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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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non fissa lo sguardo in nessun oggetto o persona: danza con gli occhi chiusi o con lo sguardo<br />

assente, tanta è l’adesione con questo territorio acustico. Il suo corpo è scosso da oscillazioni<br />

sonore e lo scuotimento dà forma a delle ondulazioni coreutiche. Esso non è mai statico ma vibra<br />

l’orchestrazione che sta componendo, percepibile come un’amplificazione e un affinamento della<br />

sua motilità. Come una camera d’eco, il corpo danzante risponde alla musica riecheggiandola,<br />

trasformando le forze che lo attraversano in una composizione di azioni. Il riverbero utilizza i<br />

caratteri amplificatori di un corpo muto: il suono si riflette in una composizione di muscoli e<br />

sudore, di smorfie e di gesti, perché queste sono le proprietà del corpo danzante. Esso può<br />

diffondere movimenti oscillatori solo nella misura in cui questi risuonano; inoltre non smette mai<br />

di trasformarsi, poiché è in simbiosi con una musica sempre cangiante e perché le frequenze che lo<br />

stanno facendo ondulare non smettono mai di accordarsi a forme sempre più aderenti, sempre<br />

meglio rispondenti alla risonanza. Questa è una ricerca che può raffinarsi all’infinito anche perché<br />

ogni vibrazione rivela un’immensità di frequenze al suo interno. La corporeità che si manifesta è<br />

densa, talmente ricca di rispondenze che lo spazio acustico sembra quasi diventare solido sotto i<br />

piedi: questo prende le fattezze di una situazione agli occhi dei partecipanti, come se il corpo<br />

centrale avesse proiettato un paesaggio attorno a sé 143 . Ciò deriva dallo stesso riverbero che,<br />

legando tra loro diversi comportamenti, finisce per arricchirsi di una rete di connessioni la cui forza<br />

eccede la nuda rispondenza oscillatoria, aprendo lo spazio delle dimensioni pragmatiche.<br />

Riprodurre freddamente un passo di danza non crea una vera partecipazione: la danza vive in<br />

quanto parte del territorio istituito dalle forze del rito. Questa appartenenza dona un respiro<br />

originale al corpo e il movimento basico si trasforma in una realizzazione unica nella misura in cui<br />

è unica e originale la persona che gli fa da cassa di risonanza. La motilità così non ha più argini che<br />

la possano separare dal suo sapere pragmatico, perché questo è fatto di gesti talmente ben<br />

assimilati da poter essere espressi involontariamente, anche come il solo riverbero dei suoni<br />

ascoltati. Ma quando ciò accade, una dimensione di senso si lega al nudo connubio dei corpi.<br />

Questa è comunque sottratta della sua sensatezza quotidiana perché il gesto pragmatico è ora nella<br />

situazione del rito, non nel suo contesto ordinario. Rimane allora l’efficacia della concatenazione<br />

operazionale, libera dalla finalità che la situazione quotidiana richiede. Alcuni schemi motori<br />

possono addirittura essere favoriti dall’uso di “strumenti-guida” come l’arco, l’ascia, il ventaglio,<br />

ecc. Il corpo stringe lo strumento e questo gli dona la sua memoria gestuale 144 , facendo esplodere<br />

143 Questo è un esempio “positivo” del paradosso che «caratterizza tutto l’essere al mondo: portandomi verso un<br />

mondo, io dissolvo le mie intenzioni percettive e le mie intenzioni pratiche in oggetti che infine mi appaiono come<br />

anteriori ed esteriori rispetto ad esse, e che però esistono in me solo in quanto suscitano in me pensieri e volontà»,<br />

[Merleau-Ponty M., op. cit., p. 131].<br />

144 L’esistenza di una simile memoria è presupposta come necessaria da Leroi-Gourhan, altrimenti non vi sarebbe<br />

alcuna «sinergia operazionale dell’utensile e del gesto» [Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, pp. 278-279].<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 88

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