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della danza, che si è formata in virtù del primo movimento oscillatorio in riverbero al ritmo, gradualmente<br />
si estende, realizzando nuovi spazi musicali, coreutici e percettivi. L’arena è lo<br />
sfondo, il territorio istituito dalla simbiosi con le sole scansioni e forme musicali su cui il corpo<br />
nudo può poggiare il suo sapere, che gradualmente rimane irretito nella rete di somiglianze,<br />
avviando un legame analogo a un riverbero. Il corpo danzante si muove costruendo equilibri su<br />
equilibri, raffinandoli e ingigantendone alcune parti, ritornando sui primi movimenti e gettandosi<br />
in nuove forme ondulatorie. Accade che questa danza, come i ritmi che la sostengono, si strutturi<br />
come se fosse narrazione 161 , svolgendo non contenuti verbali ma dinamismi coreutici, danze<br />
capaci di evocare un’intera natura corporea, un fluire di gesti imparentati che realizzano non solo<br />
una corporeità, ma un archetipo motorio, la cui tipologia è quella di essere dolce, fluente, lento,<br />
rassicurante: questi sono tutti aggettivi che non puntano a nessun oggetto, ma dirigono lo<br />
sguardo secondo una certa direzione prospettica. Gli arti assecondano una fluidità che ricorda<br />
quella dell’acqua: che essa scorra nei fiumi o increspi la superficie di un lago, che si ripieghi<br />
sulla risacca o che accolga il corpo nelle profondità marine, l’acqua diviene una buona guida del<br />
movimento; il suo riferimento si sostituisce a quello dell’aria per impedire ogni movimento<br />
brusco. Il corpo, muovendosi fluentemente, proietta attorno a sé uno spazio liquido, arricchendo<br />
l’arena della danza di una sostanza fluida. Questa presenza viene sottoposta allo scorrere delle<br />
forze del rito, che reclama un continuo sviluppo delle forme e delle dimensioni. Così il vettore<br />
della dolcezza, assunto dal corpo nudo, può di volta in volta dispiegare situazioni diverse, tutte<br />
imparentate da una tipologia di esplorazione corporea. Può comparire, per esempio, il rapporto<br />
materno, che racchiude in sé un universo di gesti e movimenti che sono accomunati dalla<br />
corporeità dolce e attenta di una madre. Tanti contesti pragmatici possono accordarsi a un<br />
archetipo motorio, a una danza denudata dai suoi tradizionali riferimenti simbolici. Quali essi<br />
siano, questi vestiranno la danza della sua appartenenza etnica; qui basterà comprendere che una<br />
tipologia di movimento corporeo non è una determinazione culturale ma antropica, perché svela<br />
il muoversi di un corpo che espone i tanti spazi della sua nudità. Di fatto la cultura yoruba ha<br />
messo insieme l’incorporazione dell’acqua –dapprima quella dei fiumi, poi quella del mare 162 - e<br />
della figura materna come due corde capaci di risuonare tra loro le ondulazioni della danza. La<br />
razionalità etnica ha fatto tutto il resto, costruendo tessuti di senso, legami e rimandi tra questi<br />
due elementi che comunque, prima di ogni tessitura, sono già stati imparentati dalle sole<br />
ondulazioni della danza. Con l’entificazione di una signora del mare, madre universale e alcova<br />
della vita, l’elemento marino e quello materno istituiranno una veste identitaria, anch’essa dotata<br />
161 Per approfondire gli aspetti narrativi della danza nei riti della santería, cfr. Santiago M. F., Dancing with the<br />
Saints, InterAmerican University Press, San Juan, 1993.<br />
162 Cfr. Bastide R., Le americhe nere, p. 145.<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 98