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L’esperienza rituale Tra le molte forme cerimoniali della santería cubana, qui si descrive una “festa di santo”, che è stata fatta in ricorrenza del “compleanno di santo” di un fedele. Esporrò le fasi di questa festa secondo uno stile narrativo e autobiografico, per evidenziare le peculiarità della mia esperienza personale. Sono entrato in contatto con le prime feste di santo poiché, come percussionista, stavo studiando i tamburi sacri della santería. A Cuba ho preso molte lezioni e conosciuto tanti insegnanti, alcuni dei quali mi hanno spinto a partecipare ad alcuni riti. In altri casi mi sono ritrovato in tali feste piuttosto casualmente: camminando per le strade mi capitava di sentire della musica, mi avvicinavo alle case da cui questa proveniva e, un po’ timidamente, esprimevo il mio desiderio di vedere cosa stesse accadendo. Le persone che mi vedevano sulla soglia della casa percepivano la mia curiosità e quasi sempre mi invitavano ad entrare. Così mi sono ritrovato all’interno di situazioni cerimoniali senza conoscere nessuno, giovandomi dell’amichevole disponibilità dei presenti, che subito mi faceva sentire a mio agio. In alcune di queste occasioni ho conosciuto persone che poi mi hanno invitato ad altre feste. È il caso di M., che era “figlio di santo”, ovvero aveva intrapreso quel lungo rituale durante il quale egli veniva affidato alla protezione di un santo specifico. Ciò comportava una serie di obblighi che servivano a sancire il profondo rinnovamento della persona e ad avvicinarla alla realtà trascendente: quelli che lo distinguevano immediatamente ai miei occhi erano i suoi abiti esclusivamente bianchi, l’unico colore che questo ragazzo poteva indossare per un intero anno. Egli aveva anche assunto un nuovo nome che consacrasse il suo battesimo religioso. Mi invitò al suo compleanno di santo, ovvero alla celebrazione della fine di questo anno iniziatico, dove finalmente poteva indossare altri colori e festeggiare. Rispettoso delle loro usanze, mi sono ritrovato a conoscere sempre più praticanti di questa religione: dai semplici fedeli a prestigiosi sacerdoti di questo culto. Mi sono stabilito principalmente nella zona dell’Avana, spostandomi solo occasionalmente nell’entroterra. Ho assistito soprattutto a feste della religiosità santéra, che sono tra le più frequenti a Cuba. Avendo partecipato a molte cerimonie, la descrizione del mio primo vissuto è andata raffinandosi nel corso del tempo. Narrerò il susseguirsi delle fasi rituali con un’attenzione che ha potuto svilupparsi durante tutto il mio soggiorno a Cuba, un’attenzione che mi ha permesso di valutare sempre meglio “l’efficacia” del rito e la “genuinità” della possessione. L’intento di tutti questi riti è stato sempre quello di festeggiare l’oricha e di pregarlo di intervenire alla festa “occupando la testa” di uno o più ballerini rituali, incarnandosi cioè in essi. Il primo rito a cui ho assistito è stato in onore di IL RITO SOTTRATTO 20

Changò, oricha della virilità, dei tamburi e del tuono. Sono stato accolto non come un turista, ma nemmeno come un fedele, semplicemente come un partecipante; la mia presenza inoltre non era vistosamente esotica, data la mescolanza etnica dell’isola. Sono entrato in una casa molto grande e, accedendo ad un cortile interno, potevo già notare i preparativi: tutto sembrava pronto per cominciare. Il centro della cerimonia non era ancora il cortile ma una stanza più piccola, dove si trovava l’altare del santo che si sarebbe festeggiato quel giorno. Ho potuto vedere le sue tante raffigurazioni simboliche, che non si limitavano all’icona cattolica del santo corrispondente (Santa Barbara 32 ), ma comprendevano una miriade di oggetti e feticci, bicchieri d’acqua 33 , sculture fatte di un materiale difficile da identificare. Molti feticci vengono fatti modellando una pasta nera e collosa, che già mi suggeriva qualcosa di magico, o almeno di misterioso, nella scelta e nella composizione degli ingredienti. Oltre agli altari, alle immagini e ai feticci, la stanza era ornata con dolci e cibi di ogni tipo, di bevande e sigari accesi, tutto in onore di Changò. Questo ancora non era “presente”, eppure le sue rappresentazioni simboliche venivano trattate come se lo fosse: i fedeli si prostravano di fronte all’altare, gli donavano qualcosa e in sottovoce si confidavano con l’icona del santo. Ad una ad una tutte le persone si sono inchinate, suonando una maraca rituale (acheré), come a voler attirare l’attenzione del santo, e rivolgendosi ad esso in una lingua che non comprendevo, una sorta di mescolanza tra ispano-cubano e yoruba, detto lucumí 34 . Ognuno invocava il santo: vedere la cura con cui ogni fedele si relazionava personalmente all’altare mi ha fatto pensare ad alcune scene della nostra religiosità popolare, alle quali ancora oggi si può assistere nel corso di molte manifestazioni religiose, specie nel Sud d’Italia. Questo rapporto mi è sembrato ancora più confidenziale di quello col prete nel confessionale: sembrava che la relazione tra santo e fedele fosse un rapporto “alla pari”, dove si rispettavano le ragioni e le tendenze di entrambi. Si supponeva che il santo comprendesse le ragioni degli uomini; io, esterno al loro credo, ero più propenso a credere che fossero gli uomini che, conoscendo la natura del santo, si mettessero nei suoi panni, immaginandone i pensieri e i desideri; così essi potevano avvicinarcisi, assecondando la sua personalità. Io non mi sono 32 L’oricha della virilità, sincretizzato da Santa Barbara, mi sembrava un evidente paradosso. Una iyaloricha (sacerdotessa) mi narrò della leggenda che ha vestito questo oricha di un’immagine femminile: sempre mosso da desideri sessuali, Changò si mascherava da donna per accedere in luoghi da cui gli uomini non erano ammessi. Così si è creata un’associazione credibile con l’icona di Santa Barbara. Per maggiori informazioni su questo aspetto cfr. Bolivar Arostegui N., Cepero M. L., ¿Sincretismo religioso?, Pablo de la Torrente, La Habana,1995. 33 L’acqua simboleggia un elemento puro e spesso viene utilizzata come mezzo per accedere alla comunicazione con gli orichas. 34 Secondo Fernando Ortiz questo termine deriva dalla locuzione «oloku-mi» («amico mio» in yoruba), secondo altri deriverebbe da «ulkumi», che era il nome della costa africana da cui venivano deportati la maggior parte degli yoruba. Il lucumí è un linguaggio di origine africana: gli orichas, considerati antenati ancestrali dell’umanità, affinché rispondano, devono essere chiamati in una lingua a loro comprensibile, che non è quella dei coloni ma quella della loro terra. IL RITO SOTTRATTO 21

L’esperienza rituale<br />

Tra le molte forme cerimoniali della santería cubana, qui si<br />

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Sono entrato in contatto con le prime feste di santo poiché, come<br />

percussionista, stavo studiando i tamburi sacri della santería. A Cuba ho preso molte lezioni e<br />

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casi mi sono ritrovato in tali feste piuttosto casualmente: camminando per le strade mi capitava<br />

di sentire della musica, mi avvicinavo alle case da cui questa proveniva e, un po’ timidamente,<br />

esprimevo il mio desiderio di vedere cosa stesse accadendo. Le persone che mi vedevano sulla<br />

soglia della casa percepivano la mia curiosità e quasi sempre mi invitavano ad entrare. Così mi<br />

sono ritrovato all’interno di situazioni cerimoniali senza conoscere nessuno, giovandomi<br />

dell’amichevole disponibilità dei presenti, che subito mi faceva sentire a mio agio. In alcune di<br />

queste occasioni ho conosciuto persone che poi mi hanno invitato ad altre feste. È il caso di M.,<br />

che era “figlio di santo”, ovvero aveva intrapreso quel lungo rituale durante il quale egli veniva<br />

affidato alla protezione di un santo specifico. Ciò comportava una serie di obblighi che servivano<br />

a sancire il profondo rinnovamento della persona e ad avvicinarla alla realtà trascendente: quelli<br />

che lo distinguevano immediatamente ai miei occhi erano i suoi abiti esclusivamente bianchi,<br />

l’unico colore che questo ragazzo poteva indossare per un intero anno. Egli aveva anche assunto<br />

un nuovo nome che consacrasse il suo battesimo religioso. Mi invitò al suo compleanno di santo,<br />

ovvero alla celebrazione della fine di questo anno iniziatico, dove finalmente poteva indossare<br />

altri colori e festeggiare. Rispettoso delle loro usanze, mi sono ritrovato a conoscere sempre più<br />

praticanti di questa religione: dai semplici fedeli a prestigiosi sacerdoti di questo culto.<br />

Mi sono stabilito principalmente nella zona dell’Avana,<br />

spostandomi solo occasionalmente nell’entroterra. Ho assistito soprattutto a feste della religiosità<br />

santéra, che sono tra le più frequenti a Cuba. Avendo partecipato a molte cerimonie, la<br />

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susseguirsi delle fasi rituali con un’attenzione che ha potuto svilupparsi durante tutto il mio<br />

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rito e la “genuinità” della possessione. L’intento di tutti questi riti è stato sempre quello di<br />

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