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degli altri due percussionisti, che mantengono inalterati i loro riferimenti ritmici 129 . Ogni<br />
partecipante si lega all’altro sulla base di almeno un riferimento, che può essere melodico o<br />
ritmico; solo il corpo danzante, in quanto centro e fine del rito, può estendersi a incorporare la<br />
confusione e il dramma dello spaesamento fino a lasciarsi trasportare da questi passaggi di<br />
prospettiva. Egli può allentare la presa dalla propria posizione prospettica e saltare a un’altra<br />
visione delle forze, così da rendere queste due prospettive equivalenti. Egli può farlo perché<br />
l’intero corpus attorno a lui rimane ancorato a un perno fisso di riferimenti ciclici, tale da poter<br />
contenere e proteggere ogni suo squilibrio, come se il circolo fosse una superficie imbottita che<br />
attutirà ogni sua caduta. Così un corpo può conoscere e riconoscere lo stato derivante dalla<br />
perdita di un’andatura, prendendone confidenza: non c’è più un fulcro unico, una chiave univoca<br />
da mantenere. Il ballerino può poggiarsi di volta in volta sul tempo dell’okonkolo, dell’itotele o<br />
dell’iyá. L’intera costruzione rituale gli fornisce la possibilità di sciogliere la sua inerenza con<br />
una posizione prospettica e sperimentarne ogni volta le alterazioni percettive. In questo<br />
muoversi, egli è seguito dai percussionisti, che esprimono forme ambigue che la loro esperienza<br />
ha smascherato. Essi seguono i movimenti del danzatore fino a un certo punto, per poi ritornare<br />
alle loro forme centrali e condurre così la stessa danza a un legame con queste. In questo modo il<br />
perimetro dispiega e orienta il cammino del corpus. Il corpo danzante, scosso dai ritmi, risuona<br />
gli accenti più forti e la ritmica da essi sottintesa. Questi divengono il suo riferimento percettivo,<br />
in cui esso può focalizzare delle forme dinamiche. In questo ripetersi di cicli, dove è possibile<br />
cogliere un legame simbiotico, possono intervenire molti altri suoni e gesti a rompere tale<br />
legame, a generare confusione e quindi tensione, momenti drammatici. Per esempio il suonatore<br />
di iyá può amplificare lo spaesamento del corpo danzante agitando il suo strumento senza<br />
colpirlo, al fine di scuotere tutte le campane del chaworo per stimolare ulteriori tensioni e/o<br />
confusioni attraverso le loro caotiche e penetranti sonorità metalliche, tra l’altro ricchissime di<br />
frequenze armoniche.<br />
Tutti questi aspetti mostrano la fitta rete di legami che si dispiega a<br />
partire da una risonanza umana. In essa è centrale la nuda corporeità delle parti coinvolte.<br />
L’acustica del rito risuona nel corpo delle sue cavità danzanti e musicanti, che tra loro<br />
stabiliscono un’immensa varietà di legami armonici. La simbiosi che ne emerge è il rito sottratto,<br />
il suo corpus, nel quale i ritmi, le danze e i canti vanno a dispiegare ampi territori areali in<br />
contatto tra loro. Risuonando le vibrazioni acustiche, il danzatore viene trasportato<br />
nell’esplorazione di questi luoghi: egli può poggiare la sua andatura sul “battere” – che è un<br />
129 Cfr. Ortiz F., La africanía de la musica folklorica de Cuba, p. 282.<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 83