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dalla musica e che da questa giunge a farsi movimento situazionale dapprima rarefatto e quindi più aderente al contesto, ma ristabilito in forma coreutica. Incorporare una maschera Un altro elemento della mimesi sottratta è l’incarnazione di una maschera. Nei riti della santería la maschera non viene indossata fisicamente ma il viso, così come tutto il corpo, si trasforma in una maschera 295 , compensando la sua assenza materiale con delle espressioni prosodiche. Sottraendo ogni rimando simbolico che la maschera di fatto istituisce nella cultura locale, alla ricerca non resta altro che la corporeità dell’indossare una maschera. È possibile cogliere innanzitutto la proprietà che ogni maschera ha di proteggere il corpo dai suoi rimandi identitari, di nascondere l’identità del soggetto. Il corpo, così alleggerito, può liberare delle forme che altrimenti verrebbero fuori solo con grandi difficoltà. Così il danzatore si espone a una motilità libera e risonante aprendo le sue forme a nuovi territori, spogliandosi della sua persona, come se indossasse una maschera che lo nasconde, che lo protegge dalla sua individualità e dai suoi equilibri quotidiani. Indossare la maschera comporta una simultanea spoliazione della propria soggettività, un allontanamento dalla propria identità quotidiana. Se immaginiamo di indossare una maschera sconosciuta, priva cioè di un riferimento simbolico determinato, questa non cesserà di essere una maschera, una seconda pelle, una parentesi capace di sospendere il soggetto e le sue posture abituali. Allora il corpo mascherato sarà capace di nuove e sorprendenti spaziature, capaci di suggestionare il circolo nella misura in cui la maschera stessa sospende il soggetto quotidiano 296 . Inoltre la maschera è stilizzata: è una caricatura di un viso e ne esalta alcuni tratti. Al di qua dei tratti marcati, è possibile cogliere la forza impressionante della costruzione da cui questi si diffondono: il viso è ingigantito, alcuni caratteri crescono a dismisura, altri scompaiono, i colori sono più puri e contrastanti. La forza di queste pressioni si traduce nel peso della maschera: è come se questa non fosse un velo inconsistente ma una struttura talmente pesante che il corpo che la indossa deve prepararsi fisicamente a riceverla. Come se pesasse molti chili, la postura intera si modifica per sorreggerla: il corpo si pone in un assetto più stabile, il viso si muove più lentamente, il collo forma una linea continua con la colonna vertebrale per meglio sorreggere il peso evocativo delle sue pressioni. La corporeità della maschera è oggetto di molti studi, soprattutto in campo teatrale e 295 Le maschere assenti sono incarnazioni dell’Altro, lo istituiscono per metonimia, sostituendosi al soggetto che danza al centro del circolo, non come metafore del dio, ma come presenze effettive [Cfr. Beneduce R., op. cit., p. 280 (nota 11)]. 296 Anche qui ritorna utile pensare a questo doppio movimento come un’estensione delle dinamiche acustiche. IL RITO SOTTRATTO 180

antropologico 297 . Qui basterà aver detto che l’intero corpo si modifica per ospitare la sua forza. Questa infatti, rispondendo ancora una volta a una natura acustica, impressiona i partecipanti con la stessa intensità con cui affatica chi la sostiene, indossandola o semplicemente incarnandola. La maschera – come oggetto – e la sua incarnazione costituiscono un binomio analogo a quello di tradizione e creazione, di codice significante e di improvvisazione, o attuazione sempre diversa, mostrando i caratteri che distinguono una forma formata – che gode del privilegio di ipostatizzare le sue proprietà fuori dal corpo che le ha fatte – da una forma in formazione –le cui proprietà sono inscindibili dal corpo. Seguendo un codice tradizionale, la danza mostra innanzitutto il velo che la copre, come se fosse una maschera disegnata. È come se l’altare a cui prima tutti si rivolgevano fosse stato dipinto sulla pelle del danzatore. Ma esso non è ancora l’oricha; è la sua rappresentazione coreutica. L’incarnazione avviene quando la maschera viene assorbita dal corpo, che inizia a liberare forme nuove, diverse dai codici tradizionali. Questa liberazione di forme è mossa dalla maschera, dalla sua incorporazione. Allora l’oricha disegnato sulla pelle diviene incarnato, non è più una maschera da indossare ma un personaggio presente, esposto con l’evidenza di un corpo vivo. I ritmi e le danze tradizionali si realizzano in questo corpo qui, presente, partecipante, esposto. Anche i “canti dell’oricha”, come veli disegnati, finiscono con l’incarnarsi in questa voce qui, nella voce del corpo coinvolto: l’oricha allora si fa presente, visibile in tutta la sua completezza: con la sua danza, i suoi ritmi, le sue forme. E con le sue parole. L’archetipo denudato In questo momento le situazioni, i gesti, gli strumenti e la loro mimesi sono elementi con-fusi, amalgamati in un’espressione concreta, nelle azioni di un corpo esperto e maturo, le cui conoscenze non si esauriscono nei riferimenti alle oggettivazioni religiose o etniche. La base del suo sapere si lega a una memoria di tipo antropico, luogo di un sapere comune all’essere umano, capace di creare movimenti ed esplorazioni areali anche senza la necessità di appoggiarsi alle forme della sua veste culturale. Gesti e situazioni ora sono rievocati nel rito, non nella situazione ricordata. I gesti non si sottomettono ciecamente agli imperativi dello strumento, perché sia la situazione che lo strumento sono richiamati dalla memoria a risuonare un accordo col rito, una parentela con la coreutica del danzatore. Questi elementi fungono da guida fintanto che il corpo danzante li segue, ma non possono sostituirsi al 297 Tra questi citiamo Lévi-Strauss C., La via delle maschere, Einaudi, Torino, 1985, nonché H. J. – M. T. Drewal, op. cit. per quanto riguarda gli studi antropologici; Lecoq J., Il corpo poetico, Ubulibri, Milano, 2001, per quanto riguarda gli studi teatrali sulla maschera. IL RITO SOTTRATTO 181

dalla musica e che da questa giunge a farsi movimento situazionale dapprima rarefatto e quindi<br />

più aderente al contesto, ma ristabilito in forma coreutica.<br />

Incorporare una maschera<br />

Un altro elemento della mimesi sottratta è l’incarnazione di una<br />

maschera. Nei riti della santería la maschera non viene indossata fisicamente ma il viso, così<br />

come tutto il corpo, si trasforma in una maschera 295 , compensando la sua assenza materiale con<br />

delle espressioni prosodiche. Sottraendo ogni rimando simbolico che la maschera di fatto<br />

istituisce nella cultura locale, alla ricerca non resta altro che la corporeità dell’indossare una<br />

maschera. È possibile cogliere innanzitutto la proprietà che ogni maschera ha di proteggere il<br />

corpo dai suoi rimandi identitari, di nascondere l’identità del soggetto. Il corpo, così alleggerito,<br />

può liberare delle forme che altrimenti verrebbero fuori solo con grandi difficoltà. Così il<br />

danzatore si espone a una motilità libera e risonante aprendo le sue forme a nuovi territori,<br />

spogliandosi della sua persona, come se indossasse una maschera che lo nasconde, che lo<br />

protegge dalla sua individualità e dai suoi equilibri quotidiani. Indossare la maschera comporta<br />

una simultanea spoliazione della propria soggettività, un allontanamento dalla propria identità<br />

quotidiana. Se immaginiamo di indossare una maschera sconosciuta, priva cioè di un riferimento<br />

simbolico determinato, questa non cesserà di essere una maschera, una seconda pelle, una<br />

parentesi capace di sospendere il soggetto e le sue posture abituali. Allora il corpo mascherato<br />

sarà capace di nuove e sorprendenti spaziature, capaci di suggestionare il circolo nella misura in<br />

cui la maschera stessa sospende il soggetto quotidiano 296 . Inoltre la maschera è stilizzata: è una<br />

caricatura di un viso e ne esalta alcuni tratti. Al di qua dei tratti marcati, è possibile cogliere la<br />

forza impressionante della costruzione da cui questi si diffondono: il viso è ingigantito, alcuni<br />

caratteri crescono a dismisura, altri scompaiono, i colori sono più puri e contrastanti. La forza di<br />

queste pressioni si traduce nel peso della maschera: è come se questa non fosse un velo<br />

inconsistente ma una struttura talmente pesante che il corpo che la indossa deve prepararsi<br />

fisicamente a riceverla. Come se pesasse molti chili, la postura intera si modifica per sorreggerla:<br />

il corpo si pone in un assetto più stabile, il viso si muove più lentamente, il collo forma una linea<br />

continua con la colonna vertebrale per meglio sorreggere il peso evocativo delle sue pressioni.<br />

La corporeità della maschera è oggetto di molti studi, soprattutto in campo teatrale e<br />

295 Le maschere assenti sono incarnazioni dell’Altro, lo istituiscono per metonimia, sostituendosi al soggetto che<br />

danza al centro del circolo, non come metafore del dio, ma come presenze effettive [Cfr. Beneduce R., op. cit., p.<br />

280 (nota 11)].<br />

296 Anche qui ritorna utile pensare a questo doppio movimento come un’estensione delle dinamiche acustiche.<br />

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