omicida,<br />

e a causa <strong>di</strong> quest’unica qualità cancellare in lui tutta la rimanente<br />

essenza umana. In tutt’altro modo agì il mondo fine e sentimentale<br />

<strong>di</strong> Lipsia. Esso coprì e coronò <strong>di</strong> ghirlande <strong>di</strong> fiori la ruota della tortura<br />

e il criminale che vi era legato. Ma questa è appunto l’astrazione<br />

opposta. I Cristiani possono venerare una «croce fatta <strong>di</strong> rose»<br />

(Rosenkreuzerey) o meglio una «rosa fatta <strong>di</strong> croci» (Kreuzroserey),<br />

possono incoronare la croce <strong>di</strong> rose. La croce è un patibolo e una<br />

ruota <strong>di</strong> tortura che è stata da tempo glorificata. Essa ha perduto il<br />

suo significato originario, quello <strong>di</strong> essere lo strumento <strong>di</strong> una<br />

pena infamante, e al contrario offre la rappresentazione del più sublime<br />

dolore e della più profonda umiliazione, nonché della più<br />

gau<strong>di</strong>osa letizia e grazia <strong>di</strong>vina. Invece la croce <strong>di</strong> Lipsia, inghirlandata<br />

<strong>di</strong> violette e <strong>di</strong> rosolacci, è una forma <strong>di</strong> riconciliazione superficiale<br />

alla maniera «kotzebuesca» (kotzebuische), una specie <strong>di</strong><br />

contaminazione <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nata <strong>di</strong> sentimentalismo e cattiveria ( 15 ).<br />

questo. Egli rifiuta <strong>di</strong> considerare — dogmaticamente — un «omicida» come<br />

«nient’altro che questo concetto astratto». Egli non scusa il delitto, ma critica il<br />

dogmatismo in nome <strong>di</strong> una visione più alta, come Goethe non <strong>di</strong>fende il suici<strong>di</strong>o<br />

<strong>di</strong> Werther, ma lo stu<strong>di</strong>a con interesse «critico».<br />

( 15 ) Sconfinando in campo teologico, Hegel osserva che la croce ha da tempo<br />

cessato <strong>di</strong> essere un simbolo del patibolo, per <strong>di</strong>venire il segno della misericor<strong>di</strong>a<br />

<strong>di</strong> Dio. L’autore prende le mosse da questa osservazione per parlare delle «croci<br />

fatte <strong>di</strong> rose» e dei fiori con cui i benpensanti <strong>di</strong> Lipsia coronarono il patibolo<br />

del criminale, senza per questo tralasciare <strong>di</strong> giustiziarlo. Qui l’espressione «rosa<br />

fatta <strong>di</strong> croci» contiene un’esplicita allusione alla mistica dei Rosacroce, una setta<br />

rinascimentale fondata da T.B. von Hohenheim, detto Paracelso (1493-1541), che<br />

influenzò ampiamente Martin Lutero, Goethe, lo stesso Hegel e i suoi esegeti Rosenkranz<br />

e Lasson (cfr. K. LÖWITH, Da Hegel a Nietzsche, trad.it., Torino 1949, pp.<br />

40-44; H. KÜNG, Incarnazione <strong>di</strong> Dio, trad. it., Brescia 1972, p. 76; S. NATOLI, Ermeneutica<br />

e genealogia, Milano 1981, p. 23: «Il simbolo della rosa e della croce è quanto<br />

mai illuminante per una interpretazione della filosofia <strong>di</strong> Hegel come filosofia della<br />

conciliazione»). D’altra parte, Hegel non può non considerare un’espressione <strong>di</strong><br />

farisaismo il gesto dei benpensanti <strong>di</strong> Lipsia, che coprirono il patibolo del condannato<br />

<strong>di</strong> ghirlande <strong>di</strong> fiori, <strong>di</strong>mostrando così un «sentimentalismo» congiunto alla


G.W.F. HEGEL - Chi pensa astratto?<br />

413<br />

In tutt’altro modo, io sentii una volta una donna or<strong>di</strong>naria,<br />

una vecchia, una ricoverata in un ospizio, <strong>di</strong>struggere l’astrazione<br />

dell’omicida e farla rivivere per grazia. La testa decapitata dell’omicida<br />

era rimasta sul patibolo, e splendeva il sole; la vecchia<br />

<strong>di</strong>sse: «Quant’è bello il sole della grazia <strong>di</strong> Dio (Gottes Gnadensonne)<br />

che illumina la testa <strong>di</strong> Binder!» — «Tu non sei degno che il sole<br />

t’illumini!», <strong>di</strong>ciamo a un <strong>di</strong>sgraziato con cui siamo in collera.<br />

Quella donna vide che la testa dell’omicida era illuminata dal sole,<br />

e dunque ne era pur sempre degna. Essa lo esaltò dalla pena del<br />

patibolo alla grazia del sole <strong>di</strong> Dio (Sonnengnade Gottes): non operò<br />

la riconciliazione offrendo le sue violette e la sua vanità sentimentale,<br />

ma vide l’omicida redento per grazia nella luce del sole ( 16 ).<br />

«Vecchia, le sue uova sono marce!», <strong>di</strong>ce la massaia alla moglie<br />

del droghiere. «Che cosa?», risponde questa. «Marce le mie<br />

uova? Marcia sarà lei! Proprio lei <strong>di</strong>ce questo delle mie uova? Lei?<br />

Suo padre non è stato <strong>di</strong>vorato dai pidocchi sullo stradone? Sua<br />

madre non è andata coi Francesi? E sua nonna non è morta all’ospizio?<br />

— Costei si è fatta una sciarpa con una camicia intera! Si sa<br />

bene da chi ha ricevuto quella sciarpa e la relativa cuffietta! Se non<br />

ci fossero gli ufficiali, costei non sarebbe così tirata a lucido, e se<br />

certe gentildonne pensassero un po’ <strong>di</strong> più ai fatti loro, qualcheduna<br />

sarebbe in galera! — Almeno costei pensasse a rattopparsi i buchi<br />

delle calze!» — In breve, la droghiera le fa il pelo e il contrope-<br />

«cattiveria», paragonabile a quello <strong>di</strong> certi drammi del sopracitato von Kotzebue<br />

(cfr. RACINARO, op. cit.).<br />

( 16 ) Al farisaismo dei borghesi <strong>di</strong> Lipsia, Hegel contrappone l’atteggiamento<br />

<strong>di</strong> un’anziana donna del popolo, che rifiuta <strong>di</strong> considerare — dogmaticamente<br />

— l’«omicida» come «nient’altro che questo concetto astratto», e vede nella luce <strong>di</strong><br />

sole che illumina il patibolo un segno dell’infinita «grazia» (Gnade) <strong>di</strong> Dio. Questa<br />

vecchietta contrappone al dogmatismo forcaiolo dei benpensanti una morale e<br />

una religione più profonde, più misericor<strong>di</strong>ose, che del moralismo segnano il<br />

«superamento» alla maniera <strong>hegel</strong>iana. Caratteristico è l’uso — da parte <strong>di</strong> Hegel<br />

— <strong>di</strong> un vocabolo <strong>di</strong> origine teologica: Versöhnung, che significa letteralmente «riconciliazione»,<br />

«rappacificazione» e quin<strong>di</strong> «sintesi» (<strong>di</strong> Padre e Figlio, <strong>di</strong> Dio ed<br />

uomo, <strong>di</strong> soggetto e oggetto, <strong>di</strong> tesi e antitesi: cfr. KÜNG, op. cit., pp. 152 ss.).


414 HEGEL E ARISTOTELE<br />

lo: pensa astratto, e la sussume (subsumieren) in base alla sciarpa,<br />

alla cuffietta, alla camicia e così via, sino alle <strong>di</strong>ta e alle altre parti<br />

del corpo, in base al padre e a tutta quanta la sua schiatta, solo per<br />

il crimine <strong>di</strong> aver trovato marce le uova; tutto, in lei, prende il colore<br />

<strong>di</strong> queste uova marce, mentre gli ufficiali <strong>di</strong> cui ha parlato la<br />

droghiera (ammesso che ci abbiano a che fare, ma c’è da dubitarne)<br />

avrebbero preferito scorgere in lei ben altre cose ( 17 ).<br />

E per passare dalla massaia al servitore, un servo non si trova<br />

mai così male, come presso un padrone <strong>di</strong> umili origini e <strong>di</strong> pochi<br />

mezzi; e si trova tanto meglio, quanto più <strong>di</strong>stinto è il padrone. Anche<br />

qui, l’uomo or<strong>di</strong>nario pensa più astratto: fa il superbo <strong>di</strong> fronte<br />

al servo e lo tratta solo come un servo: si attiene esclusivamente a<br />

questo pre<strong>di</strong>cato ( 18 ). Il servo si trova benissimo presso i Francesi.<br />

Se l’uomo <strong>di</strong>stinto è familiare col servo, il Francese gli è ad<strong>di</strong>rittura<br />

amico. Quando sono soli, il servo ha l’ultima parola: si veda Jacques<br />

et son maître («Giacomo il fatalista e il suo padrone») <strong>di</strong> Diderot: il<br />

padrone non fa niente, se non fiutare tabacco e guardare l’orologio,<br />

e per il resto lascia far tutto al servo. L’uomo <strong>di</strong>stinto sa che il servo<br />

( 17 ) Questo vivace bozzetto ci rappresenta dal vero che cosa Hegel intenda<br />

per «pensare astratto». La droghiera, che o<strong>di</strong>a la massaia, la classifica appioppandole<br />

l’etichetta <strong>di</strong> pezzente, donna <strong>di</strong> facili costumi e poco <strong>di</strong> buono. Eppure questa<br />

massaia non è priva <strong>di</strong> virtù umane: Hegel sottolinea, ironicamente, che l’unica<br />

sua colpa agli occhi della droghiera è quella <strong>di</strong> «aver trovato marce le uova».<br />

Nella mente dell’autore, il pensiero dogmatico sta al cospetto della filosofia come<br />

l’acre<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> una donnetta <strong>di</strong> fronte a un vero «conoscitore dell’antropologia». La<br />

critica <strong>di</strong> Hegel al dogmatismo filosofico risente ancora dell’influsso kantiano.<br />

( 18 ) Nello scorcio <strong>di</strong> questo breve saggio, Hegel arieggia quella «<strong>di</strong>alettica<br />

servo-padrone» che costituisce uno dei capisal<strong>di</strong> più rivoluzionari della Fenomenologia<br />

dello Spirito (cfr. RACINARO, op. cit.). Egli osserva che «il padrone <strong>di</strong> umili origini<br />

e <strong>di</strong> pochi mezzi» pensa astratto, in quanto tratta il servitore solo come un «pre<strong>di</strong>cato»,<br />

cioè lo etichetta e «a causa <strong>di</strong> quest’unica qualità cancella in lui tutta la rimanente<br />

essenza umana». Al contrario — nota Hegel con una punta <strong>di</strong> ironia nei riguar<strong>di</strong><br />

<strong>di</strong> Diderot — tra i Francesi il servitore è trattato meglio che tra i Tedeschi, perché<br />

non è visto come un servo, ma come un uomo (cfr. SENECA, Ep. 47,1). Tipicamente<br />

<strong>hegel</strong>iana è l’idea che il padrone non sia tale solo per un rapporto <strong>di</strong> forza: fa capolino<br />

in queste righe il convincimento — altrove espresso nella Fenomenologia — che la<br />

servitù, per essere un’istituzione «reale», dev’essere «razionale».


G.W.F. HEGEL - Chi pensa astratto?<br />

415<br />

non è solo un servo, ma sa anche le novità in città, conosce le ragazze,<br />

ha buone idee in testa; egli lo interroga su ciò, e il servo<br />

deve <strong>di</strong>re ciò che sa sull’argomento su cui il principale lo ha interrogato.<br />

Presso un padrone francese, il servo non deve fare solo<br />

questo, ma anche porre sul tappeto gli argomenti, avere una sua<br />

convinzione e sostenerla; e quando il padrone desidera qualcosa,<br />

non comanda a bacchetta, ma deve prima <strong>di</strong>mostrare al servo la<br />

sua convinzione, e dargli una buona prova che la sua convinzione<br />

ha la prevalenza.<br />

Nell’esercito si presenta la stessa <strong>di</strong>fferenza: in quello prussiano,<br />

è lecito bastonare il soldato: costui è dunque una Canaille<br />

(«canaglia»), poiché Canaille si definisce colui che ha il <strong>di</strong>ritto passivo<br />

<strong>di</strong> essere bastonato. Quin<strong>di</strong>, il soldato semplice è per l’ufficiale<br />

l’abstractum <strong>di</strong> un soggetto bastonabile, col quale deve obbligatoriamente<br />

avere a che fare un signore in uniforme e Port d’épée («porto<br />

<strong>di</strong> spada»): ed è come dar l’anima al <strong>di</strong>avolo ( 19 )!<br />

3. CONCLUSIONE<br />

Commentando Wer denkt abstract?, Rosenkranz scriveva:<br />

«Con questo articolo Hegel voleva <strong>di</strong>vertire una certa società e,<br />

considerato lo scopo, il modo <strong>di</strong> procedere è piuttosto efficace» ( 20 ).<br />

Ma ridurre il presente articolo a un <strong>di</strong>vertissement significa sottovalutare<br />

la profon<strong>di</strong>tà dei concetti espressi da Hegel. Come hanno<br />

ben visto Löwith, Bloch e Adorno, l’idea dominante del presente<br />

saggio è che «pensa in modo meramente astratto, nel senso negati-<br />

( 19 ) L’articolo si chiude con la leggerezza <strong>di</strong> una comme<strong>di</strong>a <strong>di</strong> maschere. È<br />

noto che i Prussiani usavano bastonare i soldati e i civili (questa barbara consuetu<strong>di</strong>ne<br />

suscitava lo sdegno dei patrioti italiani del Risorgimento: cfr. l’Inno <strong>di</strong><br />

Garibal<strong>di</strong> <strong>di</strong> L. MERCANTINI, v. 15: «Bastone tedesco l’Italia non doma»). Hegel, in<br />

tono anti-autoritario, osserva che l’ufficiale prussiano è un vero campione del<br />

«pensiero astratto», in quanto considera i suoi soldati esclusivamente come «soggetti<br />

bastonabili». Alla larga, alla larga — conclude l’autore — da codesti<br />

«pensatori astratti», che ragionano col bastone!<br />

( 20 ) ROSENKRANZ, op. cit., p. 371.


416 HEGEL E ARISTOTELE<br />

vo, proprio chi si immagina <strong>di</strong> pensare concretamente» ( 21 ). «In<br />

Hegel al contrario l’astratto è ciò che vi è <strong>di</strong> più povero, l’in sé non<br />

ancora sviluppato; l’imme<strong>di</strong>ato <strong>di</strong>viene concreto solo in quanto<br />

viene me<strong>di</strong>ato» ( 22 ). In effetti, «nell’uso linguistico abituale il termine<br />

‘concreto’ in<strong>di</strong>ca ciò che è imme<strong>di</strong>ato, che non è ancora passato<br />

attraverso il concetto, mentre ‘astratto’ significa concettuale» ( 23 );<br />

nel linguaggio <strong>hegel</strong>iano invece «‘astratto’ ha sempre il significato<br />

<strong>di</strong> isolato. Hegel chiama sempre astratti dei momenti singoli nella<br />

misura in cui compaiono senza prendere in considerazione il tutto<br />

<strong>di</strong> cui fanno parte [...]. Concreto è per lui il tutto» ( 24 ).<br />

Quin<strong>di</strong>, chi pensa «astratto»? Chi segue i pregiu<strong>di</strong>zi, gli slogan,<br />

le mode correnti. La «cattiva» astrazione non è un <strong>di</strong>fetto tipico<br />

dei filosofi, dei pensatori, ma — al contrario — del pubblico dei<br />

me<strong>di</strong>a, che ragiona per luoghi comuni e non ama le me<strong>di</strong>tazioni e le<br />

spiegazioni. «Cattiva» astrazione — per Hegel — è il moralismo da<br />

quattro sol<strong>di</strong>, il farisaismo dei benpensanti <strong>di</strong> Lipsia, che prima<br />

crocifiggono e poi spargono lacrime e fiori sulla loro vittima.<br />

Polemizzando contro la «cattiva» astrazione, Hegel implicitamente<br />

fa l’apologia della filosofia in generale e della sua filosofia in particolare:<br />

quella stessa che proprio in quell’anno 1807 trovava il suo<br />

coronamento nella pubblicazione della Fenomenologia dello Spirito.<br />

«Ci sono dunque» — secondo Löwith — «due maniere <strong>di</strong>verse<br />

<strong>di</strong> astrarre: il positivo saper-prescindere da tutte le determinazioni<br />

imme<strong>di</strong>atamente date apriori, per mettere in rilievo le pure<br />

determinazioni del pensiero, e, in secondo luogo, il prescindere negativo<br />

da tutte le altre determinazioni […]. Il pensiero filosofico<br />

deve evitare l’astrarre astratto per seguire l’astrarre concreto» ( 25 ).<br />

( 21 ) LÖWITH, Hegel e il Cristianesimo, cit., p. 101.<br />

( 22 ) BLOCH, op. cit., p. 26.<br />

( 23 ) T.W. ADORNO, Terminologia filosofica, II, trad.it., Torino 1975, p. 348.<br />

( 24 ) Ibid.<br />

( 25 ) LÖWITH, Hegel e il Cristianesimo, cit., pp. 101-102.


INDICE DEI NOMI


Adorno, T.W.: 415.<br />

Agostino, s.: 262, 331.<br />

Alberto Magno, s.: 262.<br />

Alessandro <strong>di</strong> Afro<strong>di</strong>sia: 34.<br />

Alfvén, H.: 171.<br />

Allen, R.E.: 183.<br />

Ammonio, pseudo-: 34.<br />

Anassagora: 118, 121, 237, 379.<br />

Anassimandro: 379.<br />

Andronico <strong>di</strong> Ro<strong>di</strong>: 33, 35.<br />

Annas, J.: 53, 167, 175, 176, 185, 187, 189,<br />

192.<br />

Antifonte: 301.<br />

Aquilecchia, G.: 191, 192.<br />

Archimede: 72.<br />

Aristone <strong>di</strong> Ceo: 33.<br />

Aristotele: passim.<br />

Aristotele, pseudo-: 60, 62.<br />

Arrhenius, G.: 171.<br />

Arnaud, E.: 338.<br />

Aubenque, P.: 106, 192, 208, 210, 212, 213,<br />

234.<br />

Auletta, G.: 295.<br />

Baader, F.X. von: 145, 182, 199.<br />

Bacchin, G.R.: 104.<br />

Baeumler, A.: 263.<br />

Bar<strong>di</strong>li, Chr.G.: 143.<br />

Barnes, J.: 31, 46, 159, 200.<br />

Barsotti, I.: 98.<br />

Baum, M.: 142, 160-62, 170, 178, 191, 192.<br />

Baumgarten, A.G.: 85, 262, 268.<br />

Bayle, P.: 23, 83.<br />

Beck, J.S.: 263, 277.<br />

Beierwaltes, W.: 341, 398.<br />

Bennhold-Thomsen, A.: 406, 408.<br />

Bernoulli, D.: 85.<br />

Berti, E.: 31, 57, 103, 105, 112, 113, 211,<br />

338, 341, 342, 362, 367, 370, 387,<br />

395, 398-400.<br />

Bianca, D.O.: 75.


420 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Bianco, B.: 339.<br />

Biard, J.: 338, 346, 347, 352-56, 359-62,<br />

364-67, 369-76, 378, 381, 382, 385,<br />

386, 391.<br />

Biasutti, F.: 52.<br />

Bignami, L.: 52.<br />

Bloch, E.: 181, 192, 406, 415, 416.<br />

Bloch, K.F.: 369.<br />

Bode, J.E.: 148, 150, 170, 171, 174, 175,<br />

178, 180.<br />

Bodei, R.: 97, 106, 157, 277.<br />

Boezio, S.: 184.<br />

Bolland, G.J.P.J.: 29, 338.<br />

Bonet, N.: 137.<br />

Bonitz, H.: 33, 137, 199.<br />

Bonsiepen, W.: 52, 54, 143, 147, 192.<br />

Borruso, G.: 337.<br />

Bostok, D.: 54.<br />

Boumann, D.L.: 406.<br />

Bourgeois, B.: 145, 193, 337, 369.<br />

Bradwar<strong>di</strong>ne, T.: 85.<br />

Brague, R.: 211, 244.<br />

Brinkmann, K.: 255.<br />

Bröcker, K.: 295.<br />

Bröcker, W.: 295.<br />

Bruno, G.: 145, 146, 151, 165, 191, 192.<br />

Bucher, T.G.: 174, 193.<br />

Buchner, H.: 52, 145, 200, 277.<br />

Buhle, J.G.: 140.<br />

Busa, R.: 342, 356.<br />

Cabanis, P.J.G.: 262.<br />

Calabi, L.: 339.<br />

Caletti, E.: 296.<br />

Calogero, G.: 36.<br />

Cammarota, V.: 295.<br />

Cantillo, G.: 104, 278.<br />

Cantor, G.: 59, 60, 72, 73, 98, 100, 101.<br />

Carlini, A.: 320.<br />

Casaubon, I.: 139.<br />

Cassandre, F.: 136.<br />

Cassirer, E.: 155, 193, 338, 359.<br />

Castel, L.-D.: 150.<br />

Cavalieri, B.: 10, 81, 96, 99.<br />

Cazzullo, A.: 296.<br />

Cesa, C.: 52, 199, 201, 337.<br />

Cézanne, P.: 378.<br />

Charlton, W.: 54.


Cherniss, H.: 158.<br />

Chiereghin, F.: 51, 52, 105-08, 193, 221,<br />

296, 337, 338, 348, 378.<br />

Chio<strong>di</strong>, P.: 332.<br />

Cicerone, M.T.: 23, 156.<br />

Co<strong>di</strong>gnola, E.: 29, 103, 200, 234, 298, 337.<br />

Con<strong>di</strong>llac, E.B.: 262.<br />

Coreth, E.: 234, 315.<br />

Cousin, V.: 153.<br />

Croce, B.: 52, 129, 199, 337, 383, 386.<br />

Cugusi, P.: 17.<br />

D’Alfonso, M.: 201.<br />

D’Arienzo, L.: 17, 21.<br />

De Carolis, M.: 295.<br />

De Flaviis, G.: 117.<br />

De Gandt, F.: 148, 152, 162, 169, 177, 178,<br />

182, 193.<br />

De Koninck, T.: 209, 211.<br />

De Negri, E.: 104, 337.<br />

De Vries, W.A.: 143, 193.<br />

Dell’Asta, A.: 331.<br />

Dedekind, J.W.R.: 72, 73, 98, 100, 101.<br />

Democrito: 118, 120, 366, 367, 379.<br />

In<strong>di</strong>ce dei nomi<br />

421<br />

Descartes, R.: 76, 147, 152, 254, 258, 262,<br />

263, 268, 273-275, 324.<br />

Di Giovanni, G.: 154, 193.<br />

Di Tommaso, G.V.: 339.<br />

Diderot, D.: 414.<br />

Diogene Laerzio: 32.<br />

Diogene <strong>di</strong> Sinope: 410.<br />

Dijksterhuis, E.J.: 138.<br />

Dodds, E.R.: 260.<br />

Donini, P.: 314.<br />

Dottori, R.: 339<br />

Doz, A.: 337, 338, 344, 347, 364, 368.<br />

Dubarle, D.: 193.<br />

Düring, I.: 123, 125, 314.<br />

Düsing, K.: 135, 159, 164, 189, 190, 193,<br />

244, 246, 278, 299, 339, 366.<br />

Duns Scoto, G.: 137.<br />

Eley, L.: 339, 343.<br />

Empedocle: 120, 375, 379.<br />

Eraclito: 366.<br />

Erasmo da Rotterdam: 138, 139, 159, 234,<br />

237, 249.<br />

Erdmann, J.E.: 339.<br />

Eschenmayer, A.C.A.: 182.


422 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Esposito, J.L.: 181, 201.<br />

Euclide: 58, 63, 68, 70, 263.<br />

Euler, L.: 85, 90, 96.<br />

Faggiotto, P.: 342, 357-359, 373.<br />

Feder, J.C.H.: 139.<br />

Ferrarin, A.: 13, 15, 44, 106, 117, 135, 143,<br />

194, 232, 234, 240, 253, 299, 339,<br />

349.<br />

Ferrini, C.: 12, 135, 147, 150-52, 160, 170,<br />

171, 177, 180, 186, 188, 191, 194.<br />

Feuerbach, L.: 262.<br />

Fichte, I.H.: 292.<br />

Fichte, J.G.: 12, 15, 144, 147, 157, 161, 263,<br />

277, 280, 281, 292, 325, 354, 359,<br />

361, 378, 395.<br />

Filopono, Giovanni: 34.<br />

Findlay, J.N.: 168, 169, 179, 194, 339, 365.<br />

Fleischhacker, L.E.: 54.<br />

Fleischmann, E.J.: 339, 359, 364, 368, 369,<br />

375.<br />

Förster, D.F.: 406.<br />

Fowler, D.H.: 53.<br />

Frajese, A.: 58, 73.<br />

Frank, E.: 143.<br />

Frege, G.: 46.<br />

Freud, S.: 114.<br />

Frigo, G.F.: 52.<br />

Furley, D.J.: 201.<br />

Gadamer, H.G.: 113, 244, 339, 380.<br />

Galilei, G.: 10, 85, 99, 172.<br />

Garniron, P.: 29, 200.<br />

Gatti, M.L.: 338, 341.<br />

Gebhardt, C.: 90.<br />

Gentile, G.: 52.<br />

Gentile, M.: 109.<br />

Gentili, C.: 343.<br />

Gerhardt, C.J.: 75.<br />

Gesù Cristo: 161.<br />

Giacon, C.: 342, 357, 359, 368, 391.<br />

Giamblico: 184.<br />

Gill, M.L.: 141, 159, 194.<br />

Gilson, B.: 154, 194.<br />

Giovanni Apostolo: 293.<br />

Glockner, H.: 29, 200, 336, 406.<br />

Gloy, K.: 203, 208, 221, 233, 236, 361.<br />

Goethe, J.W.: 117, 145, 162, 412.<br />

Graeser, A.: 191.


Granello, G.: 52.<br />

Grégoire, Fr.: 339, 368, 369.<br />

Guthrie, W.K.C.: 123.<br />

Guyer, P.: 359.<br />

Haering, Th. 182.<br />

Hamberger, J.: 199.<br />

Hansen, F.-P.: 144, 195.<br />

Harris, E.E.: 339, 351-53, 363, 364.<br />

Harris, H.S.: 142, 144, 147, 154, 162, 163,<br />

170, 178, 181, 193, 195.<br />

Harris, W.T.: 339, 345, 391.<br />

Hartmann, N.: 143, 195, 339, 349, 350,<br />

359, 368, 369, 381.<br />

Heath, T.: 53, 64.<br />

Hegel, G.W.F.: passim.<br />

Heiberg, I.L.: 58.<br />

Heidegger, M.: 8, 14, 15, 23, 114, 123, 124,<br />

131, 135, 212, 216, 260, 263, 266,<br />

268, 269, 286, 295-334.<br />

Hélvetius, C.-A.: 262.<br />

Hemsterhus, T.: 184.<br />

Henning, L. von: 153.<br />

Henrich, D.: 138, 195.<br />

Herder, J.G.: 145, 146, 160.<br />

In<strong>di</strong>ce dei nomi<br />

Hermann, F.-N. von: 295.<br />

Herschel, F.W.: 174.<br />

Hintikka, J.: 53.<br />

Hobbes, Th.: 262, 369.<br />

Hölderlin, F.: 145.<br />

423<br />

Hösle, V.: 54, 141, 146, 170, 195, 339, 388.<br />

Hötschl, C.: 195.<br />

Hoffmann, E.T.A.: 408.<br />

Hoffmann, F.: 199.<br />

Hoffmeister, J.: 83, 203.<br />

Hogemann, F.: 52, 336.<br />

Hohenheim, T.B. von ( Paracelso): 412.<br />

Horstmann, R.P.: 281.<br />

Hume, D.: 262, 284.<br />

Husserl, E.: 260, 268, 289, 348.<br />

Hussey, E.: 54.<br />

Isnar<strong>di</strong> Parente, M.: 339, 398.<br />

Jacobi, F.H.: 146.<br />

Jaeger, W.: 112, 221.<br />

Jaeschke, W.: 29, 52, 200, 336.<br />

Janicaud, D.: 136, 195.<br />

Jankélévitch, St.: 337.


424 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Jarczyk, G.: 185, 337, 345, 346, 351-55,<br />

358-64, 370, 374, 378, 381, 382,<br />

385-87, 391.<br />

Johnsohn, P.O.: 339, 348-50, 359, 364, 366,<br />

367, 379, 391.<br />

Jung, J.H.: 260.<br />

Kant, I.: 10-12, 14, 15, 52, 76-82, 84-87,<br />

89, 96, 97, 100, 117, 129-31, 144,<br />

145, 147, 157, 160-62, 166, 167,<br />

253-93, 299, 354, 359, 378, 385,<br />

386, 391, 395, 401, 414.<br />

Kassel, R.: 33.<br />

Kearney, R.: 261.<br />

Kenny, A.: 162, 195.<br />

Keplero, G.: 148, 149, 155, 172.<br />

Kern, W.: 135, 139, 195, 299, 315.<br />

Kierkegaard, S.: 114.<br />

Kimmerle, H.: 136, 145, 196, 278.<br />

Klaucke, A.: 54.<br />

Knaupp, M.: 299.<br />

Kotzebue, A. von: 408.<br />

Kowalewski, G.: 90.<br />

Krämer, H.: 342.<br />

Krug, W.T.: 155-57, 165.<br />

Küng, H.: 412, 413.<br />

Kuhlmann, H.: 196.<br />

Labarrière, P.-J.: ve<strong>di</strong> Jarczyck, G.<br />

Lachterman, D.R.: 272.<br />

Lagrange, J.L.: 10, 90, 96, 98.<br />

Lakebrink, B.: 339, 343-48, 351, 352, 361,<br />

366, 368, 369, 379, 382-84, 391.<br />

Landucci, S.: 339, 343-45, 347, 349, 357,<br />

398.<br />

Laplace, P.-S. de: 150.<br />

Lasson, G.: 336, 412.<br />

Leibniz, G.W.: 11, 75, 76, 78, 85, 116, 131,<br />

254, 257, 262, 274-76, 288, 291,<br />

358, 373-75, 395, 396.<br />

Léonard, A.: 339, 345, 348, 351, 361-63,<br />

365, 368-73, 376-78, 381, 383-85.<br />

Lessing, H.-U.: 295.<br />

Leucippo: 366, 367, 374.<br />

Leutwein, C.P.F.: 138.<br />

Levinas, E.: 15, 16, 330, 331, 333.<br />

Liminta, M. T.: 338.<br />

Locke, J.: 262, 284.<br />

Löffler, J.J.: 136.<br />

Löwith, K.: 406, 412, 415, 416.<br />

Lohr, C.H.: 137, 201.<br />

Lombar<strong>di</strong>, F.: 24.<br />

Lombardo-Ra<strong>di</strong>ce, G.: 52.<br />

Longato, F.: 143, 196.


Longo, O.: 199.<br />

Lucás, H.Ch.: 52.<br />

Luciano <strong>di</strong> Samosata: 184.<br />

Lugarini, L.: 52, 143, 152, 196, 337, 340.<br />

Lukacs, Gy.: 209.<br />

Lutero, M.: 412.<br />

MacIntyre, A.: 23.<br />

Maccioni, L.: 58.<br />

Maimon, S.: 263, 277.<br />

Malebranche, N.: 357, 358, 395.<br />

Marcialis, M.T.: 17, 23.<br />

Marconi, D.: 340, 356.<br />

Marcuse, H.: 132.<br />

Martelli, C.: 61.<br />

Marx, K.: 114.<br />

Marx, W.: 135, 196.<br />

Massolo, A.: 144, 196, 340, 347, 351, 361-<br />

65, 370-73, 379, 381, 382.<br />

Mastromatteo, F.: 17, 405.<br />

Mazzarelli, C.: 338.<br />

Mc Taggart, J.M.E.: 340, 352, 353, 370,<br />

372, 378, 381-83, 391.<br />

Meazza, C.: 15, 16, 295.<br />

Mehmel, G.E.A.: 146.<br />

In<strong>di</strong>ce dei nomi<br />

Melchiorre, V.: 343.<br />

Menegoni, F.: 52.<br />

Mense, A.: 140, 184, 196.<br />

Mercantini, L.: 415.<br />

Merker, N.: 52, 337.<br />

Messeri, M.: 117.<br />

Michel, K.M.: 52, 200, 203, 281, 336.<br />

425<br />

Michelet, K.L.: 29, 136, 151, 153, 190, 200,<br />

234, 298, 338.<br />

Migliori, M.: 338, 342, 380, 398.<br />

Mignucci, M.: 9, 22, 29, 46, 52, 53, 191.<br />

Milan, R.: 7, 104, 400.<br />

Mirri, E.: 201.<br />

Mistretta, P.: 17.<br />

Mörchen, H.: 268.<br />

Moiso, F.: 145, 201.<br />

Moldenhauer, E.: 52, 200, 203, 281, 336.<br />

Monet, C.: 378.<br />

Moni, A.: 104, 201, 337.<br />

Montucla, J.E.: 149, 196.<br />

Moraux, P.: 33.<br />

Moretti, G.: 296.<br />

Moretto, A.: 9, 10, 51, 52, 54, 65, 78, 81,<br />

85, 87, 91, 96, 99, 340, 358, 366.


426 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Morrow, G.R.: 169.<br />

Morselli, M.: 341, 350, 386-89, 393.<br />

Moschetti, A.M.: 342, 350.<br />

Movia, G.: 17, 54, 176, 191, 197, 210, 211,<br />

230, 254, 257, 315, 335, 338-40.<br />

Mueller, I.: 53.<br />

Muratori, L.A.: 262.<br />

Mure, G.R.G.: 340, 348, 351, 356, 359, 391.<br />

Murray, G.G.A.: 260.<br />

Napoleone I Bonaparte: 406.<br />

Napolitano Val<strong>di</strong>tara, L.: 53.<br />

Nasti De Vincentis, M.: 150, 179, 183, 191,<br />

194.<br />

Natoli, S.: 412.<br />

Nedel, A.J.: 340, 347.<br />

Negri, A.: 114, 175, 183, 197.<br />

Neuser, W.: 54, 170-72, 174, 177, 179, 180,<br />

182, 184, 197.<br />

Newton, I.: 147-50, 152, 163, 172.<br />

Nicola <strong>di</strong> Oresme: 85.<br />

Nicolin, F.: 136, 197.<br />

Nicomaco <strong>di</strong> Gerasa: 184.<br />

Nietzsche, F.: 114.<br />

Nikolaus, W.: 340, 360, 361, 366, 370, 372.<br />

Nohl, H.: 161, 162, 200.<br />

Oberti, E.: 337.<br />

Oeser, E.: 155, 197.<br />

Owen, G.E.L.: 342, 347, 400.<br />

Owens, J.: 156, 197.<br />

Pachimere, G.: 183, 184.<br />

Paganelli, L.: 17, 405.<br />

Palmer, L.M.: 169, 197.<br />

Paolo, s.: 158.<br />

Parmenide: 118, 120, 313, 357, 361, 366,<br />

395.<br />

Patzig, G.: 47.<br />

Piazzi, G.: 171.<br />

Pitagora: 12, 136, 137, 141-44, 148, 150,<br />

155, 160, 161, 167-73, 177-79, 181,<br />

183, 184, 188-91, 365.<br />

Platone: 7, 8, 10-12, 16, 37, 60, 62, 96, 97,<br />

99, 105, 113, 121-24, 130-32, 136,<br />

137, 139, 141-45, 148, 150, 152,<br />

155, 166-70, 172, 175-77, 179, 181,<br />

183-85, 187-89, 191, 192, 205, 206,<br />

213-15, 221, 224, 236, 239-41, 254,<br />

256, 309, 313, 331, 336, 338, 361,<br />

378-80, 385, 395, 397-400, 407,<br />

410.<br />

Plebe, A.: 209, 210.<br />

Plinio il Giovane: 160.


Plotino: 211, 212, 262.<br />

Plouquet, G.: 139.<br />

Plutarco <strong>di</strong> Cheronea: 184.<br />

Pöggeler, O.: 52, 145, 277.<br />

Pomponazzi, P.: 137.<br />

Porcheddu, R.: 11, 111.<br />

Porfirio: 33.<br />

Pozzo, R.: 138, 139, 142, 143, 197.<br />

Prantl, C.: 36.<br />

Proclo: 8, 169, 262, 263.<br />

Proust, M.: 255.<br />

Quintiliano: 269.<br />

Racinaro, R.: 406, 413, 414.<br />

Rademaker, H.: 340, 344, 347, 352, 354,<br />

360, 364, 369, 376, 379, 385, 391.<br />

Radetti, G.: 282, 337.<br />

Ra<strong>di</strong>ce, R.: 338.<br />

Rameil, U.: 52.<br />

Reale, G.: 104, 106, 121, 158, 159, 200,<br />

201, 207, 249, 338, 341, 342, 361,<br />

395, 397-99.<br />

Reinhold, K.L.: 189.<br />

Reitz, J.F.: 184.<br />

In<strong>di</strong>ce dei nomi<br />

Richerz, G.H.: 262.<br />

Riedel, M.: 23.<br />

Ritter, C.: 37.<br />

Ro<strong>di</strong>er, G.: 175, 176, 197.<br />

Romano, F.: 342.<br />

Rorty, R.: 254.<br />

427<br />

Rosenkranz, K.: 97, 106, 139, 140, 160,<br />

183, 197, 391, 406, 412, 415.<br />

Rosenzweig, F.: 333.<br />

Ross, W.D.: 61, 123, 137, 158, 159, 176,<br />

184, 187, 197, 200.<br />

Rousseau, J.-J.: 369.<br />

Rudolph, E.: 236.<br />

Ruggiu, L.: 55, 342, 400.<br />

Russo, A.: 55, 64, 115, 122, 159, 200, 216,<br />

330.<br />

Russo, G.: 260.<br />

Ryle, G.: 254.<br />

Salvucci, P.: 340.<br />

Samonà, L.: 12, 13, 114, 203, 299, 340, 391,<br />

400.<br />

Sanna, G.: 29, 103, 200, 234, 298, 337.<br />

Sarleijmin, A.: 152, 198.<br />

Sartre, J.-P.: 289, 348.


428 HEGEL E ARISTOTELE<br />

Schelling, F.W.J.: 12, 139, 142, 145, 153-<br />

55, 157, 165, 181-83, 188, 200, 201,<br />

263, 277, 361.<br />

Schelling, K.F.A: 201.<br />

Schiller, F.: 160.<br />

Schleiermacher, F.D.E.: 157.<br />

Schleiden, M.J.: 170.<br />

Schmidt, A.: 263.<br />

Schmidt, J.: 340, 347, 350, 361, 382, 386-<br />

94.<br />

Schofield, M.: 270.<br />

Schopenhauer, A.: 114.<br />

Schüler, G.: 406.<br />

Schwegler, A.: 138.<br />

Scott, A.: 142, 158, 198.<br />

Seebeck, T.J.: 201.<br />

Seidl, H.: 159, 198.<br />

Seneca, L.A.: 414.<br />

Serret, J.-A.: 90.<br />

Sesto Empirico: 139.<br />

Severino, E.: 342.<br />

Shaftesbury, A.A.C. <strong>di</strong>: 160.<br />

Simplicio: 87, 158.<br />

Sini, C.: 296.<br />

Skemp, J.B.: 158, 198.<br />

Socrate: 7, 410.<br />

Sorabji, R.: 53, 54.<br />

Sossi, F.: 331.<br />

Spiazzi, R.: 338.<br />

Spinelli, A.: 61.<br />

Spinoza, B.: 10, 11, 23, 76, 81, 91-93, 96,<br />

97, 99, 117, 151, 154, 162, 204, 262,<br />

324-26, 334, 354, 357, 395.<br />

Spondano, G.: 139.<br />

Stamatis, E.S.: 58.<br />

Steiger, K.F. von: 147.<br />

Stelli, G.: 339.<br />

Stenzel, J.: 112.<br />

Stevens, A.: 340, 400.<br />

Sylburg, F.: 139, 140.<br />

Taminiaux, J.: 296.<br />

Tannery, P.: 183, 198.<br />

Taylor, Ch.: 341, 346, 347, 351, 354, 362,<br />

368.<br />

Tennemann, W.G.: 23.<br />

Tennulio, S.: 184.<br />

Teone <strong>di</strong> Smirne: 184.<br />

Tilliette, X.: 154, 181, 198.<br />

Timpanaro Car<strong>di</strong>ni, M.: 60.


Titius, J.: 170, 171, 174, 175, 178, 180.<br />

Todescan, F.: 343, 379.<br />

Togliatti, P.: 406.<br />

Tommaso d’Aquino, s.: 61, 137, 262, 275,<br />

356.<br />

Toth, I.: 54, 91.<br />

Trede, J.H.: 281.<br />

Trendelenburg, F.A.: 341, 350, 386-93,<br />

396, 397.<br />

Troxler, I.P.V.: 189, 190.<br />

Ulrich, J.A.H.: 139.<br />

Vaccaro, N.: 201.<br />

Valveri, A.: 17.<br />

Vanini, G.C.: 23.<br />

Vanni Rovighi, S.: 341, 343, 344, 347-49,<br />

352, 354, 356, 357, 361, 362, 364-<br />

66, 379, 391.<br />

Vardy, P.: 54.<br />

Vasa, A.: 341, 366.<br />

Verra, V.: 107, 135, 146, 151, 190, 198, 254,<br />

337, 339, 341-43, 346-51, 353-55,<br />

360, 361, 363-71, 373-75, 377-89,<br />

392, 393.<br />

Vico, G.: 262.<br />

In<strong>di</strong>ce dei nomi<br />

429<br />

Vieillard-Baron, J.-L.: 145, 150, 169, 178,<br />

190, 198, 199, 341, 380.<br />

Viganò, F.: 201.<br />

Vitiello, V.: 295, 299.<br />

Volpi, F.: 216, 295.<br />

Wahl, J.: 341, 345, 348, 351, 357, 360, 361,<br />

372, 375, 379-81, 383, 385.<br />

Waschkies, H.J.: 53, 66, 68.<br />

Waszek, N.: 160, 174, 182, 199.<br />

Waterlow, S.: 141, 199.<br />

Weiss, C.S.: 153.<br />

Weizssäcker, C.F. von: 171.<br />

White, M.J.: 54.<br />

Wieland, W.: 211, 343, 400.<br />

Wittgenstein, L.: 254.<br />

Wolff, Ch.: 85, 262, 268.<br />

Wolff, M.: 54, 221.<br />

Zach, Baron von: 170.<br />

Zeller, E.: 176.<br />

Zenone <strong>di</strong> Elea: 10, 63, 71, 82, 83, 87, 100.<br />

Zizi, P.: 10, 103.


NOTIZIE SUI RELATORI


MARIO MIGNUCCI (Milano, 1937): è professore or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> Storia della filosofia<br />

antica nell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Padova e nel King’s College <strong>di</strong> Londra. Scritti<br />

principali: La teoria aristotelica della scienza, Sansoni, Firenze 1965; Il significato<br />

della logica stoica, Pàtron, Bologna 1967 2 ; Aristotele, Gli Analitici<br />

primi, trad., introd. e commento, Loffredo, Napoli 1968; Aristotele, Gli<br />

Analitici secon<strong>di</strong>, trad. e note, Azzogui<strong>di</strong>, Bologna 1970; L’argomentazione<br />

<strong>di</strong>mostrativa in Aristotele. Commento agli Analitici secon<strong>di</strong>, I, Antenore,<br />

Padova 1975; Temporalità e verità nella filosofia greca, in AA.VV., Sapienza<br />

antica. Stu<strong>di</strong> in onore <strong>di</strong> Domenico Pesce, Angeli, Milano 1985; Boezio e il<br />

problema dei futuri contingenti, «Me<strong>di</strong>oevo», 1987; Plato’s “Third Man”<br />

Arguments in the Parmenides, «Arch. Gesch. Philos.», 1990; The Stoic<br />

Themata, in AA.VV., Dialektiker und Stoiker, Steiner, Stuttgart 1993; Ammonius<br />

on Future Contingent Propositions, in AA.VV., Rationality in Greek<br />

Thought, Clarendon Press, Oxford 1996; Verité et pensée dans le De anima,<br />

in AA.VV., Corps et âme. Sur le De anima d’Aristote, Vrin, Paris 1996.<br />

ANTONIO MORETTO (Asolo, 1943): è professore associato <strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong> della scienza<br />

nell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Verona. Scritti principali: Hegel e la «matematica dell’infinito»,<br />

Pubblicazioni <strong>di</strong> Verifiche, Trento 1984; Questioni <strong>di</strong> filosofia<br />

della matematica nella “Scienza della logica” <strong>di</strong> Hegel, ivi 1988; Hegel’s Auseinandersetzung<br />

mit Cavalieri und ihre Bedeutung für seine Philosophie der<br />

Mathematik, in AA.VV., Konzepte des mathematisch Unendlichen im 19.<br />

Jahrhundert, Vandenhoeck & Ruprecht, Göttingen 1990; Hegel on Greek<br />

Mathematics and Modern Calculus, in AA.VV., Hegel and Newtonianism,<br />

Kluwer, Dordrecht 1993.<br />

PAOLO ZIZI (Sassari, 1949): è docente <strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong> nel Liceo Scientifico “G.<br />

Spano” <strong>di</strong> Sassari. Scritti principali: La grecità heideggeriana come unità <strong>di</strong><br />

sapere. Saggio <strong>di</strong> filosofia teoretica, Pod<strong>di</strong>ghe, Sassari 1980; Ontologia della<br />

libertà (tra Kierkegaard - Heidegger - Fabro), Unidata, Sassari 1987.


434 HEGEL E ARISTOTELE<br />

RAIMONDO PORCHEDDU (Ittiri, 1944): è docente <strong>di</strong> <strong>Filosofia</strong> e Pedagogia nell’Istituto<br />

Magistrale “Margherita <strong>di</strong> Castelvì” <strong>di</strong> Sassari e professore a contratto<br />

<strong>di</strong> Storia della filosofia antica nell’<strong>Università</strong> sassarese. Scritti<br />

principali: La concezione platonica della storia tra decadenza e rinnovamento,<br />

Stampacolor, Sassari 1986; Il tragico nell’educazione e nella politica. Idee<br />

per una terza via, ivi 1990; Mito e ragione nella dottrina platonica<br />

dell’anamnesi (Meno 80 d-81 e), «Sandalion», 1982.<br />

CINZIA FERRINI (Livorno, 1956): è dottore <strong>di</strong> ricerca in <strong>Filosofia</strong> nell’<strong>Università</strong><br />

“La Sapienza” <strong>di</strong> Roma. Scritti principali: Guida al De orbitis planetarum<br />

<strong>di</strong> Hegel ed alle sue e<strong>di</strong>zioni e traduzioni, Haupt, Bern 1995 (in coll.<br />

con M. Nasti De Vincentis); Scienze empiriche e filosofie della natura nel<br />

primo idealismo tedesco, Guerini e Ass., Milano 1996; Logica e filosofia della<br />

natura nella Dottrina dell’essere <strong>hegel</strong>iana, «Riv. Stor. Filos.», 1991/92.<br />

LEONARDO SAMONÀ (Palermo, 1950): è professore associato <strong>di</strong> Storia della filosofia<br />

nell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Palermo. Scritti principali: Dialettica e metafisica.<br />

Prospettiva su Hegel e Aristotele, L’Epos, Palermo 1988; Heidegger.<br />

Dialettica e svolta, ivi 1990; Dalla rappresentazione al concetto. Religione e<br />

filosofia nelle lezioni berlinesi <strong>di</strong> Hegel, «Teoria», 1987; <strong>Filosofia</strong> e fede <strong>di</strong><br />

fronte a Dio, «Filos. Teol.», 1993.<br />

ALFREDO FERRARIN (Thiene, 1960): si è perfezionato in <strong>Filosofia</strong> presso la<br />

Scuola Normale Superiore <strong>di</strong> Pisa. Scritti principali: Hegel interprete <strong>di</strong><br />

Aristotele, ETS, Pisa 1990; Husserl on the Ego and its Eidos (Cartesian<br />

Me<strong>di</strong>tations, IV), «J. Hist. Philos.», 1994; Kant’s Productive Imagination<br />

and its Alleged Antecedents, «Grad. Fac. Philos. J.», 1995.<br />

CARMELINO MEAZZA (Sassari, 1961): dottore in <strong>Filosofia</strong>. Scritti principali: L’occhio<br />

e il testimone: dalla logica alla fenomenologia in Hegel, ETS, Pisa<br />

1992; Il Testimone del Circolo. Note sulla filosofia <strong>di</strong> Levinas, Angeli, Milano<br />

1996.<br />

GIANCARLO MOVIA (Tolmino, 1937): è professore or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong> Storia della filosofia<br />

antica nell’<strong>Università</strong> <strong>di</strong> Cagliari. Scritti principali: Anima e intelletto.<br />

Ricerche sulla psicologia peripatetica da Teofrasto a Cratippo,<br />

Antenore, Padova 1968; Alessandro <strong>di</strong> Afro<strong>di</strong>sia tra naturalismo e


Notizie sui relatori<br />

435<br />

misticismo, ivi 1970; Due stu<strong>di</strong> sul De anima <strong>di</strong> Aristotele, ivi 1974; Aristotele,<br />

L’Anima, trad., introd. e commento, Loffredo, Napoli 1979,<br />

1992 2 ; Essere Nulla Divenire. Sulle prime categorie della Logica <strong>di</strong> Hegel,<br />

«RFNS», 1986/87; Apparenze, essere e verità. Commentario storico-filosofico<br />

al Sofista <strong>di</strong> Platone, Vita e Pensiero, Milano 1991, 1994 2 ; Finito e<br />

infinito e l’idealismo della filosofia. La logica <strong>hegel</strong>iana dell’Essere determinato,<br />

«RFNS», 1994; Scetticismo antico e antinomica kantiana. La logica<br />

<strong>hegel</strong>iana della quantità, «RFNS», 1995; Aristotele, L’Anima, introd.,<br />

trad., note e apparati. Testo greco a fronte, Rusconi, Milano 1996.


INDICE


INDICE<br />

PRESENTAZIONE .........................................................................................................................................<br />

INDIRIZZI DI SALUTO<br />

LUISA D’ARIENZO ...........................................................................................................................................<br />

MARIA TERESA MARCIALIS ......................................................................................................................<br />

RELAZIONI<br />

MARIO MIGNUCCI, L’interpretazione <strong>hegel</strong>iana della logica <strong>di</strong> Aristotele .......<br />

ANTONIO MORETTO, Sul problema della considerazione matematica dell’infinito<br />

e del continuo in Aristotele e Hegel .............................................................<br />

PAOLO ZIZI, Il concetto metafisico <strong>di</strong> “intero” in Aristotele e in Hegel ............<br />

RAIMONDO PORCHEDDU, L’idea aristotelica <strong>di</strong> natura nell’interpretazione <strong>di</strong><br />

Hegel .....................................................................................................................................................<br />

CINZIA FERRINI, Tra etica e filosofia della natura: il significato della Metafisica<br />

aristotelica per il problema delle grandezze del sistema solare<br />

nel primo Hegel ...........................................................................................................................<br />

LEONARDO SAMONÀ, Atto puro e pensiero <strong>di</strong> pensiero nell’interpretazione<br />

<strong>di</strong> Hegel ..............................................................................................................................................<br />

ALFREDO FERRARIN, Riproduzione <strong>di</strong> forme e esibizione <strong>di</strong> concetti. Immaginazione<br />

e pensiero dalla phantasia aristotelica alla Einbildungskraft<br />

in Kant e Hegel ..............................................................................................................<br />

Pag. 7<br />

Pag. 21<br />

» 23<br />

Pag. 29<br />

» 51<br />

» 103<br />

» 111<br />

» 135<br />

» 203<br />

» 253


440 HEGEL E ARISTOTELE<br />

CARMELINO MEAZZA, Aristotele tra Hegel e Heidegger: tracce per una ricostruzione<br />

............................................................................................................................................<br />

GIANCARLO MOVIA, L’Uno e i molti. Sulla logica <strong>hegel</strong>iana dell’Essere per<br />

sé ..............................................................................................................................................................<br />

APPENDICE<br />

G.W.F. HEGEL, Chi pensa astratto?, traduzione e commento <strong>di</strong> Franca<br />

Mastromatteo e Leonardo Paganelli ..................................................................<br />

INDICE DEI NOMI ....................................................................................................................................<br />

NOTIZIE SUI RELATORI ......................................................................................................................<br />

Pag. 295<br />

» 335<br />

Pag. 403<br />

» 417<br />

» 431


In<strong>di</strong>ce<br />

441


Finito <strong>di</strong> stampare, per conto delle EDIZIONI AV,<br />

Via M. De Martis, 6 - Tel. e fax 070/54 08 53<br />

09121 CAGLIARI<br />

presso lo stabilimento litotipografico<br />

CELT (Centro E<strong>di</strong>toriale Litotipografico)<br />

Viale Monastir km 5.217 - Tel. e fax 070/53 17 70 - 09100 CAGLIARI<br />

nel mese <strong>di</strong> marzo 1997

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