IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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11.06.2013 Views

La somiglianza di forme dinamiche non deve essere ricondotta solamente a un ordine visivo, che potrebbe facilmente confonderla con una figura, ma alle dinamiche rivelate dall’ascolto: per forma qui intendiamo la composizione originale delle vibrazioni e dei movimenti che un corpo ci rinvia. È una pressione sulla cavità del corpo esposto, che vibrando produce un timbro sonoro, un colore originale, uno stile, diffondendo nella relazione con l’altro le qualità della sua corporeità, che l’altro a sua volta arricchisce con le sue composizioni armoniche e articolari, con la sua forma originale. Ma il contributo dell’acustica rischia di essere limitante in questa ricerca se del suo funzionamento ne afferriamo solo le proprietà sonore. Tali proprietà vengono qui applicate all’intera capacità che un corpo ha di muoversi: l’idea di vibrazione invade il movimento per abbracciare non solo l’invisibile oscillazione della pelle tesa, ma anche tutte le spaziature di cui un corpo è capace. Danze, canti, trasfigurazioni del volto e urla seguono le proprietà dei suoni, sono tutte es-pressioni in un ambiente collettivo che, come un teatro di marionette, mostrano il loro legame reciproco, un’immensità roboante di fili che, prima di essere intenzionali ed evocativi, rispondono alla natura della risonanza. Nel rito ogni pressione dell’es 78 pizzica una corda tesa ed intrecciata a formare una vasta superficie vibrante, una ragnatela di connessioni. Se ci troviamo irretiti in questo spazio, la forza di queste pressioni sarà impressionante e il nostro riceverle – che arricchirà le forze stesse delle qualità vibranti del nostro attraversamento – non sarà altro che una modalità di risuonare con esse. Il modello acustico della risonanza ha il merito di mostrare le dinamiche connettive in un ambiente partecipativo, poiché nel rito i corpi appaiono permeabili all’influenza delle loro esposizioni reciproche. Da ciò si enuclea un’importante proprietà del corpo sottratto, che è quella di protendersi naturalmente verso l’altro. Ciò mostra la sua socialità nuda –esso infatti è denudato di ogni contenuto sociale di riferimento – nella forma di una sinergia, di una simpatia 79 per la connessione che, al di qua di ogni volere, già è capace di instaurare una relazione. È su questa base che il senso del corpo sottratto potrà vestirsi di tutti l’ossatura della figurazione in un genere musicale o plastico grazie alla possibilità che esso offre agli individui di organizzare varianti personali senza alterarne l’architettura» [Leroi-Gourhan A., Il gesto e la parola, Einaudi, Torino, 1982, p. 325]. 78 L’essere che preme è esso stesso soggetto alla sua pressione vibrante, perciò non va considerato come un ente antecedente all’espressione, su cui questa si poggerebbe come a un qualcosa di sostanziale. La sua essenza è già distrutta, sottratta, o come direbbe Nancy, derubata (lasciando intendere la sottrazione di una proprietà), è già singolarmente plurale. 79 La simpatia è un carattere molto importante del cum della connessione rituale: è una forza attrattiva che, prima ancora di rivolgersi propriamente ad oggetti o soggetti, li coinvolge nella relazione, attestando la realtà della connessione prima ancora di conoscere gli oggetti connessi. Merleau-Ponty la esprime con i termini di una «comunione», mostrando come la sensazione stessa svolga una funzione “sacramentale”: spezzare il pane consacrato «ha non solo un significato motorio e vitale, ma non è altro che un certo modo di essere al mondo che ci viene proposto da un punto dello spazio e che il nostro corpo, se ne è capace, riprende e assume: la sensazione è alla lettera una comunione» [Merleau-Ponty M., Op. cit., p. 289]. Ogni gesto nel rito è diffuso tra i partecipanti come una spartizione sacra. IL RITO SOTTRATTO 48

quei fili intenzionali che daranno forma e contenuto al suo sapere. Quindi questa connessione, che è “l’oggetto” del rito sottratto, mentre spoglia ogni identità e ogni pensiero, simultaneamente mostra le basi dinamiche di un pensare non ancora determinato da concetti; punta al suo solo movimento, che è vitale per la costruzione di un senso. Ritrovarsi immersi nella rete connettiva, sperimentando il contagio delle tante attività collettive tra di loro, significa innanzitutto “entrare in simpatia” e anche attivare le basi per una ricerca – non ancora intenzionale – di un senso possibile: così il corpo reclama da sé un intendere 80 . Nelle cerimonie della santería il canto diffonde una melodia che, in virtù delle sue proprietà acustiche, diviene il riferimento per la connessione con un’altra corporeità areale, il ritmo. Queste connessioni acustiche irretiscono anche la danza, che risuonerà l’avvenuta simbiosi iniziando a scandire i suoi primi passi 81 . Ogni attività, sonora o coreutica, diffondendo le sue “vibrazioni” tra i presenti, viene da questi armonizzata, trasformata in una serie di corporeità differenti. Ora ci troviamo all’interno di un complesso intreccio di forze, ognuna delle quali appartiene a un’attività specifica: canto, danza, ritmo e coro. Le modalità delle loro connessioni reciproche rispondono a una semplice sincronizzazione, che deriva dalla loro effettiva compresenza nel corpus del rito. Così la riflessione si apre a una linea interpretativa elaborata sulla base di una percezione acustica perché su questa è più facile costruire un modello partecipativo adeguato al vissuto rituale. Questo sostiene una percezione circolare e non frontale del fenomeno, mortifica i presupposti dualistici – causa/effetto, osservatore/osservato, soggetto/oggetto, stimolo/risposta – per concentrarsi su quei movimenti connettivi che si originano in uno stato di immersione e compresenza nel corpus del rito. Del resto, il senso della visione su cui il pensiero teorizza 82 porta spesso a un immobilismo, a un congelamento di quelle forme dinamiche che qui vengono non solo liberate ma anche elette a fondamento di questo lavoro. Perciò sarà necessario ristabilire la riflessione secondo un nuovo linguaggio, che permetterà di orientare la ricerca a partire dai termini di una semantica dell’ascolto; ciò non per ridurre il rito alla sua sola sonorità ma per costruire una nuova interpretazione capace di rivedere la visione stessa, nonché il contatto e l’ascolto, alla “luce 80 Lo stesso senso fa clamore: vibra il suo rinvio come se fosse un suono. E il suono stesso a sua volta fa senso, con clamore, re-clamandolo [Cfr. Nancy J. – L., All’ascolto, p. 40]. 81 Ma il canto rituale non è solo una musica, è anche una preghiera, un’invocazione degli dèi con il linguaggio degli uomini. Perciò queste attività si ripiegano ulteriormente di un rimando linguistico e religioso: la simbiosi espressiva assumerà la veste dello specifico sistema di credenze e di linguaggio elaborando concetti e «pensieri concreti» [Lévi-Strauss]. Qui è importante notare che, al di qua del velo culturale e linguistico, bastano poche note cantate che subito si intreccia una ragnatela sincronica e collettiva. Come una preghiera, la voce solista coinvolge il coro, che risponde ripetendo e rafforzando le frasi/melodie/invocazioni del canto. Il canto espone immediatamente un amalgama che noi occidentali non possiamo fare a meno di interpretare come un intreccio, per dipanarvi i sensi del linguaggio, della musica e delle credenze religiose, che la nostra forma di vita ha imparato a mantenere separati. La matassa dei sensi avvolti attorno alla vocalità sarà dipanata nel capitolo 6. 82 L’uso stesso del termine “teoretico” si lega alla visione [Cfr. Nancy, All’ascolto, p. 17]. IL RITO SOTTRATTO 49

quei fili intenzionali che daranno forma e contenuto al suo sapere. Quindi questa connessione,<br />

che è “l’oggetto” del rito sottratto, mentre spoglia ogni identità e ogni pensiero, simultaneamente<br />

mostra le basi dinamiche di un pensare non ancora determinato da concetti; punta al suo solo<br />

movimento, che è vitale per la costruzione di un senso. Ritrovarsi immersi nella rete connettiva,<br />

sperimentando il contagio delle tante attività collettive tra di loro, significa innanzitutto “entrare<br />

in simpatia” e anche attivare le basi per una ricerca – non ancora intenzionale – di un senso<br />

possibile: così il corpo reclama da sé un intendere 80 .<br />

Nelle cerimonie della santería il canto diffonde una melodia che, in<br />

virtù delle sue proprietà acustiche, diviene il riferimento per la connessione con un’altra<br />

corporeità areale, il ritmo. Queste connessioni acustiche irretiscono anche la danza, che risuonerà<br />

l’avvenuta simbiosi iniziando a scandire i suoi primi passi 81 . Ogni attività, sonora o coreutica,<br />

diffondendo le sue “vibrazioni” tra i presenti, viene da questi armonizzata, trasformata in una<br />

serie di corporeità differenti. Ora ci troviamo all’interno di un complesso intreccio di forze,<br />

ognuna delle quali appartiene a un’attività specifica: canto, danza, ritmo e coro. Le modalità<br />

delle loro connessioni reciproche rispondono a una semplice sincronizzazione, che deriva dalla<br />

loro effettiva compresenza nel corpus del rito. Così la riflessione si apre a una linea<br />

interpretativa elaborata sulla base di una percezione acustica perché su questa è più facile<br />

costruire un modello partecipativo adeguato al vissuto rituale. Questo sostiene una percezione<br />

circolare e non frontale del fenomeno, mortifica i presupposti dualistici – causa/effetto,<br />

osservatore/osservato, soggetto/oggetto, stimolo/risposta – per concentrarsi su quei movimenti<br />

connettivi che si originano in uno stato di immersione e compresenza nel corpus del rito. Del<br />

resto, il senso della visione su cui il pensiero teorizza 82 porta spesso a un immobilismo, a un<br />

congelamento di quelle forme dinamiche che qui vengono non solo liberate ma anche elette a<br />

fondamento di questo lavoro. Perciò sarà necessario ristabilire la riflessione secondo un nuovo<br />

linguaggio, che permetterà di orientare la ricerca a partire dai termini di una semantica<br />

dell’ascolto; ciò non per ridurre il rito alla sua sola sonorità ma per costruire una nuova<br />

interpretazione capace di rivedere la visione stessa, nonché il contatto e l’ascolto, alla “luce<br />

80 Lo stesso senso fa clamore: vibra il suo rinvio come se fosse un suono. E il suono stesso a sua volta fa senso, con<br />

clamore, re-clamandolo [Cfr. Nancy J. – L., All’ascolto, p. 40].<br />

81 Ma il canto rituale non è solo una musica, è anche una preghiera, un’invocazione degli dèi con il linguaggio degli<br />

uomini. Perciò queste attività si ripiegano ulteriormente di un rimando linguistico e religioso: la simbiosi espressiva<br />

assumerà la veste dello specifico sistema di credenze e di linguaggio elaborando concetti e «pensieri concreti»<br />

[Lévi-Strauss]. Qui è importante notare che, al di qua del velo culturale e linguistico, bastano poche note cantate che<br />

subito si intreccia una ragnatela sincronica e collettiva. Come una preghiera, la voce solista coinvolge il coro, che<br />

risponde ripetendo e rafforzando le frasi/melodie/invocazioni del canto. Il canto espone immediatamente un<br />

amalgama che noi occidentali non possiamo fare a meno di interpretare come un intreccio, per dipanarvi i sensi del<br />

linguaggio, della musica e delle credenze religiose, che la nostra forma di vita ha imparato a mantenere separati.<br />

La matassa dei sensi avvolti attorno alla vocalità sarà dipanata nel capitolo 6.<br />

82 L’uso stesso del termine “teoretico” si lega alla visione [Cfr. Nancy, All’ascolto, p. 17].<br />

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