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IL RITO SOTTRATTO - DSpace@Unipr

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Questa viene percorsa con dei gesti, con azioni la cui forma sembra compiuta, con atti mimetici,<br />

con archetipi di movimenti, attraverso strumenti che richiamano tutto il sapere acquisito per<br />

maneggiarli. Questi percorsi muovono il corpo in dimensioni non acustiche. Un “certo gesto”<br />

può ricordare al corpo un suo sapere acquisito nel corso dell’ontogenesi e in un contesto<br />

differente da quello del rito. Oppure il corpo può sorprendersi a seguire una guida che, pur non<br />

chiarendo la sua residenza originaria – ovvero non focalizzandosi- mostra una certa tipologia di<br />

tensione operativa che ne riporta l’espressione a una tendenza tipica, o meglio archetipica. Un<br />

movimento nato dal solo connubio coreutico con la musica può divenire gesto e proiettare<br />

attorno a sé una situazione da seguire. O ancora questo può scoprirsi nell’atto di imitare qualcosa<br />

che non è presente. Può servirsi di uno strumento come guida per esplorare alcune sue<br />

spaziature, per riuscire a tracciare un suo cammino esplorativo, una linea che darà poi un senso<br />

al suo muoversi. Tutte queste dimensioni vengono gettate fuori dall’arena vibratoria come campi<br />

della memoria operazionale, come territori strettamente collegati a un sapere concreto del corpo.<br />

Questi sono l’alcova di tutte quelle concettualizzazioni che li vestiranno di un senso ‘sensato’,<br />

sono aperture che di volta in volta verranno chiamate «gesto», «strumento», «situazione»,<br />

«archetipo». I movimenti cui danno origine sono slegati dalla loro prassi “ordinaria” e ristabiliti<br />

nella realtà del corpus nel quale vengono liberate, che è la dimensione rituale.<br />

Più le forze del rito si concentrano attorno al corpo centrale, più la<br />

spirale centripeta si fa stretta e i suoi giri si fanno rapidi. Nello stesso tempo la portata centrifuga<br />

dei sensi sottratti si fa ampia, a dispiegare estese dimensioni abitabili che il corpo espone come<br />

nuovi territori in cui è possibile un cammino. Ciò accade perché i movimenti, concentrandosi<br />

secondo il modello del corpo-risonatore, divengono più densi, più vibranti e perciò più<br />

contagiosi. Questi ora sono più eloquenti, non solo nella loro rispondenza con le vibrazioni, ma<br />

anche nel loro accordo con possibili dimensioni di senso. L’ampiezza di questi territori è<br />

inversamente proporzionale alla densità del corpo stesso, che rispecchia l’inerenza con uno<br />

spazio ricordato – o meglio, evocabile, cioè riverbera la solidità del territorio al quale questo<br />

sembra inerire attraendo il corpus, come se stesse invitandolo a seguirlo nelle estensioni della<br />

sua esplorazione. Il crescendo del senso assume così una serie di tratti visibili, descrivibili come<br />

una serie di tappe che strutturano l’andamento del percorso come un procedere a spirale, che<br />

compone un movimento circolare – la cui circolarità rappresenta il continuo ritorno a una<br />

rispondenza coreutica con le forze del rito – a una graduale estensione degli spazi di senso<br />

possibile. Quindi ad ogni giro della spirale centripeta corrisponde un giro di una nuova spirale<br />

centrifuga, che apre dimensioni di senso sempre più estese 270 .<br />

270 Qui si tenta di riformulare il gioco di compenetrazioni tra concreto e astratto in Merleau-Ponty: «Il movimento<br />

astratto […] sovrappone allo spazio fisico uno spazio virtuale o umano; il movimento concreto è dunque centripeto,<br />

<strong>IL</strong> <strong>RITO</strong> <strong>SOTTRATTO</strong> 168

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