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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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si poggiava la percezione. Così esso può arrivare a trasformare lo sfondo e le figure che in esso<br />

venivano focalizzate, detronizzando il riferimento su cui la danza si stava poggiando, per<br />

trasportare il corpo in un territorio coreutico diverso. Sperimentando questi passaggi improvvisi<br />

più e più volte, il corpo danzante finisce per impadronirsi anche di questa motilità come una<br />

forma di esperienza, riuscendo così a sciogliere la sua inerenza, a renderla meno salda, a fare a<br />

meno di un perno unico e insostituibile. Riverberando le ambiguità di un’oscillazione, esso riesce<br />

a muoversi in uno stato di confusione: questa è un’esperienza che nel rito svolge una funzione<br />

molto importante 127 . Il corpo dei percussionisti rituali esplora anch’esso il territorio aperto dalle<br />

ambiguità ritmiche, ma il loro ruolo nel rito è soprattutto quello di rivolgere le vibrazioni al<br />

centro danzante. Perciò la loro corporeità è più contenuta, le loro spazializzazioni non arrivano<br />

quasi mai a perdere il loro riferimento obbligato, che è il “battere” del tempo, scandito dal colpo<br />

acuto dell’okonkolo. La disciplina tradizionale all’uso del corpo ritmico sviluppa una buona<br />

attenzione al controllo delle ambiguità, in modo che queste non possano disorientare i<br />

percussionisti: questi intendono le accentazioni in controtempo sempre in opposizione al tempo<br />

dell’okonkolo, e quindi non perdono mai il suo riferimento 128 . Se i loro corpi ripercuotessero non<br />

colpi in controtempo, ma un’intera motilità che ha cambiato prospettiva, essi si esporrebbero al<br />

rischio di non ritrovare più i vecchi riferimenti. Ciò verrebbe amplificato dalla risonanza con i<br />

movimenti del corpo danzante, che giocano proprio a sciogliere la loro inerenza. Marcando i<br />

controtempi come se questi fossero gli accenti sui cui ristabilire la scansione della loro marcia, il<br />

battere dei loro passi, i corpi ritmici potrebbero facilmente perdere la strada del ritorno al loro<br />

perno fisso e lo svolgimento ritmico non avrebbe più un ritorno assicurato. Con ciò essi<br />

farebbero lo stesso lavoro del corpo danzante, avviando uno svolgimento in territori sempre<br />

nuovi ma non più orientabili dai codici di partenza. Nel rito è come se i corpi perimetrali<br />

dispiegassero il territorio nel quale il corpo centrale possa spaziare e confondersi, uno spazio<br />

istituito dai codici formali di partenza.<br />

La corporeità dei percussionisti si muove al limite delle ambiguità:<br />

i loro movimenti amplificano le forme cicliche codificate e allo stesso tempo sembrano<br />

allontanarsi dal loro riferimento, ma solo per ritornare alla loro centralità. Essi non amplificano<br />

troppo a lungo lo spaesamento che può derivare dai loro colpi in controtempo ma ne cercano<br />

sempre un legame con la scansione e la forma di partenza, altrimenti non sarebbero suonatori<br />

esperti. Solo il suonatore di iyá ogni tanto può sciogliere i suoi riferimenti e condividere la<br />

simbiosi con le esplorazioni del danzatore: egli può farlo perché può contare sulla disciplina<br />

127 Cfr. Giannattasio F., op. cit., pp. 126-127.<br />

128 Cfr. Rouget G., op. cit., p. 144.<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 82

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