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Così un ritmo può evolversi e svilupparsi, nonché scandire la sua<br />
evoluzione in una serie di parti: ogni parte ha una durata variabile – a seconda delle necessità del<br />
momento – e viene legata alla successiva tramite una ‘chiamata’ specifica del tamburo più<br />
grande.<br />
Ogni tamburo ha un suo ruolo specifico nella poliritmia: il tamburo<br />
più grande dirige o “chiama”, il medio “risponde” e il più piccolo marca il tempo, i principali<br />
accenti della scansione. Il tamburo più piccolo si chiama okonkolo (o omelé) che in lingua<br />
yoruba significa «bambino forte» 114 . È il tamburo che emette i suoni più acuti, suonando<br />
semplici modelli ritmici che si poggiano quasi sempre sul battere del ritmo. Simile a un<br />
“bambino forte”, l’okonkolo deve essere “disciplinato”, ovvero deve eseguire il suo ritmo senza<br />
variare o perdere il tempo poiché sul suo riferimento ritmico si organizza il lavoro degli altri due<br />
tamburi. Il tamburo medio si chiama itotele, il cui significato letterale è “colui che segue<br />
sempre” 115 , mostrando fin dal suo nome la dipendenza melodica che questo stabilisce con il<br />
tamburo più grande. In ogni parte della poliritmia, il ritmo dell’itotele è costituito da una sua<br />
figura ciclica e da una serie di variazioni che vengono attivate a seconda del tipo di chiamata che<br />
effettua il tamburo maggiore. In quasi tutti i ritmi dell’itotele la membrana più piccola (chachà)<br />
scandisce un colpo che si incastra con quelli dell’okonkolo, completando la scansione, mentre la<br />
membrana più grande (enù) – indipendentemente dalla piccola – risponde alle chiamate dell’altro<br />
tamburo, costruendo una sorta di dialogo melodico di sonorità medio-gravi, completando la<br />
forma. Il tamburo più grande si chiama iyá, che in lingua yoruba vuol dire “madre”, in<br />
particolare riferimento alla sua funzione generativa e direttiva 116 : è il tamburo che comincia la<br />
poliritmia, che determina i cambi di ritmo e di parti, che improvvisa. Alle sue estremità vengono<br />
legate due sonagliere di campane di varie dimensioni (chaworo) che risuonano ad ogni colpo,<br />
arricchendolo di frequenze metalliche. Come tutti i ritmi sacri a Cuba (e in Africa centrale), è il<br />
tamburo più grave ad improvvisare, contrariamente ai ritmi profani e spettacolari che vengono<br />
praticati nelle stesse zone. La ragione psicoacustica di questo fenomeno è da ricercarsi nel fatto<br />
che le sonorità più gravi sono quelle che più influenzano il corpo di chi danza, in particolar modo<br />
il bacino e il baricentro, il suo equilibrio dinamico. Delegare il ruolo di improvvisatore al<br />
tamburo più grave significa incitare a una motilità sempre diversa, proporre continui squilibri<br />
motori, che aprono alla costruzione di nuovi equilibri su cui queste variazioni possono essere<br />
incorporate. Per avere un’idea di come avvenga la composizione poliritmica è utile prendere in<br />
114<br />
Cfr. Ortiz F., Los tambores batá de los yorubas, Publicigraf, La Habana, 1994, p. 11-13.<br />
115<br />
Cfr. Ibidem.<br />
116<br />
Alcuni ritengono che questo nome derivi dalla figura centrale della donna nelle antiche società matriarcali, in cui<br />
si crede che i batá abbiano avuto la loro origine.<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 73