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ampio: giramenti di testa e perdite di equilibrio, grida di un corpo che si muove oltre la sua<br />
stanchezza, rilassamento dei muscoli facciali con perdita di saliva dalla bocca, sguardi che non<br />
focalizzano più alcun oggetto nell’ambiente esterno. I partecipanti perimetrali possono esperire<br />
questo stato nelle forme alleggerite della loro coralità, ma nel centro la pressione è molto più<br />
forte: in esso confluiscono tutte le forze del rito, tutte le attenzioni e le tensioni convergono sul<br />
danzatore. La cavità centrale viene invasa da un’immensità di vibrazioni che reclamano<br />
un’amplificazione corporea, saturando le sue capacità oscillatorie: distribuendo il suo riverbero<br />
su tutta la sua superficie, i gesti tolgono forze alla danza, che si fa rarefatta e diviene<br />
un’espressione tra le tante. Questa non spicca più e il corpo non è più danzante ma di nuovo<br />
denudato, di una nudità estesa che espone senza fine.<br />
L’attore della danza<br />
A questo punto le gesta del corpo hanno oltrepassato la danza,<br />
esponendo una tale ampiezza di azioni che il corpo centrale, più che un ballerino, assomiglia a<br />
un attore 155 . Con ciò non intendiamo riferirci a un soggetto che agisce ma a tutto quel lavoro di<br />
presenza che scaturisce dall’essere in posizione centrale attorno a un circolo. Ciò in<br />
155 Analizzando più riti di possessione, Beneduce non manca di cogliere questo aspetto. A tale proposito cfr.<br />
Beneduce R., op. cit., p. 203, ma anche Bastide R., Sogno, trance e follia, Jaca Book, Milano, 1976, pp. 111, 116.<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 93