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sorride… Questo non è il corpo che in genere intendiamo, non è un estremo della dicotomia<br />
mente-corpo, bensì è lo strumento che il «con» usa per aprire gli spazi connettivi: ogni attività è<br />
una spaziatura del corpo e ogni spazio non è il luogo di una centratura statica, di un’occupazione<br />
stabile, ma è il continuo gioco del contatto, dell’infinito approssimarsi all’altro, un continuo<br />
protendere dovuto all’altrettanto infinita impossibilità di fondersi in esso. Perché il «con» può<br />
congiungere solo enti “pluralmente” singolari 5 e separati.<br />
La mia presenza in un contesto straniero è stata la prima spinta<br />
verso una riflessione di questo tipo: un italiano, esterno alla cultura e alle credenze cubane, non<br />
può riflettere sul suo vissuto se non prende atto del luogo in cui il suo stesso corpo si è ritrovato,<br />
uno spazio distante dal sé culturalmente formato il cui abbandono lo ha portato a liberare tante<br />
forme espressive in un gioco di scambi coreutico-musicali. Ciò comporta la centratura sul corpo<br />
come riferimento basilare, come materia malleabile da un sistema aperto al contagio, con la<br />
conseguente spoliazione della soggettività come punto di vista potenzialmente indipendente dalla<br />
situazione rituale. In questa condizione di nudità non si può non essere esposti alle pressioni<br />
collettive e alle loro ripercussioni sul corpo, al di qua delle loro implicazioni culturali. Perciò una<br />
tale spoliazione mortifica contemporaneamente sia le possibili ragioni della tradizione<br />
occidentale che quelle della tradizione religiosa cubana: questa è una prima conseguenza della<br />
spoliazione. Inoltre i corpi non vanno più considerati come i soggetti delle azioni rituali poiché,<br />
in quanto partecipanti, ne fanno parte, ne sono parte, si dispongono a essere manipolati come<br />
parti. L’essere-parte diviene la loro nuova forma ontologica, una forma dipendente dalle<br />
dinamiche delle connessioni: questa è la seconda conseguenza della spoliazione. Ciò che rimane<br />
costituisce il nucleo di questa ricerca, che è un corpo collettivo ridotto, spogliato della sua veste<br />
culturale. Questo allora non è più un rito propriamente detto bensì un rito nudo o, parafrasando<br />
Nancy, un rito sottratto 6 . Il rito di cui parlerò è sottratto, ridotto a una nuda esposizione di corpi<br />
che si rimandano relazioni, scambi, connessioni reciproche, movimenti collettivi suscettibili di uno<br />
sviluppo anche se la descrizione si priva dei loro riferimenti culturali.<br />
Il rito sottratto diviene il dato esperenziale di una riflessione che può<br />
dirsi «fenomenologica» solo con una certa cautela, solo in quanto le modalità della sottrazione<br />
sono sostanzialmente le stesse della riduzione fenomenologica 7 , ma la problematica insita in questa<br />
5 É importante premettere – e ribadire ogni volta che ce ne sarà bisogno – che questo lavoro si muove sulla scia delle<br />
riflessioni di Nancy. A questo proposito egli non manca di notare che ogni essere singolare è costituito, nell’atto<br />
stesso della sua costituzione, da una pluralità distesa dal «cum». Si ritornerà spesso su questo punto e sulle sue tante<br />
sfaccettature.<br />
6 Mi riferisco a J. – L. Nancy, Il pensiero sottratto, Bollati Boringhieri, Torino, 2003.<br />
7 Il significato di riduzione eidetica o fenomenologica indica la riduzione di un fenomeno al suo nucleo fenomenico<br />
primo ed originale, sospendendo ogni costruzione concettuale, simbolica o religiosa che possa essere costruita su di<br />
esso.<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 6