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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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occhi tornano a mettere a fuoco, individuando le appartenenze, le divisioni, i sensi etnici e quelli<br />

razionali. La cultura è il contenitore di un senso che non è immobile, per quanto le sue forme<br />

possano sembrare stabili: essa rimane esposta alle sue forze nude, che si muovono in virtù delle<br />

dinamiche pre-intenzionali che abbiamo esaminato nel rito, le quali a loro volta non possono<br />

farsi “forma formata” se non ricadendo in un senso preesistente, tracciato dalla cultura. Ma nel<br />

frattempo il movimento ha potuto rivelare il suo dinamismo, che freme sotto la pelle delle<br />

istituzioni tradizionali. E il rito, denudandosi, ha il merito di averlo mostrato nella sua complessa<br />

articolazione di forze. Così come la pelle si rigenera continuamente, la nudità non rivela un<br />

corpo come un’unità concettuale, ma lo esibisce come il luogo di una continua trasformazione, di<br />

un movimento che è il vero nucleo del discorso. Una dinamica oscillatoria può farsi corpo, può<br />

passare da un corpo a un altro, percorrendo di volta in volta gli spazi della voce, della danza, del<br />

ritmo, del gesto. Trovata la parentela in termini di regolarità oscillatorie, schemi dinamici,<br />

riverberi areali, allora è proprio lo scorrere delle forze a costituire “l’oggetto” della ricerca.<br />

Rimanendo in una simile prospettiva non si può arrivare a<br />

comprendere completamente un rito della santería, ma è possibile trovare i suoi aspetti denudati,<br />

che non toccano gli orichas in quanto entità nominabili, ma che sono nondimeno capaci di<br />

mostrare le tecniche pragmatiche per la loro emersione in un tessuto etnico. Sappiamo che non<br />

possiamo uscire dalla “trappola” di una forma già istituita: perciò gli elementi nudi non<br />

costituiscono una dimensione a sé, non forniscono alcuna via d’uscita dalla trappola perché non<br />

sono né oltre né prima: sono nella forma stessa, si lasciano modellare da essa e a loro volta la<br />

modellano con una spinta creativa, originale, imprevedibile. L’idea di una nudità che sia centrale<br />

alle tante costruzioni di senso ha il vantaggio di mostrare le possibilità motrici delle forze<br />

antropiche, la cui affermazione non nega il fatto che il corpo è mosso anche dalle tante pressioni<br />

derivanti dalla sua storia tradizionale 310 , ma indica il luogo dove ritrovare le proprietà comuni,<br />

sempre cangianti, del rito. Senza queste forze antropiche ogni forma culturale si ripeterebbe<br />

meccanicamente, senza alcuna spinta alla creazione. Il rito insomma non potrebbe adattarsi ai<br />

mutamenti storici, culturali e generazionali. Ma, visto che il suo nucleo non è altro che un<br />

insieme di corpi umani, queste capacità sono assicurate nel suo spazio più intimo e<br />

imprescindibile. Allora questo lavoro può intendersi come un invito a ripensare il rito da questa<br />

prospettiva, figurandoci un gioco tra pressioni socio-culturali e forze risonanti nei corpi<br />

partecipanti. Da questo gioco nasce un’incandescenza del corpus in un cammino rituale.<br />

Dall’interazione di queste pressioni emergono nuovi sensi, tutti riportabili alla loro originaria<br />

connessione con le vibrazioni, le ondulazioni, i gesti e le situazioni. Ma per riuscire a individuare<br />

310 L’inserimento di ogni corpo in un orizzonte di senso e di storia è un termine imprescindibile, connaturato alla sua<br />

stessa essenza. Cfr. Merleau-Ponty M., op. cit., p. 29.<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 194

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