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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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nuovo si riflettono nelle forme di un corpo sempre più dinamico, sempre più teso e stanco. Oltre ai<br />

passi della danza, il corpo libera nuove espressioni sul volto, assieme a vocalità prosodiche, come<br />

risa, pianti o grida disumane. La sua corporeità ha molte spazializzazioni e la danza è solo la prima<br />

a immergersi nel flusso delle risonanze. Perciò gli schemi coreutici non possono bastare a<br />

descrivere le tante attività che si manifestano nel corpo del danzatore centrale. Ma nel rito sottratto<br />

tutto parte da questi, perché essi sono la prima manifestazione del legame armonioso con la musica<br />

e da questi sarà possibile intendere tutto il resto.<br />

Nell’atto di adesione alla musica, il corpo danzante è preso da una<br />

serie di tensioni che riflettono la rispondenza con i tanti aspetti che gli giungono all’ascolto.<br />

Sincronie di passi e percussioni, di respiri e scansioni, in uno svolgersi ciclico eppure sempre<br />

cangiante, sempre più veloce e ricco di riferimenti, finiscono col mettere a dura prova la<br />

resistenza fisica. Ciò avviene con un impatto ancora maggiore per via della concentrazione sul<br />

corpo 154 , sulla mancanza di attenzioni agli scambi interattivi con altri corpi. Questi di fatto<br />

vengono coinvolti dalla forza che ogni gesto diffonde nell’ambiente partecipativo, ma il centro<br />

libera forme innanzitutto per ascoltarle riecheggiare nel suo corpo stesso, a impressionarlo<br />

ulteriormente. Il lavoro di questo operatore è grande e molto stancante. I movimenti vengono<br />

espressi ogni volta come se tutto il corpo si gettasse in essi, causando un dispendio enorme di<br />

energie ad ogni passo o gesto. Così il corpo giunge rapidamente alla stanchezza, che non è un<br />

limite ma un punto di partenza. Sebbene con l’inserimento nel rito ci sia di fatto una sottrazione<br />

del soggetto in favore del suo corpo, è pur vero che l’esperienza reiterata in questi riti ha fatto sì<br />

che tale corporeità abbia maturato un repertorio operativo di passi e di atteggiamenti che senza<br />

grandi fatiche riescono a seguire il gioco riverberante. Lo scorrere delle forze del rito,<br />

sospendendo la corporeità quotidiana, ha attivato il corpo danzante. Ma la danza rituale, per via<br />

del suo riecheggiare interno, libera necessariamente molte altre attività che manifestano<br />

un’unione più profonda con le forze, un’amplificazione che rivela l’estensione in spazi areali più<br />

estesi. Ciò conduce anche il corpo esperto al limite della stanchezza, solo che questo non è un<br />

limite a cui approssimarsi evitando di raggiungerlo, ma un punto di partenza di una corporeità<br />

più libera nelle forme. Superando la soglia della fatica, il corpo sospende ogni forma di estetica<br />

nella danza – che rivela in ultima analisi il residuo di un atto intenzionale – e riduce ogni<br />

movimento al suo nucleo operativo, liberando gesti scarni, diretti ed efficaci. Allo stesso tempo<br />

l’equilibrio è alterato in forme più profonde e il corpo nudo non si limita più ad esporsi, ma<br />

esplora la sua nudità, esibendola in tutte le sue forme. La ciclicità dei ritmi e la pressione delle<br />

vibrazioni non viene incorporata solo in forme danzate ma in un comportamento molto più<br />

154 Cfr. Carbonero G. C, op. cit., p. 7.<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 92

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