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Il ritmo dell’itotele perciò sarà il seguente:<br />
Da ciò si comprende il lavoro del suonatore di itotele, che con una<br />
mano completa la scansione e con l’altra la forma. Egli incorpora la melodia dei suoi colpi gravi,<br />
armonizzandola con il colpo acuto, che scandisce sempre nello stesso controtempo. L’iyá, oltre a<br />
fornire una parte del ritmo che l’itotele completa, prosegue il suo ritmo aggiungendo dei colpi,<br />
creando una “marcia” sulla quale il percussionista – analogamente al ballerino – possa trovarsi<br />
comodo e stimolato a svilupparla con variazioni improvvisative. Il modello ritmico 118 dell’iyá in<br />
questa parte è il seguente:<br />
Ma ogni percussionista aggiunge sempre altri colpi che, non contrastando con la melodia<br />
principale, ne arricchiscono la potenzialità e l’equilibrio musicale. È questa una manifestazione<br />
di un legame armonico, che si diffonde non tanto nella musicalità del ritmo quanto nel corpo del<br />
suonatore che, stimolato dai suoi accenti obbligati, rimane irretito in una nuova corporeità.<br />
Questa gli fornisce un “la” su cui riverberare i suoi movimenti che, al pari di una singolare<br />
composizione degli armonici, si traducono in altri colpi di tamburo. Insomma il suonatore di iyà,<br />
una volta che ha incorporato la sua frase formale, lentamente tenderà di renderla “comoda”,<br />
equilibrata, facile da eseguire, quasi fosse una danza. Non si limiterà quindi ai soli accenti<br />
fondamentali, ma a creare una “marcia”, una sua forma armoniosa sulla quale egli potrà<br />
sviluppare una sua dinamica originale. Si creano tutta una serie di colpi “minori” ( ) che<br />
sostengono gli accenti preminenti, istituendone la loro ragion d’essere accenti. Questi sono dei<br />
punti d’appoggio del corpo risonante, sono come gli oggetti che la percezione focalizza per<br />
orientarsi nel mondo: pertanto poggiarsi sugli accenti di un ritmo significa aderire al paesaggio<br />
sonoro fornito dal ritmo stesso. Non importa se questi accenti siano marcati chiaramente o<br />
sottintesi dall’esecutore: qualunque accento egli scelga, esso diviene un punto d’appoggio che lo<br />
118 Per modello di un ritmo mi riferisco a quello che S. Arom definisce come «l'informazione strutturale comune a<br />
tutte le esecuzioni, […] sulla quale è fondata l'elaborazione di ciascun messaggio»; sta in: Magrini T., Universi<br />
Sonori, Einaudi, Torino, 2002, pp. 76-77. In questo lavoro il riferimento ai modelli sarà molto limitato poiché questi<br />
sono delle astrazioni che ci allontanano dalla pratica effettiva dei ritmi nelle cerimonie.<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 75