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11.06.2013 Views

della danza, che si è formata in virtù del primo movimento oscillatorio in riverbero al ritmo, gradualmente si estende, realizzando nuovi spazi musicali, coreutici e percettivi. L’arena è lo sfondo, il territorio istituito dalla simbiosi con le sole scansioni e forme musicali su cui il corpo nudo può poggiare il suo sapere, che gradualmente rimane irretito nella rete di somiglianze, avviando un legame analogo a un riverbero. Il corpo danzante si muove costruendo equilibri su equilibri, raffinandoli e ingigantendone alcune parti, ritornando sui primi movimenti e gettandosi in nuove forme ondulatorie. Accade che questa danza, come i ritmi che la sostengono, si strutturi come se fosse narrazione 161 , svolgendo non contenuti verbali ma dinamismi coreutici, danze capaci di evocare un’intera natura corporea, un fluire di gesti imparentati che realizzano non solo una corporeità, ma un archetipo motorio, la cui tipologia è quella di essere dolce, fluente, lento, rassicurante: questi sono tutti aggettivi che non puntano a nessun oggetto, ma dirigono lo sguardo secondo una certa direzione prospettica. Gli arti assecondano una fluidità che ricorda quella dell’acqua: che essa scorra nei fiumi o increspi la superficie di un lago, che si ripieghi sulla risacca o che accolga il corpo nelle profondità marine, l’acqua diviene una buona guida del movimento; il suo riferimento si sostituisce a quello dell’aria per impedire ogni movimento brusco. Il corpo, muovendosi fluentemente, proietta attorno a sé uno spazio liquido, arricchendo l’arena della danza di una sostanza fluida. Questa presenza viene sottoposta allo scorrere delle forze del rito, che reclama un continuo sviluppo delle forme e delle dimensioni. Così il vettore della dolcezza, assunto dal corpo nudo, può di volta in volta dispiegare situazioni diverse, tutte imparentate da una tipologia di esplorazione corporea. Può comparire, per esempio, il rapporto materno, che racchiude in sé un universo di gesti e movimenti che sono accomunati dalla corporeità dolce e attenta di una madre. Tanti contesti pragmatici possono accordarsi a un archetipo motorio, a una danza denudata dai suoi tradizionali riferimenti simbolici. Quali essi siano, questi vestiranno la danza della sua appartenenza etnica; qui basterà comprendere che una tipologia di movimento corporeo non è una determinazione culturale ma antropica, perché svela il muoversi di un corpo che espone i tanti spazi della sua nudità. Di fatto la cultura yoruba ha messo insieme l’incorporazione dell’acqua –dapprima quella dei fiumi, poi quella del mare 162 - e della figura materna come due corde capaci di risuonare tra loro le ondulazioni della danza. La razionalità etnica ha fatto tutto il resto, costruendo tessuti di senso, legami e rimandi tra questi due elementi che comunque, prima di ogni tessitura, sono già stati imparentati dalle sole ondulazioni della danza. Con l’entificazione di una signora del mare, madre universale e alcova della vita, l’elemento marino e quello materno istituiranno una veste identitaria, anch’essa dotata 161 Per approfondire gli aspetti narrativi della danza nei riti della santería, cfr. Santiago M. F., Dancing with the Saints, InterAmerican University Press, San Juan, 1993. 162 Cfr. Bastide R., Le americhe nere, p. 145. IL RITO SOTTRATTO 98

di un ampio potere nell’incrementare le forze, che con essa però non saranno più denudate ma vestite di un riferimento sacro e corporeo. La danza non sarà più quella di un corpo che segue il vettore della dolcezza per scoprirsi nella sua nudità, ma diventerà la danza dell’oricha del mare, di Yemayà, dolce e riguardosa come una madre, ma forte allo stesso tempo nell’imporre il suo volere sui figli, perciò capace di scatenare una corporeità severa, burrascosa come una tempesta marina. Per comprendere come una simile motilità possa arrivare a un tale stravolgimento di tendenze, è necessario che il rito vada avanti, aumentando le tensioni al suo interno, incrementando le forze fino al punto in cui la loro pressione non possa più generare forme dolci, fluide e delicate. Le braccia del corpo danzante imitano il movimento delle onde del mare, facilitato dall’ondeggiare della gonna (attributo di Yemayà). I movimenti ondulatori diventano sempre più dinamici, il corpo esplora tutte le sue forme arrivando a girare vorticosamente su se stesso, in un’ondulazione-limite, amplificata dalla gonna ampia, che ora non sembra più ricordare le onde della risacca, ma un mare in tempesta 163 . Tutte queste forme, pur non abbandonando mai il riferimento dei ritmi e dei passi, si sono proiettate attorno un contesto marino sul quale muoversi: esse sono divenute le forme di un mare fatto corpo e quindi personificato, vestito, non più sottratto, istituito col nome di una divinità. Ecco allora che, dopo che il corpo si è immerso nel mare per sviluppare le sue forme dolci, il mare si è incorporato, ripiegando la sua dinamica dolce e accogliente come un attributo di una specifica forma umana, di un personaggio. Questo si identifica con una madre, immergendo i partecipanti nel rapporto di dipendenza filiale: la sua corporeità femminile è delicata e protettiva come le onde, che però possono trasformarsi in tempesta e travolgere ogni cosa, così come l’ira di una madre sconvolge i figli che le disobbediscono. Come si vede, sulla base di un flusso reciproco di risonanze, la creatività coreutica finisce col divenire simbolica, istituendo un nome, un codice, uno schema tipico di una danza tradizionale. In questo modo ogni improvvisazione verrà ricondotta alla 163 Il movimento vorticoso è usato anche in altri riti, come quelli sufi, per alterare le condizioni psicofisiologiche del danzatore e indurlo così in un cammino verso la trance. Cfr. Giannattasio, op. cit., p. 236. IL RITO SOTTRATTO 99

di un ampio potere nell’incrementare le forze,<br />

che con essa però non saranno più denudate<br />

ma vestite di un riferimento sacro e corporeo.<br />

La danza non sarà più quella di un corpo che<br />

segue il vettore della dolcezza per scoprirsi<br />

nella sua nudità, ma diventerà la danza<br />

dell’oricha del mare, di Yemayà, dolce e<br />

riguardosa come una madre, ma forte allo<br />

stesso tempo nell’imporre il suo volere sui<br />

figli, perciò capace di scatenare una corporeità<br />

severa, burrascosa come una tempesta marina.<br />

Per comprendere come una simile motilità<br />

possa arrivare a un tale stravolgimento di<br />

tendenze, è necessario che il rito vada avanti,<br />

aumentando le tensioni al suo interno,<br />

incrementando le forze fino al punto in cui la<br />

loro pressione non possa più generare forme dolci, fluide e delicate. Le braccia del corpo<br />

danzante imitano il movimento delle onde del mare, facilitato dall’ondeggiare della gonna<br />

(attributo di Yemayà). I movimenti ondulatori diventano sempre più dinamici, il corpo esplora<br />

tutte le sue forme arrivando a girare vorticosamente su se stesso, in un’ondulazione-limite,<br />

amplificata dalla gonna ampia, che ora non sembra più ricordare le onde della risacca, ma un<br />

mare in tempesta 163 . Tutte queste forme, pur non abbandonando mai il riferimento dei ritmi e dei<br />

passi, si sono proiettate attorno un contesto marino sul quale muoversi: esse sono divenute le<br />

forme di un mare fatto corpo e quindi personificato, vestito, non più sottratto, istituito col nome<br />

di una divinità. Ecco allora che, dopo che il corpo si è immerso nel mare per sviluppare le sue<br />

forme dolci, il mare si è incorporato, ripiegando la sua dinamica dolce e accogliente come un<br />

attributo di una specifica forma umana, di un personaggio. Questo si identifica con una madre,<br />

immergendo i partecipanti nel rapporto di dipendenza filiale: la sua corporeità femminile è<br />

delicata e protettiva come le onde, che però possono trasformarsi in tempesta e travolgere ogni<br />

cosa, così come l’ira di una madre sconvolge i figli che le disobbediscono.<br />

Come si vede, sulla base di un flusso reciproco di risonanze, la<br />

creatività coreutica finisce col divenire simbolica, istituendo un nome, un codice, uno schema<br />

tipico di una danza tradizionale. In questo modo ogni improvvisazione verrà ricondotta alla<br />

163 Il movimento vorticoso è usato anche in altri riti, come quelli sufi, per alterare le condizioni psicofisiologiche del<br />

danzatore e indurlo così in un cammino verso la trance. Cfr. Giannattasio, op. cit., p. 236.<br />

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