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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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Nel canto l’oscillazione delle corde vocali, controllato da un<br />

complesso insieme di muscoli e articolazioni, modula le vibrazioni in un susseguirsi di note. Nel<br />

ritmo le mani colpiscono la membrana del tamburo, facendola vibrare e creando un suono,<br />

caratterizzato dalla sua particolare amplificazione attraverso una cassa di risonanza. La danza,<br />

rispetto alle forme di espressione acustica, è un movimento che si afferra con lo sguardo ma che<br />

nondimeno dispone di quelle dinamiche di diffusione informativa e di rinvio reciproco che<br />

riguardano le vibrazioni. Perciò in questo lavoro essa verrà considerata intesa in analogia con la<br />

vibrazione e considerata come un’oscillazione sui generis. I suoi movimenti non dipendono più<br />

dai principî oscillatori dei corpi inerti, la sua oscillazione è macroscopica e la sua frequenza<br />

dipende dallo scandire del ritmo che essa ripercuote nei suoi passi; inoltre la sua oscillazione non<br />

dà necessariamente origine a un suono e il suo movimento si confonde con l’attività stessa del<br />

danzatore, in quanto “esecutore della danza”. Qui ora potrebbe nascere il dilemma, per fortuna<br />

sottratto dalle premesse metodologiche di questo lavoro, circa la necessità di distinguere in che<br />

misura il danzatore sia l’agente della propria danza o se invece, per risonanza, sia “danzato”,<br />

messo-in-danza. In questo caso non vi è una mano su una corda tesa ma la mano stessa diviene<br />

una corda da modulare, nella quale possiamo ritrovare quelle dinamiche connettive tipiche dei<br />

fenomeni acustici. Del resto anche nel canto – e nel tamburo in quanto unione di pelle e cassa di<br />

risonanza – possiamo ritrovare questa confusione, poiché l’oscillazione della corda vocale non è<br />

la voce ma solo una vibrazione, la quale si connette con tutta la corporeità cangiante (e quindi<br />

orientabile da un atto intenzionale) del tratto vocale per realizzarsi propriamente come canto.<br />

Lungi dal ritornare a un recupero dell’agente intenzionale, qui<br />

basterà affermare che la danza utilizza la motilità corporea per manifestare forme analoghe a<br />

vibrazioni. Le oscillazioni di una danza sono da intendere come la sua ciclicità interna e<br />

articolare, manifestata con un movimento che amplifica il potere di una musica attraverso una<br />

singolare cassa di risonanza: un corpo muto la cui informazione si diffonde secondo le stesse<br />

dinamiche di uno strumento sonoro 85 . Qui è necessario cogliere la possibilità dell’analogia tra<br />

un’oscillazione nello spazio – dove regolarmente il corpo ritorna a centrarsi – e una forma<br />

vibrante, una nota. O addirittura un accordo, poiché all’interno del corpo stesso è possibile<br />

contorno identitario che chiama nota, fissando così i limiti di una comune percezione tonale. Il nostro sistema tonale<br />

ha sette note, che però sono suscettibili di essere divise in due semitoni; altri sistemi tonali (arabo, indiano,ecc.)<br />

dividono la nostra nota in quarti o sesti di tono, note che il nostro sistema chiamerebbe “calanti” o “crescenti”, non<br />

intonate.<br />

85 É bene ribadire che in questo capitolo non si stanno divulgando dei principi acustici ma si sta costruendo<br />

un’interpretazione che possa accomunare la visione all’ascolto, e il tatto al contatto armonioso tra i corpi del rito.<br />

Tuttavia, è possibile avvicinare le vibrazioni alle ondulazioni anche per via delle relazioni che intercorrono tra<br />

l’orecchio esterno –organo dell’ascolto- e l’orecchio interno –organo paleontologicamente legato all’equilibrio<br />

«dell’individuo rispetto all’ambiente, nelle percezioni spaziali immediate e nell’organizzazione dei movimenti».<br />

[Leroi-Gourhan A., Il gesto e la parola, p. 334].<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 51

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