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senso, ogni volta si riproponeva come se fosse la prima volta 53 , forte della sua unicità poiché<br />
generava un nucleo vivente di relazioni sempre nuove che, intrecciandosi, si distribuivano tra i<br />
partecipanti. Insomma questa tradizione religiosa, oggetto di tanti studi, si preservava nel tempo<br />
grazie al suo fondamentale rinnovamento e rimescolamento delle parti partecipanti, rivelando<br />
così un nucleo centrale di scambi, movimenti e relazioni prima di ogni riferimento storico, prima<br />
ancora di poter depositare nuovo senso sul terreno stratificato della sua evoluzione. Tale terreno<br />
allora cominciò a perdere la sua attrazione gravitazionale: esso cominciava ad assomigliare più a<br />
una veste che a un nucleo su cui poggiarsi; era paragonabile a un tessuto culturale che copriva<br />
una nudità centrale, ridotta a un’esposizione di corpi partecipanti di un tutto collettivo. Se la mia<br />
presenza nella festa santéra ha avuto un qualche valore, essa non lo ha trovato nel tessuto<br />
linguistico e storico di quel culto, bensì nella sua sospensione, che non mortifica gli studi ma al<br />
contrario apre un nuovo spazio alla ricerca, mostrando un luogo denudato, la cui nudità diviene<br />
ciò che può finalmente accomunare più individui tra loro: differenti razze, lingue e culture,<br />
spogliandosi, possono trovare lo spazio e le peculiarità della loro sola partecipazione.<br />
Il vestito culturale, che è anche il senso comune, è uno spettro di<br />
sensi che si lega al fenomeno, mostrando le possibilità e i limiti della sua esplorazione. Come<br />
una città, la veste logico-grammaticale di una certa forma di vita 54 dà forma al vedere secondo<br />
una molteplicità di linee prospettiche. Ma partecipare al rito, coinvolti nelle tante attività<br />
espressive unite coralmente, ci permette di sospendere temporaneamente il riferimento a una<br />
simile osservazione, spogliando tale veste in favore di un’adesione pragmatica, concreta. In<br />
questo modo si mostra l’avvenuta adesione: partecipando, il corpo vede senza interpretare, si<br />
muove senza il progetto di una direzione ultima, canta senza riferimenti a sistemi tonali o<br />
semantici, agisce anche senza comprendere. Come un’onda, il rito solleva i corpi dalla loro veste<br />
intenzionale, li spoglia di tutte quelle sovrastrutture che essi hanno costruito per ancorarsi alla<br />
terraferma, coinvolgendoli a formare un tutto. Le sue forze connettive riescono a stabilire una<br />
rete dinamica di scambi reciproci, della quale ogni parte collabora alla sua modulazione<br />
complessiva. Le dinamiche interne al rito si basano su una sincronizzazione di gesti e<br />
53 Forse è proprio questo tratto del rito a mettere in crisi l’unicità di una prospettiva causale basata su ragioni di<br />
ordine storico e culturale. Il rito non può trovare una spiegazione esaustiva solo sulla base di un ordine di ragioni; vi<br />
è in esso un elemento inafferrabile, che sfugge alle analisi e le mette in crisi. La «multivocità» del rito è ben<br />
sintetizzata da Beneduce R., op. cit., p. 115.<br />
54 Wittgenstein usa la metafora della città per mostrare lo smarrimento a cui portano alcuni giochi linguistici [cfr.<br />
Ricerche Filosofiche, p. 109, § 203]. Ma la città non deve essere pensata «in prima battuta una forma di istituzione<br />
politica, ma è l’essere-con come tale. E la filosofia è dunque il pensiero dell’essere-con, per cui essa è anche il<br />
pensare-con come tale» [Nancy J.- L., Essere singolare plurale, Einaudi, Torino, 2001, pp. 46-47]. La forma di vita<br />
viene qui usata per individuare un gruppo tenuto assieme dalle stesse pratiche, un insieme dinamico dai contorni<br />
sfumati che, nel rito sottratto, ha saputo contenere anche partecipanti stranieri, mettendo alla luce alcune proprietà<br />
comuni all’uomo in genere, che qui verranno trattate osservando il senso delle motilità spartite all’interno del circolo<br />
rituale.<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 31