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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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1- Il soggetto è fuori. All’inizio il soggetto è nel pieno delle sue<br />

capacità: è inserito in un ambiente quotidiano, si muove seguendo un suo volere, che trova<br />

compimento negli oggetti che egli focalizza. Un ritmo di tamburi attira la sua attenzione: egli si<br />

dirige incontro alla fonte del suono come all’oggetto del suo interesse, nella speranza di metterlo<br />

a fuoco, di osservarlo, di comprendere di che si tratta. Il suono proviene da una casa. Egli si<br />

avvicina, curioso.<br />

2- Il soggetto è dentro. Il soggetto viene accolto all’interno della<br />

casa: i ritmi sono molto più intensi, egli può percepire i canti e vedere le danze, nonché il circolo<br />

dei fedeli che danza e risponde al coro. Le pressioni sonore e corporee si fanno sempre più forti<br />

ad ogni passo che egli compie per avvicinarsi. La sua presenza non altera lo svolgimento del rito,<br />

anzi egli si sente ben accetto e, senza smettere di osservare, comincia impercettibilmente a<br />

muovere le gambe, nello stesso modo in cui lo stanno facendo gli altri. Poi nota i battiti di mani,<br />

che cerca di riprodurre assieme ai passi; infine cerca di comprendere, invano, le parole<br />

pronunciate dal coro, ma il coinvolgimento gli fa pronunciare lo stesso dei fonemi senza senso in<br />

sincronia con il gruppo.<br />

3- Il soggetto non c’è più. Per mantenere tutte queste attenzioni, il<br />

soggetto si scorda di sé. Egli abbandona la sua osservazione esclusiva per confondersi nella<br />

collettività corale: non appena si fonde col gruppo, il canto cambia strofa, oppure i battiti di mani<br />

suggeriscono ritmi diversi, cosicché egli non può più tornare a centrarsi su se stesso, sulla sua<br />

individualità e intenzionalità, perché il suo corpo è occupato da un transito di dinamiche<br />

coinvolgenti e impegnative. Non più il soggetto ma solo il corpo fa eco ai canti, sorride ai sorrisi,<br />

è attento alle danze centrali e ai ritmi. La fatica di tutte queste attività simultanee è confusa con<br />

la gioia di condividere un’esperienza nuova e affascinante. Ma la stanchezza, che riduce ogni<br />

comportamento alla sua nudità singolare, ha sospeso il soggetto in quanto identità separata,<br />

poiché in questo momento una costruzione indipendente rovinerebbe tutto. Così il volere ha<br />

abbandonato il corpo singolo: si è rarefatto, spartito in un corpo collettivo.<br />

Il coro ha orientato i movimenti di ogni partecipante perimetrale,<br />

sollevandolo dal suo volere, prendendone la soggettività. Ora questo si muove più agilmente,<br />

libero dal peso del senso, fuori dalla sua gabbia identitaria. Egli non si sta muovendo, è parte di<br />

un corpo in movimento; non sta osservando, percepisce nello stesso momento in cui si esprime: è<br />

informato, messo-in-forma come una parte del coro, che a sua volta è parte di un unico corpus<br />

simbiotico che intreccia espressioni simultanee e differenti. I partecipanti centrali informano la<br />

collettività con una pressione espressiva maggiore: essi diffondono una forza che si traduce in<br />

movimenti e comportamenti quasi-spontanei, o meglio riflettenti, come se questi fossero delle<br />

ripercussioni originali e non mimetiche, non simulazioni ma nuove creazioni, innescate dal rito e<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 36

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