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inserimento nel rito come un valore in sé, giovandosi della sua presenza sottoposta alla nudità di<br />
un tale sguardo 305 .<br />
Sintesi<br />
Questo capitolo non vuole separarsi dall’appartenenza alla<br />
medesima arena vibratoria del capitolo precedente. Definendo l’arena come lo spazio aperto dal<br />
connubio tra vibrazioni e ondulazioni, già si è fuori dal dominio della sola sonorità per<br />
comprendere anche le ondulazioni danzate. Se questo passaggio viene accettato, allora è lecito<br />
inserire in questo territorio anche tutti gli altri termini che sono stati trattati nella via del senso. Il<br />
luogo sottratto è uno solo, se sospende la volizione e l’oggettivismo. Tutte le connessioni tra<br />
danza e situazioni, tra gesti e strumenti, tra movimenti ed archetipi, non fanno altro che estendere<br />
lo spazio del rito sottratto, aprendo tutti gli spazi della sua nudità. Vibrazioni, ondulazioni,<br />
situazioni, gesti, mimesi, strumenti, archetipi, fanno parte tutti della stessa arena antropica.<br />
Tuttavia questa distinzione espositiva ci ha permesso di<br />
comprendere le differenti dinamiche compresenti nell’avvicendarsi dei momenti rituali. Queste<br />
sono state disegnate come un percorso a spirale, con la differenza che la spirale delle risonanze è<br />
centripeta, mentre quella della sensatezza sottratta è centrifuga. Così è stato tentato un ordine con<br />
cui strutturare la riflessione, che ora può disegnare un cammino che dalle vibrazioni arriva a<br />
congiungersi con quegli archetipi motori che la grammatica della santería veste con il nome<br />
«orichas» sulla pelle di un corpo sottratto. L’oscillazione tra creazione e tradizione fa sì che ogni<br />
atto creativo non parta mai da nulla. Così l’oricha mostra i suoi tratti umani e la sua residenza<br />
nel mondo aperto, modulato e spartito tra i corpi di un gruppo 306 .<br />
305 Secondo Merleau-Ponty «il dio è presente quando gli iniziati non si distinguono più dalla parte che recitano»,<br />
quando perdono la loro autonomia e si fondono col tutto della loro costruzione collettiva. Egli associa il compimento<br />
del rito alla venuta del sonno, che si sollecita «imitando il respiro di chi dorme e la sua postura» [Merleau-Ponty M.,<br />
op. cit., p. 231].<br />
306 Perfino in ogni cosmogonia possiamo ritrovare una situazione che preesiste all’atto creativo. Non vi è mai un<br />
nulla assoluto; Nancy ci ricorda che «questo nihil non è, logicamente, qualcosa da cui possa provenire il creato, ma è<br />
la provenienza stessa, e la destinazione, di qualche cosa in generale e di ogni cosa» [Nancy J. – L., Essere singolare<br />
plurale, p.26]. Il creatore umano, sottratto dalle sue intenzionalità, è il nulla da cui proviene e a cui è destinata la<br />
creazione. L’oricha sottratto non proviene perciò da un altro mondo, ma da questo “qui e ora” dell’atto creativo,<br />
diffuso e con-fuso nel corpus. L’oricha propriamente-tale, istituito culturalmente, rivela invece il passaggio del<br />
senso dalla nudità all’oggettivazione concettuale, a quello che Nancy chiama “il desiderio della Posizione stessa”,<br />
fissata ed eletta in un luogo trascendente e fondante della realtà quotidiana: «la divinizzazione dell’altro [… ] o la<br />
diabolizzazione dell’altro […] sono il frutto di una curiosità che non è più interessata alla dis-posizione e alla comparizione,<br />
ma è diventata invece desiderio della Posizione stessa: fissare, darsi l’origine una volta per tutte e in un<br />
luogo per tutti, un luogo che è dunque sempre fuori del mondo» [Ivi, p.31].<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 190