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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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libera da ogni altro stile, sciolta da ogni dipendenza nei confronti delle situazioni in che essa può<br />

rievocare. Questo lavoro di purificazione di uno “stile” è contemporaneo all’addensarsi delle<br />

risonanze in uno spazio areale sempre più ristretto: così come il corpo diviene un risonatore<br />

sempre più sonoro, allo stesso tempo il vettore dei movimenti diviene sempre più incarnato, fino<br />

a giungere al livello di massima tensione, dove il corpo si concentra solo su di esso, divenendo<br />

esso stesso il vettore, non un archetipo corporeo, ma il corpo dell’archetipo, il motore di una<br />

spinta tendenziale, che coincide con il punto della sua massima risonanza areale.<br />

L’estensione di senso si fa tale che il corpo non ha più bisogno di<br />

toccare delle forme per mostrare i singoli spazi di questo territorio: il suo movimento è talmente<br />

veloce che ora esso può percorrere l’intero spettro motorio senza il bisogno di concentrarsi su<br />

qualche forma particolare. Ora il corpo rimanda da sé ai suoi spazi di senso. Esso è trasfigurato<br />

da questa incarnazione: i suoi movimenti trasudano risonanze con cicli oscillatori e spazi<br />

pragmatici. La sua sola esposizione immobile può mostrare tutta la natura dei movimenti che lo<br />

hanno attraversato nel corso del suo cammino. È questo un corpo assoluto, sciolto da ogni<br />

legame con i concetti e le idee, con le situazioni e i sensi, con i soggetti e gli oggetti. Esso ha il<br />

merito di mostrare, con la concretezza di un corpo umano, l’essenza del legame, la ramificazione<br />

senza nodi, l’attrazione pura e reciproca su cui è possibile ogni unione, ogni rito, ogni senso.<br />

Questo corpo, che i fedeli dicono in possessione, è talmente denudato da riuscire a esporre la sua<br />

natura singolare prima di ogni sua deformazione, o conformazione nella residenza culturale che<br />

lo ha cresciuto 304 . La pura tendenza archetipica lo ha distanziato da ogni forma sensata,<br />

aprendogli un cammino orientato da movimenti in via di istituzione il cui senso, mentre si offre,<br />

già si denuda di nuovo, allontanandosi all’infinito, fino a dissolvere quasi ogni movimento,<br />

mostrando solo la nudità che resta: piccola, appena abbozzata, rarefatta, quiete. È uno stato di<br />

presenza privo di ogni conformità a un gruppo; è paradossalmente lo stato di lucidità assoluto, in<br />

cui ogni percezione non è corrotta da alcun filtro razionale. Allora sembra quasi un dono essersi<br />

trovati nel rito, partecipanti, e poter ascoltare ciò che questo corpo dice, seppure nel rito della<br />

santería questo interloquisca con un linguaggio carico dei sensi religiosi che sono connaturati<br />

alla sua grammatica. Una volta sottratti, decostruiti, ogni partecipante può godere del suo<br />

304 È questa l’opinione di Pierre Verger al riguardo. Intervistato sui riti di possessione degli orishas, egli interpretò la<br />

trance come «Per me la trance non è un’incorporazione [di un orisha], ma una manifestazione della vera natura delle<br />

persone, una possibilità di dimenticare tutte le cose che non hanno nulla a che vedere con te; si diventa come si era<br />

prima di apprendere tutte quelle stupidaggini legate alla nazionalità e altri comportamenti» [Pierre Verger.<br />

Mesageiro entre dois mundos, DVD, regia di L. Buarque de Hollanda, Europa Filmes, 2006]. Simile considerazione,<br />

ma in tutt’altro campo, è quella di Grotowski circa il lavoro dell’attore e l’affermazione della sua professione: «noi<br />

crediamo che la realizzazione di questa individualità non avvenga tramite l’apprendimento di cose nuove, ma<br />

piuttosto con la rimozione di vecchie abitudini» [Grotowski J., op. cit., p. 149].<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 189

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