11.06.2013 Views

IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

SHOW MORE
SHOW LESS

Create successful ePaper yourself

Turn your PDF publications into a flip-book with our unique Google optimized e-Paper software.

anche solo voler operare una tale distinzione. «È il soggetto che fa qualcosa di strano o è un dio<br />

sconosciuto che si sta rivelando in quel corpo?»: in un orizzonte sottratto, questa domanda<br />

chiede troppo. Nel mentre del rito, i partecipanti percepiscono un’unità esperenziale che si sta<br />

facendo corpo. Non c’è un percorso mimetico ma solo una corporeità che si è esposta a un<br />

evento sublime 293 . La donna ha inventato delle forme perché era scossa dal riverbero, dal ricordo<br />

di un’esperienza vissuta che non ha saputo contenere. È stata un’esperienza intensa, perché lei<br />

non sa ancora cosa è successo, e questa inadeguatezza concettuale ha generato tensione, uno<br />

scuotimento che freme sulla sua pelle a liberare un’invenzione corporea, uno spazio areale da<br />

esplorare. La mimesi sarà propriamente tale – e quindi oggettivata – quando dalla sua corporeità<br />

sarà possibile individuare dei tratti indicativi dell’oggetto mimato. Questo prenderà forma<br />

proprio grazie a quei tratti, avrà un nome e la corporeità nel rito potrà essere intesa come la sua<br />

forma di invocazione 294 .<br />

Nel caso della donna africana gli elementi pre-intenzionali emergono chiaramente per il fatto che<br />

il fenomeno vissuto è sconosciuto. La difficoltà connaturata alla sottrazione di un rito<br />

tradizionale è proprio quella di riconoscere in esso questi elementi, spogliandoli della loro veste<br />

di senso, come se anch’essi costituissero un nuovo rito. Con la sottrazione è possibile cogliere<br />

tutta la forza delle dinamiche pre-intenzionali.<br />

Nella festa santéra un comportamento mimetico può essere indotto<br />

da un’oscillazione coreutica che in quel momento si sta rivolgendo alla sola musica. In questo<br />

caso il danzatore non intende mimare l’oggetto ma si sorprende a ricordarlo, a rievocare la<br />

motilità di una situazione già vissuta, nella quale si focalizzavano oggetti e con i quali si poteva<br />

interagire con azioni compiute in quello sfondo. Allora le oscillazioni del corpo danzante<br />

finiscono col ricadere tra gli oggetti di una rete mnemonica o meglio, alcuni fili di questa rete<br />

finiscono col vibrare, scossi dalla risonanza che la forma dell’oscillazione sta generando oltre<br />

l’arena, oltre le connessioni con la musica. La forma particolare di mimesi che qui si evidenzia<br />

va intesa come una modalità di rievocazione involontaria, mediata da una forma del corpo che si<br />

ritrova ad atteggiarsi con i gesti appresi in un’esperienza passata. Ma l’esperienza nella quale si<br />

ripropongono questi gesti è del tutto differente, perciò non si focalizza la situazione nella sua<br />

quotidianità ma nella sua possibilità di essere rievocata, potremmo dire nella sua corporeità<br />

trascendentale. L’artefice di questo ricordo è la danza, che dà corpo a un’orientazione stimolata<br />

293 Intendiamo questo termine nell’accezione kantiana.<br />

294 Qui si comprende chiaramente che la divinità nata da queste azioni non si priverà di tutta questa corporeità<br />

pragmatica che l’ha generata, anzi, il suo nome servirà proprio a ripercorrere queste pratiche, per comprenderle<br />

sempre di più. In tutte le culture, per lo meno in quelle di derivazione africana, si può dire che «si personalizzano<br />

gli dei per utilizzarli e comprenderli; e senza dubbio si può indifferentemente aggiungere che li si comprende per<br />

utilizzarli e che li si utilizza per comprenderli» [Augé M., op. cit., p. 63].<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 179

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!