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più ricchi e completi di quelli acuti alla percezione umana, poiché la loro serie di armonici e “più<br />
lunga”, o meglio, partendo da una frequenza grave, le formanti del suono possono occupare una<br />
zona più ampia nello spettro dei suoni udibili dall’orecchio umano. Seguendo queste vibrazioni,<br />
il corpo danzante ristabilisce il suo equilibrio, modella i suoi passi, i movimenti del bacino e del<br />
tronco in armonia con le pressioni sonore delle forme ritmiche, avviando un’interazione<br />
inscindibile tra diffusione ritmica e risonanza coreutica.<br />
Il ritmo, ripercosso sul corpus, stabilisce una connessione tra<br />
suono e corpo, che a sua volta trova un accordo, un confronto 109 con una corporeità depositata<br />
nella memoria. Così come avviene con la mimica, il ritmo scatena un meccanismo di confronti,<br />
anzi di risonanze, riuscendo ad evocare una corporeità situazionale, la quale a sua volta risuona<br />
con senso che la prassi stabilisce in una cultura. Questo potere evocativo verrà esplorato nella<br />
sola motilità che di volta in volta comparirà. Perciò il ritmo, analogamente alla visione, può<br />
dispiegare una sorta di paesaggio, armonizzandosi a un senso situazionale che non è immaginato<br />
visivamente ma operativamente. È un senso nel quale l’ascolto, modellando la corporeità, riesce<br />
a costruire attraverso essa – servendosi solo di essa – una realtà abitabile. La forma del ritmo<br />
fornisce una chiave di lettura della scansione, sostituendo allo spaesamento un solido perno su<br />
cui poter poggiare gli accenti della motilità. Un colpo grave, possente, già basta come stimolo<br />
centripeto: attorno a questo si ristabilisce l’andatura e periodicamente su di esso i corpi si<br />
poggiano per sostenere le loro oscillazioni. Questi due elementi ritmici (scansione e forma)<br />
costituiscono l’arena del ritmo, il suo territorio connettivo, che mette-in-forma i corpi anche<br />
senza un riferimento culturale, ovvero prima ancora di sapere che ritmo è, a quale oricha si<br />
riferisce o a quale sapere si mette in consonanza.<br />
Entrando nello specifico del ritmo, sarà utile concentrarci sui<br />
tamburi in quanto amplificatori dei movimenti, strumenti che condensano e sviluppano la<br />
motilità in una sua realizzazione acustica. Così il tamburo diviene il polo d’attrazione di tutte le<br />
potenzialità vibranti di chi lo suona. La corporeità applicata al tamburo passa per la fisicità del<br />
tamburo stesso, per le sue sonorità come basi per creare una specie di linguaggio: suoni gravi,<br />
medi e acuti, moltiplicati dalle tecniche esecutive, dal numero dei percussionisti e dalle<br />
poliritmie che questi creano attraverso le loro mani. I musicisti apprendono i ritmi cantandoli; le<br />
loro braccia danzano; essi si legano tra di loro come se fossero diverse parti di un’unica armonia.<br />
Il tamburo concentra in sé tutta la motilità del suonatore, orientandola verso una sua<br />
realizzazione percussiva. Come ogni altro strumento, il tamburo deposita in sé tutta la memoria<br />
109 Non è il ritmo a evocare un contesto, è ciò che il ritmo rimanda da sé: è il suo ascolto umano, che fa nascere le<br />
situazioni sociali, «proiezione sulla realtà di una luce che illumina in maniera umana lo svolgimento banalmente<br />
zoologico delle situazioni umane» [Leroi-Gourhan, Il gesto e la parola, p. 362].<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 69