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Il motore di questo cammino è rappresentato dalle forze del rito:<br />
vibrazioni e ondulazioni in uno spazio sottratto. Queste hanno rievocato una gestualità e un<br />
contesto altro, oltre a una dimensione che non si è sostituita a quella della cerimonia ma che è<br />
stata da questa assimilata. Il corpo insomma sembra allontanarsi dal rito per poi ritornarvi con<br />
dei riferimenti in più: questi sono codici, gesti, strumenti, sensi comuni, ristabiliti nello spazio<br />
del rito. Ma in realtà questo non si sta affatto allontanando: sono le situazioni evocate dalla sua<br />
gestualità ad avvicinarsi al rito e proprio grazie a questo avvicinamento esse possono<br />
trasformarsi, assumendo un senso nuovo, necessariamente differente da quello quotidiano 271 .<br />
Ogni movimento può ricordare un gesto, una situazione, un archetipo, una motilità<br />
strumentale, in qualunque momento del rito. Perciò l’ordine nella descrizione di questi aspetti<br />
sarà da attribuirsi solamente all’esigenza di mantenere la linearità di un’esposizione scritta. Il<br />
discorso seguirà i tempi della festa santéra, il cui avvicendarsi di momenti sarà la cornice nella<br />
quale inserire le varie tipologie di evocazione. Ad ogni sviluppo del rito compaiono<br />
un’intensificazione della corporeità e un’estensione del senso che, se ricondotta alle forme del<br />
corpo, ci permetterà di coniugare le due spirali nella comprensione di un unico cammino 272 .<br />
mentre il movimento astratto è centrifugo, il primo ha luogo nell’essere o nell’attuale, il secondo nel possibile o nel<br />
non essere, il primo aderisce a uno sfondo dato, il secondo dispiega esso stesso il suo sfondo» [Merleau-Ponty M.,<br />
op. cit., p. 166]. Nel momento in cui un movimento «astratto» viene spartito nel corpus del rito, allora il possibile<br />
che esso rappresentava diviene reale, concreto, attuale. Così la spartizione stessa, la dis-posizione o con-giunzione,<br />
che la si chiami «contatto» o «riverbero», viene assunta a fondamento ontologico dell’essere.<br />
271 É ciò che accade ad ogni nascita di un nuovo uso. Sini, ricordando le teorie di Wright, sintetizza efficacemente<br />
questo punto: «Una pratica, io dico, è un nuovo assemblaggio di senso di elementi tratti da pratiche precedenti, con<br />
nuove funzioni significative e nuovi effetti di verità. Ecco qua: vecchie funzioni per nuovi usi. In più il fatto, e il<br />
paradosso, che le vecchie funzioni sono ora guardate e definite alla luce dei nuovi usi» [Sini C., op. cit., p. 14].<br />
272 A questo proposito è interessante citare una riflessione di Beneduce:«è come se la possessione invertisse i poli<br />
dell’azione sociale: e a quello che sembra essere il livello più basso di riflessione, di coscienza critica (la scarica<br />
muscolare, la perdita dei sensi), corrisponde il livello massimo di efficacia simbolica e sociale» [Beneduce R., op.<br />
cit., p. 256].<br />
<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 169