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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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prostrato e inginocchiato, sebbene per un attimo ne abbia valutato la possibilità: ho preferito<br />

rimanere ai margini della stanza, assieme agli altri fedeli che attendevano lo svolgimento del rito.<br />

La stanza dell’altare è il luogo del primo momento cerimoniale,<br />

dove tutti i partecipanti sono accomunati dalle stesse attività formali e dallo stesso intento<br />

celebrativo. Nello spazio esiguo di questa stanza ho potuto individuare tre momenti distinti: il<br />

primo, già descritto, è quello in cui ogni adepto rende individualmente omaggio all’altare; il<br />

secondo è quello degli omaggi verbali collettivi; il terzo è quello costituito dalle preghiere<br />

ritmiche, scandite da tre tamburi sacri (batá).<br />

Nella seconda fase del rito il sacerdote e i tre percussionisti si sono<br />

posizionati nella stanza dell’altare, obbligando i fedeli ad attendere fuori di essa. Sulla soglia<br />

della stanza ho potuto comunque ascoltare i ritmi e i canti rituali. All’inizio il sacerdote ha<br />

recitato un breve omaggio a tutti i santi del pantheon yoruba. Il momento degli omaggi verbali<br />

(moyuba 35 ) mi sembrava riproporre quelle attività che caratterizzano anche le nostre messe: il<br />

sacerdote recita brevi omaggi a una lunga successione di orichas e entità archetipiche della<br />

cosmologia yoruba, ognuno dei quali viene sostenuto coralmente da tutti i partecipanti tramite la<br />

ripetizione, dopo ogni omaggio, di una frase assimilabile all’«amen» cattolico: «achè!», una<br />

parola che può essere semplificata col termine «forza», ma che racchiude un significato molto<br />

più complesso 36 . In questo momento la struttura dei ruoli vede il sacerdote come officiante o<br />

“direttore” del rito e i partecipanti come la collettività che sincronizza le attività sostegno corale.<br />

Dopodiché i percussionisti hanno eseguito un omaggio equivalente, servendosi – invece che<br />

delle parole – dei ritmi dei tamburi batá. I ritmi di queste percussioni sono organizzati in maniera<br />

tale che il tamburo più grande, scandendo una piccola frase ritmica che identifica il ritmo<br />

specifico, sollecita gli altri due ad una risposta che attiva un ritmo collettivo. Dapprima sono<br />

state eseguite solo le chiamate (llames) del tamburo grande (iyá), come se il percussionista stesse<br />

facendo un “appello” degli orichas. Finite le chiamate, i tamburi hanno eseguito delle preghiere<br />

ritmiche (toques de rezo), ovvero i ritmi che caratterizzano le singole divinità. In questa fase<br />

strumentale, i percussionisti hanno eseguito tutta la serie dei ritmi sacri dedicati agli orichas, in<br />

una successione detta oru de igbodu 37 . Il tamburo è un importante mezzo di comunicazione con<br />

gli orichas: questo viene costruito con elementi di forte evocazione simbolica nel corso di un<br />

rituale specifico che lo consacra a strumento di relazione con la sfera trascendente. I tamburi<br />

batá, che sono composti da elementi vegetali, animali e minerali e che racchiudono al loro<br />

35 Il termine significa “saluto”, “ringraziamento”, letteralmente vuol dire «parlare con rispetto ai superiori», cfr.<br />

Ortiz F., La africanía de la Musica folklórica de Cuba, Editora Universitaria, La Habana, 1965, p. 380.<br />

36 I tanti significati connessi a questo termine sono approfonditi in Thompson R. F., L'éclair primordial. Présence<br />

africaine dans la philosophie et l'art afro-américaine, Editions Caribéennes, Paris, 1985, p. 5.<br />

37 Letteralmente significa «conversazione con l’altare», cfr. Ortiz F., op. cit., p. 281.<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 22

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