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11.06.2013 Views

Premesse Questo scritto si riferisce a un vissuto personale nell’ambito dei riti religiosi della santería cubana, avvenuto circa sette anni fa all’Avana. L’esperienza rituale ha assunto la forma di un’immersione in un mondo nuovo, in una realtà dove le espressioni musicali si compenetravano in quelle coreutiche, in cui i concetti religiosi si confondevano con le pratiche concrete al punto che, per mantenere uno stato di presenza in tale contesto, si è dovuta abbandonare ogni esigenza analitica e ogni intenzionalità oggettivante. Il nucleo fondante di questo lavoro è stato elaborato a partire da ciò che questo abbandono ha potuto svelare, poiché solo sottraendo ogni volontà preformata il vissuto ha potuto mantenersi tale, autentico. Le ripetute esperienze rituali hanno avuto il valore di confermare questa rivelazione, raffinandone gli aspetti e fornendo gli strumenti per creare una grammatica adatta a una tale esperienza, nonché una logica del discorso e della riflessione. Le difficoltà incontrate nella stesura di questo lavoro sono tutte riportabili al problema di assumere una forma di scrittura che possa eleggersi a “traduzione” di un’esperienza che è stata tanto coinvolgente da non contemplare alcuna supervisione oggettivante, analitica, egoica, razionale. Fare i conti con il linguaggio in questo lavoro ha significato elaborare una filosofia del vissuto, una strutturazione di un’esperienza che si muoveva con i tempi e con le forme di una naturalezza quasi istintiva. L’esperienza vissuta ha assunto la grammatica dell’agire più che del comprendere, mostrando la centralità del corpo nel processo di integrazione in un corpus più grande, collettivo, che si muoveva con la forza delle musiche e delle danze che in esso si generavano, ripercuotendosi a vicenda. Un simile aggregato di corpi diviene il nuovo soggetto collettivo – del quale ogni partecipante è parte – e qui verrà chiamato semplicemente rito. Rito come «fenomeno» quindi, ma non come un evento osservabile da una posizione che possa credersi al di sopra delle parti. In quanto parte – per quanto discutibile sia la presenza di un italiano non iniziato in un rito straniero – l’osservazione stessa ha ceduto il suo primato a un ordine metessico 1 della percezione. La partecipazione in quanto azione spartita, decentrata, 1 Fondato cioè sulla partecipazione, la spartizione e il contagio. IL RITO SOTTRATTO 4

sempre in via di formazione e sempre aperta agli stravolgimenti di ogni volere, ha sciolto questa riflessione dalle dipendenze di un ordine di idee precostituito. La scommessa che questo lavoro ha accettato è stata quella di tentare una descrizione di un rito che, privato di ogni senso storico e culturale, non è più tale, è sottratto. A rigore non potrebbe dirsi più nemmeno «fenomeno» ma pre-fenomeno, atto originario, un’origine che però non si accontenta di liberare il contatto tra le parti una volta per tutte – altrimenti sarebbe una causa prima, di ordine paleontologico 2 – ma ogni volta lo propone appunto come contatto, come termine imprescindibile per la connessione, la costituzione e l’evoluzione di ogni parte partecipante. Non si tratta quindi di vedere un rito primordiale spogliandone uno attuale, ma si vuole solo cogliere la fondamentalità del «con» e del «tra» in ogni atto partecipativo, prima che questo assuma un ordine razionale a costruire e spiegare i suoi oggetti di senso. Non essendovi oggetti da analizzare ma solo enti che la partecipazione spoglia della loro essenza, non rimane altro che il legame, la forza attrattiva, le dinamiche di relazione 3 . Queste vanno intese ontologicamente come sostantivi, perché solo la loro particolare distribuzione potrà distendere uno spazio che sarà poi occupato da oggetti e soggetti, quotidiani o sacri. Ma non è affatto facile intendere il «con» come sostantivo: qui si svela tutto il problema del linguaggio e, di conseguenza, la necessità di un riassetto, benché minimo. Questo lavoro non ha la pretesa di ristabilire un linguaggio su misura per questa problematica, ma solo di utilizzare alcuni termini in un senso nuovo, diverso dalle comuni accezioni. Il «con» che attrae – ma che può anche respingere con la stessa forza – i partecipanti a una festa rituale, a prescindere dalla loro provenienza storica o culturale, è un ente misterioso ma carico di “indizi”: una musica, una danza, un canto, un urlo, un pianto, una parola, un coro, una preghiera, un sussurro incomprensibile, uno sguardo, un sorriso… Questo “ente inessente” non può fissarsi mai: è in infinito rimbalzo tra le parti ed è proprio il suo rimbalzare continuo che finisce col dare nome alle parti, con lo scolpirle in una forma, originando una figura, un qualcuno nuovo. Non potendo indicare l’essenza del «con» 4 , questo lavoro si concentrerà sulla sostanza che questo manipola, non per fissarla in una figura ma per lasciar apparire di volta in volta una forma che via via si deforma, trasformandosi in un’altra figura. Questa sostanza è il corpo: corpo che canta, che suona, che danza, che parla, che urla, che piange, che prega, che guarda, che 2 Non mancheranno in questo lavoro i contributi del paleontologo, ma al solo scopo di mostrare una sostanza sempre in via di formazione, sottoposta a un principio di natura connettiva fin dall’alba dell’umanità. 3 Prima di citare le molte sfaccettature ontologiche connesse a questa affermazione, è opportuno ricordare il contributo di Bateson a tale questione, la sua intuizione della relazione come fondante di certe proprietà altrimenti inconcepibili. Il senso della “profondità”-per esempio- a cui perviene la visione integrata dei due occhi è irriducibile alla visione di «ciò che accade» da parte di ogni singolo occhio. Usando questo efficace termine di paragone, egli perviene alla priorità ontologica della relazione: «Vi sono cambiamenti di A e cambiamenti di B che corrispondono alla dipendenza-assistenza della relazione. Ma la relazione viene per prima, precede» [Bateson G., Mente e natura, Adelphi, Milano, 1984, p. 179]. 4 Poiché la sua natura dinamica sfugge alla stessa rapidità dell’atto ostensivo. IL RITO SOTTRATTO 5

sempre in via di formazione e sempre aperta agli stravolgimenti di ogni volere, ha sciolto questa<br />

riflessione dalle dipendenze di un ordine di idee precostituito. La scommessa che questo lavoro<br />

ha accettato è stata quella di tentare una descrizione di un rito che, privato di ogni senso storico e<br />

culturale, non è più tale, è sottratto. A rigore non potrebbe dirsi più nemmeno «fenomeno» ma<br />

pre-fenomeno, atto originario, un’origine che però non si accontenta di liberare il contatto tra le<br />

parti una volta per tutte – altrimenti sarebbe una causa prima, di ordine paleontologico 2 – ma<br />

ogni volta lo propone appunto come contatto, come termine imprescindibile per la connessione,<br />

la costituzione e l’evoluzione di ogni parte partecipante. Non si tratta quindi di vedere un rito<br />

primordiale spogliandone uno attuale, ma si vuole solo cogliere la fondamentalità del «con» e del<br />

«tra» in ogni atto partecipativo, prima che questo assuma un ordine razionale a costruire e<br />

spiegare i suoi oggetti di senso. Non essendovi oggetti da analizzare ma solo enti che la<br />

partecipazione spoglia della loro essenza, non rimane altro che il legame, la forza attrattiva, le<br />

dinamiche di relazione 3 . Queste vanno intese ontologicamente come sostantivi, perché solo la<br />

loro particolare distribuzione potrà distendere uno spazio che sarà poi occupato da oggetti e<br />

soggetti, quotidiani o sacri. Ma non è affatto facile intendere il «con» come sostantivo: qui si<br />

svela tutto il problema del linguaggio e, di conseguenza, la necessità di un riassetto, benché<br />

minimo. Questo lavoro non ha la pretesa di ristabilire un linguaggio su misura per questa<br />

problematica, ma solo di utilizzare alcuni termini in un senso nuovo, diverso dalle comuni<br />

accezioni. Il «con» che attrae – ma che può anche respingere con la stessa forza – i partecipanti a<br />

una festa rituale, a prescindere dalla loro provenienza storica o culturale, è un ente misterioso ma<br />

carico di “indizi”: una musica, una danza, un canto, un urlo, un pianto, una parola, un coro, una<br />

preghiera, un sussurro incomprensibile, uno sguardo, un sorriso… Questo “ente inessente” non<br />

può fissarsi mai: è in infinito rimbalzo tra le parti ed è proprio il suo rimbalzare continuo che<br />

finisce col dare nome alle parti, con lo scolpirle in una forma, originando una figura, un qualcuno<br />

nuovo. Non potendo indicare l’essenza del «con» 4 , questo lavoro si concentrerà sulla sostanza<br />

che questo manipola, non per fissarla in una figura ma per lasciar apparire di volta in volta una<br />

forma che via via si deforma, trasformandosi in un’altra figura. Questa sostanza è il corpo: corpo<br />

che canta, che suona, che danza, che parla, che urla, che piange, che prega, che guarda, che<br />

2 Non mancheranno in questo lavoro i contributi del paleontologo, ma al solo scopo di mostrare una sostanza sempre<br />

in via di formazione, sottoposta a un principio di natura connettiva fin dall’alba dell’umanità.<br />

3 Prima di citare le molte sfaccettature ontologiche connesse a questa affermazione, è opportuno ricordare il<br />

contributo di Bateson a tale questione, la sua intuizione della relazione come fondante di certe proprietà altrimenti<br />

inconcepibili. Il senso della “profondità”-per esempio- a cui perviene la visione integrata dei due occhi è irriducibile<br />

alla visione di «ciò che accade» da parte di ogni singolo occhio. Usando questo efficace termine di paragone, egli<br />

perviene alla priorità ontologica della relazione: «Vi sono cambiamenti di A e cambiamenti di B che corrispondono<br />

alla dipendenza-assistenza della relazione. Ma la relazione viene per prima, precede» [Bateson G., Mente e natura,<br />

Adelphi, Milano, 1984, p. 179].<br />

4 Poiché la sua natura dinamica sfugge alla stessa rapidità dell’atto ostensivo.<br />

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