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partecipazione – non è altro che una congiunzione pre-fenomenologica. È lo statuto del cum di<br />
Nancy, che si sostituisce all’essenza dell’essere, che anzi origina gli essenti, che forma i<br />
fenomeni e il mondo. Il corpo non è altro che uno strumento tra i tanti su cui la congiunzione<br />
scorre, come una vibrazione, a diffondersi in ogni colonna d’aria. Ma esso è stato il riferimento<br />
concreto di questo lavoro, non perché il corpo è l’essere che preesiste a ogni idealità, ma perché,<br />
diffondendo le vibrazioni, esso le conforma alla natura delle sue specifiche articolazioni, con le<br />
possibilità areali offerte dalla sua struttura antropica. Allora il movimento – termine astratto, che<br />
non può distinguere un uomo che corre da una pietra che rotola- diviene gesto, si fa forma,<br />
danza, canto, ritmo, e ciò grazie alla conformazione originaria offerta dalle risonanze in un corpo<br />
umano 309 . E il rito, con tutte le sue ambiguità e con tutti suoi paradossi irrisolti, diviene non un<br />
esempio tra i tanti, ma un luogo esemplare dove poter svelare i tratti umani della congiunzione,<br />
che ora può chiamarsi anche partecipazione. Lo sfondo che accoglie questo pensiero è il<br />
paesaggio svelato dalla compresenza di individuo e ambiente, che il suono mostra nella sua<br />
realtà imprescindibile. Allora si può ricomprendere il significato di essere al mondo, nella misura<br />
in cui l’aria attraversa le cavità del corpo e dal loro gioco nasce il suono.<br />
Le azioni rituali si poggiano proprio sulle forze sottili svelate dalla<br />
sottrazione. Per individuare queste forze si è dovuta operare una denudazione, lasciando quasi<br />
intendere che la caduta della veste sia un movimento indolore. Ma il pensiero umano si è<br />
radicato in questo tessuto e questo non cade affatto facilmente. Perciò la decostruzione ha<br />
comportato uno sforzo filosofico molto grande, che consiste non nel privare il corpo di questi<br />
riferimenti pragmatici, ma di osservarlo con uno sguardo-attraverso, vedendolo cioè<br />
nell’involucro che, avvolgendolo, ci avvolge tutti, accomunati dall’impossibilità di uscirne fuori.<br />
La denudazione quindi non è una privazione, uno scavare, uno strappare tessuti di senso, bensì è<br />
un movimento più sottile, come una sfocatura, una sospensione, un atto microscopico che mette<br />
in crisi la nitidezza delle forme. Con questo atto la visione è stata spodestata d’un tratto della sua<br />
funzione epistemologica. Calati in un fenomeno, il rito è stato colto non nelle sue forme etniche<br />
ma nella sua possibilità di farsi forma, nella sua nudità umana. Ciò che ha aperto questo<br />
pensiero è stato un atteggiamento di osservazione differente, come se avessimo chiuso gli occhi e<br />
teso le orecchie, potendo così accorgerci di alcuni aspetti che la visione ottenebra ogni volta che<br />
descrive i suoi giochi con la luce. Questi aspetti sono stati seguiti quasi “ad occhi chiusi”,<br />
pervenendo così a una loro nuova descrizione. I limiti della ricerca appaiono non appena gli<br />
309 Pur con estrema cautela, perfino J. Blacking, che per analizzare la musicalità umana non sospende mai il<br />
riferimento alla cultura di appartenenza, si spinge a considerazioni più ampie e comuni a tutte le società umane:<br />
«tutto sommato, forse c’è qualche speranza di comprensione fra le culture. Non dico che sia possibile associare<br />
esattamente gli stessi pensieri all’esperienza corporea; ma ‘sentire’ col corpo è probabilmente il modo migliore per<br />
entrare in risonanza con un’altra persona» [Blacking J., Come è musicale l’uomo?, Unicopli, Milano, 1986, p. 122].<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 193