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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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interno alcuni elementi misteriosi (acqua, sangue, pietre) unificano simbolicamente tutti gli<br />

elementi del cosmo, ergendosi così a strumenti capaci di chiamare le divinità a manifestarsi 38 .<br />

Addirittura essi vengono rispettati come se fossero delle divinità. Il complesso e misterioso<br />

rituale di costruzione dei batá è seguito anche da una lunga disputa su chi potrà suonare questi<br />

tamburi, in che modo andranno suonati e tutte le attenzioni che gli dovranno essere rivolte.<br />

Infatti questi strumenti sono trattati come se fossero degli esseri viventi, con nomi e sentimenti<br />

propri. Ogni oricha possiede almeno un suo ritmo specifico e ogni ritmo è organizzato in una<br />

complessa poliritmia, con la funzione di chiamare il santo all’interno del rito. Il ritmo sacro<br />

evoca la divisa 39 del santo, ovvero l’insieme delle sue caratteristiche e degli elementi su cui esso<br />

ha potere, in una successione dinamica di parti strutturate come un “cammino” dell’oricha (ossia<br />

come il percorso necessario a definire in forme sempre più intense la natura del santo 40 ). Il ritmo<br />

suggerisce al corpo una danza e viceversa. Un ritmo di batá, consacrato dal suo riferimento<br />

simbolico, può ad esempio supportare un’andatura zoppa che il ballerino esalterà nella<br />

rappresentazione coreografica dell’oricha delle malattie (Babalù Ayé). L’evocazione simbolica<br />

del santo, ben lungi dal fissarlo in un significato univoco e coerente, lascia spazio<br />

all’interpretazione personale e creativa, rendendo aperte, trasformative e dinamiche le<br />

rappresentazioni dell’oricha nella stessa misura in cui lo è il corpo danzante. Ritmi, danze e<br />

canti, in virtù delle loro proprietà evocative, sono le principali attività espressive che ho potuto<br />

apprezzare nella festa santéra, sebbene in questo momento esse non abbiano ancora manifestato<br />

tutta la loro forza. Nello spazio formale e “propedeutico” dell’altare i ritmi dei batá si limitavano,<br />

come del resto avevano già fatto le altre attività, a rendere omaggio al pantheon yoruba,<br />

dapprima suonando solo le chiamate di ogni ritmo sacro e poi eseguendo, più o meno<br />

brevemente, la successione formale di ritmi per ogni oricha, una vera e propria preghiera (rezo)<br />

espressa attraverso i tamburi. Durante questa fase non vi era alcun sostegno corale né canto<br />

solista: la successione formale delle divinità era affidata alla sola espressione ritmica (oru seco:<br />

conversazione strumentale). Dopo la sincronizzazione verbale e gerarchica tra sacerdote (voce<br />

solista) e collettività (coro), i percussionisti si organizzavano tra di loro, manifestando le loro<br />

forme celebrative nella stanza dell’altare (oru de igbodu: conversazione con l’altare).<br />

Finita questa fase, ci siamo spostati tutti nel cortile interno (eyà<br />

aranla), dove il rito ha iniziato a svelare la sua forza complessiva. Si è formato un circolo rituale.<br />

38 Cfr. Bencomo J., “Crafting These Sacred Bata Drums”, in Contemporary Cuba, eds. Pedro Perez Sarduy and<br />

Jean Stubbs, Fla. University Press of Florida, Gainesville, 2000, pp. 140-146.<br />

39 Cfr. Rouget G., Musica e trance, Einaudi, Torino, 1986, p. 141.<br />

40 Del resto, il termine stesso “santería” deriva proprio dal paragone con una via, la “via dei santi”, il cammino che<br />

un fedele deve percorrere per giungere a un rapporto con essi, un percorso che in genere dura 24 anni. A tale<br />

proposito, si veda la descrizione accurata di González Huguet L. “La casa-templo en la Regla de Ocha”, in<br />

Etnología y Folklore 5, ed. Estudos afrocubanos, La Habana, 1968, pp. 33-57.<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 23

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