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di calcio. Queste attività impongono a chi le pratica una profonda adesione alle dinamiche della<br />
situazione, una tale inerenza corporea che sospende ogni elaborazione concettuale, cosicché il<br />
soggetto si ritrova privato del tempo per pensare di elaborare una strategia, una sequenza<br />
studiata, una logica, un pensiero formato. Venendo meno le attività che lo definiscono, il<br />
soggetto stesso si ritrova sospeso, incapace di inerire alla situazione con la stessa efficienza del<br />
corpo che in quel momento sta agendo. Solo sulla base di una reiterata esperienza potrebbe<br />
dischiudersi lo spazio nel quale mantenere una certa lucidità e quindi conservare un<br />
atteggiamento intenzionale. Ciò avviene ai cosiddetti “professionisti del settore”, ovvero a chi è<br />
talmente abituato a praticare certe attività da aver depositato nella sua memoria corporea 57 certi<br />
schemi operazionali, liberando così uno spazio alla coscienza tale da poter intraprendere<br />
un’evoluzione operativa, un raffinamento dei suddetti schemi. Le nuove operazioni raffinate<br />
impegneranno il corpo del professionista secondo le stesse modalità con cui il principiante<br />
pratica i suoi schemi coreutici grossolani. A ogni densità corporea corrisponde una sospensione<br />
del senso e del pensare. Ma la prima esperienza rituale, su cui si basa il vissuto di questa ricerca,<br />
non poteva di certo poggiarsi su una memoria corporea già acquisita nel rito. L’impegno a<br />
mantenere un’attenta tensione negli scambi ha sospeso ogni tempo e ogni spazio al pensare. Tale<br />
inerenza, seguendo le stesse urgenze corporee, ha sospeso contemporaneamente sia il velo<br />
soggettivo che la necessità di riferirsi a un senso culturale. Non disponendo più di uno spazio<br />
privato, il soggetto è messo in sospensione dal suo stesso corpo, che a sua volta riflette in sé la<br />
corporeità collettiva nella quale è immerso. L’inerenza a una nuova situazione sradica il sé dal<br />
suo spazio privato, lo denuda della sua ideologia, dei suoi concetti, della sua centralità egoica e<br />
coscienziale; lo spoglia di tutto ciò, mostrando la ricchezza di ciò che resta.<br />
Corpo aperto<br />
Al di qua di ogni senso formato e di ogni volere estetico, i corpi si<br />
aprono alla danza, al canto, al ritmo. Nel rito mi è stato possibile cantare senza conoscere le<br />
parole e la melodia dei canti: l’esperienza collettiva irretiva il corpo, che in questo modo<br />
rispondeva, aprendosi, lasciandosi percorrere dai movimenti in cui si trovava immerso. Questo<br />
tipo di apertura è un’esposizione 58 : partecipando, l’individuo informa il gruppo della propria<br />
57 Con il termine “memoria corporea” ci si riferisce a quell’insieme di informazioni acquisite dal corpo che non<br />
necessitano della supervisione di un soggetto per potersi esprimere. A questo termine si legherà quello di “memoria<br />
passiva” di Sperber, che verrà affrontato nel cap. 8 di questo lavoro.<br />
58 L’esposizione, che Nancy trasforma in «expeausition», attesta il toccarsi dei corpi, contatto e simultaneo<br />
distanziamento, differenza che esprime la loro intimità e singolarità, che egli definisce come un ritrarsi, un mettersi<br />
da parte che però lascia dietro di sé, al suo posto, il suo spaziamento [Cfr. J.-L.Nancy, Corpus, Cronopio, Napoli,<br />
1995, pp. 29-30]. Esponendosi, i corpi mettono in gioco i legami della loro inerenza, che portano con sé le rispettive<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 33