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nuovo “senso” del rito, che di fatto è una sottrazione di senso. Il rito, spogliando ogni<br />
intenzionalità individuale, sospende anche di ogni ricerca di senso, perché questa si riferisce<br />
comunque a una volontà di ricerca che il vissuto partecipativo pone fuori luogo. Del resto, non si<br />
può suonare uno strumento che vuole cantare la sua melodia perché questo non sarebbe uno<br />
strumento. Sarebbe un esecutore, un agente, non suonabile, non assoggettabile in qualità di cassa<br />
da far risuonare. Uno strumento non dirige la sua vibrazione verso certe note: la sua corporeità<br />
gli fa semplicemente risuonare quelle oscillazioni che il suonatore gli impone, toccandolo. In<br />
questa dimensione appare, paradossalmente, il “senso” del rito. Un senso che continuamente si<br />
sottrae per rivelare il suo movimento continuo, decentrato, distribuito 73 . È un senso che non si<br />
può afferrare con un concetto poiché è rivelato da un’esperienza che ha sottratto le<br />
oggettivazioni e la loro ricerca. È l’esperienza stessa, non è ciò che un occhio può focalizzare,<br />
non sono sue elaborazioni. Sottraendo il rito è possibile ripercorrere la decostruzione del<br />
soggetto e allo stesso tempo tracciare lo svolgersi dell’avvicinamento al luogo rituale, nonché il<br />
valore profondo dell’assoggettamento al tutto collettivo, in cui il soggetto, l’osservatore, il senso,<br />
assieme a ogni consistenza ontologica, sono gettati-sotto lo scorrere delle forze rituali.<br />
Una fenomenologia del vissuto<br />
Il soggetto si spoglia senza alcun atto intenzionale: è il rito che lo<br />
sottrae nella misura in cui il corpo lo sorprende. Non vi è intenzione di denudarsi, ma un<br />
partecipare alle corporeità del rito, che sono forze spoglianti. Questa ricerca si concentra sul rito<br />
in quanto luogo in cui appare la denudazione; in esso il pensare si muove sottratto dalle sue<br />
costruzioni di senso; l’osservatore guarda la dimensione in cui è immerso con quello stupore che<br />
nasce dalla mancanza di punti di riferimento. Lo stupore attesta una modalità esperenziale ben<br />
netta, per quanto difficile da spiegare. Si percepisce una forza modulatoria generale che permea<br />
tutto il rito, costellata di scambi locali tra movimenti e musiche che, come onde, si diffondono in<br />
ogni direzione, favorendo un senso di unione a un tutto che è inseparabile nella misura in cui<br />
ogni sguardo oggettivante è sospeso. Mantenendo tale esperienza, si rifugge non solo dai sensi<br />
della tradizione cartesiana ma anche da quelli della tradizione cubana. Così non è possibile<br />
ricercare il senso dell’oricha, ma solo quello della denudazione nel luogo del rito sottratto. Con<br />
ciò si ribadisce la sospensione del senso come il “fatto” su cui l’esperienza ha potuto formarsi, il<br />
73 Questo movimento sfugge alle prese del senso e così pare che il senso stesso «debba essere considerato nello<br />
stesso tempo come un non-senso, in quanto il suo dare sensatezza è nello stesso tempo un sottrarla» [Garroni E.,<br />
Estetica. Uno sguardo-attraverso, Garzanti, Milano, 1992, p. 269]. Ma questo non-senso non è un’assenza del<br />
senso: è il movimento stesso che – proprio perché sfuggevole, perché sempre in gioco oscillante, in continuo rinvio<br />
– dona senso, seppure in un’accezione nuova e «inaudita» [Nancy].<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 43