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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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i termini di questo gioco è stato necessario riflettere sulla nuda corporeità in tutto lo svolgersi del<br />

rito, rinunciando alla grammatica etnica, agli orichas e alle tante pressioni esplosive che<br />

l’accordo con i sensi “già sensati” scatena in ogni momento rituale. Puntare fin da subito sul loro<br />

accordo avrebbe comportato una confusione nel delineare il funzionamento dell’accordo stesso.<br />

Così come due note possono risuonare una nell’altra, confondendo le loro forme separate, allo<br />

stesso modo il corpo è stato sottratto dal suo ambiente formato per poter essere contemplato nelle<br />

sue proprietà nude. Che queste siano il prodotto di uno sviluppo genetico è un fatto assodato. Ma<br />

se non si guarda-attraverso le pressioni della storia, si finisce con l’incappare facilmente<br />

nell’errore di scambiare un accordo per una frequenza pura, annichilendo così ogni contributo<br />

originale dei corpi che di volta in volta fanno, disfano e rifanno il rito. Perciò questa ricerca si è<br />

svolta in un luogo sottratto. Essa ha sospeso le forme specifiche dei sensi culturali ma non la loro<br />

esistenza. Anzi queste sono state ripensate nell’inevitabilità della loro apparizione. La vestizione<br />

è perciò una facoltà trascendentale del corpus: questa, anche sottraendosi dalla descrizione del<br />

tessuto che va a vestire la nudità, non può non esibirsi continuamente. La pelle stessa non è altro<br />

che il prodotto evolutivo di una stratificazione consolidata a tal punto da confondersi con una<br />

nudità 311 , e con essa aprire alla comprensione delle sue tante vesti di senso. Queste assumono la<br />

forma delle tante grammatiche, religioni e società del mondo umano.<br />

Questo lavoro non avrebbe potuto essere concepito senza un<br />

vissuto personale. La mia partecipazione ha inserito nel gruppo una presenza così diversa che per<br />

trovare una comunanza è stato necessario ridurre simultaneamente ogni veste di senso, ogni<br />

potere oggettivante. Esponente di una cultura lontana, esposto alla prassi di un’altra cultura non<br />

come uno spettatore, ma come un partecipante. Fuori e dentro nello stesso tempo, sottoposto al<br />

gioco delle grammatiche che mi gettano fuori e delle azioni che mi afferrano dentro.<br />

La spoliazione è nata dalla ricerca di un denominatore comune alle<br />

due tradizioni, di uno spazio che il corpo ha innanzitutto vissuto come un’esperienza improvvisa<br />

e sorprendente. Il luogo del rito, proprio perché è così diverso da ogni altra manifestazione<br />

occidentale, diviene allora lo spazio eletto in cui operare una sottrazione radicale. Così il vissuto<br />

ha potuto conservare, cogliendolo più profondamente, il valore delle forze motorie, delle<br />

vibrazioni e delle ondulazioni, della ciclicità come dinamica della comprensione e della<br />

conformità. Seguendo i cicli, il corpo ha assunto delle forme inusuali e nuove, anche perché era<br />

libero dalla supervisione di un giudice egocentrico. Il rito ha potuto essere vissuto solo nella<br />

311 Ma la stratificazione o “sedimentazione” «non è una massa inerte in fondo alla nostra coscienza […]. I miei<br />

pensieri acquisiti non sono un’acquisizione assoluta: in ogni momento si nutrono del mio pensiero presente, mi<br />

offrono un senso, ma io glielo restituisco» [Ivi, p. 185]. Questo gioco di “offerta e restituzione” è la dinamica<br />

connaturata alla nudità, che fa di essa non uno stato ma un processo, un atto di denudazione continua.<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 195

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