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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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proprio perché l’ascolto non trova alcun orientamento nel mondo sonoro dispiegato dalla sola<br />

scansione ritmica. Il corpo si muoveva con gesti e tentativi stereotipati di un essere che non sa<br />

trovare soluzioni per focalizzare qualcosa in questo singolare ambiente sonoro, che non riesce a<br />

individuare una via da percorrere in un paesaggio desertico e privo di variazioni significative<br />

quale è quello risuonato da questa successione di suoni. Ma la corporeità non sa attendere con<br />

pazienza un cambiamento, perché nel frattempo si deposita in essa un’ansia, una forza che –<br />

trovando un canale sbarrato – si alimenta da sé ad esigere un movimento: essa è come un dolore<br />

che non può essere ignorato, accresciuto dalla disperazione di non disporre di alcun rimedio<br />

valido. È allora che si può comprendere il tono drammatico di certi momenti del rito. Basterebbe<br />

un accento qualunque, meglio se grave, a convogliare tutta la tensione in un punto d’appoggio, a<br />

stabilire un contatto con il paesaggio sonoro che il ballerino cerca a tutti i costi, per inerire ad<br />

esso con una danza, con un passo certo della sua risonanza con il ritmo. Quello che accade è che<br />

il corpo danzante sembra utilizzare queste sensazioni di disorientamento proprio per allontanarsi<br />

dalla sua andatura quotidiana, per ricercare un nuovo equilibrio, che verrà trovato assieme alle<br />

sonorità gravi dei tamburi, che sono delle chiare forme ritmiche. Queste giungono a salvare il<br />

corpo dal suo spaesamento e allo stesso tempo gli propongono un dinamismo nuovo, inaspettato<br />

e salvifico della sua corporeità. Il danzatore in quei momenti si muove non secondo una sua<br />

scelta estetica ma seguendo le connessioni sonore con i tamburi medio-gravi, che attivano tutta la<br />

sua risonanza coreutica, fuori da ogni costruzione quotidiana, estetica o intenzionale. Gli accenti<br />

che i percussionisti inseriscono nella scansione ritmica vanno a costituire delle forme, ovvero dei<br />

riferimenti focalizzati del corpo in movimento, dei cicli su cui il danzatore poggia il suo<br />

equilibrio e organizza una ciclicità coreutica equivalente, in armonia con essi.<br />

Un ulteriore sostegno alla danza è dato dal fatto che le forme<br />

ritmiche dei tamburi rituali sono espresse da sonorità medio-gravi, che hanno un maggiore<br />

impatto sul corpo che viene attraversato da esse e messo-in-vibrazione. Seguendo gli studi di<br />

acustica, sappiamo che le frequenze gravi si diffondono attraverso onde di pressione più lunghe,<br />

che possono muovere masse d’aria più grandi, che hanno una propagazione sferica e che la loro<br />

percezione non chiama in causa soltanto l’udito ma coinvolge tutto il corpo 108 . È piuttosto<br />

frequente sperimentare, soprattutto in certi contesti concertistici, come le frequenze gravi,<br />

emesse con una notevole intensità di volume, facciano vibrare alcune parti del corpo, il tronco e<br />

lo stomaco in particolare. Inoltre bisogna ricordare che i tamburi – come tutti gli strumenti<br />

acustici – emettono timbri: soprattutto nelle sonorità gravi è possibile ascoltare molte altre<br />

frequenze che ne definiscono la composizione armonica. Si può affermare che questi suoni sono<br />

108 Per maggiori informazioni si rimanda a Everet A., Manuale di acustica, Hoepli, Milano, 1996.<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 68

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