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antropologico 297 . Qui basterà aver detto che l’intero corpo si modifica per ospitare la sua forza.<br />
Questa infatti, rispondendo ancora una volta a una natura acustica, impressiona i partecipanti con<br />
la stessa intensità con cui affatica chi la sostiene, indossandola o semplicemente incarnandola.<br />
La maschera – come oggetto – e la sua incarnazione costituiscono<br />
un binomio analogo a quello di tradizione e creazione, di codice significante e di<br />
improvvisazione, o attuazione sempre diversa, mostrando i caratteri che distinguono una forma<br />
formata – che gode del privilegio di ipostatizzare le sue proprietà fuori dal corpo che le ha fatte –<br />
da una forma in formazione –le cui proprietà sono inscindibili dal corpo. Seguendo un codice<br />
tradizionale, la danza mostra innanzitutto il velo che la copre, come se fosse una maschera<br />
disegnata. È come se l’altare a cui prima tutti si rivolgevano fosse stato dipinto sulla pelle del<br />
danzatore. Ma esso non è ancora l’oricha; è la sua rappresentazione coreutica. L’incarnazione<br />
avviene quando la maschera viene assorbita dal corpo, che inizia a liberare forme nuove, diverse<br />
dai codici tradizionali. Questa liberazione di forme è mossa dalla maschera, dalla sua<br />
incorporazione. Allora l’oricha disegnato sulla pelle diviene incarnato, non è più una maschera<br />
da indossare ma un personaggio presente, esposto con l’evidenza di un corpo vivo. I ritmi e le<br />
danze tradizionali si realizzano in questo corpo qui, presente, partecipante, esposto. Anche i<br />
“canti dell’oricha”, come veli disegnati, finiscono con l’incarnarsi in questa voce qui, nella voce<br />
del corpo coinvolto: l’oricha allora si fa presente, visibile in tutta la sua completezza: con la sua<br />
danza, i suoi ritmi, le sue forme. E con le sue parole.<br />
L’archetipo denudato<br />
In questo momento le situazioni, i gesti, gli strumenti e la loro<br />
mimesi sono elementi con-fusi, amalgamati in un’espressione concreta, nelle azioni di un corpo<br />
esperto e maturo, le cui conoscenze non si esauriscono nei riferimenti alle oggettivazioni<br />
religiose o etniche. La base del suo sapere si lega a una memoria di tipo antropico, luogo di un<br />
sapere comune all’essere umano, capace di creare movimenti ed esplorazioni areali anche senza<br />
la necessità di appoggiarsi alle forme della sua veste culturale. Gesti e situazioni ora sono<br />
rievocati nel rito, non nella situazione ricordata. I gesti non si sottomettono ciecamente agli<br />
imperativi dello strumento, perché sia la situazione che lo strumento sono richiamati dalla<br />
memoria a risuonare un accordo col rito, una parentela con la coreutica del danzatore. Questi<br />
elementi fungono da guida fintanto che il corpo danzante li segue, ma non possono sostituirsi al<br />
297 Tra questi citiamo Lévi-Strauss C., La via delle maschere, Einaudi, Torino, 1985, nonché H. J. – M. T. Drewal,<br />
op. cit. per quanto riguarda gli studi antropologici; Lecoq J., Il corpo poetico, Ubulibri, Milano, 2001, per quanto<br />
riguarda gli studi teatrali sulla maschera.<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 181