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sorprendono nell’atto di relazionarla ad un loro sapere, comportandosi con delle azioni che sono<br />
la prassi dell’istituzione di un senso nuovo, dove un uso conosciuto viene irretito nello spazio<br />
cerimoniale a rivestire il corpo di altre forme e inaspettati usi strumentali, nonché di tutti quegli<br />
atteggiamenti riguardanti “quel conoscere” ricordato, poiché la situazione ricordata è per<br />
definizione già vissuta, acquisita e consolidata nel sapere di un corpo che ora riecheggia in un<br />
corpus rituale.<br />
Si consideri il seguente caso: un essere umano, se non è la prima<br />
volta che si addentra in un bosco, già sa cos’è. Ciò implica un sapere, non necessariamente<br />
concettuale, che si esprime innanzitutto con le forme con cui ci si muove nel bosco, con le abilità<br />
e le attenzioni già esperite in quel contesto: in questo caso vi è già tutto ciò di cui abbiamo<br />
bisogno 275 . Se un movimento danzato, realizzato per sola simbiosi coreutica, finisce col ricordare<br />
una situazione, allora questa può eleggersi a guida del suo proseguimento, diventando il nuovo<br />
perno su cui il corpo può costruire nuove forme. Tali forme, pur mantenendo un’armonia con la<br />
musica, assumono la loro orientazione specifica seguendo la corporeità ricordata dal bosco. Una<br />
forza può svolgersi armoniosamente se riesce a stabilire un legame di residenza tra un corpo e<br />
uno sfondo 276 , nella forma oscillatoria e nella forza attrattiva di un contatto. Sia esso reale o<br />
immaginario, ricordato o ascoltato, questo legame riesce a trasformare la motilità libera in azione<br />
“compiuta”, la cui compiutezza va ricercata nella dimensione in cui risiede.<br />
Danzare un gesto<br />
Nel cortile il corpus sincronizza le proprie parti secondo uno<br />
schema conico che punta al vertice del ballerino rituale. Il danzatore è l’avanguardia del rito, è lo<br />
strumento che il corpus impugna per scolpire la via che lo porterà ai santi. È un corpo che, pur<br />
sperimentando nuove forme articolatorie, finisce inevitabilmente col passare anche attraverso<br />
una serie di operazioni acquisite. Oltre alla ragnatela di connessioni già descritte, durante la festa<br />
può accadere che il movimento danzato venga colto come gesto 277 . Se ciò si verifica, allora<br />
significa che la danza ha trovato un’armonia con una corporeità ricordata, che ora può muoversi<br />
275<br />
Ciò è molto vicino a una considerazione di Wittgenstein: « “Aggiusto un freno collegando una barra a una leva”.<br />
Certo, se è dato tutto il resto del meccanismo. Solo in connessione con questo, la leva è la leva di un freno; isolata<br />
dal suo sostegno non è neppure una leva; può essere qualsiasi cosa possibile, e anche nulla» [Wittgenstein L.,<br />
Ricerche Filosofiche, p. 12, § 6].<br />
276<br />
Questa forza può essere una musica, una danza o anche solo una percezione, poiché «guardare un oggetto<br />
significa venire ad abitarlo» [Merleau-Ponty M., op. cit., p. 115, (corsivo mio)].<br />
277<br />
Per «gesto» qui si intende un movimento “compiuto”, che rispecchia la situazione pragmatica (non solo<br />
l’inerenza acustica) nella quale viene liberato.<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 172