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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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lasciasse cadere la sua veste. Se questo abbandono non è incondizionato, ovvero se il soggetto si<br />

ostina a trattenere un’identità cosciente, allora esso pone un limite, un confine tra sé e gli altri che<br />

lo getta immediatamente fuori dal corpus. Impegnato a capire cosa sta succedendo, come se quel<br />

“fenomeno” fosse un qualcosa da afferrare, il soggetto smette di risuonare le forze trasformative.<br />

Egli è messo al di fuori del rito per aderire ai suoi ordini di senso, che lo allontanano<br />

automaticamente dalla partecipazione; egli semplicemente, per aderire a se stesso, non vive<br />

l’esperienza. Ma la spoliazione del soggetto getta luce sulle tante proprietà del sé sottratto che è il<br />

corpo, non un corpo meccanico, riduttivamente biologico, ma irriducibilmente umano, coinvolto<br />

nella musica e nella danza, sensibile ai gesti dei suoi simili: egli risponde a tutte le esperienze che<br />

percepisce, anche a quelle che eccedono ogni comprensione sensata.<br />

La collettività è accolta nella dimensione del rito con l’atto di un<br />

abbandono: ognuno perde il suo tessuto per diventare un filo che il rito intreccia con gli altri.<br />

Allora l’esperienza si dischiude come partecipazione, che ognuno vive come parte dell’intreccio<br />

di scambi, come punto di una cassa di risonanza collettiva. Far parte significa allora liberare il<br />

corpo, lasciare che esso risponda delle pressioni collettive in forme che il pensiero non può<br />

permettersi di indagare durante il loro manifestarsi. Lo strumento-corpo funziona in quanto<br />

sospende di essere l’agente delle sue azioni: la figura dell’osservatore – ma anche quella<br />

dell’ascoltatore – viene sospesa. L’osservatore è il soggetto che compie l’atto di osservare;<br />

l’ascoltatore è il soggetto che compie l’atto di ascoltare. Entrambi vengono istituiti da un atto<br />

intenzionale: l’ascoltatore tende l’orecchio, vuole ascoltare. Ma nel rito sottratto non c’è<br />

intenzionalità alcuna: il corpo non vuole ascoltare nella misura in cui un tamburo, un’arpa non<br />

può voler vibrare. In questa dimensione l’intenzionalità fa sorgere questioni prive di senso. La<br />

vibrazione esiste nel momento in cui il rito c’è: questi elementi sono indissolubili e concomitanti.<br />

Il “senso” del rito<br />

Con la sottrazione, l’osservazione frontale si trasforma in luogo<br />

circolare o meglio, in un’immersione. Il soggetto diviene corpo risonante, diapason, filo di una<br />

tessitura in atto. Assieme al suo ego, scompare anche la sua corporeità autonoma, che non<br />

sarebbe di alcun aiuto alla costruzione dell’armonia collettiva. Con ciò, si dischiude il nucleo<br />

connettivo e inalienabile di un essere che è allo stesso tempo singolare e plurale 72 : egli<br />

rispecchia l’armonia del tutto attraverso forme originali. La sottrazione che il rito genera apre al<br />

72 «Il singolare-plurale […] forma […] la costituzione d’essenza d’essere: una costituzione che disfa o che disloca<br />

[…] ogni essenza una e sostanziale dell’essere stesso» [Nancy J. – L., Essere singolare plurale, p. 43]. L’essere che<br />

risuona vibra il suo rinvio continuo –poiché toccando si ritrae- alla pluralità dei partecipanti, e lo fa emettendo una<br />

nota, un passo, un gesto singolare.<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 42

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