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11.06.2013 Views

preistorico dell’umanità, questo livello può essere colto solo attraverso una riduzione, una sottrazione di tutte quelle forze che rafforzano il nucleo antropico del movimento creando uno strato sulla sua nudità. Come un albero antico, il rito della santería conserva la sua forma, sebbene nel corso del tempo abbia cambiato, trasformato e rinnovato tutta la sua motilità nello stesso modo in cui ogni giorno un albero rinnova le sue foglie e dirige i suoi rami verdi verso nuovi spazi. Ma le sue dinamiche interne sono sempre le stesse; esse sopravvivono perché ogni volta vengono riattuate come se fosse la loro prima esposizione: ciò deriva dal fatto che esse si poggiano su una natura vibratoria che non può per definizione essere fissata, congelata nel tempo e riproposta come un modello fisso. Inoltre i corpi che fanno parte del rito sono sempre differenti: diverse casse di risonanza risuonano in forme sempre nuove. Il rito è una dimensione vivente che, al di qua delle pratiche tradizionali che riesce a rievocare e a trasformare, esprime tutta la sua attualità e originalità componendo i corpi secondo legami sempre nuovi. Il suo studio perciò non può essere affrontato solo nel passato delle tradizioni, come se questo fosse un reperto archeologico, una maschera disincarnata 102 . Le sue forze ravvivano e trasformano la tradizione: questa non è un vetusto segno di un folklore se non nella misura in cui è tradizione dell’uomo muoversi e risuonare, conoscere altre persone, trasformare le proprie certezze, scoprire nuove prospettive. Seguendo questa linea interpretativa è possibile intendere il rito come una pratica della modernità 103 . Le forze del rito originano quelle spaziature dei corpi che – ognuna con la sua singolarità nel riflettere la pluralità del corpus – obbediscono alle stesse dinamiche descritte nel capitolo precedente in termini di vibrazione, risonanza e armonia. Nel ritmo la vibrazione è evidente, perché i tamburi rimandano immediatamente a un’acustica capace di evocare un’oscillazione, sia essa una nota o una forma del corpo. Nella danza questa componente può dirsi vibratoria solo in analogia con l’oscillazione coreutica: questa non è percepibile dall’udito ma da una visione e da un tatto ristabiliti sulle basi semantiche dell’ascolto. In questo modo una danza potrà informare e diffondersi in tutti i presenti secondo la stessa modalità con cui il corpo danzante viene influenzato dai movimenti che propone, in quanto questi sono analoghi delle oscillazioni sonore. Nel canto la questione sarà più delicata poiché questo ha una valenza acustica, che è riportabile all’interpretazione già tracciata, ma è anche linguaggio, poiché articola parole. Sebbene la sottrazione di ogni velo semantico abbia connettersi all’insieme di figure etniche che poi lo sottoporranno alle loro prospettive, che nel frattempo si sono modificate proprio grazie al nuovo gesto. Questo gioco è pre-istorico, nel senso che è trascendentale alla formazione della Storia di un popolo. 102 Nondimeno questo studio è importante, poiché attesta la continuità delle forme nell’evolversi della loro storia. Per conoscere approfonditamente le componenti etniche di origine africana presenti a Cuba cfr. Murphy J. M., “The Yoruba Origins of Afro-Cuban Culture”, in Journal of Caribbean Studies 10, Indianapolis, 1995, pp. 50-65. 103 Cfr. Beneduce R., op. cit., pp. 290-291. IL RITO SOTTRATTO 62

fatto cadere l’esigenza di riferirsi a contenuti di senso specifici, non è possibile sottrarre dalla voce la sua connessione con la facoltà di linguaggio, come se questa coincidesse completamente con una veste di senso, come se i suoi tanti aspetti potessero essere analizzati solo all’interno di una forma culturale specifica. La parola rimanda a una forma culturale e si accorda con la gestualità e le forme melodiche tipiche di una dizione etnica. La sua trattazione, se può prescindere dalla fitta rete di riferimenti simbolici e linguistici, non può sottrarsi del tutto alla sua possibilità di significare poiché questa è radicata nelle stesse articolazioni vocali. La capacità informativa di una parola deriva dalla gestualità del corpo, a cui essa fa riferimento e di cui essa non è altro che una riduzione 104 . Il suo significato dipende dalla specificità dell’individuo che incorpora il significante in una dimensione pragmatica 105 . Ridurre il canto alle sole acustiche della voce, come se queste non dicessero alcun che di verbale, sarebbe una denudazione eccessiva: sarebbe come strappare la pelle di una nudità antropica di cui la parola è parte. Il significato della parola e la modulazione emozionale che l’accompagna si confondono nella stessa voce di un corpo nudo. Ciò non deriva solo dal fatto che la parola è vocalizzata – e quindi vibrante – ma anche dal fatto che il significato che essa comunica è come un gesto rarefatto, un agire che si diffonde con le stesse proprietà del movimento: la sua ripetizione è come un’oscillazione che il coro esalta nella sua ciclicità. Perciò non il significato ma la capacità di significare – sottratta del suo specifico contenuto – viene riportata anch’essa a quelle dinamiche ricavate sulla base di un modello acustico. Lo svolgimento di questa parte seguirà l’andamento delle forze connettive nell’arena del rito, concludendosi con il canto, dove l’acustica antropica e la gestualità culturale si fondono nella voce, che cantando parla. La voce rende solo più evidenti queste due componenti, che è possibile ritrovare anche nella danza e nei ritmi dei tamburi. Queste verranno analizzate nel loro spazio antropico e nel loro potere connettivo, pertanto verranno trattate come forze. L’esposizione seguirà le forze del rito l’una dopo l’altra, in una successione di attività differenti, la cui linea di demarcazione è stabilita in base alla loro occupazione di differenti zone dell’arealità corporea. Affrontando il ritmo, per esempio, ci si ritroverà nella necessità di riferirsi anche alla sua ripercussione danzata; del resto è proprio questo il gioco connettivo che qui si assume come “oggetto” di riflessione. La separazione delle attività rituali è solo formale e risponde alle sole esigenze di organizzare un discorso espositivo. Ciò che determina la forma 104 Basti pensare alla parola intesa come «gesto vocale» da Sini, oppure alle affinità evidenziate da Merleau-Ponty tra parole e gesti, sempre in relazione a un territorio condiviso e spartito: «i significati disponibili […] stabiliscono fra i soggetti parlanti un mondo comune al quale la parola attuale […] si riferisce così come il gesto si riferisce al mondo sensibile» [Merleau-Ponty M., op. cit., p. 258 (corsivo mio)]. 105 Pratiche differenti favoriranno l’emergere di concetti e prospettive differenti. Cfr. Wittgenstein, Osservazioni sulla filosofia della psicologia, Adelphi, Milano, 1990, p. 192, § 643. IL RITO SOTTRATTO 63

preistorico dell’umanità, questo livello può essere colto solo attraverso una riduzione, una<br />

sottrazione di tutte quelle forze che rafforzano il nucleo antropico del movimento creando uno<br />

strato sulla sua nudità. Come un albero antico, il rito della santería conserva la sua forma,<br />

sebbene nel corso del tempo abbia cambiato, trasformato e rinnovato tutta la sua motilità nello<br />

stesso modo in cui ogni giorno un albero rinnova le sue foglie e dirige i suoi rami verdi verso<br />

nuovi spazi. Ma le sue dinamiche interne sono sempre le stesse; esse sopravvivono perché ogni<br />

volta vengono riattuate come se fosse la loro prima esposizione: ciò deriva dal fatto che esse si<br />

poggiano su una natura vibratoria che non può per definizione essere fissata, congelata nel tempo<br />

e riproposta come un modello fisso. Inoltre i corpi che fanno parte del rito sono sempre<br />

differenti: diverse casse di risonanza risuonano in forme sempre nuove. Il rito è una dimensione<br />

vivente che, al di qua delle pratiche tradizionali che riesce a rievocare e a trasformare, esprime<br />

tutta la sua attualità e originalità componendo i corpi secondo legami sempre nuovi. Il suo studio<br />

perciò non può essere affrontato solo nel passato delle tradizioni, come se questo fosse un<br />

reperto archeologico, una maschera disincarnata 102 . Le sue forze ravvivano e trasformano la<br />

tradizione: questa non è un vetusto segno di un folklore se non nella misura in cui è tradizione<br />

dell’uomo muoversi e risuonare, conoscere altre persone, trasformare le proprie certezze,<br />

scoprire nuove prospettive. Seguendo questa linea interpretativa è possibile intendere il rito come<br />

una pratica della modernità 103 .<br />

Le forze del rito originano quelle spaziature dei corpi che – ognuna<br />

con la sua singolarità nel riflettere la pluralità del corpus – obbediscono alle stesse dinamiche<br />

descritte nel capitolo precedente in termini di vibrazione, risonanza e armonia. Nel ritmo la<br />

vibrazione è evidente, perché i tamburi rimandano immediatamente a un’acustica capace di<br />

evocare un’oscillazione, sia essa una nota o una forma del corpo. Nella danza questa<br />

componente può dirsi vibratoria solo in analogia con l’oscillazione coreutica: questa non è<br />

percepibile dall’udito ma da una visione e da un tatto ristabiliti sulle basi semantiche<br />

dell’ascolto. In questo modo una danza potrà informare e diffondersi in tutti i presenti secondo la<br />

stessa modalità con cui il corpo danzante viene influenzato dai movimenti che propone, in<br />

quanto questi sono analoghi delle oscillazioni sonore. Nel canto la questione sarà più delicata<br />

poiché questo ha una valenza acustica, che è riportabile all’interpretazione già tracciata, ma è<br />

anche linguaggio, poiché articola parole. Sebbene la sottrazione di ogni velo semantico abbia<br />

connettersi all’insieme di figure etniche che poi lo sottoporranno alle loro prospettive, che nel frattempo si sono<br />

modificate proprio grazie al nuovo gesto. Questo gioco è pre-istorico, nel senso che è trascendentale alla formazione<br />

della Storia di un popolo.<br />

102 Nondimeno questo studio è importante, poiché attesta la continuità delle forme nell’evolversi della loro storia.<br />

Per conoscere approfonditamente le componenti etniche di origine africana presenti a Cuba cfr. Murphy J. M., “The<br />

Yoruba Origins of Afro-Cuban Culture”, in Journal of Caribbean Studies 10, Indianapolis, 1995, pp. 50-65.<br />

103 Cfr. Beneduce R., op. cit., pp. 290-291.<br />

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